Tag Archives: sfruttamento

Matteo Renzi: le frodi, il lavoro nero ed i troppi ‘affari’ di famiglia

15 Feb

Un vecchio curriculum di Matteo Renzi racconta che era “un dirigente d’azienda, nel 1994 ha fondato la Chil S.r.l., società di marketing diretto”, dove si occupava di “coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutta Italia“.

Curriculum RenziTecnicamente parliamo di “strillonaggio e ispezioni nelle edicole per i giornali ma anche di eventi e ideazione di campagne”, ma, per chi non lo avesse capito, sono quei simpatici imprenditori che per anni ci hanno riempito le cassette postali, i parabrezza delle automobili e le tasche della giacca con volantini e giornalini, utilizzando per 4-500 euro al mese scarpinatori di condomini e parcheggi o strilloni tristi e silenti agli angoli di qualche alba di periferia .

Infatti, l’azienda di famiglia Speedy, creata nel luglio 1984 e poi liquidata nel 2005, venne multata dall’Inps il 25 maggio 1998 dall’Inps per 995mila lire e sempre l’Inps multava la Chil per quasi 35 milioni di lire, perché non erano stati pagati i contributi agli strilloni, come v’erano altre cause per ‘lavoro nero’, come riporta Panorama.

Ed a comandare c’era anche il futuro premier, come conferma “Giovanni Donzelli, all’epoca studente, oggi consigliere regionale in Toscana con Fratelli d’Italia:  “Arrivava sul furgoncino bianco, da solo o con il padre, per consegnare i giornali e coordinare noi strilloni. Era come adesso: svelto, cordiale e brillante”. Peccato che il “verdetto spiega pure come venivano contrattualizzati i collaboratori: “Sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia” dettaglia il giudice Bronzini. “Ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi” … mica ‘occasionali’ come recita il curriculum del dirigente Matteo …

matteo-renzi-schiavista-by-baraldi-612580Era questa “l’Italia che vogliamo” di Romano Prodi, alla quale aderì Matteo proprio mentre ‘valorizzava’ i suoi volantinatori – strilloni – sherpa? Non lo sappiamo, ma fatto sta che è stato proprio Matteo Renzi ad attuare la deregulation del Jobs Act.

Se già così la vicenda sembra tratta da un film di … vampiri, ‘arrivati in città per succhiar sangue fresco’ con il solito cerchio magico di contorno, il resto della storia non fa altro che confermare il peggio.

Infatti, a fondare la Chil S.r.l. ci sono anche suo padre Tiziano Renzi e sua madre Laura Bovoli, mentre Matteo Renzi – otto mesi prima di entrare in politica – cede le sue quote trasformandosi in ‘dipendente’ e, in tal modo, finisce che le quote previdenziali quale dirigente vadano a carico della Provincia prima e del Comune di Firenze, dopo.

Intanto, c’è tutto un andirivieni di quote cedute in famigliae nel 2006 le ‘padrone’ sono Laura Bovoli (anche Amministratore Unico) con  Benedetta Renzi e Matilde Renzi. Sempre loro, nel 2007, costituiscono la Chil Promozioni S.r.l., che ha identica attività e identica sede della prima società e che nel giro di tre anni assorbe gran parte del mercato della Chil/Chil Post, che a tal punto sembra già destinata a fallire come poi accadrà con un buco da un milione e 200 mila euro.

Caso chil post. Raffronto fatturati Chil

Fonte ilcappellopensatore.it

Entrambe le società erano detenute da Laura Bovoli (madre di Matteo), Benedetta e Matilde Renzi (sorelle di Matteo) e la “vecchia” Chil S.r.l., a mano a mano depauperata della sua clientela e del suo fatturato, chiede un prestito alla Banca Cooperativa di Pontassieve e, contestualmente, la garanzia che Fidi Toscana ha in programma di concedere alle imprese femminili.

Il tutto con Marco Carrai (l’ombra di Matteo Renzi) nel CDA della Cassa di Risparmio di cui la Fidi Toscana è una partecipata e con il presidente della Banca cooperativa di Pontassieve, Matteo Spanò, compagno di infanzia di Matteo e che non era certo una “garanzia di terzietà”, essendo già sotto i riflettori perchè in soli tre anni (dal 2006 al 2009) la Florence Multimedia finanziata dalla Provincia di Renzi pagò ben 9,2 milioni di euro alla Arteventi di Spanò, mentre  era la “DotMedia” di Spanò e di Alessandro Conticini, cognato di Matilde Renzi, ad organizzare le “Leopolde” che hanno lanciato un oscuro politico di provincia alla ribalta politica nazionale.

In soldoni,

  • il 15 giugno 2009 viene concesso il finanziamento (80% del totale) – o meglio la concessione della garanzia di Fidi Toscana alla Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana. Ad erogarlo è la banca ma – in caso di insolvenza o fallimento – a garantire c’è Fidi Toscana, la finanziaria della Regione, ovvero soldi pubblici.
  • Il 29 Luglio 2009, però, viene redatto un unico atto notarile in cui Laura Bovoli, Benedetta Renzi e Matilde Renzi cedono le loro quote della Chil S.r.l. a Tiziano Renzi che diventa socio unico della (nuova denominazione) Chil Post S.r.l.
  • Il 13 Agosto 2009 la Banca Cooperativa di Pontassieve di Matteo Spanò delibera l’erogazione di 437mila euro, senza essere ufficialmente a conoscenza degli atti societari, che avevano trenta giorni utili per il deposito presso il Registro delle Imprese delle Camere di Commercio che avviene solo il 27 Agosto 2009.
  • L’8 Ottobre 2010 la Chil Post S.r.l. di Tiziano Renzi cede a Chil Promozioni S.r.l. di Laura Bovoli, Benedetta e Matilde Renzi quello che è considerato “il ramo sano” (auto, furgoni, muletti, capannoni e altri beni per 173mila euro complessivi e uno stato patrimoniale con 218.786 euro in attivo e 214.907 in passivo, i contratti in essere per la distribuzione dei giornali tra cui Il Messaggero e il gruppo L’Espresso), mentre i debiti restano tutti alla ‘vecchia’ azienda ad eccezione del TFR  di Matteo Renzi per 28.326,91 Euro, che secondo il papà ‘non sa nulla’.
  • Il 14 Ottobre 2010 – solo sei giorni dopo – Tiziano Renzi trasferisce la Chil Post S.r.l. – ormai depauperata – a Genova e si dimette da Amministratore Unico. Dopo pochi giorni cede l’intera partecipazione sociale ad un venditore ambulante di «mercerie,chincaglierie, scampoli e tessuti» sessantacinquenne, Gianfranco Massone, che si ritiene sia un prestanome, almeno stando al suo avvocato Vincenzo Vittorio Zagami, secondo quanto riporta Libero.
  • Il 24 Agosto 2011 la Chil Promozioni S.r.l. cambia la denominazione sociale in  “Eventi 6 S.r.l.” e si aggiunge un quarto socio, proprio quell’Alessandro Conticini cognato di Matilde Renzi e socio di Matteo Spanò in DotMedia. Proprio in quell’anno, la  Chil Post S.r.l. cessa di onorare i ratei con regolarità.
  • Il 7 Febbraio 2013 per la Chil Post S.r.l. verrà poi emessa sentenza dichiarativa di fallimento, il 19 aprile del 2013 l’ultimo atto del sequestro dei beni della Chil Post ad Alessandria, ultima sede della società, che si rivolge a Fidi Toscana per coprire ben 263.114,70 euro a carico di fondi pubblici.
  • Il 18 settembre 2014, il Fatto Quotidiano annuncia l’iscrizione di Tiziano Renzi e altri, nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta. Secondo il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il pm Marco Airoldi lo snodo della vicenda è la vendita del ramo d’azienda sano della Chil alla Eventi 6, società della madre del premier Laura Bovoli, avvenuta l’8 di ottobre del 2010, per soli 3800 euro.
  • Il 30 ottobre 2014, nonostante l’ipotesi di reato in corso, il ministero dell’Economia restituisce a Fidi Toscana 236.803,23 euro attraverso il Fondo centrale di garanzia. 
  • 20 marzo 2015 – La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva coinvolto il padre del premier, Tiziano Renzi, accusato di bancarotta fraudolenta e ha chiesto l’archiviazione per il papà del Premier ed il Gip deciderà se accoglierla o meno.
    Per gli inquirenti, Renzi negli anni in cui era amministratore avrebbe gestito correttamente la società madre e non avrebbe contribuito al fallimento, ma solo ceduto alla Eventi6, già Chil Promozioni S.r.l. di proprietà della moglie Laura Bovoli praticamente tutti i beni disponibili della Chil Post srl, nata perà Chil srl e finanziata come Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana.
    Per gli altri due amministratori subentrati nella gestione societaria nel 2010, Antonello Gabelli e Mariano Massone, è stata viceversa confermata l’accusa.

A questo punto potremmo chiederci tantissime cose.

Ad esempio, se i rapporti tra l’azienda di famiglia ed il gruppo L’Espresso siano iniziati prima o dopo l’adesione di Matteo al progetto prodiano.
Oppure, come stiano i conti di Leopolda, di Dotcom e di tante altre operazioni ‘politiche’ di Matteo Spanò o … della Provincia e del Comune di Firenze … dato che – a tal punto della storia e ricordando anche i ‘fasti’ del berlusconiano Verdini o del democrat Della Valle – la Toscana non sembra essere meno omertosa della Sicilia.

“Nel 2008 Dotmedia fatturava 9 mila euro, nel 2009 con Renzi sindaco si sale a 137 mila euro. 215 mila euro fatturati dal 2009 (ndr al 2012) alle quattro partecipate del Comune: Firenze Parcheggi, Mukki, Publiacqua e Ataf. II Fatto ha scoperto che Dot Media ha un legame societario con la Eventi 6, la società dei Renzi (amministrata da Matilde Renzi, 28 anni, che ne controlla come l’altra sorella maggiore di Matteo, Benedetta il 36 per cento mentre la mamma, Laura, ne detiene solo l’8 per cento)”. (Fatto Quotidiano)

tiziano renzi bovoliEra l’8 ottobre 2012 quando il nucleo di polizia tributaria di Firenze, Gruppo tutela spesa pubblica, sezione accertamento danni erariali raccoglieva la testimonianza di Alessandro Maiorano, dipendente comunale, riguardo spese della provincia e delle fatture menzionate da Luigi Lusi “nei confronti della Web and Press, società che era di Patrizio Donnini, persona – come ha scoperto Il Fatto Quotidiano – in rapporti di affari con un socio delle sorelle e della mamma di Matteo Renzi. Majorano avrebbe consegnato molte fatture dal 2004 al 2009 della Provincia e di Florence Multimedia”.

Appare impossibile che Renzi ‘non sapesse’, come era stato ‘impossibile non sapere i fatti di famiglia’ per Silvio Berlusconi e/o Gianfanco Fini. E non poteva non sapere dei “contributi non pagati, lavoro irregolare, licenziamenti illegittimi, danni materiali” di cui racconta Panorama ed avvenuti proprio quando lui era lì, alla Chil srl con il padre Tiziano ed il resto della famiglia.
Specialmente se – come ha scritto il Fatto Quotidiano – la Mail Service srl, una società di cui il padre del premier era socio di maggioranza con il 60% del capitale, nel 2011 è stata dichiarata fallita con un passivo di ben 37 milioni di euro, passata nell’ottobre 2006 dalle mani di Renzi senior a quelle di Mariano Massone, figlio dell’ambulante Gian Franco, e anche lui indagato nell’inchiesta genovese per bancarotta.

Dunque, visto da ‘dove’ arriva, non resta che chiedersi ‘come’ abbia fatto Matteo Renzi ad arrivare alla Presidenza del Consiglio senza essere eletto e ‘cosa’ intenda farsene degli italiani, specie se la capacità di mantenere i patti e gli impegni politici dovesse dimostrarsi del tutto evanescente come finora è stato.

originale postato su demata

Apple, ma quanto ci costa?

11 Dic

Mentre la Francia e l’Italia si affannano nel tentativo di imporre tasse e tributi a Google e Amazon, dagli USA arriva uno studio di Reuters che punta l’indice verso la Apple, produttrice dei costosissimi Ipod e Ipad.

Infatti, sono molti anni che il reddito degli americani ( edegli europei) è risucchiato da spese spesso poco sostenibili e non particolarmente necessarie per computer, tablet e telefonini. Una spesa che incide notevolmente sulla disponibilità di reddito per altre esigenze o consumi.

Secondo Reuters, la spesa media della famiglia statunitense per prodotti Apple nel 2011 è stata di 444 dollari e prevede che, se Apple introdurrà la nuova HDTV,  entro il 2015, la spesa familiare che finisce nelle casse dell’azienda di Cupertino potrebbe superare gli 850 dollari all’anno.
Una sorta di rata fissa, se consideriamo che, la vita media di questi apparecchi è di 3-4 anni, che il ricambio avviene ogni circa due, che con l’iPad e l’iPhone si scaricano brani musicali a pagamento da iTunes.

Secondo un sondaggio dell’italiano Ipsos un quarto degli intervistati è pronto a tagliare altre spese pur di potersi permettere un Ipad.

La problematica si aggrava se consideriamo che Apple si contende il mercato globale di smartphone, tablet e pc con la Samsung, che la supera nelle vendite (66,1 milioni di “smart device” venduti nel terzo trimestre del 2012 contro ‘soli’ 45,8 milioni di apparecchi venduti da Apple). Infatti, il prezzo medio di vendita di Apple per i suoi prodotti è di 310 dollari superiore a quello di Samsung.

Cosa offra Apple più di Samsung, Nokia e altri non è chiaro, dato che l’appeal dell’Ipod ed Ipad è dato da categorie merceologiche piuttosto effimere come ‘creativo’ o ‘nuovo’. Inoltre, nella sostanza, la marcia in più dei due device è la quantità di software messo a disposizione, che spesso trova equivalenti nei sistemi Android e Windows utilizzati dai concorrenti, con la sola differenza che vanno cercati on line e scaricati. Anche nella durevolezza, gli apparecchi della casa di Cupertino non si dimostrano particolarmente più longevi di quelli Samsung.

Ma c’è dell’altro.

Il 24 gennaio scorso Apple ha annunciato 13 miliardi di dollari di profitt nel trimestre ottobre-dicembre 2011, praticamente il PIL di un piccolo stato europeo, con ricavi annuali superiori ai  46 miliardi di dollari di ricavi.

Più o meno contemporaneamente, Charles Duhigg e David Barboza per il l New York Times  raccontano le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi che producono hardware per Apple, tra cui il caso dei numerosi suicidi alla Foxconn, una delle principali ditte fornitrici, all’inizio del 2010. Numerosi suicidi (decine, centinaia?) che fanno notizia in una una delle più grandi aziende di tutta la Cina, con circa 1,2 milioni di dipendenti e fabbriche in tutto il paese, che produce o assembla circa il 40 per cento di tutta l’elettronica di consumo del mondo.

 All’inizio del 2010, almeno 137 operai di una fabbrica di proprietà della Wintek (ancora oggi tra le maggiori fornitrici di Apple) rimasero intossicati dal n-esano, che causa danni al sistema nervoso, e che gli veniva fatto usare per pulire gli schermi degli iPhone in costruzione perché evaporava tre volte più velocemente dell’alcool.

Nel 2011, a Chengdu e a Shanghai, si sono verificate esplosioni in due fabbriche che producono gli iPad con 4 morti e 77 feriti, la causa fu l’alta concentrazione nell’aria di polvere di alluminio, un problema facilmente risolvibile con un adeguato impianto di ventilazione. Un gruppo di difesa dei diritti dei lavoratori aveva avvertito Apple dei pericoli all’interno della fabbrica, senza ricevere risposta.

Nella fabbrica di Chengdu sono impiegate circa 120.000 persone, con turni che coprono tutte le 24 ore del giorno. Il New York Times racconta anche che a Chengdu – dove bastava un impianto di areazione per evitare il disastro – alle pareti si leggono scritte come “Lavora duro al tuo impiego oggi oppure lavora duro per trovartene un altro domani”. La Foxconn, a Chengdu, fornisce anche appartamenti in condizioni di serio sovraffollamento a circa 70.000 dipendenti.

Nell’articolo del New York Times si racconta che negli stabilimenti cinesi, che forniscono Aplle e non solo, i turni di lavoro sono molto gravosi, le pressioni che vengono fatte sugli operai sono eccessive, le loro condizioni di vita e di sicurezza molto carenti.

Apple si giustifica affermando che ha un codice di condotta sottoscritto dai suoi fornitori, che fissa il tetto dell’orario settimanale degli operai a 60 ore.  Peccato che il NYT racconti che un operaio qualificato guadagna circa 8-90 dollari al mese, mentre l’Istituto Nazionale Cinese di Statistica pubblica che il reddito medio di un abitante cinese delle aree urbane è di circa 316 dollari al mese.

Ad ogni modo, la casa di Cupertino ha imposto la restituzione di diversi milioni di dollari alle ditte che, addirittura, avevano chiesto agli operai come “contributo di assunzione” per ottenere il lavoro. Purtroppo, non ha ritenuto di approfondire maggiormente cosa potesse esserci dietro la richiesta di un oneroso balzello ai disoccupati da assumere. Caporalato? Ellis Island?

Apple ed i suoi beni voluttuari sono davvero un costo che l’Umanità può permettersi?

originale postato su demata

Montalcino, sette milioni di euro nelle fogne

4 Dic

Giorni fa, a Montalcino, la cantina della Tenuta Case Basse ha subito l’attacco di ignoti che hanno aperto i rubinetti delle cisterne, lasciandole però intatte, e così versando negli scarichi circa 600 ettolitri di vino pregiato, l’intera produzione vinicola che riguarda le vendemmie dal 2007 al 2012.

Gianfranco Soldera, il proprietario, ha definito il blitz «un vero atto mafioso», i carabinieri ipotizzando ‘un atto vandalico’.  Eppure, parliamo di una azienda ‘purista’ del Brunello di Montalcino, la cui produzione media è di circa 15 mila bottiglie l’anno, con un prezzo medio di 165 euro a bottiglia.

Sono finite nelle fogne oltre 400.000 bottiglie di vino per un valore commerciale di circa 7 milioni di Euro da capitalizzare prevalentemente all’estero.

Un danno non solo per Montalcino, ma per le esauste casse italiane. Un danno gravissimo e non solo economico, visto che è un colpo letale per un noto ed apprezzato marchio vinicolo. Un danno che certamente non è opera di vandali, ma che è stato effettuato con uno scopo. Non a caso, la vicepresidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Donatella Cinelli Colombini, dichiara: «A mia memoria, non ricordo, nella nostra zona, un simile precedente. Un fatto che sgomenta e inquieta».

Scriveva il Sole24Ore, nell’estate 2011, che “secondo il primo rapporto Eurispes-Coldiretti, infatti, il crimine agroalimentare nel 2009 ha fatturato 12,5 miliardi, di cui il 70% (3,7 miliardi) reinvestiti in attività illecite”.

“La ‘ndrangheta, in particolare, seppure sempre più proiettata fuori dai confini d’origine, non abbandona mai il controllo sociale ed economico del territorio calabrese, rivendicando il proprio dominio sulle attività agricole e sulla pastorizia e intensificando le frodi ai danni della Ue. In Campania, i clan della camorra investono i capitali illeciti acquistando aziende agrarie, vasti appezzamenti di terreno e diversi caseifici”.

Ma non solo al Sud e nelle aree storiche di infiltrazione mafiosa al Nord: “la Dia segnala il coinvolgimento delle cosche mafiose nella gestione degli affari del mercato ortofrutticolo di Fondi, in provincia di Latina, ma indagini più recenti confermano penetrazioni dell’agrocrimine camorrista in altre regioni, come l’Umbria”.

Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale e componente della commissione Ambiente, ha presentato al Governo Monti, il 18 gennaio scorso, nella persona dei ministri Cancellieri, Passera e Clini, un’interrogazione relativa le iniziative da prendersi per contrastare la “colonizzazione delle reti commerciali alimentari, da parte del crimine organizzato, con l’imposizione di manodopera e di servizi di trasporto”, menzionando uno studio Coldiretti-Eurispes secondo il quale “i prezzi della frutta e verdura triplicano (+300 per cento) dal campo alla tavola per effetto delle infiltrazioni criminali nelle attività di autotrasporto in un Paese dove oltre l’86 per centro dei trasporti avviene su gomma e la logistica incide per quasi un terzo sui costi di frutta e verdura … il giro d’affari delle attività della criminalità organizzata nel solo settore agroalimentare ammonterebbe a 12,5 miliardi di euro”.
.

Aggiungiamo che sarebbero 400.000 i lavoratori ‘a nero’, di cui oltre 50.000 accampati alla meno peggio, con percentuali differenti: 90% al Sud, 50% al Centro e 30% al Nord.

Una produzione meridionale che costerebbe ben di più se realizzata senza evadere leggi e tasse, come conferma L’Espresso che , nel 2009, scriveva come “per sei mesi all’anno, il primo anello della catena alimentare degli italiani sono gli ortaggi freschi coltivati in 4 mila ettari di serre tra Licata, Gela e Pachino”, “al centro della rete produttiva c’è il mercato ortofrutticolo di Vittoria, che è il più grande del Sud: un alveare di box che nell’ultima annata agraria, chiusa al novembre 2008, ha smerciato 2 milioni e 441 mila quintali di verdura”.

Una questione che questo governo sta sottacendo, mentre le mafie si espandono e si infiltrano in un sistema agroindustriale in crisi anche perchè vessato da balzelli e controlli eccessivi senza ricevere, dallo Stato, in contraccambio legalità sul territorio e sicurezza sociale.

Atti vandalici a Montalcino o preciso disegno criminoso? Cosa fa il Governo?

AGGIORNAMENTO: Era un preciso disegno criminoso. È stato arrestato dai carabinieri un ex dipendente dell’azienda vinicola «Case Basse» di Montalcino, Andrea Di Gisi, 39 anni. Avrebbe congegnato il suo piano per rancore verso il suo ex-datore di lavoro e, non a caso, il reato contestato è quello di sabotaggio.

originale postato su demata

Istat, le donne e la legge del capobranco

24 Mag

Secondo i dati ISTAT, nel 2010 quasi un milione di donne ha lasciato il proprio lavoro in conseguenza di una maternità.
Tra le donne con meno di 37 anni più di una lavoratrice su dieci è rimasta senza lavoro e, di queste, solo il 40% ha ripreso a lavorare successivamene al parto.
In parole povere, per una donna su venti circa la maternità coincide con la ricollocazione da lavoratrici a disoccupate, ovvero casalinghe, che in Italia sono il 35,5%, a fronte di un 22% europeo.

Un vero e proprio massacro di menti, competenze ed esistenze, specialmente se consideriamo che nel nostro paese le ragazze tra i 15 e i 24 anni che sono fuori dal mercato del lavoro raggingono il 76,1% del totale.

Le cause?
Il licenziamento (spesso “spontaneo”) per maternità è tutto “giocato” sull’incompatibilità (presunta) tra menage familiare e produttività, per cui se il contratto è a tempo determinato, cessa e basta, mentre se è a “posto fisso”, la stessa donna è indotta a mutare il contratto od a cambiare lavoro.
Il part time è pressoché sconosciuto, la flessibilità ha poco spazio nei contratti, i fondi del telelavoro restano al palo.

Se, viceversa, volessimo affrontare a tutto tondo la questione femminile in Italia, i dati sono sconcertanti e, ahimé, parlano da soli.

A fronte di un successo scolastico e formativo vistosamente a favore delle donne, dobbiamo constatare la larga disoccupazione tra le giovani e la scarsezza di dirigenti donna nei lavori tradizionalmente risevati al sesso femminile, come la scuola, la sanità, i servizi pubblici.
Sono numeri “assoluti”, enormi, quelli che descrivono, come visto, l’occupazione giovanile (24%), la disoccupazione media (36%), il numero di primari (10%), di dirigenti scolastiche (47%), di dirigenti amministrative (20%).

Numeri che non consentono equivoci: in Italia esiste una casta dominante di maschi, nati prima od a ridosso del 1943, che banchetta lautamente a discapito delle donne e dei maschi più giovani di loro.
Sembra quasi un documentario National Geografic sulla vita dei branchi di gorilla, ma, purtroppo, è casa nostra e questo è lo stato dell’arte.