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Nicola Zingaretti, un liberale governatore del Lazio

27 Feb

Secondo i dati del Viminale, Nicola Zingaretti si è aggiudicato 28 dei 40 seggi che compongono l’Assemblea Regionale del Lazio. Di questi, 10 seggi sono andati alla lista Zingaretti per il Lazio, 13 seggi sono del Pd, due a Lista civica Zingaretti, uno a Sel, uno al Psi, uno al Centro Democratico. Una maggioranza schiacciante, cui potrebbero aggiungersi i due consiglieri della coalizione Bongiorno presidente, oltre ai sette del Movimento Cinque Stelle che potrebbero confluire sulle delibere che li convincano.
Certamente e fermamente all’opposizione, si prevede, ci saranno Francesco Storace, nove esponenti del Pdl, 1 de La Destra, 1 di Fratelli d’Italia, 1 della Lista Storace.

Lasciandoci alle spalle Renata Polverini e gli inestimabili danni fatti al Centrodestra dalla ‘epocale’ gestione della Regione Lazio sotto di lei, possiamo dire che il compito che aspetta Nicola Zingaretti farebbe tremare le vene ad un audace eroe dei miti passati.

Due gli scogli – Scilla e Cariddi – che lo attendono a giorni.

Da un lato, la pressione populista, tradizionalmente romana e accentuata dalla presenza del M5S e dalla possibilità che vengano approvati ‘emendamenti di minoranza’ già a livello di commissione, che mal si addice ad un genuino demoliberal o radical come Zingaretti.

Dall’altro, la dura partita che si giocherà in sede di Conferenza Stato-Regioni con le tre principali regioni del Settentrione (Piemonte, Lombardia, Veneto) in  mano alla Lega, mentre il Sud reclama il dovuto e qualche arretrato e mentre il sistema palazzinaro e del parastato annaspano febbrilmente.

Una dura partita, che sarà giocata subito ed anche dopo, che influenzerà fin da principio tutte le scelte a venire, come, ad esempio la scassata e sprecona sanità laziale, l’inutilità e gli sprechi di alcune province, i rapporti con Roma Capitale, la realizzazione di infrastrutture adeguate, la razionalizzazione del territorio, l’infiltrazione ed il rafforzamento di interessi criminali, il salto tecnologico per la città più tradizionale del mondo.

Vista la schiacciante maggioranza ed il sostanziale pareggio tra liste zingarettiane (12 consiglieri) e Partito Democratico (13 consiglieri), ragion vorrebbe che il libero e liberal Nicola, governatore emerito, non andasse a complicarsi la vita, allargando la maggioranza oltre l’indispensabile, unica via per tenere la barra al centro.

Una responsabilità importante, dato che è da Zingaretti e Renzi che arriva qualcosa di ‘diverso’ da un partito Partito Democratico ancora reduce della Guerra Fredda ed orfano di concetti ormai centenari.

Ben governare il Lazio è l’unica chance per riconquistare la fiducia e la stima del resto degli italiani, che – per ovvi e naturali motivi – associano partitocrazie e trasformismi alla way of life capitolina.
Sarebbe bello riuscire a contraddirli.

La mission del neo presidente della Regione Lazio è quasi una mission impossible ed allo stesso tempo è una sfida determinante per i destini italiani e, forse, europei. Senza una capitale ‘a livello’ – ovvero una smart city interlacciata nei network planetari e decisamente choosy, easy e friendly – l’Italia finirà per sparire dalle carte geografiche che ‘contano’,  mentre i flussi commerciali e turistici resteranno al minimo indispensabile come da sempre.

Ma questo immagino che lo sapesse bene, nel momento in cui, pochi mesi fa, ha dichiarato la sua candidatura.
Buona fortuna, Mr. Zingaretti.

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Smart Cities e gli uomini coraggiosi

5 Dic

Mario Sechi scrive, oggi e molto autorevolmente, che “a portata di mano (e di cervello) c’è per esempio la «Big Society» di David Cameron, che anche in tempi di tagli e crisi da debito resta la migliore idea sul tappeto delle politiche liberali: l’associazionismo che si sostituisce allo Stato, i cittadini che ne governano alcuni settori, la politica che delega la gestione al popolo sul territorio”.

La mente corre subito al Report sulle Smart Cities che sta circolando da un mesetto tra gli addetti ai lavori.

Potremmo letteralmente parlare di un ‘viatico’ per il futuro sviluppo delle centralità metropolitane italiane ed europee e che, come tale, non può che raccogliere consensi ed entusiasmi.

Città ‘facili’ e ‘già pronte’, in cui il pubblico finanzia, organizza e poi si fa da parte alla libera azione dei cittadini e delle imprese.

Non il vecchio sistema di esternalizzazioni di servizi a carico del Fondo Sociale Europeo, madre di sprechi ed assistenzialismo, carriere e prebende, come larga parte della nostra partitocrazia sta intendendo.
Non una Nazione affollata da forse 50.000 diverse leggi e ben di più circolari con effetto regolativo, non uno Stato che monopolizza assistenza, previdenza, istruzione e comunicazioni, quasi che il Fascismo non fosse mai finito, non un territorio afflitto da mille Poteri che ha fatto del Principe di Machiavelli il suo inno di dolore.

Difficile non dubitare che l’apporto del Movimento Cinque Stelle in Parlamento non aggiungerà caos al caos.

Difficile pensare che il Partito Democratico di Bersani, Renzi, Vendola e D’Alema possa essere culturalmente in grado di gestire questo cambimento, visto che appare ancora esser sostenuto – quasi esclusivamente – da ‘suo’ elettorato post-comunista. Una democraticità che – piuttosto che le primarie – poteva e potrebbe essere gestita tramite la scelta (da parte degli iscritti) del programma tramite il WEB. Come stanno già facendo i Piraten, come si stanno preparando a fare – in un modo o nell’altro – i grandi partiti europei, che come noto non sono affatto di massa. Come potrebbe, ad esempio, fare il PdL o qualsiasi forza politica anche in Italia.

Impossibile pensare che, senza riforme profonde ed un cambio di mentalità decisivo, Roma, per quello che è ora dopo anni disastrosi, possa (ri)diventare una capitale dignitosa e funzionale, attraendo le risorse ed i finanziamenti che le servono per ristrutturarsi.

Difficile pensare che l’Italia non abbia nomi e blasoni tali da non poter raccogliere le istanze di gran parte dell’elettorato, disposto anche a far ancora sacrifici ed a ‘non dubitare’, ma solo in nome di un programma di governo che non si limiti agli intenti, come quello del PD, ad esempio.

Difficile credere che i Poteri non si rendano conto che solo una forza politica di cultura liberale possa risolvere e semplificare il groviglio di poteri condivisi, deroghe e seconde istanze su cui vive l’Italia che muore.

L’era politica di Silvio Berlusconi è al compimento e chi sa vincere sa anche ritirarsi al tempo giusto. Il partito da lui voluto e creato si sta rivelando un gigante dalle gambe d’argilla.
Ci sarebbe tutto. Da una diffusa mentalità liberale che ormai appartiene anche agli italiani – la cui riprova sono anche i ‘fai da te’ grillini o le ‘proteste fiscali’ dei leghisti – ad un tessuto informativo e comunicativo che, salvo La Repubblica e Santoro, ha ormai traslocato sulla Rete, all’esigenza che sentiamo ormai tutti, ad esempio, che le nostre pensioni non siano più solo nelle insicure mani dello Stato e dei nostri Sindacati oppure che i nostri Enti Locali non siano sempre meno trasparenti, sempre più spreconi, senza che si possa far altro che pagare.

Con il Porcellum ed una tornata elettorale così ravvicinata è quasi impossibile che possa nascere un’aggregazione politica che andrà a raccogliere quel 20% di voti che resteranno inespressi, non per protesta, ma per consapevolezza della situazione.

Ma si potrebbe almeno tentare.

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