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Elezioni 2022: i vincitori

27 Set

Certamente, Giorgia Meloni è la match winner di queste elezioni, con uno spread di consensi oltre il 3.000% (cioè 6 milioni di voti) ed un’avanzata di parlamentari oltre il 1.000% (da decine a centinaia).

In seconda posizione si colloca Giuseppe Conte che alla sua prima candidatura politica fa bottino di quel che resta dei Cinque Stelle, cavalcando promesse che non manterrà certamente, stando fuori dal governo.

Infine, c’è Carlo Calenda che è riuscito nella “missione impossibile” di sostenere e ampliare il bastione parlamentare social-liberale e riformista, dopo l’affossamento di Monti e Renzi da parte del ‘campo largo’ PD / M5S / CGIL.

Ma quali sono le prospettive?

La “decisionista” Giorgia Meloni lascerà intatto il Reddito di Cittadinanza che sembrerebbe essere stato il fattore vincente per Giuseppe Conte nelle regioni meridionali afflitte dalla povertà e, allo stesso tempo, intenderà applicare il potere prefettizio nella gestione del PNRR, in modo da ripristinare i servizi pubblici meridionali e dare sollievo a quel 50-65% di imprenditori e lavoratori, che non si sono riconosciuti nella politica da decenni allo stallo lì al Sud?

Il “temporeggiatore” Giuseppe Conte innescherà un gioco al rialzo e ne cavalcherà le tensioni, per tentare un logoramento e comunque ridurre l’inevitabile declino di un elettorato senza altra leadership che il leader, quando – alle prossime amministrative – ci sarà da presentare amministratori locali esperti e competenti, dato che (a differenza da chi fa le leggi) pagheranno di persona per i propri errori?

L’ “innovatore” Carlo Calenda riuscirà a non farsi fagocitare dalle dinamiche del Centrosinistra e dalla forza gravitazionale del PD, assumendo e sviluppando una posizione autonoma e pienamente liberale (dem, rep o social che sia) sulla gestione fiscale, sulle autonomie e sulla concorrenza come per la scuola, la sanità, l’assistenza e la previdenza?

Soprattutto, a pesare sui destini dei tre winner (la prima ‘decisionista’, il secondo ‘temporeggiatore’ ed il terzo ‘innovatore’) c’è una importante incognita: il Presidente Mattarella intenderà portare avanti il proprio mandato fino all’età di 89 anni oppure le sue potenziali dimissioni peseranno come una spada di Damocle sulla prossima legislatura?

Demata

Mattarella, i partiti e quel serve ad un Presidente

1 Gen

Nel suo discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha dato agli italiani un buon riassunto delle qualità ‘civiche’ che sono essenziali per chi volesse assumere il suo ruolo.

Un ruolo difficile e delicato, quello di Presidente della Repubblica Italiana, visto che comporta il potere-dovere di sciogliere le Camere e indire le elezioni, autorizzare la presentazione in Parlamento dei disegni di legge governativi e rinviare alle Camere con messaggio motivato le leggi non promulgate, nominare il Presidente del Consiglio dei ministri ed emanare i decreti e i regolamenti adottati dal governo, decretare lo scioglimento di consigli regionali e la rimozione di presidenti di regione, presiedere il Consiglio superiore della magistratura  e nominare un terzo dei componenti della Corte costituzionale, presiedere il Consiglio supremo di difesa e detenere il comando delle forze armate italiane, ratificare i trattati internazionali e dichiarare lo stato di guerra.

Dunque, un ruolo che va affidato a qualcuno/a che ha già una conoscenza approfondita di tutto questo: vietato esitare oppure osare più del necessario.
Ma conta soprattutto fare la cosa giusta.

Sotto il mandato di Sergio Mattarella, il compito del capo dello Stato è stato quello di esserne il garante del popolo sovrano, preservando “l’unità istituzionale” con sobrietà e con un “patriottismo concretamente espresso nella vita della repubblica”, proprio nel momento più difficile della sua storia, cioè quando il regionalismo introdotto dal Titolo V della Costituzione mostrava tutti i suoi limiti sotto l’impatto della pandemia, della crisi economica e della discordia degli eletti.

Dunque, che i leader di partito che condurranno i giochi elettorali ricordino che serve innanzitutto “senso di responsabilità” e non solo ‘di fazione’, dato che dovranno dar conto di due “esigenze di fondo” che Sergio Mattarella con la sua esperienza ha voluto sottolineare: possedere la neutralità e la sobrietà che servono per “spogliarsi di ogni appartenenza e farsi carico dell’interesse generale” come la competenza e l’esperienza che servono per “salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore”.

Demata

Dimensionamento scolastico: un esemplare disastro

8 Giu

Il Governo Berlusconi aveva portato a mille il numero minimo di alunni per istituzione scolastica, ma Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Sicilia, Puglia e Basilicata avevano fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro il Dimensionamento Scolastico.

Con la sentenza 147 del 2012, il presidente Alfonso Quaranta ed il giudice redattore Sergio Mattarella hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di una parte del ‘dimensionamento scolastico’ – per l’esattezza l’articolo 19, comma 4 del decreto legge 98 del 2011 – “costituzionalmente illegittimo” per violazione dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, “essendo una norma di dettaglio dettata in un ambito di competenza concorrente”.

Secondo la Dir-Presidi, la sentenza da ragione agli Enti Locali sulle loro prerogative e da ragione contemporaneamente allo Stato nel non assegnare dirigenti scolastici alle scuole sottodimensionate, in quanto appunto i presidi sono dipendenti dello Stato e non delle Regioni.

Attualmente i dirigenti scolastici sono circa 11.000, ai quali a breve andranno ad aggiungersi qualche migliaio di vincitori di concorso.

Essendo gli scolari italiani circa 4,5 milioni ‘da sempre’ – siamo a crescita zero – è facile calcolare che le istituzioni scolastiche dovrebbero essere, in totale, circa 5.000 e, dunque, dovrebbero essere circa seimila i dirigenti scolastici ed i direttori amministrativi in esubero.

La sentenza della Cassazione, dunque, alza il velo su un assurdo normativo di particolare rilevanza, dato che non è dato sapere quali siano le amministrazioni pubbliche in grado di assorbire esuberi dirigenziali di tale portata, oltre al fatto che con la dismissione dell’amministrazione del MIUR anche gli amministrativi non hanno dove andare.

Ma, se la Cassazione fa chiarezza, quel che viene in luce sono dirigenti e segretari allo sbaraglio, scuole nell’incertezza, conti pubblici da rifare.

Infatti, le Regioni, dopo aver invocato la competenza concorrente, nulla hanno predisposto per assorbire nei propri ruoli questo personale, ovvero dotarsi delle comptenze e delle funzioni necessarie ad affiancare/subentrare allo Stato nell’istruzione.

In tutto ciò, a meno di una variazione di bilancio a livello di governo, dovrebbe essere impossibile per il MIUR e per gli Uffici Scolastici Regionali derogare dai tetti di spesa e dalle economie pianificate riguardo il personale, come Comuni e Provincie dovrebbero poterlo fare riguardo le minori spese telefoniche e di gestione, derivanti dall’accorpamento degli uffici.

Bel pasticcio, my compliments a Viale Trastevere. Intanto, pagano l’erario ed, in modo più o meno diretto, almeno una decina di milioni di italiani: i lavoratori, gli alunni e le famiglie.

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