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8 marzo, non c’è festa per le donne Rom

7 Mar

Credevamo che le donne in semischiavitù esistessero solo a casa dei Talebani, col burka e costrette a chiedere l’elemosina, senza istruzione ed esposte a malattie e violenze. Ci eravamo  sbagliati, c’è anche l’Italia. Almeno se parliamo delle donne Rom regolarmente e storicamente residenti qui da noi.

Secondo il Report di Save the Children (link), il 45% delle donne Rom di Roma si sposa da minorenne e sono il 30% quelle che partoriscono prima dei 18 anni. Almeno il 10% di loro non fa esami del sangue nè ecografie prima del parto.

Questo accade perchè il 70% di loro non ha assistenza sanitaria e solo il 50% sa che esiste il Consultorio, che cosa sia ed a quali diritti e prestazioni ha accesso.

Poco più del 15% ha un lavoro, la metà è del tutto dipendente dal marito, un altro 15%, o poco meno, vive di elemosine.

Donne Rom di Roma, visto che per almeno la metà di loro, che sono di etnia “yugoslava”, parliamo di persone arrivate – o addirttura nate – nella Capitale prima del 1996. Ma, a quanto pare, ancora oggi non romane “a tutti gli effetti”.

A Milano non deve andare meglio, se un’indagine condotta, in due anni, su un gruppo di 1142 rom da due ‘medici di strada’ del Naga  in 14 aree milanesi (link) dimostrerebbe che gli aborti sono numerosi: una media di 3,8 aborti per donna, ma … solo il 32% delle donne dai 14 anni in su ha avuto almeno un’interruzione di gravidanza (volontaria o spontanea).

L’indagine, che ha fatto scalpore sotto la Madonnina, precisa che le aree destinate a campo nomadi sono state trovate “quasi tutte prive di servizi igienici, nella maggior parte dei casi la spazzatura non veniva ritirata e tutte in condizioni di sovraffollamento”, cosa che rende ancora più insicure e precarie le condizioni delle donne, specialmente se in maternità.

Più in generale, uno studio sulla situazione italiana di ERRC ed Opera Nomadi, acquisito dal Committee on the Elimination of Discrimination against Women dell’ONU (CEDAW) (link), conferma che le donne Rom in Italia subiscono spesso violenza, sessuale o semplicemente fisica, ma specialmente da italiani e non cercano aiuto presso le istituzioni competenti, poiché temono l’intervento si ritorca contro di loro o prevedono, in base ad esperienze pregresse, di essere ignorate.

Episodi pubblici di violenza e aggressività verso le donne Rom, anche se incinte, sono relativamente comuni. Diversi studi indipendenti menzionati nel Rapporto riportano una certa incidenza di episodi che coinvolgono pubblici ufficiali o impiegati.

Come anche i dati del Rapporto confermano che molte donne Rom (forse il 30%) avevano meno di 16 anni, se non solo dodici, all’età del “vero matrimonio”, celebrato secondo i riti Rom e non secondo la legge italiana.

Il 70% di loro è analfabeta o semianalfabeta, vivono in larga parte di elemosina o dipendenti dal marito, ma la sorte peggiore tocca a quel 15% che trova un lavoro “vero”, dove spesso subisce vessazioni e violenze.

Almeno metà delle donne Rom ha informazioni, relative ai servizi ed ai diritti cui può accedere, scarsissime, se non nulle, nonostante la grande mole di risorse spese per i progetti di mediazione culturale attuati da tanti comuni.

Secondo il Rapporto predisposto per il CEDAW-ONU, “le autorità, sia in Italia sia all’estero, ritengono che il matrimonio precoce tra Rom sia determinato culturalmente e non prendono iniziative per eliminare questa pratica pericolosa,” che viene perpetuata dagli “integralisti” come “pratica culturale dei Rom”, ma “le donne Rom intervistate vogliono che questa pratica abbia fine“.

Il Rapporto, ricevuto dal Committee on the Elimination of Discrimination against Women dell’ONU (link), precisa che “alla base dell’approccio del governo italiano alla questione Rom e Sinti c’è la convinzione che siano popolazioni “nomadi”, sebbene quasi tutti i Rom presenti in Italia siano sedentari“.

Potremmo anche iniziare a vergognarci o, quanto meno, riflettere.

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Demos conferma, italiani insoddisfatti

9 Gen

Demos pubblica oggi il Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, realizzato su incarico del Gruppo L’Espresso.

La prima cosa che balza all’attenzione di chi voglia consultarlo, è che il quadro che emerge dalle statistiche del gruppo di lavoro di Ilvo Diamanti è meno allarmante di quanto si percepisca “stando tra la gente”.     Perchè?

Iniziamo con il grafico relativo alla “fiducia dei cittadini”, che permette di raffrontare i dati del 2011 con quelli del 2010 e del 2001, ma dei quali Demos pubblica solo il differenziale con lo scorso anno.
Ecco come sarebbe la tabella se, viceversa, raffrontassimo il 2011 con il 2001: un disastro.

Si passa alla “soddisfazione dei servizi” da parte degli italiani (link) e viene fuori che dal 2001 al 2011 la soddisfazione degli italiani verso l’assistenza sanitaria pubblica (+1,7%) è addirittura aumentata … come anche resta da chiedersi quale valore possa avere monitorare la soddisfazione delle scuole private (-22,5%), se gli intervistati non le abbiano mai frequentate …

A seguire troviamo la partecipazione politica dei cittadini con un panorama abbastanza piatto e desolante, se addirittura i cittadini che svolgono attività ricreative e sportive o culturali sono meno del 50%, in calo, e la partecipazione “politica” è sotto il 15%.  Non si comprende perchè Demos abbia usato degli indici che, ai non addetti ai lavori, possano dare un’impressione diversa, visto che magnificano l’entità. Come anche resta da capire come mai i cittadini che discutano di politica on line (praticamente tutti almeno una volta all’anno) siano solo l’11% secondo le interviste raccolte per conto del Gruppo l’Espresso.

Morale della favola? Secondo i dati di Ilvo Diamanti ed i suoi collaboratori il numero di cittadini che ritiene che si possa fare politica senza partiti è ormai alla pari con quello di coloro che credono nella politica degli schieramenti.

Non è più semplice “antipolitica”, non può esserlo se il 47% degli italiani è convinto che “la democrazia può funzionare anche senza partiti politici”.

Dove sarà arrivata questa percentuale tra un anno, quando, completatasi la legislatura, finalmente ci lasceranno votare? Siamo sicuri che il Governo Monti possa arrivare a fine corsa senza causare danni irreparabili al sentire popolare ed alla percezione del potere da parte degli italiani?

Sarà per questo che Ilvo Diamanti titola: “E’ ora di restituire lo Stato ai cittadini”?

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