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L’Italia perde tempo

2 Apr

Si perde tempo, l’ha detto Angelino Alfano, in un dichiarazione che suona come una presa d’atto a nome di tutti gli italiani, piuttosto che un’opinione personale.

Si perde tempo e se ne perde tanto, tantissimo, se, ad esempio, la giunta PD-SEL-M5S della Regione Sicilia blocca i lavori nella base militare di contrada Ulmo, pilastro del nascente Mobile User Objective System, il sistema di difesa satellitare USA – proprio mentre Obama porta a casa un accordo tra Israele e Turchia, sostanziale per l’assetto del Mediterraneo.

Come ne stiamo perdendo davvero tanto, in Europa, se l’India pretende di processare soldati italiani e tedeschi, proprio mentre assolve largamente un contingente di propri militari, resosi colpevole di stupri, violenze ed omicidi in missione di peacekeeping in Africa.

Si perde tempo se, rifiutandosi di formare un governo (il Pd con il PdL ed il M5S con il PD), i nostri destini sono procastinati a luglio prossimo, con un governo dubbiamente prorogabile – quello di Mario Monti – che è limitato all’ordinaria amministrazione, ma dovrà far fronte ad una situazione eccezionale.

E nel Governo Monti sta la chiave di volta della strategia del Partito Democratico, obnubilato dai 200 parlamentari ‘che non sarebbero lì’ se non esistesse un premio di maggioranza spropositato, mentre tra gli altri almeno cento sono parte dell’apparato.

Andare al governo con il Popolo della Libertà comporterebbe diverse conseguenze ‘sgradite’, che sarebbe meglio lasciar fare ad un governo transitorio ed un presidente che accondiscenda a qualche strappo alle regole, visto che non si tratta di amministrazione ordinaria:

  1. una legge elettorale che recepisca sia il ballottaggio, sia il senato federale, sia il presidenzialismo, sancendo la fine del bipolarismo e del parlamentarismo;
  2. una riforma della Autonomie Locali, sopprimendo province e comuni sotto i 10.000 abitanti, azzerando un’infrastruttura partitica (ed una tradizione di polemisti da bar dello sport) che ci portiamo dietro dal Dopoguerra;
  3. la riforma della pubblica amministrazione, alla quale, per ovvi motivi, dovrebbe conicidere una serie di leggi sui sindacati, sulla separazione delle carriere, sull’introduzione di un sistema di bilancio ‘europeo’, sui servizi che il Servizo Sanitario Nazionale va a garantire ‘comunque’;
  4. una riduzione della leva fiscale e l’introduzione dei diritti di cittadinanza.

Tutte leggi che il Partito Democratico preferirebbe facesse qualcun altro, ma ponendo i suoi veti,  che il  Movimento Cinque Stelle sosterrebbe anche volentieri, ma che il protagonismo di Grillo impedisce, che il Popolo della Libertà voterebbe, se non fosse per i guai giudiziari di Silvio Berlusconi.

Nessuno che prenda nota del detto anglosassone per il quale se non si è un vincitore, allora non resta che prendere atto di essere un perdente.

Intanto, i dati congiunturali sconfessano la manovra elettorale del Partito Democratico, iniziata da mesi sotto la spinta di SEL e della CGIL, in nome dell’emergenza sociale: la disoccupazione registra, sddirittura, un lieve calo. Sono i giovani a preoccupare con un congruo numero di senza lavoro (37,8%), principalmente donne.

E, se parliamo di giovani e di occupazione, la soluzione non è certo prolungare l’età pensionabile, mantenere una pubblica amministrazione elefantiaca, senza investire in infrastrutture, formazione e produttività. Come il ‘modello’ non può essere di certo quello di Romano Prodi, additato -in Italia come all’estero – come uno dei padri del disastro Eurozona ed eternamente in batteria per un posto al Quirinale.

Siamo sicuri che i circa 200 deputati del Partito Democratico, che sono lì grazie al Porcellum, vogliano davvero tornare a casa con un flop del genere per sperare in una riconferma delle urne?
E cosa staranno pensando quelli del Movimento Cinque Stelle, che potrebbero non contare, alle prossime elezioni politiche, di quei 5-6 milioni di voti arrivati per protesta?
O, parlando di stabilità ed Europa, che qualcuno si sia accorto che, se PdL+Lega+Scelta Civica avessero corso coalizzati, non staremmo neanche a discutere di governi e governicchi?

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Basta liti, iniziamo a dialogare

30 Mar

Il Corsera di oggi scrive che “rigido si è rivelato il centrosinistra, con un Sel fermo a insistere su un mandato pieno a Bersani, per una sfida in Senato su una incertissima fiducia. Ma sulla stessa linea era anche il gran corpaccione del Partito democratico, con eccezioni ancora piuttosto timide”.

“Con tutti i partiti ostaggio di interdizioni reciproche, provocazioni, bluff, rimpalli di responsabilità e, insomma, prigionieri di quelle pregiudiziali e quei «troppi no»”, … se Napolitano “dovesse decidere di lasciare, fino a quando non sarà eletto e insediato il dodicesimo capo dello Stato”, i suoi poteri passeranno nelle mani del «supplente», il presidente del Senato Pietro Grasso.”

Ci presentiamo alla riapertura delle Borse con Pietro Grasso, presidente facente funzioni, e Mario Monti premier in proroga per l’ordinaria amministrazione? Con l’intenzione di restarci per mesi, mentre si litiga prima per chi sarà il futuro presidente della Repubblica e dopo per chi governerà, eventualmente, per un annetto e basta, in modo da riformare la politica ed andare a votare di nuovo?

Tra l’altro, le eventuali dimissioni di Giorgio Napolitano – dopo le sue esitazioni a sciogliere le Camere quando i Finiani tolsero la fiducia al Governo Berlusconi e lo smaccato errore nell’individuare Mario Monti come premier ‘salva Italia’ – rappresentano esattamente il ‘segnale che non va dato’ all’estero come in homeland: l’inizio di una crisi politica di lungo termine per una delle prime economie mondiali.

E per quale motivo i 7 miliardi e rotti di cittadini ‘esteri – con le loro banche, aziende, pubbliche amministrazioni, eccetera – dovrebbero star lì, gentimente, a guardare, aspettando che qualche nuovo trasformismo o qualche conduttore ripristinino le funzioni essenziali del sistema Italia, momentanemente affidate ad un ex magistrato ed un ‘banchiere’?

E’ finita l’epoca dei ‘ma anche’: è l’ora degli uomini di ‘buona volontà’. Questa la Via Crucis di Giorgio Napolitano.
C’è un Paese da rifondare, basta liti, iniziamo a dialogare.

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Bersani – PdL, un accordo (im)possibile?

28 Mar

In questo scorcio di XVII Legislatura – chi diceva che il numero 17 porta male? – sono tanti e troppi i dati, accertati o stimati, che ci raccontano un’Italia molto diversa da quello che ci era stato descritto da sondaggi, statistiche, slogan di partito, giornali e televisioni, chiacchiere da forum o da bar.

Ad esempio, il dato – sorprendente per gli elettori di sinistra – di un Partito Democratico, che vede tra gli eletti molti ex-democristiani e (molto) pochi ex comunisti, socialisti, verdi, radicali e tutto quanto abbia anche marginalmente aderito al modello socialdemocratico.
E’ ovvio che l’elettorato di sinistra, sempre più marginalizzato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Altra singolarità del PD è che almeno un terzo, forse la metà, dei sui eletti sono professionisti della politica.
Che essi debbano esistere è sano e fisologico, dato che ‘strateghi e logisti’ specializzati in regolamenti, bilanci e leggi son sempre necessari. E’ abnorme che siano così tanti – un centinaio almeno solo in Parlamento con tutto il codazzo di sub-professionisti della politica, ovvero sherpa, consulenti, portavoce eccetera.
E’ assurdo che un partito ‘popolare’ che fa le primarie, addirittura, si ritrovi con un apparato così invasivo ed onnipresente.

Dal lato opposto – o meglio, semplicemente complementare – c’è il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, che al turn over è sempre stato attento.
Purtroppo, il permanere di Silvio Berlusconi ha bloccato il ricambio, anche a causa degli interessi divergenti ‘di certi fedelissimi’, ormai fuori dai gioci per problemi giudiziari o migrati altrove nell’attuale parlamento.

Un Centrodestra che – ad averci un leader vero ed un programma verosimile – avrebbe dalla sua almeno il 35-40% dei consensi, se consideriamo anche i voti raccolti dai Montiani e da FARE.
Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato di destra o moderato, sempre più disorientato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Ed ‘in mezzo’ c’è la Conferenza Episcopale Italiana, un alto clero che non sta mostrando nè sufficiente distacco dal potere e dalla finanza (Mammona) nè capacità di esistere nel sociale, al di là di un (proficuo) ruolo di sussidiarietà allo Stato. Vediamo troppi vescovi al fianco di pessimi politici nelle foto ufficiali, parliamo di una mafiosità e di una corruttela sulle quali non si sono sentiti i tonanti anatemi né gli appelli sociali.

Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato cattolico sia sempre più disorientato –  mentre si reclama il diritto alla vita ma non altrettanto quello alla giustizia, se non anche il dovere all’onestà ed all’equità – e vada cercando ondivago soluzioni che non trova.

Dunque, il problema è che la maggioranza del Paese non trova voce nell’attuale Parlamento, dato che il Movimento Cinque Stelle di proposte fattibili ed alternative a quella di Bersani premier non ne ha fatte.

Una situazione che difficilmente potrà essere risolta con una nuova legge elettorale e con la discesa in campo di Matteo Renzi, ma che neanche i cittadini del movimento di Beppe Grillo avranno grandi chances di gestire o risolvere.

Un governo di tecnici veri ed indipendenti – invece che sui forum, iniziamo a leggere i blog o la stampa estera – ed una maggioranza ‘giovane’ che in un anno e mezzo riformi per bene non solo i quattro spiccioli che Bersani ha messo sul tavolo, ma anche quello che è possibile per giustizia, sindacati, pensioni, sanità ed enti locali.

Beppe Grillo avrebbe dovuto riflettere di più su questa chance: ‘perdere’ qualcosa per vincere tutto e divenire una sorta di De Gaulle italiano. Infatti, molti, moltissimi voti sono arrivati al Movimento Cinque Stelle per il solo motivo che non c’era altro da votare e c’era una chance da dare a qualcuno che voleva ‘cambiare’.

E’ anche e soprattutto dal Movimento Cinque Stelle che gli italiani si attendono le ‘prove’ di una capacità di governo, di proposta e di concertazione, che finora non si è vista.
In attesa di un cambiamento che, per gli italiani, significa anche – forse soprattutto – che non se ne può più della Politica che litiga, mentre il Palazzo crolla.

Come anche, ci si aspetta(va) da un vero partito alternativo che guardasse sia a sinistra ma anche a destra con un occhio al centro: le buone idee e la brava gente non sono mai di un colore solo.

Finita la missione suicida di Pierluigi Bersani, al Partito Democratico non resta che cogovernare con il PdL – che, però, chiede prima la sua testa – oppure è arrivata l’ora che Il Movimento Cinque Stelle dica a chiare lettere quali siano gli elementi di programma vincolanti e quali i nomi o le poltrone. Oppure tutte e due …

Intanto, l’unica proposta sensata di queste due settimane, arriva dal Popolo della Libertà: Gianni Letta presidente della Repubblica, Pierluigi Bersani a Palazzo Chigi.
Il tutto con l’appoggio della Lega, dato che Maroni ha voluto sottolineare che “è verosimile che il Pdl e la Lega non si oppongono alla nascita del governo Bersani? E’ possibile, non so quanto probabile, ma è possibile. Lo abbiamo detto ieri, è possibile a determinate condizioni”.

Il paese deve uscire da questo stallo, che rischia di prolungarsi fino ad estate inoltrata: Bersani ed il Partito Democratico – avendo la maggioranza alla Camera – facciano quello che va fatto per dare un governo decente all’Italia.

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Bersani al Piano B

27 Mar

Il giorno dopo le elezioni, Pierluigi Bersani sapeva di avere il 22% dei consensi, il 33% dei voti, il 55% dei seggi alla Camera, il 33% di quelli del Senato.
Sapeva anche di non avere tempo, a causa della situazione economica, del forte malcontento popolare e del Presidente della Repubblica con il mandato agli sgoccioli.
Un paio di settimane dall’insediamento dei Presidenti delle due assemblee parlamentari, Camera e Senato, ed, eventualmente, la settimana di Pasqua a seguire, in cui le Borse sono assopite.

E Pierluigi Bersani sapeva molto bene – come ne erano ben consapevoli i suoi colleghi di partito – che si potesse andare al voto di nuovo solo e comunque con il Porcellum, ma, soprattutto, non prima del 25 giugno, a causa della necessità di eleggere il Presidente della Repubblica e del semestre bianco, mettendo i tempi necessari a scioglere le Camere e quelli dovuti alla campagna elettorale,
Chiaro a tutti che il mondo e l’Eurozona non possono attendere l’Italia che prova e riprova a formare un nuovo governo.
Meno evidente l’idea che, senza un governo, Mario Monti continuerà ad oltranza con la sua azione ‘recessiva’ e la Cassa Depositi e Prestiti arrivi al baratro, con l’Italia che segue Cipro, dopo la Grecia, nel downgrade dell’area mediterranea.

Dunque, non c’era davvero un motivo valido per giustificare la prova di forza imperniata da Bersani e la leadership del suo partito.
Se ci si arrocca, non si apre un dialogo in quattro e quattr’otto, ma soprattutto, se il tempo è poco, ci si mette da soli in una condizione di svantaggio.

Un arrocco che si poteva evitare, ad esempio, votando la presidenza della Camera (dove il PD ha maggioranza assoluta) dopo il voto al Senato e, garantitisi la presidenza di Pietro Grasso, lasciare il posto di Laura Boldrini alla candidata del M5S.
Od evitando di portare le bandiere dell’antiberlusconismo anche in Parlamento, a campagna elettorale finita, sbattendo la porta in faccia non solo a lui, Silvio Berlusconi, ma a tutto il PdL.
Un’opportunità che il PdL aveva calcolato, non presentando un proprio candidato e sperando che il PD imboccasse – come avvenuto – la via della forza e non quella del confronto.
Un arrocco, ma anche un doppio errore, visto che stiamo assistendo ad una regina (Bersani) isolata in mezzo alla scacchiera, mentre tutta la squadra sta intabarrata in difesa.

Una situazione disastrosa in cui si è ficcata l’intellighentzia del Partito Democratico (D’alema, Bindi, Marino, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera) non concedendo a  Pierluigi Bersani deleghe concrete e complete a trattare alcuni ‘temi caldi’: il finanziamento dei partiti, la legge elettorale, il conflitto di interessi negli enti locali, il taglio delle province e dei piccoli comuni, i costi della politica, la legge sui sindacati.
Urgenze alle quali andrebbero affiancate norme urgentissime per la finanza pubblica, su cui qualcuno doveva già iniziafe a tessere accordi, come quelle necessaria al rilancio di Cassa Depositi e Prestiti, la depenalizzazione per le sostanze stupefacenti e lo svuotamento delle carceri, i servizi pubblici esternalizzati ed il Terzo Settore, le pensioni d’annata ed i sussidi per chi non lavora, la Sanità e le responsabilità erariali connesse.

Purtroppo, Bersani, D’alema, Bindi, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera sono riusciti anche a perdere l’ultimo treno prima del calar delle tenebre.

The last train – Evaldas

E così, da qualche giorno, in casa PD si sente parlare di «governo a bassa intensità politica» con un programma molto limitato: riforma elettorale, riforma del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu per determinate fasce di cittadini e approvazione della legge di stabilità.

Il tutto per evitare che il M5S di Grillo e Casaleggio vinca smaccatamente delle elezioni attuate con il sistema del Porcellum e per consentire a Matteo Renzi di candidarsi alle primarie nel tardo autunno, quando un po’ di ripresa e qualche pannicello caldo potrebbero aver rabbonito gli italiani, oltre a tante attese sentenze che riguardano Silvio Berlusconi e che metterebbero fuori gioco il temuto Giaguaro.

Ovviamente, il tutto funzionerà se gli avversari politici dovessero stare lì tutti ben fermi e/o prevedibili …
Intanto, mentre si svlgono le utime trattative febbrili e dopo un’arroventata riunione degli eletti, Roberta Lombardi, capogruppo M5S alla Camera, annuncia «Neanche se si butta ai miei piedi e mi implora di dargli un lavoro… Il gruppo è compatto e lo è anche al Senato».
Compatto lo vedremo … spaccare il Movimento Cinque Stelle era – ed è ancora – il Piano A di Bersani e del Partito Democratico.

Ovviamente chi divide impera, ma seminando vento raccoglie tempesta.

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Camera dei Deputati, quali prospettive?

25 Mar

Arrivano dal sistema sanitario ben cinque degli otto senatori che dal PdL si sono ‘resi disponibili’ fondando il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà.
Una coincidenza che, a vedere i pochi dati forniti da Camera e Senato, meriterebbe maggiori approfondimenti.
Fosse solo perchè è la Sanità uno dei luoghi critici del debito italiano, del malaffare pubblico, della riduzione in sudditi dei liberi cittadini, dove saranno da attuare dei tagli, del riordino e delle tutele che la Casta proprio non vuole, se non a patto di privatizzare.

Da quel poco che si evince dai dati della Camera, però, qualche riflessione è possibile.

Innanzitutto, più di un terzo dei deputati ha superato i cinquanta anni d’età (239), altri 159 sono tra i 40 ed i 49 anni, 184 va dai 30 ai 39,  solo 48 hanno meno di 30 anni.
Tutto normale con la curva che l’Italia si ritrova?
Mica tanto. Dei 398 deputati (2/3 del totale) ultra quarantenni, nessuno è del M5S, mentre lo sono ben 109 dei 232 under quarantenni, praticamente la metà.

Più scontro generazionale di così … con i cinquantenni – i ragazzi degli Anni ’80, estromessi ab origine dalle scelte decisionali – più attenti al futuro dei propri figli che ai benifit da incassare dilazionando il cambiamento, a differenza da chi li ha preceduti.

Riguardo le professioni, i dati, che la Camera dei Depuati fornisce, sono al momento incompleti, ma almeno 40 deputati rieletti nel Partito Democratico sono dirigenti, funzionari o impiegati di partito. Uno addirittura si dichiara amministratore locale ‘di professione’.
Quaranta e passa voti che tenderanno, prevedibilmente, a condizionare il voto sui tagli ai partiti ed alla Casta.

Inoltre, sempre riguardo le professioni rappresentate in Parlamento, sembra scarseggino gli ingegneri e gli economisti, che si contano sulla punta delle dita: un atto di gravissima irresponsabilità da parte dei partiti, che avrebbero dovuto e potuto inserire in lista persone capaci di comprendere a fondo e di gestire la crisi infrastrutturale e finanziaria del Paese.

Un altro dato interessante è quello dei rieletti che abbiano superato 50 anni. Ovvero, quanti eletti debbano attendere (e restare occupati) per un tot di anni ancora, prima dell’avito vitalizio.
Il Partito Democratico annovera ben 47 over50 e 13 over60, cioè ben 60 deputati che se dovessero votare ‘secondo coscienza’ certe norme urgenti su Pubblica Amministrazione e Sistema Pensionistico si ritroverebbero con un personalissimo ‘conflitto di interessi’. Per non parlare del finanziamento ai partiti …
Il PdL ne conta quaranta in tutto e tra i pochi montiani sono ben quattro gli ultrasessantenni rieletti.

Poi, ci sono i neo eletti. E tra questi sappiamo già che non è irrilevante il numero di amministratori di enti locali ‘promossi’ prima della cancellazione di comuni e province, che, in vista di una breve legislatura, difficilmente voterebbero tagli a prebende locali e di campanile.

Questi alcuni dei fattori, tra quelli resi noti dai dati, che condizioneranno la legislatura ‘old school’ che Pierluigi Bersani – con un Giorgio Napolitano palesemente scontento – si accinge a ‘tentare’. Considerati alcuni fattori (anagrafici e professionali) non è improbabile che anche al Senato esistano aggregabilità simili.

Probabilmente, un PD guidato da Matteo Renzi poteva dare la scossa a questo Parlamento. Possibilissimo che se Mario Monti non si fosse intestardito contro il PdL, staremmo discutendo di una Grosse Koalition con M5S e SEL, ben vigili – come di dovere – all’opposizione, pronti a sostenere leggi ‘difficili da digerire’.

E se Silvio Berlusconi non avesse dato seguito a Tremonti e Bossi, ma avesse seguito Brunetta e Cicchitto, forse sarebbe arrivato anche il turn over. Come era meglio un incarico di Napolitano, anzichè a Bersani, ad una figura non iperpolemica e più carismatica – interna alla politica (es. Anna Finocchiaro) o parallela ad essa (es. Massimo Rodotà, Gianni Letta).

Non è andata così.

Oggi, circolano i nomi di coloro che, secondo Pierluigi Bersani, dovrebbero affascinare Grillini, Liberali e Leghisti e, soprattutto, guidare il cambiamento: Franco Marini (ex CISL, ex DC, 80 anni), Sergio Mattarella (ex DC e giudice costituzionale, 72 anni) e Pierluigi Castagnetti (ex DC, 68 anni), Guglielmo Epifani (ex CGIL, 63 anni), Giampaolo Galli (ex Confindustria, 61 anni), Giuseppe De Rita (ex CENSIS, 80 anni).
Ed, intanto, a guardare due numeri, l’impressione è che, in questi ultimi 20 anni, il numero di ex democristiani candidati ed eletti nelle fila del Partito Democratico è enorme, praticamente maggioritario, mentre, guarda caso, il suo elettorato chiede – giusto appunto da 20 anni – ‘qualcosa di sinistra’.
Tenuto conto che nel PdL le cose non vanno molto meglio, ecco spiegato sia perchè l’Italia è allo stallo – da un ventennio – sia perchè i mali che la Seconda Repubblica doveva curare si sono, viceversa, incrementati.

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Il governo che non c’è

23 Mar

A quanto si legge, i senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi (Gruppo Misto) e Giulio Andreotti (Autonomie) sono in condizioni fisiche tali da non consentire loro di essere presenti al voto di fiducia, ammesso che si arriverà a questo. Allo stesso modo, non potrà votare la fiducia al nuovo governo il presidente Pietro Grasso, per prassi consolidata al Senato.

Iniziamo, così, col dire che Pierluigi Bersani inizia la sua ‘conta dei consensi’ con tre voti in meno rispetto a quanti si potesse prevedere, fermo restante che l’asticella resta a 160.

Senato seggi fiducia

Dunque, ammesso e non concesso che i Montiani aderiscano in toto ad un governo multipartizan con le urne in vista, a Pierluigi Bersani servono ancora quattro voti, oggi, e, prevedibilmente, altri sei dopodomani, visto che SEL in questa Grosse Koalition proprio non si capisce cosa starebbe a fare.

Da dove possono arrivare questi voti?
Dal PdL alla spicciolata, innanzitutto, visto che bastano forse solo quattro voti e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Dalla Lega, in toto o parte, vista l’eloquente allusione di Bersani (beato chi ci crede) ad ambiziose ‘riforme costituzionali’ e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Da qualche costola del M5S, entusiastica e buonista, che, forse, non aspetta altro che esser fagocitata dalla Casta o, comunque, si sta solo ora rendendo conto che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Da nessuna parte, visto che più che una mission impossible per Bersani, la formazione di un governo su tali basi appare come una ‘missione suicida’, tanti e tali saranno i balzelli e gli inciuci che una maggioranza così eterocomposita dovrebbe praticare: le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Oppure, mentre si mostrano i muscoli in televisione, dato che per Bersani “non c’è altra strada” all’infuori del suo tentativo, il PD lavora sotto traccia, seguendo le chiarissime indicazioni del Presidente Giorgio Napolitano: «le difficoltà a procedere verso la grande coalizione sono apparse rilevanti a causa di profonde divisioni riesplose con la rottura di fine 2012. Insisto sulla necessità di larghe intese a complemento della formazione del governo, il quale potrebbe concludersi anche in ambiti più ristretti».

Un concetto, quello delle ‘larghe intese’, che viene chiarito da Silvio Berlusconi – ‘senza Pdl non c’è maggioranza’ – cui fa eco Maroni della Lega – riguardo gli ‘ambiti più ristretti’ – con “siamo in coalizione con il Pdl, ma serve un governo. Non faremo nulla che sia contro la coalizione, concorderemo tutto”.

Intanto, mentre dal centrodestra arrivano ampie disponibilità ad intese, la road map bersaniana  riparte da Beppe Grillo, forse nella speranza di incassare in un colpo solo i 30-40 senatori che mancano al PD+SEL per governare.

E così siamo al “governo civico”, con nomi tutti da scoprire, tra cui i più accreditati, secondo Repubblica, sarebbero Oscar Farinetti (Eataly), Milena Gabanelli (RAI),  Giampaolo Galli (Confindustria), Fabrizio Saccomani (Bankitalia).

Un ‘governo civico’ del tutto ‘scollato’ dai partiti e dai gruppi parlamentari, ovvero in balia di essi …

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Chi sono i 10 senatori di Grandi Autonomie e Libertà

22 Mar

Il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà è nato ufficialmente questa notte, dopo che tutti avevano capito che Bersani non avrebbe ceduto il passo ed a chi mai, vista la telefonata poco opportuna di Pietro Grasso a Santoro e Travaglio.
Così accade che dieci senatori decidano – improvvisamente e dopo anni e decenni di fedeltà alla causa del Centrodestra – di rendersi ‘disponibili’, affrancadosi da Berlusconi e dalla Lega.

Sperando che non sia il ‘mercato delle vacche’ profetizzato da Beppe Grillo, vediamo chi sono, giusto per curiosità e per capire l’affidabilità del futuro governo, nel caso il neonato Gruppo Grandi Autonomie e Libertà si rivelerà la ‘stampella’ che Bersani ed il ‘vecchio PD’ cercano.

Mario Ferrara, che è anche il presidente del GAL, è un ingegnere, senatore e segretario del gruppo di Forza Italia al Senato dal 2001 al 2006. Noto per uno degli emendamenti che hanno evitato la riduzione dei benefit dei parlamentari proposta da Giulio Tremonti nella finanziaria 2011.

Di pianificazione urbana si occupa Jonny Crosio, nato a Zurigo ed iscritto nel Registro Svizzero degli Ingegneri e degli Architetti. Quasi sempre presente ai lavori parlamentari, ha votato con puntualità svizzera tutto quanto c’era da votare durante il Governo Berlusconi. Eletto al Senato nelle liste della Lega Nord.

Giovanni Mauro, di professione avvocato e docente universitario, è stato presidente della provincia di Ragusa per il centro destra ed è con Forza Italia dal 2001, fin dalla prima ora del Berlusconismo. Pur avendo vissuto e lavorato in Sicilia, viene candidato e rieletto al Senato in quota Grande Sud nella lista PdL nel collegio Campania.

Luigi Compagna, giornalista e docente universitario di Storia delle dottrine politiche, è diventato senatore nel 1992 con il Partito Liberale, rieletto nel 2001 col  CCD-CDU, col Popolo delle Libertà nel 2008 e nel 2013. Noto per aver proposto (2008) una modifica ad un decreto legge per permettere al giudice Corrado Carnevale di concorrere per il posto di primo presidente della Corte di Cassazione ed un disegno di legge costituzionale (2009), insieme alla senatrice Franca Chiaromonte del PD, per ripristinare l’immunità parlamentare.

Gian Marco Centinaio è (era?) il segretario ed uomo forte della Lega Nord di Pavia, al quale Paolo Mieli, dal Corriere della Sera, chiese conto della sua presenza ad una manifestazione neonazista avvenuta a Pavia il 14 ottobre 2002. Un personaggio che sul proprio sito dichiara che, dal 2009, è assessore al turismo del Comune di Pavia, ma anche  Direttore Commerciale presso “il Viaggio SRL”, dopo essere stato anche Direttore Vendite Canale Agenzie presso CLUB MED ITALIA per circa due anni.

Giuseppe Compagnone è un medico, una vita intera vissuta a Grammichele, in provincia di Catania, di cui è stato il sindaco per le Autonomie, ma inspiegabilmente candidato in Campania dal PdL ed eletto (fortunosamente?) 14esimo in lista.

Anche Giovanni Bilardi è un medico, giá consigliere Regionale della Calabria e capogruppo della Lista Scopelliti Presidente,   unico eletto in Italia per ‘Grande Sud’ al Senato. E’ stato componente della Commissione medica invalidi civili per oltre venti anni e membro del Comitato provinciale Inps. La sua attività politica è iniziata con la militanza, da giovanissimo, nella Dc e nel 1992 è eletto per la prima volta consigliere comunale della città di Reggio Calabria e riconfermato nella carica per ben cinque consiliature. Per diversi anni è stato componente della Commissione edilizia e nel 1998 Presidente della Commissione al Patrimonio edilizio. E’ stato assessore alle Politiche comunitarie del Mediterraneo-Cooperazione internazionale del Comune di Reggio Calabria.

Ed è un medico Antonio Fabio Maria Scavone, primario di radiologia all’ospedale Garibaldi di Catania. Deputato alla Camera dal 1992 al 1994, più volte coinvolto in scandali finanziari dalla ASP da lui diretta. Nel 2003, era Assessore al Personale del comune di Catania nella giunta di Umberto Scapagnini, medico imputato e condannato più volte, tra cui una sentenza confermata in Appello a due anni e sei mesi di reclusione per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale. Eletto al Senato nella lista del PdL.

Lucio Barani, non ci stupiremo, è un medico distrettuale ASL. Ex sindaco dei comuni di Aulla e di Villafranca in Lunigiana, è noto per aver fatto erigere una statua commemorativa di Bettino Craxi, in una piazza a lui appositamente dedicata, mentre un’altra piazza del comune ha cambiato nome da Piazza Giacomo Matteotti a “Piazza dei martiri di Tangentopoli”. Eletto alla Camera dei deputati alle elezioni politiche del 2006 con la lista Dc-Nuovo PSI nella circoscrizione Toscana, grazie alla rinuncia del capolista Gianni De Michelis, è stato il primo firmatario della proposta di legge che assegna lo status di combattente a chi aderì a Salò.

Nella Sanità lavora anche Laura Bianconi, un’ex democristiana (dal 1980),  ex Consigliere Comunale al Comune di Cesena, Capodipartimento regionale alla Sanità per la Regione Emilia-Romagna. Eletta nella lista “Forza Italia” nel 2001, poi col Popolo della Libertà,  si è battuta strenuamente contro il Referendum del 12 e 13 giugno 2006 in materia di procreazione medicalmente assistita.

Acclarato questo, fermandosi ai primi link proposti da Google, ogni commento è inutile.

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Province in rivolta, Italia sotto ricatto?

8 Nov

Nel 2011 le spese sostenute dalle Province sono state pari a circa 11,6 miliardi di euro (fonte Siope, 2011).
Queste le singole voci di spesa:

  1. trasporto pubblico extraurbano; gestione di circa 125 mila chilometri di strade nazionali extraurbane: 1 miliardo 430milioni di euro.
  2. difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche; smaltimento dei rifiuti: 3 miliardi e 200 milioni di euro.
  3. gestione di oltre 5000 gli edifici scolastici: 2 miliardi 210 milioni di euro.
  4. gestione di 854 Centri per l’impiego; sostegno all’imprenditoria, all’agricoltura, alla pesca; promozione delle energie alternative e delle fonti rinnovabili: 1 miliardo 100 milioni di euro
  5. promozione della cultura: 190 milioni di euro
  6. promozione del turismo e dello sport: 210 milioni di euro
  7. servizi sociali: 180 milioni di euro
  8. costo del personale (61.000 unità): 2 miliardi 300 milioni.
  9. amministrazione e manutenzione del patrimonio: 750 milioni di euro
  10. indennità degli amministratori: 111 milioni di euro

E’ di questi giorni la notizia che la spending review tagli 500 milioni di spese alle Province e che i loro presidenti non ci stanno, anzi, propongono cose come “la chiusura dei riscaldamenti nelle scuole (superiori, ndr) e conseguentemente l’aumento delle vacanze per gli studenti”.
Oppure precisa il neo presidente dell’Unione Province Italiane, Antonio Saitta, “siamo pronti anche  ad interrompere i lavori di manutenzione nelle scuole. E quando qualche procuratore della Repubblica, come accade nella provincia di Torino con il bravo Guariniello, ci dirà che i lavori debbono essere terminati, noi opporremo un netto rifiuto, visto che le risorse non ci sono più”.

Ma le risorse ci sono o, meglio ci sarebbero, visto che la gestione degli edifici scolastici rappresenta solo un quarto dell’intero volume finanziario provinciale e che per i costi di personale si spende altrettanto, mentre per amministrazione e manutenzione del patrimonio vanno via ben 750 milioni di euro.

Ebbene si, le nostre indispensabili province per gestire poco più di 8 miliardi di servizi ne spendono circa tre per funzionare tra personale e patrimonio.
Ed, ovviamente, i loro consiglieri e presidenti non sono neanche sfiorati dall’idea che il taglio da 500 milioni che la Repubblica Italiana gli chiede sia da destinarsi principalmente a quel 25% di spese che le Province mettono a bilancio come ‘costi interni’.

Un anno fa, l’abolizione delle Province era sulla bocca di tutti e non c’era nessun ostacolo a trasformarle in distretti amministrativi, con costi sensibilmente inferiori. Mario Monti non ha voluto in alcun modo scontentare la Casta e, seppur con qualche taglio, tante Province sono rimaste in piedi.
Errore grave se non diabolico, visto che lor signori, avuta salva la poltrona, vogliono (come al solito?) scaricare i tagli sui servizi e non sulle prebende.

Vi sembra un esempio di senso civico e di responsabilità istituzionale minacciare di non mettere in sicurezza le scuole o lasciare gli studenti senza riscaldamento?

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Spending review? No, manovra correttiva agostana …

3 Lug

Mario Monti rassicura i partiti: ‘è una spending review, non una manovra correttiva’. Eppure, se si trattasse di questo parleremmo di oltre 200 miliardi di Euro, come ha precisato pochi giorni fa proprio uno dei superconsulenti voluti da Mario Monti.
Qui parliamo – molto più prosaicamente – di un taglio delle spese di personale e di fornitura per ‘raccogliere’ quei 5,3 miliardi di euro che servono con urgenza, dato che i conti del decreto Salvaitalia si sono rivelati fin troppo ottimistici: i ‘professori’ avevano sottovalutato gli effetti negativi della ‘mancanza di speranza’, ovvero recessione, stagnazione, evasione fiscale, speculazione finanziaria.

Una ‘realtà’ che sembra non essere percepita nè dai media nè dal Partito Democratico, attestato dietro Bersani e D’Alema, che sembrano non aver imparato la ‘lezione della Seconda Repubblica’, ovvero che essere il maggior partito o la ‘fazione’ più coesa non comporta ‘ipso facto’ che si sia in condizione di governare e che, senza un pensiero economico, un programma economico, anche il maggior conglomerato di voti è in balia delle ‘correnti’. L’arroganza con cui è stato ‘censurato’ il buon Fassina ne è un eccezionale esempio e ci conferma che il ‘metodo’ non è cambiato da 50 anni a questa parte.

Uno scenario che si racchiude in quattro dichiarazioni, ben rappresentative ed inequivocabili.

«Se per decenni si indulge ad assecondare un superficiale ‘tiriamo a campare’ oppure si indulge nell’iniettare nei cittadini la sensazione che tanto il Paese può, per le sue risorse, non affrontare problemi seri che le altre nazioni affrontano, forse deve venire il momento in cui, anche a scapito di una temporanea perdita di speranza, bisogna affrontare i problemi seri» – Mario Monti a Palazzo Madama per la presentazione del libro del ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi.

«È evidente che se il governo pensa di procedere al taglio degli organici e alla riduzione dei servizi getta benzina su una situazione molto difficile» – Susanna Camusso, segretario della Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori.

«Mentre Sagunto brucia, a Roma si succedono riunioni di congiurati per decidere come buttare giù il governo prima dell’estate e provocare così le elezioni anticipate a ottobre.La voglia di far saltare tutto, si sa, serpeggia da tempo in entrambi i maggiori partiti. Ma se nel Pd Bersani ha l’autorità per zittire un Fassina, nel Pdl pare che Alfano non ne abbia abbastanza per mettere a tacere una folta schiera di sediziosi, ex ministri berlusconiani ed ex colonnelli finiani» – Massimo Polito, editoriale del Corriere della Sera del 16 giugno 2012.

«A questa maggioranza dico da parte di tutti i giovani che avete rotto i coglioni!» – Franco Barbato (IdV), mentre stava illustrando un proprio emendamento alla spending review nell’dall’Aula di Montecitorio.

Intanto, l’unico ministro che sembra aver firmato la proposta di tagli delle piante organiche del 20% per i dirigenti e del 10% per gli altri dipendenti è l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, il cui ministero, la Difesa, ha già decurtato di un quinto il proprio personale, con un piano decennale di prepensionamenti e mobilità che ridurrà di circa 30.000 unità il numero dei dipendenti militari e civili.

Dunque, non sono solo il popolo bue, l’antipolitica che avanza od i congiurati romani a complottare contro il governo di Mario Monti. A quanto pare sono gli stessi ministri a non credere in questo spending review, “anzi, più di un ministero ha chiesto di lasciare quella regola fuori dai propri uffici” ci ricorda il Corriere della Sera.

E, d’altra parte, chi mai potrebbe crederci, se prendiamo atto che Monti ed i suoi superconsulenti vorrebbero fare a luglio ed agosto quello che non hanno fatto in sette mesi di ‘governo tecnico’ e non s’è fatto in 18 anni di Seconda Repubblica.

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Spesa pubblica: due conti in croce

29 Giu

I dati forniti da SIOPE e diffusi mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) descrivono la distribuzione della Spesa Pubblica italiana e forniscono – nell’estremo tentativo di salvare gli enti politici provinciali – un quadro alquanto desolante, per quanto relativo alla situazione generale, e fin troppo deludente per quanto inerente l’azione di governo esercitata da Mario Monti ed i suoi prescelti.

Infatti, mettendo in tabella i dati SIOPE-UPI sul 2011 insieme ai dati forniti dal Ministero dell’Interno e dal MIUR – riguardo le proprie spese (2010) – e dalle Regioni e Province – relativamente al numero dei consiglieri – ecco cosa ne viene fuori.

Dati che vanno letti considerando che un consigliere comunale del Comune di Sassari ci costa solo 13.338 Euro all’anno, trasferte e rimborsi inclusi. (leggi anche sui CdA, Lo scandalo degli Enti Strumentali)

Se questo è il costo dei cosiddetti ‘apparati’, ovvero dei consiglieri-parlamentari e dei rispettivi gruppi consiliari, non è che con la sommatoria – incompleta- della spesa pubblica si vada meglio.

Fatti salvi circa 11 miliardi di Euro spesi per il Ministero dell’Interno e palesemente insufficienti, non è chiaro per quali motivi l’Italia abbia una spesa per l’Amministrazione Centrale di quasi 200 miliardi a fronte di una spesa complessiva delle Amministrazioni locali di ‘soli’ 135 miliardi, in cui rientrano strade, porti, reti locali, ambiente eccetera.

Quanto ai due soli servizi (istruzione e sanità) dove Stato e Regioni hanno competenze condivise, i dati raccontano che per la scuola si spende troppo poco, mentre per la salute si spenda troppo e male.

Male non solo per i servizi scarsi o inutili che arrivano ai cittadini, ma soprattutto perchè, se le Regioni spendono tre volte tanto per ASL e ospedali di quanto spendano per tutto il resto, è presto spiegato il disastro italiano.

Infatti, con una sproporzione tale – in termini di volume finanziario e di bisogni dei cittadini da soddisfare – non è improbabile che non pochi consigli regionali siano ‘dominati’ da lobbies afferenti al settore sanitario, come non pochi scandali dimostrano, dalla Regione Puglia agli ospedali cattolici romani o milanesi.

D’altra parte, 116 miliardi di spesa sanitaria annui sono una cifra enorme che richiederebbe ben altro che una spending review, in questi tempi di crisi. Infatti, non saranno i 246.691 infermieri (10 mld di spesa annua?), i 46.510 medici di base ed 7.649 pediatri (altri 5-6 miliardi) coloro che inabissano la spesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Dei restanti 100 miliardi va cercata e chiesta ragione ai medici ospedalieri ed ai consigli di amministrazione delle ASL, non ad altri.

Sarebbe interessante sapere anche perchè quei 300 miliardi di previdenza siano congelati nelle casse dello Stato, anzichè diventare denaro circolante, con un sistema di previdenza privata sotto controllo pubblico come in Germania.

Come anche, ritornando alle ‘spese dell’Amministrazione Centrale’ per 182 sonanti miliardi di euro, sarebbe bello sapere in cosa consistano, visto che i beni monumentali languono e le infrastrutture attendono.

Sarebbe importante sapere, anche e soprattutto nell’interesse di Roma Capitale, quanta parte di questi miliardi siano andati a costituire lo strabiliante PIL che per anni fu vanto di Walter Veltroni e delle sue giunte e di cui, da che c’è crisi, non sembra esserci più l’ombra. Ma questa è un’altra storia.

Leggi anche Tutti i numeri delle Province

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