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Reddito di cittadinanza: il rinnovato ruolo di Inps e Sindacati

21 Feb

Ben venga il Reddito di Cittadinanza inteso come sostegno per chi si ritrova a vivere con quattro soldi, ma – arrivato al traguardo – il Decreto voluto dai Cinque Stelle mostra i medesimi limiti per cui era stato criticato fin dall’inizio.

800px_COLOURBOX4129607Per notarlo, basta leggere questa semplice storiella.

Luigi e Gino sono due lavoratori e dipendono dalla stessa ditta, sono ambedue sposati con un bambino, altro coniuge disoccupato, lavorano 36 ore alla settimana, hanno un reddito di circa 20.000 euro lordi all’anno (al netto quasi 1.200 euro al mese), pagano un affitto di 450 e niente risparmi in banca.

Da gennaio 2018, Gino ha optato spontaneamente per il part time con un reddito di circa 10.000 euro, cioè un Isee inferiore a 9.360 euro annui, cosa che permette a tutto il suo nucleo familiare già di avere l’esenzione da eventuali costi contribuiti e la precedenza nell’accesso a servizi pubblici.
Luigi no, resta full time e sopra la quota Isee e come lui anche i suoi familiari.

Arriva il Reddito di Cittadinanza e da marzo 2019 Gino a part time inizia a ricevere 780 euro al mese, che in un anno sono 9.360 euro, e dopo un anno (ma lavorando solo 20 ore alla settimana) avrà ricevuto un reddito più o meno identico Luigi che lavora full time: circa 20.000 euro annui, ma con esenzione da tutti i ticket per tutto il nucleo familiare.

Anzi,  a proposito di nucleo familiare, il coniuge disoccupato di Luigi non avrà diritto al Reddito di Cittadinanza, per via dell’Isee troppo alta, ma quello del lavoratore part timer probabilmente avrà diritto ad altri 500-780 euro al mese?

A proposito, Gino in part time sotto quota Isee va a “manifestare la propria disponibilità al lavoro“ per ottenere il Reddito, ma cosa accade se dovesse rinunciare perchè interferente con il lavoro ‘primario’?

Riepilogando, avremo due situazioni familiari e lavorative identiche, che diventano antitetiche, se il reddito complessivo del nucleo ‘part time’ diventa largamente superiore a quello del nucleo ‘full time’.

Figuriamoci, poi, se l’affitto di Gino fosse spese incluse e quello di Luigi al netto del condominio e se nel tempo restante al part time  Gino svolgesse lavoretti a nero … magari proprio nella ditta che ‘spontaneamente’ gli ha suggerito il part time. 

Nel 2018, prima del Reddito di Cittadinanza, Luigi e Gino erano amici per la pelle, nel 2020 probabilmente no.

Sarà l’Inps con le sue circolari a fare ordine e, si spera, equità? E come farlo, se non dipenderanno dall’Istituto tutti gli accertamenti che la norma prevede?
Sarà il redivivo Sindacato a vigilare nelle fabbriche, come una volta era per cottimisti e crumiri?

Demata

Scuola, servizi pubblici, pensioni: dove sono il Governo e le Opposizioni?

1 Set

E’ il 1° settembre, riaprono le scuole e – dalle notizie del Fatto Quotidiano – dovrebbero ancora esserci migliaia di dipendenti che hanno richiesto la pensione anticipata e sono con la pratica ancora in lavorazione o soggetta a chiaro ricorso.
Intanto, CGIL Scuola annuncia che  “manca un preside su 4, servono segretari e bidelli. In cattedra ottantamila precari. Avvio delle lezioni a rischio caos nonostante i 57mila contratti a tempo indeterminato. E resta il rebus delle maestre diplomate“.

Parallelamente, a dimostrazione che il meccanismo del turn over della Pubblica Amministrazione si sia inceppato (e che le problematiche ex Inpdap non erano limitate a ‘soli’ 10 miliardi di deficit), basta andare su un sito o un forum dei lavoratori della Difesa o della Sicurezza per rendersi conto che decine di migliaia di loro attendono una pensione e spesso sono invalidi. E gli organigrammi degli Uffici pubblici consultabili su internet sono pieni di posizioni in reggenza o utilizzazioni, ergo privi di personale.
Anche nella Sanità, se la Legge 161-2017 modifica la turnazione ospedaliera, questo non corrisponde la possibilità di nuove assunzioni per garantire il servizio.

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Nel privato, il fenomeno ricomprende i lavoratori divenuti invalidi con 400 euro di pensione al mese anche se hanno 30 anni di contributi, gli esodati e le ricongiunzioni negate, i ricomputi retroattivi dopo aver dilazionato per anni, cioè … i 60enni in cerca di lavoro dopo 30 anni di attività disastrosamente sotto gli occhi di tutti da un decennio.

Una diffusa flessione nei diritti dei lavoratori (cioè degli assicurati), che diventa sempre più debordante grazie alle facili e fuorvianti promesse di Salvini di ‘abolizione della Legge #Fornero “, fondate a loro volta su una serie di luoghi comuni.

E’ una bufala che alla pensione di pervenga non prima dei 65/67 anni: il requisito ‘minimo’ della Fornero è l’età contributiva e non anagrafica, potrebbe trattarsi di un lavoratore precoce oppure mansioni usuranti o semplicemente un grave invalido.

E’ una bufala che le generazioni ‘anziane’ non abbiano contribuito a sufficienza: può essere vero per le contribuzioni fino alla fine degli Anni ’70, ma  chi ha iniziato a lavorare negli Anni ’80 rientra più o meno nel sistema contributivo odierno, perchè era cessata la spinta inflazionistica degli Anni ’70 ed avviata l’unificazione finanziaria europea.

E’ una bufala che l’Italia sia afflitta dalla piaga delle frodi assicurative: quello dei falsi invalidi è un fenomeno specifico locale, ma non sono chissà quanti rispetto alle medie europee o statunitensi, specie se parliamo di infortuni sul lavoro. Viceversa, le sentenze del Tribunale del Lavoro favorevoli agli assicurati/assistiti sono tantissime ed anche i morti sul lavoro o i riconoscimenti postumi di danno alla salute rappresentano in Italia un dato rilevante, se parliamo di Vigilanza Sanitaria, prevenzione e sicurezza.

E’ una bufala che dare una rendita agli invalidi sia un costo pubblico non prioritario: era una spesa ben definita fino al 1976 e da decenni inglobata nella massa delle pensioni complessive, senza un bilancio di quanto il Sistema Italia spenda di più, lesinando e rinviando, per minore produttività al lavoro, come per sicurezza sociale (assistenza) e per maggiore accesso alle cure (sanità). Persino negli USA, dove sono attenti al ricavo, gli invalidi hanno chiari diritti, assistenza e sussidi.

E’ una bufala che la Sanità – indispensabile se si vogliono tenere al lavoro degli over55 – sia in Italia “universale”: in realtà è un sistema neanche nazionale, bensì regionale o, peggio, ‘locale’ a seconda della ASL. Infatti, in molte Regioni i Livelli Essenziali Assistenziali e i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali non sono di fatto attuati , gran parte delle strutture non ha la cartella elettronica, le prenotazioni sono mesi di distanza, le prescrizioni di altre regioni non vengono attuate.

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Queste cose dovrebbero far riflettere, perchè stiamo parlando dei risultati di una ‘nazionalizzazione’, quella avvenuta dal 1974 delle Casse e delle Mutue, già concessionarie ai sensi dell’art. 38 della Costituzione.

A proposito, è una bufala che non vi siano i soldi per le pensioni:  chi versa contributi per oltre 38-43 anni, a seconda degli Stati e degli istituti, è nel dovuto e dovrebbe essere solo una questione di aspettativa in vita individuale e di rendita.
Il problema reale è che il declino italiano, smantellando il settore industriale e manifatturiero, ha già prodotto milioni di sottoccupati con scarsa contribuzione.

Inoltre, sappiamo che c’è un certo numero di rendite ‘eccezionali’ rispetto all’effettiva contribuzione che fa a contraltare con la pochezza dei sussidi ai lavoratori invalidi. Ma non dovremmo fare altro che separare le spese sociali di uno Stato o una Regione (100-150 mld annui) da quelle contributive tra lavoratore ed assicuratore pubblico o privato che sia (3-400 mld annui).
Quanto all’istruzione, un conto è finanziare solo scuole statali, un altro è garantire gli studi gratuiti (entro dei parametri) a chi sceglie le scuole private.

Doveva essere così fin dal 1948. Noi italiani l’avevamo promesso nel 1994. Lo ribadimmo nel 2011 … evidentemente l’Italia può aspettare.

Demata

Cinque domande facili per Landini e i sindacati

6 Ott

In Francia i dirigenti dell’Air France rischiano il linciaggio e in Italia Landini condanna le aggressioni, ma si dichiara “pronto ad occupare le fabbriche”.

Se una azienda è in crisi e deve tagliare posti di lavoro è una buona idea occupare gli impianti e bloccare la produzione per protesta? No, evidentemente no. Praticamente è come darsi una picconata sulle caviglie …

Possiamo pensare ad un intervento pubblico sostanzioso a sostegno di aziende e ‘cassaintegrati’? No, assolutamente no, se una bella fetta del debito pubblico e del disavanzo previdenziale e assistenziale trovano origine proprio in queste prassi degli anni passati.

Il ruolo legittimo dei sindacati è quello di ‘organizzare il dissenso’ (come affermato per il caso del Colosseo chiuso per assemblea)? A leggere norme, statuti e contratti, l’attività sindacale è finalizzata alla negozialità, visto che i diritti dei lavoratori son sanciti da leggi e contratti e per quello ci sono ispettori, preposti e magistratura.

Un sindacato che fa denunce nelle sedi dovute è quanto ci aspetteremmo, quello ‘carbonaro’ è, invece, come un partito alla ricerca di consenso e, di prassi, lo diventa: è la storia dei partiti politici di sinistra che ce lo insegna. Allo stesso modo la Storia ci insegna che – salvo periodi di disordine o affermazioni totalitarie – fin dall’emersione con la Rivoluzione Francese le forze aggregatesi più sulla protesta che sulla ricerca di soluzioni comuni sono risultate minoritarie.

E’ altrettanto vero che chi fa un lavoro dipendente è costretto a delegare – rispetto ad un coltivatore o ad un artigiano – al proprio datore di lavoro ogni decisionalità pur dipendendo dalle sorti dell’azienda in tutto e per tutto per il proprio sostentamento.

Questo comporta responsabilità ‘sociali’ per i datori di lavoro delle grandi aziende ed, infatti, fino alla Crisi del ’29  esisteva un certo codice deontologico tra industriali e banchieri, on corrispettivi fallimenti e suicidi.

Landini e i sindacati, per non parlare di certa sinistra francese, forcaiola ante litteram, potrebbero e dovrebbero sollevare questa questione che tocca tutti (lavoratori, datori, welfare, Stato), piuttosto che cercare il dissenso, che seppur motivato e riconoscibile, spesso e volentieri, lascia il tempo che trova.

Magari, ritornerebbe in auge la sacrosanta questione che 40 anni di lavoro per 40 ore alla settimana più i trasferimenti da casa sono davvero troppi per tutte le mansioni e professioni che espongono l’organismo a forti stress (orari e turni notturni o continuativi, agenti industriali, contenziosi con utenti o committenti, trasferte frequenti). E la faccenda non si risolve di sicuro esodando un po’ di gente anno per anno.

E qui arrivano la quarta e la quinta domanda: perchè Landini, Camusso & co. non sostengono interventi di contenimento delle pensioni retributive apicali in corso e perchè non sostengono a spada tratta le proposte di Boeri e/o Damiano sugli anticipi pensionistici e sul reddito minimo?

Demata

Sindacato unico, no. Unitario? Di corsa …

25 Mag

L’idea di un sindacato ‘unico’ è potenzialmente totalitaria, quella che sia ‘unitario’ sarebbe norma di buon senso.

Provate a chiedere ai chi dirige nei settori dell’istruzione o della sanità, di quale strabordande numero di rappresentanti sindacali di ogni colore sia composto un tavolo di contrattazione.
Il rapporto è sempre non inferiore a 3-4 sindacalisti per dirigente e nel privato non va molto meglio.

Ovviamente se ogni rappresentante dei lavoratori vuol portare acqua al proprio mulino, differenziando le proposte come sempre accade, la contrattazione è il mantenimento dello status quo e l’introduzione di norme estemporanee. Praticamente un frullato.

Sarebbe, dunque, ovvio che i rappresentanti dei lavoratori si presentassero in numero adeguato al dialogo, con proposte concertate tra loro precedentemente, prevedendo di consultare i lavoratori, prima e dopo, sia sul contratto sia su chi deve andare in rappresentanza.

Inoltre, oggi, un sindacato composto da 5-6 sigle, che rappresentano i lavoratori per ‘comparto’, dovrebbero tutelare si il più oscuro dei manovali sia il primo dei dirigenti. Sarà per questo che sono 20 e passa anni che ii contratti della Pubblica Amministrazione non vanno nè avanti nè indietro?

Demata (since 2007)

Lavoro e pensioni: fine pena mai

1 Mag

La cattiva notizia è che la Corte Costituzionale ha annullato il blocco dell’adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a tre volte il minimo Inps (1.443 euro).

La ‘buona’ notizia è che adesso abbiamo un’idea certa di quanto esageratamente ci costano: il solo ‘aggiornamento Istat’ pesa sui conti pubblici di circa 1,8 miliardi per il 2012 e altri 3 miliardi per il 2013.
A contraltare, i beneficiari di pensioni e assegni sociali, integrazioni al trattamento minimo più pensioni di invalidità civile costituiscono il 65% dei pensionati totali e percepiscono un importo inferiore a 750 euro.

E’ evidente che è andato tutto storto a partire dalle proiezioni di  Amato, Dini e Maroni che ancora oggi pensionano persone con il sistema restributivo per finire alle conversioni in Euro ed al nuovo status ‘europeo’ dell’Inps di Prodi e Tremonti.

Certamente era incostituzionale negare l’aggiornamento al costo della vita, ma è un dato di fatto che l’Inps abbia sbancato ed è la Caporetto dei conti italiani.
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In questi casi si fa una sola cosa: spacchettamento. Da un lato i rami morti, i pensionati ‘retributivi’ che restano allo Stato – in un blind trust si spera – finchè campano.
Dall’altro, la costituzione di Fondi Vita (o Casse) che assorbano le pensioni ‘vive’, di chi andrà in pensione da dopodomani e ha versato buona parte col sistema ‘contributivo’.

L’alternativa è bloccare tutto il Welfare e buona parte dell’innovazione della Pubblica Amministrazione, oltre che mandare in malora diritti privati e doveri  pubblici.

La soluzione è tutta meramente politica, come lo sono le questioni sottese alle richieste sempre più pressanti di Damiano e Boeri come del Papa e del Presidente Mattarella
Poletti e Renzi tacciono, Bersani e Camusso pure.

Intanto il lavoro ed il non aver lavoro somigliano sempre più a ‘fine pena mai’.
Evviva il Primo Maggio!

Demata (blogger dal 2007)

2015: previsioni facili per un anno difficile

31 Dic

Giorni fa, chicchierando con due politici locali, mi trovavo a segnalare che la ‘gente’, per l’anno che verrà, proprio non ha ‘sogni nel cassetto’, niente speranze, niente prospettive. Al massimo il sogno di andare via, per se e/o i propri figli, emigrando a nord o all’estero.
E ricordo sia le loro facce sgomente nell’esser posti dinanzi al dovere di ‘dare un futuro alla polis’ sia il loro silenzio attonito sia il mio corrispettivo stupore, dinanzi a tale vacuità.

Cosa ci aspetta per il 2015? Cosa ci lascia il 2014?

Sul fronte dei partiti italiani, ciò che accade è ormai evidente: il Paese è bloccato a causa della faida perpetua che attangaglia la Sinistra (Italia, Grecia o altrove è uguale) e quella che è de facto una minoranza degli italiani riesce ancora a bloccare riforme attese da 20 e passa anni.

Riguardo l’economia, il 2014 è stato un altro ennesimo anno nero ed infatti ci siamo beccati ben due abbassamenti di rating, finendo nella sentina del BBB+ oltre la quale c’è solo la quarantena, dato che l’attuale parlamento – a ben vedere – non ha reso esecutive le tante e troppe riforme che servirebbero. Anzi in molti casi non le ha proprio approvate neanche a livello di norma generale.
Inoltre, la spesa pubblica aumenta, nonostante i tagli su tutti i servizi e il blocco degli stipendi e delle pensioni, ma nessuno ci spiega quale ne sia la causa, come anche i conti vengono puntualmente smentiti, ma nessuno paga per gli errori fatti.

Intanto, sul fronte della ripresa, Napoli e Milano stanno dimostrando che – nonostante il malaffare – un rilancio infrastrutturale e d’immagine è possibile, Roma no. Non solo il fiasco dei Fori pedonali e di Malagrotta o le vergogne di Parentopoli e di Mafia Capitale oppure l’incapacità a costruire in tempi ‘ordinari’ un palazzo congressi o uno stadio, ma anche l’imprevidenza di un’espansione urbanistica decisa proprio mentre i mutui-casa andavano in tilt in tutto il mondo (subPrime) o il mantenimento di una lunga filiera di enti, consigli d’amministrazione e direttivi, prebende e busillis, gerontocrazie e partitocrazie che dimostrano solo che Roma – allo stato attuale – riesce a stento ad essere capitale di se stessa.

Andando fuori dai confini italiani, il 2014 è stato un anno fosco, con la Sinistra europea che ‘domina’ ma ‘brilla’ per gli scandali e ‘flette’ per le solite faziosità, mentre Obama alla fine di un doppio mandato piuttosto scialbo e zeppo di errori in politica estera, cerca di recuperare il consenso perduto puntando sui cavalli di battaglia kennediani: diritti civili e questione cubana. Intanto, ISIS, Putin e un tot altri mostrano i muscoli e il petrolio flette, ma … saranno problemi del prossimo presidente, mica suoi.

E il 2015?

Si dice che Italia e Francia siano protette dalla buona sorte ed, infatti, allorchè cadde il Muro di Berlino fu la carneficina yugoslava a dissuadere tanti post-comunisti nostrani dal giocarsi la ‘sfida all’OK Corral’ anche a casa loro. Oggi c’è la Grecia di Tsipras.
Infatti, il ‘problema’ è che ormai i greci sono ‘padroni’ solo della bandiera e della cartina geografica del loro paese, tutto il resto, in un modo o nell’altro, è in mano a stranieri: la tentazione di nazionalizzare o iperfiscalizzare ciò che si è ceduto per debiti accumulati è una tentazione antica come il mondo.
Cosa dire? Speriamo che i greci facciano presto a seguire le solite promesse e che si rovinino ulteriormente con le proprie mani, in modo che l’Italia e, soprattutto, la Francia dei solotti buoni aprano gli occhi su un gauchisme che ha sempre portato sangue e prevaricazione?

Come anche, sarà Hillary Clinton o Jeb Bush il prossimo inquilino della Casa Bianca, è davvero difficile che Italia e Francia possano cavarsela come finora, grazie all’inerte benevolenza dell’Imperatore. Nel primo caso, difficile che si continui a tollerare l’instabilità italiana in un Mediterraneo-Mar Nero sempre più bellicosi, nel secondo caso dovremo vedere cosa ne sarà dell’armata statunitense al momento stanziata nell’Africa Equatoriale ‘contro Ebola’.

Venendo a noi, i tempi della politica (e dei processi) non sono allineati con quelli dei mercati (rating, trend, spread, eccetera) e davvero sarà difficile evitare il BBB-, se andiamo a questa velocità. Inoltre, Roma non sembra in grado di badare a se stessa, figurarsi il paese, e soprattutto ‘costa un botto’. Andrebbe commissariata – ma sul serio – sia al Comune sia in Regione, come dovrebbero esserlo Napoli e Palermo, almeno finchè gli apparati locali non si rendessero efficienti, economici e affidabili come il resto d’Italia.

Quanto alla ripresa e al lavoro, basti dire che il 2014 si conclude con un ulteriore differimento di quattro mesi dell’età pensionabile, mentre il turn over langue, ed inizia ad essere aastanza chiaro a tutti che l’attenzione della Sinistra alle pari opportunità (invalidi, disoccupati, donne, giovani) è un mero ricordo del passato, dopo uno sciopero generale che chiedeva il mantenimento dello status quo e dopo il veto di Matteo Renzi al neodirettore dell’Inps, Tito Boeri, a riformare alcunchè.

Detto questo, le cose potrebbero andare così:

  1. staremo a cincischiare tra elezione presidenziale, legge elettorale, jobs act e quant’altro fino a primavera, quando si capirà se la Grecia ha crashato ulteriormente, se e come si affermeranno Clinton e Bush, se lo Stato Islamico ‘tiene’,  et cetera
  2. a ridosso dell’estate le agenzie di rating potrebbero anche star tranquille – l’elezione di un nuovo presidente porta di solito bene – e può anche darsi che Damiano e Boeri riescano ad invertire il meccanismo della Riforma Fornero e che Renzi abbia il coraggio di sottrarre ai sindacati il controllo – tramte la loro presenza nei CdA – dell’Inps e di tanti altri Enti
  3. se accadesse questo – ma è fantapolitica – si andrebbe ad elezione in settembre, cioè prima che  qualcuno possa far bloccare o annullare con cavilli le norme emesse e andando al voto con il PD di Renzi alleato i Centristi, mentre quello ‘sindacalizzato’ dovrebbe necessariamente costituirsi ‘a se stante’ e … farsi carico – come oneri e come immagine – dell’enorme patrimonio immobiliare ereditato dall’ex PCI o trasferitogli ope legis dai beni dell’erario subito dopo la II Guerra Mondiale e di un sistema opaco come quello delle elezioni /decisioni sindacali nell’era dell’Edemocracy e del voto on line
  4. molto più prevedibilmente, le cose continueranno a stare come sono, magari in attesa di vedere come andranno le presidenziali USA o sperando in qualche miracolo di San Pietro intento a far lavanderia a casa sua, mentre per l’occupazione persisterà la stagnazione e per i servizi pubblici non ci resta – ahimé – che ‘privatizzare’ tutto. Così, tra settembre o novembre, se va bene, arriverà qualche solita batosta, mentre le aziende straniere avranno comprato tutto quanto ci sia da lucrare nel nostro Bel Paese. Basti dire che da due anni i benefit di una nota azienda autostradale italiana vanno ad ingrassare un fondo pensioni canadese … mentre noi ieri abbiamo elevato l’età media dei nostri pubblici impiegati di quattro mesi per i prossimi dieci anni, perchè Inps e ambienti governativi considerano ancora l’Inps come fosse un salvadanaio, neanche fossimo alla fine dell’Ottocento.

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Poi, arriverà il 2016 e, dunque, poi si vedrà. Intanto, saranno passati il raccolto delle olive 2015, la ridislocazione delel filiera produttiva toscoemiliana per via dei terremoti e le diverse indagini in corso sul reticolo delle cooperative  e avremo scoperto (l’impresa italiana è tutta qui) cosa ne è stato del nostro sistema agro-alimentare, del Paesaggio Italiano e … della Dolce Vita.
Siamo Italiener, ‘noi’ viviamo nella Grande Bellezza, na klar. Scuola, giustizia, sanità? Abbiamo delle tradizioni: basta consultare Pinocchio di  Collodi per saperlo …

P.S. A proposito, voi vi mettereste in affari con uno che ragiona così?

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CGIL, UIL, i veri numeri dello sciopero e quel che farà Matteo Renzi

12 Dic

La Repubblica titola Sciopero generale, i sindacati: “70% di adesioni”, ma, consultando Tiscali News, scopriamo che “i primi dati che provengono dal settore industriale segnano ”un’altissima adesione allo sciopero generale”. Lo sottolinea la Cgil precisando che da una prima rilevazione risulta una media di adesione del 70,2%, mentre ”sono affollatissime le cinquantaquattro piazze dove si stanno tenendo i cortei e le manifestazioni a sostegno dello sciopero”. Inoltre sono rimasti fermi circa il 50% dei treni e degli aerei e circa il 70% degli autobus, fanno sapere ancora Cgil e Uil.”

Dunque, l’altissima adesione allo sciopero – declamata da CGIL e UIL – riguarda solo il 70% degli addetti dell’Industria e Costruzioni, che nel 2011 erano circa 5,5 milioni in tutto secondo l’Istat: ammesso e non concesso che anche gli edili abbiano scioperato in massa e senza considerare quel bel tot di lavoratori stranieri che hanno aderito, parliamo di poco più di 3 milioni di cittadini in un paese dove gli elettori sono 39 milioni circa. Il 10%, un elettore su dieci, un sostenitore della Sinistra su tre o quattro che siano.

Aggiungiamo – in abbondanza – una metà dei lavoratori dei Trasporti e tutto il resto degli addetti delle ‘imprese’ e ci ritroviamo con un’altra milionata di scioperant: aggiunti al ‘settanta per cento’ di industria – e forse edili – fanno al massimo di cinque milioni di elettori.

Arrivati al settore pubblico, gli unici dati sono quelli  troviamo innanzitutto la  Flc Cgil che riporta una adesione complessiva allo sciopero generale è intorno al 50%, cioè 3-400.000 docenti, ma aderivano anche UGL e Gilda. Per la Funzione Pubblica, dati zero, e potremmo trovarci un mero 7-10% di scioperanti o poco più: sono altri centomila che vanno ad assomarsi.

In due parole, oggi hanno scioperato in Italia circa cinque milioni di italiani adulti, cioè quasi metà dell’elettorato che ha votato a Sinistra alle ultime elezioni, ma solo un ottavo del corpo elettorale al completo.

Sarà per questo che Giorgio Napolitano ha tenuto a precisare che “le esasperazioni non fanno bene al Paese”, “lo sciopero generale proclamato per oggi è segno senza dubbio di una notevole tensione tra sindacati e governo”. “Il governo ha le sue prerogative e le ha anche il Parlamento. E’ bene che ci sia rispetto reciproco di queste prerogative”.

Ma la questione resta: metà degli elettori di Sinistra è del tutto contraria alla linea politica di Matteo Renzi e dell’attuale leadership del Partito Democratico ed ancor più intransigente è verso le posizioni politiche dei restanti partiti, che rappresenterebbero un numero di elettori italiani almeno cinque volte superiore agli scioperanti dei sindacati ‘rossi’.

Nei prossimi mesi sarà solo da capire se l’antico intreccio tra ‘partito dei lavoratori’ – con tanto di doppie tessere al PCI e alla CGIL per vertici e direttivi – andrà a risolversi, con la nascita di un ‘partito del lavoro’, aka CGIL, ed un ‘vero’ partito democratico, attento alle istanze di tutte le classi e di tutte le generazioni.

Il che significa che da domani Matteo Renzi avrà una sola scelta vincente: rompere gli indugi, procedere al ‘divorzio’ con la minoranza interna (e vedremo che la CGIL vorrà assumere un ruolo politico-partitico), avviare una convivenza ‘democratica’ e ‘popolare’ con le forze centriste, favorito da un Silvio Berlusconi che non designa l’erede.

Se gli mancherà tale coraggio, mala tempora currunt … con un sindacato post-spartachista e a tutt’oggi ‘confederale’ è difficile che la memoria non corra subito alle disastrose esperienze di Rosa Luxeemburg e Largo Caballero.

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Sciopero generale: la CGIL diventa partito?

11 Dic

Domani la CGIL – Don Chisciotte con la fedele UIL – Sancho andranno alla carica dei mulini a vento, protestando contro una legge che è già legge con  uno sciopero generale che generale non è.

Che senso abbia scioperare contro una legge DOPO che è stata emata è davvero un mistero, mentre convocare uno sciopero generale senza l’adesione di CISL e CONFSAL è certamente qualcosa di parziale e non ‘generale’. Anche perhè proprio non si comprende perchè abbia aderito la FIOM di Landini, che giorni fa ha ottenuto addirittura la deroga alle tagliole pensionistiche della Fornero per i metalmeccanici di Terni.

A cosa servirà lo sciopero voluto dalla CGIL di Camusso?
Probabilmente a nulla, dato che neanche si chiedono gli ‘ammortizzatori sociali’ (il salario minimo) per chi è senza lavoro, che però esistono negli altri paesi avanzati già da decenni, e neanche si reclama per le decine di miliardi versati dai lavoratori che ‘mancano’ nei conti Inps ed ex Inpdap e che bloccano pensioni e turn over. Peggio che andar di notte se volessimo parlare di sicurezza sul lavoro e ruolo dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.

Quello di domani sarà uno sciopero finalizzato al solo scopo di accentuare la crisi interna del PD e far pressione sulla famigerata questione dei beni immobili ex PCI.

Sarebbe ora che la CGIL si costituisse come partito – prendendosi la responsabilità ‘politica’ delle disinformazioni e delle devastazioni che a volte fanno da contorno a certe ‘proteste’ –  e la smettesse di occuparsi di ‘lavoro’, ambito per il quale  – si noti bene – in 70 anni di contrattazioni NON ha praticamente mai avanzato proposte concrete.

Infatti, domani – allo sciopero generale per il ‘lavoro’ – non sarànno sul ‘tavolo’ la questione Inps (salario minimo e pensioni sociali) e neanche quella della privatizzazione del sistema contributivo e del turn over, non saranno sul tavolo la questione formazione-lavoro e la qualificazione /meritocrazia nelle professioni, non vi sarà quella degli invalidi in età da lavoro e neanche quella delle loro tutele di salute sul lavoro eccetera eccetera.

Un sindacato ‘serio’ NON si occupa di posti di lavoro ‘e basta’: un sindacato ‘dei lavoratori’ bada innazitutto alla qualità del lavoro e alle opportunità di accesso e carriera nel lavoro.

Il Jobs Act va accompagnato dal salario minimo, dalla flessibilità pensionistica, dai percorsi di riqualificazione professionale.
Negarlo pur di non rivendicare un vero welfare e un vero sistema di Formazione e per restare nel sistema negoziale governo-sindacati degli ultimi 40 anni, equivale a pretendere un ruolo politico ed un canale preferenziale verso gli ‘eletti al popolo’ che qualunque organizzazione del lavoro (operai, industriali, commercianti, statali eccetera) non dovrebbe avere.

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No profit No Iva: un’altra grana per la Sinistra

29 Set

Mentre nel resto d’Europa si punta sulla defiscalizzazione delle donazioni, il decreto legge per ridisegnare il welfare italiano fa paura alla Sinistra.

Infatti, a voler accontentare il microcosmo delle onlus italiane, finirebbe che il decreto legge per ridisegnare il welfare italiano si ritroverebbe con una copertura finanziaria insufficiente, vista la facilità con cui si diventa no profit in Italia e vista l’opacità di tanti bilanci, a partire da quelli dei sindacati.

A voler andare avanti secondo buon senso e secondo lo spirito europeo, la grana sarebbe ancor maggiore, dato che l’Europa considera onlus solo le fondazioni, ma non le cooperative e le microassociazioni culturali, mentre obbliga i sindacati alla trasparenza come qualsiasi amministrazione.

Il volontariato ‘fai da te’ deve o non deve fruire degli sgravi fiscali?
A rigor di logica, no: da che mondo è mondo per ottenere la charity bisogna prima essersi fatti monaco.

Ed è proprio il ‘fai a te’ al centro della bizarra storia in cui il Corriere della sera e il Tg La 7 si son visti tassare di  300.000 euro (Iva al 10%) i ben 3 milioni di euro raccolti e donati per la ricostruzione delle scuole un comune della Bassa modenese colpito dal terremoto del maggio 2012.

Scuole che, innanzitutto, il Comune di Cavezzo – come tanti altri – non aveva pensato di assicurare contro incendi, furti e calamità, come viceversa fa chiunque abbia la responsabilità di un’impresa o di un immobile.

Per cui suona davvero strana ’interrogazione parlamentare promossa dal senatore modenese del Pd Stefano Vaccari: “Assoggettare, anche indirettamente, all’Iva del 10% le somme ricevute in beneficenza e corrisposte per le spese necessarie alla ricostruzione di opere di valore sociale (scuole, biblioteche, ecc), appare a chi ha donato un balzello incomprensibile e insopportabile, una vera e propria “speculazione” dello Stato sulla generosità e solidarietà dei cittadini”.

Per non essere tassati – anzi per ottenere gli sgravi previsti – sarebbe bastato che i lettori e telespettatori fossero invitati a versare una ‘erogazione liberale’ direttamente sul conto del polo scolastico statale di Cavezzo …

Speriamo che, tra il ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan e il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Poletti, ci sia qualcuno che riesca a spiegare agli onorevoli colleghi ed ai noti intellettuali quale sia la differenza tra una pubblica amministrazione, una fondazione benefica od ente morale e tutta una serie di iniziative volontaristiche o associative genericamente ‘non a fini di lucro’.

Così capiranno che, dal riordino della fiscalità e del welfare, ne verrà che tante discutibili onlus – quelle che hanno costruito in vent’anni un esercito di mezzo milione di precari a vita – non potranno più avere uno status fiscale o previdenziale privilegiato, come difficilmente potranno restare a conduzione familiare.
Magari, si rendderanno anche conto che non è possibile che gli Enti Locali affidino servizi per decine e centinaia di migliaia di euro a cooperative che hanno un capitale sociale di soli diecimila oppure che i servizi esternalizzati nel settore sociale hanno accesso a troppi dati sensibili dei cittadini.

Meglio tenersi l’Iva …

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Perchè Renzi snobba il sindacato

8 Set

Ilvo Diamanti – statistico e politologo – oggi, su La Repubblica, rivela che il sindacato è “stimato da circa 2 italiani su 10. E, di conseguenza, guardato con diffidenza dagli altri 8. Anzitutto e soprattutto, dai lavoratori dipendenti. D’altronde, la componente più ampia degli iscritti è costituita dai pensionati.”

E proprio su questi iscritti pensionati la Confsal-Università (Confederazione Sindacati Autonomi Lavoratori, un sindacato dunque) ci racconta che quelli certificati dall’Inps al 1° gennaio 2012, erano 7.694.048, di cui 4.907.363 iscritti alle 5 confederazioni, e che i pensionati Inpdap, quelli del pubblico impiego, erano 2.785.800 di cui 427.517 iscritti.

Secondo la Confsal in totale i pensionati iscritti a qualche sindacato erano 5.682.075 nel 2012, ma il numero dichiarato dalle 5 confederazioni ammonterebbe a 6.957.126, con una differenza tra il dichiarato e il reale di 1.275.051 unità.

Lo stesso report della Confsal conferma un altro dato impressionante: con un tasso di sindacalizzazione in Italia del 33,8% (fonte “Corriere della Sera” articolo di Sergio Romano, maggio 2011, con dati Cnel) “il valore massimo di lavoratori del privato iscritti al sindacato” non può essere maggiore di 6.641.700, “ma gli iscritti del privato dichiarati dalle sole 5 confederazioni risultano essere 8.623.585”.

S.I.B. Sindacato Italiano Balneari che rappresenta migliaia di imprese balneari diffuse

S.I.B. Sindacato Italiano Balneari che rappresenta migliaia di imprese balneari

Praticamente, 1.965.000 lavoratori in più rispetto alle statistiche che comporterebbero – se fossero reali – che quasi la metà dei lavoratori del privato sia iscritta ad un sindacato, mentre con i pensionati si supererebbe ampiamente il 50% degli italiani, cosa che non è.

“Sono numeri che interrogano e chiedono una spiegazione logica, perché o c’è stato un aumento improvviso e assai consistente delle iscrizioni ai sindacati, e quindi il tasso di sindacalizzazione va decisamente aggiornato verso l’alto, o c’è qualche sindacato che arrotonda parecchio”, scrive Confasl.

E, tenuto conto della percentuale abissale (20%) della fiducia degli italiani nei sindacati, la questione dei veri numeri e del reale peso dei sindacati, come anche di chi e cosa rappresentino, diventa rilevante per il governo, per i cittadini e per i lavoratori.

renzi-supermanInfatti, oltre a chi si ‘regala’ un 20% di iscritti in più – per propaganda fidae e per gelosie tra confederazioni o altro – c’è la questione esiziale di quante tessere effettive ma non reali riescano a raccogliere i sindacati in alcune operatività che lo Stato ha loro molto benevolmente devoluto.

In due parole quanti lavoratori si sono iscritti per ottenere coperture assicurative sul rischio professionale o previdenza integrativa oppure fidelizzati grazie ai 740 dei CAF, le pratiche Inps, i corsi degli Enti Certificati, per non parlare del volontariato e degli immigrati, del così detto Terzo Settore? Spese esternalizzate a favore dell’associazionismo che la Pubblica Amministrazione – se ha gli esuberi che racconta – potrebbe riportare a casa in un battibaleno.

Per non parlare del Fondo Espero di cui quasi nessuno ha più memoria (… ma c’è) e dei sindacati nei CdA degli enti previdenziali di cui non sembra ce ne sia uno che non abbia sbancato. Niente di ‘grave’ e niente di ‘nuovo’ … ne sanno qualcosa i lavoratori francesi che affidarono ingenuamente risparmi e sacrifici ad enti di previdenza sociale, alla fine dell’1800, o quelli statunitensi che videro crollare le pensioni affidate ai propri sindacati prima che arrivasse Marchionne a salvare loro e … Chrysler in cui avevano incautamente investito.

Inoltre, dal punto di vista delle scelte politiche è sorprendente scoprire che solo un elettore su 4 è sindacalizzato (12 milioni su circa 40), ma che questo rapporto arriva ad 1 ogni due circa per i pensionati ed uno ogni 5-6 per gli under-40: se i numeri sono questi, portare un milione di persone in piazza non ha un peso effettivo alle spalle …

Arrivati a questo punto è chiaro a tutti perchè Matteo Renzi non sia andato a Cernobio e perchè non consideri i sindacati un interlocutore ‘politico’ e comunque utile al rinnovamento che intende portare avanti.

Conflitti di interessi per le attività esternalizzate che la P.A. in esubero potrebbe riprendersi, la presenza nei CdA degli enti previdenziali senza trasparenza sulle nomine sindacali, il rappresentare prevalentemente una generazione di troppi pensionati d’oro, l’essere stati i protagonisti di tanti errori disastrosi che dagli Anni ’70 ad oggi hanno messo in ginocchio il nostro Paese, l’ atavico ostracismo verso la separazione tra previdenza sociale e sistema pensionistico, l’aver preteso il mantenimento di aziende in disastrosa perdita (vedi Alitalia) per anni e decenni a carico delle casse pubbliche con buona pace di meritocrazia, crescita, innovazione e turn over.

Un sindacato di nicchia, se non si vuole crescere alla stregua dei tedeschi snellendo di gran lunga le fasi e le applicazioni contrattuali in sede nazionale. Un sindacato ingiusto, se non si fa paladino contro il lavoro nero e la sicurezza come fa quello statunitense che in questo ha un ruolo addirittura istituzionalizzato. Un sindacato inutile, se difende i diritti – acquisiti mica naturali – degli ultrasettantenni e le casse della previdenza pubblica e dell’associazionismo, ovvero datore  e volontariato, mica lavoro.

Dunque, se nei mesi venturi vedrete – come al solito – Roma in assedio e scuole okkupate, niente paura: quando votano salta fuori che sono molti di meno … poche noci nel sacco fanno tanto rumore.
E Renzi lo sa.

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