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Sanità killer a Saronno, la punta dell’iceberg?

24 Feb

Il caso dell’infermiera killer di Saronno ha portato in luce la gravissima situazione in cui versa la nostra Sanità.

Oltre agli omicidi del marito e della madre attraverso somministrazioni di farmaci commessi dalla donna, i magistrati hanno accusato il suo amante Leonardo Cazzaniga, 62 anni, viceprimario del pronto soccorso in cui anche lei lavorava, di aver ucciso nove pazienti a cui aveva deciso di applicare il suo “protocollo medico”.

Ma non solo. Gli omicidi seriali venivano scoperti solo quando si faceva avanti una coraggiosa infermiera, Clelia Leto, «perché in quell’ospedale la situazione era totalmente fuori controllo».

Il capo del Dipartimento Emergenza è già stato condannato per favoreggiamento, mentre il Responsabile servizio Sitra è stato condannato per l’omessa denuncia ed anche altri quattro sanitari sono stati condannati per omessa denuncia o falso referto.

Rinviati a giudizio il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera di Busto Arsizio, il primario del pronto soccorso, il direttore di presidio, il medico legale aziendale, il primario oncologo.

Patrizia Peron, figlia di Luigia Lattuada, una delle nove persone che sarebbero state uccise in pronto soccorso, ha commentato: «Vorrei che nessuno di quelli che hanno coperto questa vicenda indossasse mai più il camice bianco».

In effetti, anche se i fatti risultassero penalmente non rilevanti, a carico dei rinviati a giudizio ci sono le intercettazioni e le testimonianze incrociate: perchè l’Ordine dei Medici non interviene a norma di statuto?

Chi se non l’Ordine dei Medici dovrebbe rassicurarci che NON ci troviamo dinanzi alla punta dell’iceberg di un ‘non vedo non parlo non sento’ e che l’omessa denuncia o il falso referto erano il ‘sistema’ di una sola singola struttura ‘impazzita’ ?

E perchè in questi processi non vediamo mai costituirsi anche la Regione, che – non dimentichiamolo – è il nostro ‘assicuratore sanitario’ come è il ‘committente’ delle prestazioni che le aziende sanitarie ed ospedaliere erogano?

 

Demata

Nuova perizia per Anders Behring Breivik

13 Gen

Dopo le diffuse proteste, il Tribunale di Oslo dovrà eseguire nuove perizie psichiatriche su Anders Behring Breivik, l’attentatore di Utoya, prima di rinchiuderlo in una struttura per malati mentali pericolosi, evitando un vero e proprio processo.

Non poche, infatti, erano state le polemiche per la diagnosi di “psicotico, affetto da una forma di schizofrenia paranoica” degli psichiatri Synne Serheim e Torgeir Husby.
Una diagnosi che avrebbe permesso al Tribunale di Oslo di recepirla in sentenza, trasformando Breivik in  un soggetto “penalmente irresponsabile” e quindi non processabile, prima ancora che punibile.

Un processo che, senza svolgimento, non permetterebbe di acclarare se Brevik fu il solo e vero autore della strage.
Un processo ed una condanna che Anders Behring Breivik chiede, affermando di aver compiuto atti “atroci ma necessari”.

D’altra parte, come può essere “incapace di intendere” un uomo che ha pianificato per anni e completato un attentato di una notevole complessità?

Allora, perchè la giustizia norvegese ha tali difficoltà a processare Anders Behring Breivik, al punto che la prima vera udienza è fissata per il prossimo 16 aprile, a ben otto mesi dalla strage?
Perchè la Norvegia è un paese non proprio perfetto … visto che “nel 2000, quando le legislazioni dei due paesi in materia erano comparabili, le persone investigate per reati correlati al traffico di droga erano 57 ogni 100.000 abitanti in Italia a fronte di ben 174 in Norvegia” e “che una ragazza su sette ha tentato il suicidio”.

Leggi anche la Norvegia è un paese non proprio perfetto

originale postato su demata

Norvegia, un paese non proprio perfetto

26 Lug

In Norvegia, il tasso di criminalità è di 70 detenuti ogni 100.000 abitanti, a fronte degli oltre 100 dell’Italia e dei circa 500 degli Stati Uniti. Il tasso di recidività è al 20%o, a fronte di un dato più che doppio (>55%) negli Stati Uniti.

Secondo gli esperti, questo è possibile grazie alla bassa densità di popolazione, alla mancanza di sensazionalismo da parte dei mass media, ai rilevanti costi del Welfare, ad un sistema penale e penitenziario che punta sul recupero, piuttosto che sulla sanzione.

Una sorta di Eden? Un modello da implementare dovunque?
Non esattamente.

Innanzitutto, c’è da rilevare che il sistema giudiziario ha sue contraddizioni. Ad esempio la prostituzione è illegale, ma è legale prostituirsi, e , a fronte di tanta umanità per i detenuti comuni, si prevede la castrazione per chi commette reati sessuali, per non parlare della ridicola pena a 21 anni di carcere per uno come Anders Behring Breivik.
Inoltre, secondo l’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), nel 2000, quando le legislazioni dei due paesi in materia erano comparabili, le persone investigate per reati correlati al traffico di droga erano 57 ogni 100.000 abitanti in Italia a fronte di ben 174 in Norvegia.
La Norvegia, secondo le statistiche, è anche uno dei paesi maggiormente afflitti dal consumo di ecstasy e boom drinks.

 Va detto che i tassi di criminalità sono altrettanto bassi in paesi dove il sistema giudiziario è molto diverso dalla Norvegia, come ad esempio in Arabia Saudita e nei paesi dove vive la Sharia.
Sono in errore, dunque, i tanti che attribuiscono la “pace sociale” norvegese alla comprovata eccellenza dei propri tribunali e delle proprie carceri.
Sono, piuttosto, la minore occasione di relazioni umane, data dalla bassissima densità abitativa, e la correttezza dei media a contribuire con certezza nel ridurre il tasso di criminalità, cosa confermata dai dati italiani e statunitensi dove è prassi comune lo “sbattere il mostro in prima pagina”.

Quanto ai rilevanti costi del Welfare, vale la pena di ricordare che Norvegia ed Arabia Saudita sono due nazioni molto ricche, grazie all’estrazione del petrolio, e che, probabilmente, non potrebbero mantenere gli attuali livelli se il PIL dovesse essere prodotto piuttosto che “estratto”.
Vale la pena di annotare anche che l’Italia ha una spesa in servizi pubblici pro capite di gran lunga superiore alla Norvegia, ma con risultati ben inferiori, e, soprattutto, che la Norvegia ha elevati costi di gestione del crimine, sia come spesa giudiziaria e carceraria sia come welfare e prevenzione.

L’Eden scandinavo esiste solo grazie alla bassissima densità abitativa, alla finanza pubblica che attinge a ricche rendite (petrolio, esplosivi, legname), ai media che informano la pubblica opinione senza sensazionalismo.

Ma c’è dell’altro.

“(ANSA) – OSLO, 2007-02-05 19:00 Norvegia: aumentano tentati suicidi.
– Secondo uno studio pubblicato oggi, sono aumentati di un 30% i tentativi di suicidio tra gli adolescenti in Norvegia. La tendenza e’ legata all’aumento del consumo di droghe ed alcool, cosi’ come a una preoccupazione sempre piu’ crescente per l’aspetto fisico.

Lo studio mostra che un 13,6% delle ragazze ha tentato di togliersi la vita nel 2002, mentre nel 1992 era stato un 10,6%. I tentativi di suicidio tra i maschi sono stabili: 6,2% nel 2002 contro il 6,0% nel 1992.”

Un dato impressionate, se pensiamo che una ragazza su sette ha tentato il suicidio, sia riguardo la condizione giovanile e, soprattutto, femminile sia sullo stato di salute della società norvegese.

Per molti anni, allorchè negli USA si verificavano stragi nei college o nei supermercati, la stampa e gli esperti hanno puntato il dito contro il sistema giudiziario e di protezione sociale statunitense.
Addirittura, il noto e simpatico regista Michael Moore ha tentato, nel film Blowing Columbine, di “dimostrare” il nesso tra stragi, industria delle armi e governo “fascista”.

Dopo il 22 luglio norvegese, sappiamo che può accadere di molto peggio nella vecchia Europa, ammantata di welfare e di controlli, se messo a confronto con le stragi degli Stati Uniti, liberisti e bellicosi.

Evidentemente, il nocciolo della questione è che Claude Levi Strauss aveva torto e Desmond Morris aveva ragione: l’istinto predatorio è connaturato nell’Uomo.
Una società sana può solo sperare di mitigarlo.

Oslo, Utoya, Anders Behring Breivik: cosa ancora non ci raccontano

24 Lug

Non v’è dubbio che Anders Behring Breivik, 32 anni, non abbia tutte le rotelle a posto e che abbia commesso uno dei crimini più efferati della storia europea recente.

Ma questo non deve indurci a sottovalutare quello che è accaduto ad Oslo e sui media, bollando il tutto con “nazista, “serial killer”, “pazzo”.

Innanzitutto, certi media, specialmente quelli italiani, che si sono ostinati per ore ed ore nell’annuncio dell’ennesimo attacco jihadista, mentre, fin dai primi minuti, era evidente che la bomba nel centro di Oslo fosse di altra origine.
Pochi morti, poca “spettacolarità”, nessuna “azione di supporto” o di “magnificazione” dei danni, obiettivo non precisato: non è questo lo “stile” di Al Quaeda.
Non era difficile accorgersene, specialmente se i media norvegesi, inglesi e statunitensi si dimostravano molto freddi su questa ipotesi.
Eppure, anche il giorno dopo, a RAINews24 c’era chi offriva in pasto ai telespettatori l’ipotesi islamica …

Dicevamo, l’obiettivo imprecisato, o meglio, non distinguibile se si segue la pista islamica, viceversa ben evidente se annotiamo che nel blocco degli edifici coinvolti dall’esplosione c’è la sede del Arbeiderpartiet (Partito Laburista norvegese, letteralmente “partito dei lavoratori”), lo stesso che aveva organizzato il meeting giovanile ad Utoya.
Dunque, l’intenzione di Anders Behring Breivik era quella di colpire il partito, non la Svezia tutta od il suo governo.

Come? Attirando tutte le forze speciali al centro di Oslo, per avere più tempo a disposizione per compiere il massacro di Utoya ed azzerare la futura classe dirigente laburista norvegese, uccidendone una buona metà e traumatizzandone il resto.
Non è un caso che dalla Norvegia, a quasi 48 ore, dai fatti non si abbiano ancora notizie precise sul numero di morti rinvenuti e su quello dei superstiti accertati. E’ evidente che il numero dei dispersi è elevato e che il conto dei 98 morti è destinato ad accrescersi.

Ecco descritto il freddo delirio di Anders Behring Breivik: cancellare, o quanto meno depotenziare, l’Arbeiderpartiet, un partito che, dal 1935,  governa senza quasi nessuna interruzione la Norvegia, che, non a caso, è stata chiamata per molti anni “one party state” (il paese con un solo partito).
Una forza politica che aveva vinto le  elezioni con un risicato 24% e che, fino ad oggi, è rimasto al potere grazie ad una “fusion” con i Verdi, che li ha riportati oltre il 34%, ed a spegiudicate coalizioni di governo, che assemblano centristi e postcomunisti.
L’attuale governo, che nel 2008 è stato coinvolto in gravi scandali di corruzione, aveva ricevuto il 47,6% (1.280.440 voti), contro il 49,5% (1.331.416 voti) totalizzato dal “centro-destra” (progressisti, cristiani, liberali e conservatori).

Anders Behring Breivik è sicuramente uno squilibrato, ma qualunque analista politico (come anche chiunque abbia voglia di leggere o scrivere cosa c’è “dietro” le notizie) non puo evitare di prendere atto che, in Norvegia, c’è una palese assenza di ricambio politico e, probabilmente, una forte omologazione culturale “a sinistra” da cui il paese si sta risvegliando con evidenti sussulti, visto l’incubo che si è concretizzato ad Utoya.
Non è un caso che Jens Stoltenberg, primo ministro e leader del Arbeiderpartiet, stia cercando in tutti modi di minimizzare la tragedia, ad esempio, non fornendo il numero dei dispersi o quello dei danni e degli obiettivi della bomba: è sua l’incredibile gaffe di ieri, stigmatizzata dai media norvegesi, allorchè ha annunciato che l’anno venturo si sarebbe tenuto di nuovo il meeting di partito di Utoya, per sentirsi ribattere da uno dei sopravvissuti un “non se ne parla proprio.

Ma c’è dell’altro:  tutte le prime notizie pervenute riportano di una (seconda) esplosione in piazza Yougstorget, antistante la sede del Arbeiderpartiet ed a pochi metri dai palazzi governativi colpiti. Certo, era il caos dei primi momenti, ma la stessa BBC riportava alle 15.44 (pochi minuti dopo l’esplosione) una testimonianza diretta: “la bomba è esplosa a  Youngstorget e che la polizia stava evacuando i feriti e concentrando le ambulanze lì (The bomb went of at Youngstorget, … injured people are taking care of by a huge amount of police and medical forces. … The police is now evacuating all people from Youngstorget).

Questa è la storia dell’ “attentato di Oslo del 22 luglio” ed è possibile trovarlo sui media norvegesi, in particolare proprio quel VG Tabloid di Oslo “attaccato dai jihadisti” …  resta solo da chiedersi perchè la stampa ed i media italiani non se ne siano ancora accorti, visto che il traduttore di google “norvegese (Bokmal)-italiano” non funziona troppo male …

New York: un serial killer a Long Island

12 Apr

Tutto ha inizio nel maggio 2010 con la scomparsa di Shannan Gilbert, una donna di 24 anni, che utilizzava Craigslist, un sito di annunci usato dalle prostitute indipendenti.

La donna, che viveva in New Jersey, aveva chiesto aiuto “perchè era in immediato pericolo di vita” ad un residente di Oak Beach, per poi scappare, mentre arrivava uno sconosciuto con un SUV che la cercava.
Esisterebbe anche una drammatica registrazione di una chiamata al 911 da parte della ragazza, che urlava “Sta cercando di uccidermi! Aiutatemi, aiutatemi!”

Le indagini, in autunno avanzato, si erano portate sulle spiagge di Oak Beach e Gilgo Beach, alla ricerca del cadavere visto quanto era accaduto.
In quel mentre, la sorella adolescente di Melissa Barthelemy, una ragazza scomparsa in estate, iniziava a ricevere brevi telefonate da parte di un uomo che raccontava dettagli particolarmente crudeli riguardo la sorella rapita.

Le due storie venivano collegate in dicembre, quando, lungo la Ocean Parkway di Long Beach, erano stati rinvenuti i ben 4 cadaveri, accuratamente sotterrati, tra loro Melissa Barthelemy, ma nessuno era quello di Shannan.
Un serial killer era all’opera.

Ad oggi, sono con certezza attribuiti al Long Island Serial Killer l’omicidio di Amber Lynn Costello, 27 anni,  Maureen Brainard-Barnes, 28 anni,  Megan Waterman, 22 anni, Melissa Barthelemy, 24 anni.

I cadaveri rinvenuti sono 12, tutte donne ed un bambino.
Inoltre, nel 2006 ad Atlantic City, non troppo lontano da Long Island, vennero rinvenuti 6 corpi di giovani donne uccise nell’arco di un paio di mesi.
Probabilmente, lo stesso serial killer.
Le vittime riconosciute di Atlantic City si chiamavano Kim Raffo, Barbara Breidor, Molly Jean Dilts, Tracy Ann Roberts.

La polizia di Suffolk County e l’FBI brancolano nel buio.
L’unica testimonianza utile è quella del testimone della prima ora, quello che chiamò la polizia il 1 maggio scorso.
Si sa solo che l’assassino ha scelto alcune delle sue vittime tramite i siti per annunci usati dalle prostitute e che è sufficientemente informato sulle tecniche di indagine
Infatti, il serial killer sa come evitare telecamere ed intercettazioni, come ha dimostrato scegliendo le spiagge per abbandonare i cadaveri e la Central Station di New York  per telefonare alla famiglia Barthelemy.
Intanto, la polizia ha rinvenuto, per ora, tre “ossari” nella zona di Long Island e un altro, nel 2006, ad Atlantic City; tra i due luoghi ci sono circa 300 km di spiagge e boscaglia, con New York e Filadelfia a breve distanza.

Agli investigatori non resta altro che seguire i movimenti delle carte di credito e dei cellulari delle donne scomparse, per individuare dei fattori in comune.

A meno di un colpo di scena (e di fortuna) la “carriera”  del Long Beach Serial Killer potrebbe essere lunga e, ahimè, non è dato sapere quanti altri cadaveri emergeranno dalle spiagge della East Coast.