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I diritti umani secondo l’Islam e non solo

25 Gen

Pochi sanno che i paesi di tradizione islamica sottoscrivono una Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ‘leggermente’ diversa dalla nostra.

Ad esempio, il “diritto alla giustizia” (art. 4) per il quale “ogni individuo ha diritto di essere giudicato in conformità alla Legge islamica e che nessun’altra legge gli venga applicata” , che “nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla Legge islamica” e che (art. 5) “nessuna accusa potrà essere rivolta se il reato ascritto non è previsto in un testo della Legge islamica”.

Peggio ancora l’art. 12, che tutela il “diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola” che nei paesi islamici prevede che “ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito”.
La Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo segue precisando che “nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica”

Infine, il “diritto di famiglia” prevede (art. 19) che “ognuno degli sposi ha dei diritti e dei doveri nei confronti dell’altro che la legge islamica ha definito con esattezza” e precisamente che «le donne hanno dei diritti pari ai loro obblighi, secondo le buone convenienze. E gli uomini hanno tuttavia una certa supremazia su di loro» (Cor., II:228).

I diritti universali, insomma, non sono proprio così ‘universali, se 1/3 della popolazione mondiale vive in stati dove i ‘diritti’ sono solo ‘islamici’.
Ma almeno li hanno firmati e, tra l’altro, la versione islamica dei diritti umani prevede regole ‘migliori’ per lo sfruttamento del lavoro e per l’usura: c’è anche chi non li ha firmati o l’ha fatto solo in parte ed in modo ‘sterile’.

Infatti, saranno probabilmente pochi quelli che si sono accorti che Israele non ha firmato i trattati ONU per il traffico di migranti, le tutele del lavoro, la tortura, la protezione dei civili, la pena di morte eccetera e, soprattutto, che … la Santa Sede non ha firmato nemmeno quelli sulle donne, sulla schiavitù, sul lavoro forzato o quanti relativi ai diritti umani e le libertà fondamentali dell’individuo in Europa.

Demata

Papa Francesco e la puzza che arriva anche da Roma

27 Mar

Ormai è ufficiale, Galli della Loggia dixit: esiste una filtrabilità ‘mafiosa’ tra base ‘popolare’ e partiti di ‘sinistra’. Addio ‘mani pulite’, addio ‘la storia siamo noi’ eccetera eccetera

“Il Pd era l’unico partito romano che conservava almeno in parte un rapporto con la base popolare, quella del vecchio Partito comunista: e probabilmente proprio questo è ciò che l’ha perduto. Una base popolare dai tratti spesso plebei — chi ha una certa età se lo ricorda — che per forza era contigua a persone e cose non proprio in regola con la legalità (ladruncoli, piccoli spacciatori, topi d’auto): ma finché a sovrintendere ci sono stati il controllo etico-politico del partito e la decisione inappellabile dei vertici in materia di cariche e di mandati elettorali, nessun problema.
Come si sa, però, a un certo punto tutto questo è svanito. È accaduto allora come se quella base popolare fosse rimasta affidata a se stessa e alle regole spesso demenziali (vedi primarie «aperte») ed estranee della nuova democrazia interna. È allora che si è aperto il varco: non avendo più un vero corpo, il partito non ha avuto più anticorpi. “

VIGNETTA-ROMA-MAFIA

Una questione ormai storica, quella della contiguità dei ‘partiti popolari’ con sette e mafie, ben descritta da Jacques de Saint-Victor in “Patti scellerati. Una storia politica della mafia in Europa” (UTET). L’unico dubbio irrisolto è come mai Eugenio Scalfari – censore di Roma – non se ne sia mai accorto.

E le accuse di Ernesto Galli della Loggia – nell’editoriale di oggi su Corsera con la foto del Governatore Zingaretti in bella vista – non si fermano: “Lo ha capito anche la delinquenza più sveglia e più attrezzata, che è stata pronta a stabilire rapporti con la sua nuova classe, a mettere a libro paga persone, a costruire filiere, a organizzare complicità e ricatti. Così, servendosi dei mezzi del clientelismo politico più ovvi, è cominciata la scalata al Pd da parte del malaffare.
Lo ha detto bene in un rapporto Fabrizio Barca, dopo aver indagato quanto accaduto nei circoli dem della Capitale: il Pd è diventato «un partito cattivo, ma anche pericoloso e dannoso», i suoi iscritti sono troppo spesso «carne da cannone da tesseramento». ”

Intanto, mentre il Capo di Gabinetto della Regione Lazio è anche lui coinvolto nelle inchieste di Mafia Capitale, arriva il crollo verticale del consiglio municipale di Ostia con appelli pubblici a inviare militari come in Calabria o Sicilia  …
E, a confermare che il PD, a Roma, non c’è più, prendiamo atto che Zingaretti (Regione Lazio) tace e Marino (Roma Capitale) è all’estero …

Dunque, mentre Renzi trema (ndr. la caduta del PD romano per mafia comporta de facto la fine di molte cose), non resta che attendere l’intevento del vescovo di Roma, come si usa nelle terre assediate dalla Mafia …

papa mafia

La domanda, dunque, è: si dimetteranno oppure l’Italia e i romani dovranno subire l’onta di una Roma che ‘puzza’, proclamata Urbis et Orbis? Di sicuro, Papa Francesco non può scagliarsi contro mafiosi e narcos se a casa sua si razzola male …

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L’Italia è fondata sul lavoro … che rende liberi

12 Ott

“È ora possibile e necessario affrontare il compito di un sapiente rinnovamento del nostro ordinamento costituzionale, coerente con i suoi valori”. (Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana)

Una dichiarazione che arriva a poche ore dalle manifestazioni organizzate ‘in difesa della Costituzione’ così com’è e che, evidentemente, vorrebbe mantenere lo status quo.

Eppure, a circa 55 anni dalla sua emanazione, la nostra ‘bella’ Costituzione non è riuscita a garantire il lavoro a Napoli e Palermo, non ha consentito una leva fiscale accettabile per i cittadini e adeguata per lo Stato, non ha chiarito ruoli e compiti delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni, non ha attuato una Giustizia ‘prevedibile’ e, soprattutto, tempestiva, non ha precisato il ruolo dei vari organi dello Stato e tra le varie cariche pubbliche e private (conflitto di interessi), non ha messo mano nel pasticciaccio di Bankitalia e Cassa Depositi e Prestiti, non è riuscita a superare lo status di ‘religione di Stato’ riservata alla Chiesa Cattolica dai regimi (sabuto e fascista) precedenti, non ha permesso di contrastare adeguatamente l’avanzare territoriale e finanziario delle mafie, ha dimenticato qualcosa nel ruolo presidenziale, visto lo stallo politico in cui l’Italia versa da 5 o 10 anni almeno.

E si è dimostrata talmente ‘bella’ e rigida da essere difficilissimamente innovabile.

Tra l’altro, i nei della nostra Costituzione sono evidenti fin dai primi articoli, se non ai nostri occhi, a quelli di qualunque statunitense, tedesco, olandese, britannico, francese eccetera eccetera.

Ecco alcune ‘perle’.

Art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Altrove si legge di popoli affratellati dal senso di legalità, dall’eguaglianza e la fratellanza, dalla libertà e dalla ricerca della felicità … ragioni e ideali ben più cogenti se si tratta di sentirsi parte di una Nazione.
Sarà per questo che gli italiani hanno un così limitato senso dell’interesse comune?

A cosa serve poi il ‘lavoro’ cui si ispira e ci obbliga la nostra Costituzione?
Art. 4 “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Il lavoro serve innanzitutto a ‘concorrere’, ovvero pagare le tasse, per il progresso materiale della società. A parte il fatto che il ‘progresso’ è un concetto prettamente ‘massonico’ che ha fatto da almeno tre decenni il suo tempo ed è ormai in disuso nei contesti ‘official’ … dato che – nel 2013 – i parametri ci raccontano che è stato nel 1975, in Germania, che abbiamo raggiunto il massimo livello di benessere per il genere umano.
Progresso materiale di che? Per non parlare del progresso spirituale, altro concetto ‘massonico’ e, comunque, decisamente poco laico.

Una questione che è ben palesata dall’art. 7, che ribalta l’articolo 1 (la sovranità appartiene al popolo), annunciando che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” (ndr. sul popolo) ed i loro rapporti sono extracostituzionali, ovvero “regolati dai Patti Lateranensi” senza alcun “procedimento di revisione costituzionale”.

Un non sense, se anche l’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione … di religione”, cosa che dovrebbe azzerare qualunque tutela particolare di legge verso i cittadini italiani appartenenti al clero cattolico, specie se parliamo di oscuri versamenti bancari presso una banca estera chiamata IOR, con i noti problemi che due Pontefici (Ratzinger e Bergoglio) hanno dovuto affrontare con enormi difficoltà.

Una palese discriminazione verso chi non è cattolico, visto l’art’ 8, che prima afferma che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” e poi si ricorda che “le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti”.
Se fossero state tutte veramente uguali dinanzi alla legge, avremmo potuto leggere “tutte le confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.”

Vicecersa, c’è la religione cattolica, regolata da un patto extracostituzionale, e poi quelle ‘diverse’.

Ma ritorniamo al ‘lavoro’, ricordando di essere in un pase di disoccupati, sottoccupati, lavoranti a nero, evasori fiscali, immigrati schiavizzati, nonchè posti fissi, vitalizi, prebende e fannulloni.

Il nesso ‘anomalo’ tra cittadinanza, diritti e lavoro lo ritroviamo nell’art. 3 “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Chi non lavora, non partecipa? Non è ugualmente ‘libero’ di sviluppare la persona umana e di partecipare all’organizzazione del Paese?
Chi partecipa in misura minore al ‘progresso materiale della società’ – a causa di un reddito medio basso –  ha uguale voce in capitolo?

Sembrerebbe proprio di si, a vedere le condizioni in cui versa il Meridione, in cui sono ridotte le nostre periferie, dalla quale cercano di emanciparsi i nostri giovani.

Speriamo che i nostri futuri riformatori vorranno riflettere sul dato reale (la condizione in cui versa l’Italia) e porre rimedio a questo incipit costituzionale vistosamente obliquo e perigliosamente inclinato.

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Napoli: chi non vuole le ZTL … a Roma?

2 Mag

Nonostante a Firenze si siano rivelate linfa vitale per il turismo, il commercio e l’artigianato, sebbene a Milano si siano rivelate la bacchetta magica per il capoluogo di una regione di 10 milioni di abitanti, sono forti le polemiche sulle ZTL a Napoli.

Come al solito, quando si legge delle disgrazie di Napoli bisogna diffidare, anche perchè – grazie alla tradizione inagurata da Scarfoglio e Serao – spesso si tratta di ‘chiacchiere e distintivi’ che hanno interessi altrove.

Un’interessante lettera pubblicata da Iustitia, settimanale di informazione on line, chiarisce i termini della questione a Napoli, precisando che “da giorni e giorni su Repubblica Napoli e Corriere del Mezzogiorno si susseguono articoli contro le ZTL, zone a traffico limitato, si riportano in dettaglio le posizioni di commercianti e si intervistano persone che sono contrarie”, nonostante “due sondaggi online promossi proprio da Repubblica Napoli hanno dato una netta maggioranza a favore delle ZTL (Centro Antico e Mare). I risultati di questi sondaggi, però, non sono stati riportati negli articoli pubblicati in questi ultimi mesi.”
Allo stesso modo, “WWF, Italia Nostra, Legambiente, Marco Mascagna, Cicloverdi, Mamme antismog, Associazione Culturale Pediatri, Pediatri per un Mondo Possibile hanno inviato comunicati sulla ztl l’8 aprile, il 10 aprile e l’11 aprile. Su Repubblica Napoli e sul Corriere del Mezzogiorno non è uscito neanche un rigo.”

Secondo l’autore della lettera, il ben documentato Pio Russo Krauss dell’Associazione Marco Mascagna, “chi legge Repubblica Napoli  e Corriere del Mezzogiorno (diretto da Marco Demarco, ndr) crede che sia un dato di fatto che le ZTL hanno aumentato il traffico, hanno messo in ginocchio il commercio, hanno determinato la chiusura di negozi.”

Viceversa, il TomTom Congestion Index 2013 riporta che Napoli è migliorata di 6 posizioni nella classifica della congestione del traffico, la Confcommercio evidenzia che la crisi colpisce soprattutto Roma e Torino e poi Napoli, che la  Confesercenti-Anama non considera allarmante a Napoli la percentuale di negozi chiusi (sfitti)  nei centri storici, a differenza di Cagliari, Rovigo, Catania, Palermo, e che, secondo l’Associazione italiana Confindustria Alberghi ed Il Sole 24 Ore, Napoli è la città italiana che ha registrato l’incremento maggiore di presenze alberghiere (10,5%) tra gennaio 2012 e 2013.

Tra l’altro, Firenze ha il 50% di ZTL in più rispetto a Napoli (3 kmq) e Monaco di Baviera è riuscita alimitare il traffico in ben 44 kmq del proprio territorio.


Dunque, oltre alle eterne faide della sinistra italiana (in tal caso verso il sindaco senza partito Luigi De Magistris) è possibile, visto l’attegiamento delle testate nazionali, l’origine di tante chiacchiere potrebbe risiedere nel fatto che affermare le ZTL a Napoli, dopo Firenze e Milano, funzionano, costringerà anche Roma ad una politica seria di mobilità e di dislocazione delle centralità.
Infatti, Roma destina oggi solo 4,2 kmq alle Zone a traffico limitato, che, però, sono straaffollate ed assediate dalle autovetture di quasi milione di di residenti, dalle decine di migliaia di auto blu e di padroncini e corrieri che svolgono commissioni, l’enorme frammentazione delle sedi istituzionali e l’irrazionalità logistica del Piano regolatore che costringono milioni di romani a trascorrere nel traffico il 10% della loro giornata.

Una città, la nostra capitale, che tra le tante improduttività annovera quella turistica, visto che il Colosseo e i Musei Vaticani raggiungono i 5 milioni di visitatori ciscuno, mentre a Londra ha quattro musei sopra la soglia dei cinque milioni, il Louvre di Parigi stacca 8,5 milioni di biglietti l’anno, Disney Paris raggiunge i 15 milioni di visitatori.
Un centro storico capitolino che, essendo ambito a tanti VIP in cerca di acquisti immobiliari a prezzo ‘politico’, non può derto fare spazio a bed & breakfast, turisti in sandalo ed American Express Oro, grandi investimenti ‘industriali’ nel turismo e nel Made in Italy.
Una città, che fu raccontata da Sordi e Pasolini, dove il mercato immobiliare è talmente anomalo, al punto che, a differenza di qualunque altra città, gran parte dei romani de Roma può permettersi di vivere ancora nei quartieri dei loro nonni, ma a condizione di mantenere le antiche ripartizioni urbanistiche e d’uso degli immobili con un traffico ed una logistica disastrosi.


Una Roma, dove l’Auditorium conta un milione di ingressi l’anno quasi quanti ne conta Rainbow MagicLand, il parco a tema di Valmontone, mentre buona parte del litorale spiaggioso non è assolutamente valorizzato. Una metropoli che rinuncia a creare un passante tranviario lungofiume – come dovunque – per creare piste ciclabili semi-deserte e terrazze per l’elio terapia degne del miglior Ballard. Un sistema locale che non riesce a rendere più appetibili i negozi del centro ai turisti che ormai trovano tutto anche a Shangai od Hong kong a prezzi scontati da balzelli fiscali, tributi e pizzo.

Una follia collettiva, che, in Italia, si traduce in un calo del settore alberghiero-turistico, che “è dovuto ai «prezzi fermi ormai da 3 anni» e ad «accorte politiche tariffarie difficili da sostenere a lungo». Inevitabile un riflesso anche sul mercato dei lavoratori, con un -2,6% di occupati (-2,8% a tempo indeterminato e del -2,5% a tempo determinato)”, come spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, sul Corsera.

Una discrasia che rende, probabilmente, indigeribile che il fatto che Napoli – la città dei cugini disgraziati, caotici e vituperati (non la ‘piccola Firenze’, non la ‘maniacale’ Milano) – si (ri)doti di un’organizzazione industriale e di una qualità turistica invidiabili, lasciando la Capitale sola a ‘combattere la modernità’?

E’ questo il vero problema ZTL a Napoli, di cui i media, anche nazionali, parlano in un modo ingiusto?
E cosa intendono fare, nel dettaglio, gli attuali candidati a sindaco di Roma in fatto di accrescimento dei flussi turistici e ‘solvibilità’ della città, mobilità e trasporti, inquinamento e vivibilità?
Come intendono fare Napoli e Roma intraprendere una strada di crescita, se il loro Medioevo, il loro Barocco, il loro Rinascimento ed il loro primo industrialesimo non diventino un valore aggiunto, sfruttato industrialmente? QUanti edifici pubblici potrebbero essere riconvertiti per la ricettività alberghiera?
Cosa farcene dell’enorme numero di teatri, musei e cinema di cui sono dotate queste città, senza i flussi turistici (e pedonali) che possono essere attratti, visto che Amburgo, per continuare ad attrarre il turismo interno, ha costruito una piccola fortuna, in soli venti anni, nel settore delle Operetten Haus?

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Riportate a casa i marò

27 Mar

In una Camera che accoglieva con una certa indifferenza o sorpresa le polemiche dimissioni del Ministro degli Esteri Giulio Terzi, date al termine di un’audizione, per pochi attimi si è udito il grido dolente di Vania Girone, moglie di Salvatore, uno dei fucilieri di Marina riconsegnati alle carceri indiane: «riportate a casa mio marito».
«Non possiamo abbandonarli», dirà ai cronisti Franca Latorre, sorella dell’altro marò, il pugliese Massimiliano.

Una situazione paradossale, se non fosse tragica e caotica, con il ‘solito’ Mario Monti colto da «stupore», dato che Giulio Terzi non gli aveva preannunciato «le sue intenzioni, benchè in mattinata si fosse tenuta presso la presidenza del Consiglio. In Mario Monti che non sorprende più nessuno nel tenere a precisare che  «le valutazioni espresse alla Camera dal ministro Terzi non sono condivise dal Governo».
Un Premier che non sa cosa frulla nella testa del suo Governo? A quanto pare si.

Una situazione tragica e caotica che vede la stessa BBC esprimere perplessità su tutto il comportamento italiano in generale, riportando alcuni elementi essenziali che non hanno avuto particolare risonanza in Italia:

  • esistono dubbi significativi sul fatto che i colpi di avvertimento siano effettivamente stati sparati. La testimonianza dei pescatori superstiti è credibile ed accurata e, inoltre, la posizione della petroliera sembra essere fuori questione, ovvero nelle acque territoriali indiane e non fuori giurisdizione come sostiene la ‘versione’ italiana;
  • i nostri marines potevano essere immediatamente trasferiti fuori dalla giurisdizione indiana, come di prassi per gli altri eserciti in casi simili e come accadde nel caso del disastro della funivia del Cermis, in val di Fiemme, il cui cavo fu tranciato da un aereo militare USA;
  • la vicenda dei marò, fin troppo procastinatasi, si è ormai intrecciata, specie sui tabloid indiani, con una denuncia per complotto e frode che la polizia criminale indiana (Cbi) ha formalizzato contro Agusta Westland (Finmeccanica) nelle indagini svolte su presunte tangenti nella fornitura di 12 elicotteri.

Il ministro alla Difesa, ammiraglio Di Paola, ha voluto precisare: «Non abbandonderò la nave in difficoltà con Massimiliano e Salvatore a bordo fino all’ultimo giorno di governo, verrei meno al senso del dovere delle istituzioni che ho sempre servito e alle scelte del governo che ho condiviso».

Ma qui la faccenda si complica. Infatti, agli occhi degli indiani, il fatto che la Procura Militare abbia avviato un’indagine per violata consegna e dispersione di armamento militare verso i due marò appare decisamente tardivo e, soprattutto, insufficiente, visto che ai due reati in ipotesi si poteva anche aggiungere qualche altra cosa, come l’omicidio colposo.
Un percorso che avrebbe, col senno di poi, certamente avvantaggiato di due fucilieri.

Infatti se, per l’art. 44 del Codice Penale Militare di Pace, “non è punibile il militare, che ha commesso un fatto costituente reato, per esservi stato costretto dalla necessità di impedire fatti tali da compromettere la sicurezza della nave”, è anche vero che per l’articolo successivo (45), “quando si eccedono colposamente i limiti imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i reati colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come reato colposo.”

Dunque, se fin dal primo giorno di rimpatrio dei due marò si fosse cambiata linea difensiva ed aperta un’indagine per mancata consegna e dispersione di armamento militare, andando a dimostrare l’eccesso colposo, sarebbe stato possibile detenere i due fucilieri, processarli per omicidio colposo e condannarli ad una pena mite (la reclusione va da sei mesi a cinque anni), che, sommando la detenzione indiana ed un po’ d’attesa di giudizio, si sarebbe trasformata in un rilascio.
Nel frattempo, un equo e congruo indennizzo alle famiglie dei pescatori morti ed alla loro comunità avrebbe aiutato a riassorbire rancori e pretese.

Una vicenda, agli occhi degli inglesi, politicamente maldestra fin dall’inizio, quando ritardi, sottovalutazioni e pressappochismo portarono all’attracco della petroliera in India con tanto di marò a bordo, a disposizione della polizia del Kerala ben pronta ad arrestarli.

Una sottovalutazione che potrebbe costare molti anni di carcere ai due militari italiani e solo una costante e capillare azione diplomatica e legale potrà, ormai, garantire che vengano scontati in Italia.

Giulio Terzi ha espresso «la propria riserva per la repentina decisione del loro ritrasferimento in India, la mia voce è rimasta inascoltata. Finalmente avevamo in patria i due fucilieri di marina. Mi dimetto perchè per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perchè solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie».

Ed allora chi ha deciso tutto e chi deciso cosa in questa vicenda?
C’è Roberto Formigoni a twittare: «Il governo chiarisca chi ha voluto rimandare i marò in India». Ma gli oltre 101 eletti del Movimento Cinque Stelle non hanno nulla da dire? Che ‘tutto taccia’ era prevedibile, ma, se non anche di questo, di cosa altro mai pensavano di doversi occupare?

Riportiamo a casa i nostri marò e basta figuracce ed ipocrisie, ingenuità ed incertezze: la nostra diplomazia non può permetterselo, ma soprattutto non può permettersele la nostra Marina: annunciando le dimissioni in piena seduta della Camera, Giulio Terzi – nel bene e nel male – ha passato il testimone al Parlamento ed al Presidente della Camera, non al Governo Monti.

Il nostro paese – già molti mesì fa, quando la Ferrari corse in India esibendo la bandiera della Marina Italiana – avrebbe dovuto impegnarsi a dimostrare l’innocenza dei nostri fucilieri o, quanto meno, la loro non intenzionalità nell’uccisione dei due pescatori indiani.

Ed invece ancora si sostiene che le raffiche furono sparate a vuoto …

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The Italian Job: notizie dai giornali indiani

15 Mar

Dalla vicenda dei marò Massimilian Latorre e Salvatore Girone, l’Italia ne sta venendo fuori nel peggiore dei modi e vale la pena che le sue aziende inizino a prepararsi alle conseguenze del duro contraccolpo in termini di credibilità internazionale, di peso politico in Europa ed ai G8 e di speculazione finanziria ‘ostile’.

Infatti, come riporta la BBC, il ministro degli Esteri indiano ha ben chiarito in quali termini, nell’attuale e nel futuro, si manterranno i rapporti con il nostro Paese: “l’India si aspetta che la Repubblica d’Italia  mantenga l’impegno sottoscritto di onorare il termine ordinativo dato ad essa dalla Corte Suprema, come qualunque altra nazione che voglia considerarsi uno Stato di diritto“.

E’ stato solo a seguito di questo impegno sottoscritto (ndr. dal nostro ambasciatore Daniele Mancini), che la Corte Suprema ha consentito ai due marines di viaggiare e rimanere in Italia per un periodo di quattro settimane e tornare in India sotto la cura, la supervisione e il controllo della Repubblica Italiana.

Rincara la dose Rajiv Pratap Rudy, un portavoce del principale partito di opposizione Bharatiya Janata Party, affermando che “questo è un tradimento ed un bluff da parte del governo italiano. Si tratta di una violazione di fiducia tra due nazioni sovrane e l’atto è del tutto inaccettabile“.

Queste le notizie riportate dalla BBC che riprende i giornali indiani, come quelli di seguito:

  • The Hindu:  il rifiuto dell’Italia per la restituzione Massimilian Latorre e Salvatore Girone “può far vincere al nuovo governo italiano punti sporchi in casa propria, ma è un  comportamento disdicevole per una nazione responsabile” e che il governo indiano è troppo “esposto per lasciarsi prendere in giro così facilmente da un governo straniero“.
  • The Times of India:  “livello spaventoso di ingenuità da parte delle istituzioni indiane nel consentire ai marines di andare, nella convinzione che gli italiani avrebbero poi voluto mandarli indietro. Nel caso in cui c’è poco che New Delhi può fare ora. Nella migliore delle ipotesi si può fare una manifestazione di rabbia diplomatica ed espellere l’ambasciatore italiano, ma tutto ciò ben poco servirebbe alla causa della giustizia per i pescatori“.
  • Mint Newspaper:  “l’episodio verrà ricordato come una macchia nera nella storia del diritto dell’India: i diritti dei due stranieri erano più importanti quelle dei poveri pescatori, il cui unico obiettivo era quello di guadagnar da vivere per le proprie famiglie“.
  • The Indian Express: l’India starebbe valutando “dure opzioni diplomatiche, tra cui la rottura delle relazioni e l’interruzione dei rapporti commerciali“.
  • Hindustan Times: “se l’India vuole davvero essere una superpotenza regionale, non può essere colta alla sprovvista da un paese che negli ultimi tempi non è stato solo travolto da una crisi economica, ma si è anche dimostrato politicamente instabile e ingovernabile in più occasioni“.

Questa, dunque, la situazione di un continente, quello indiano, dove vivono oltre un miliardo di persone e questo è quanto leggono i traders della Borsa di Londra.

A buona connotazione è utile sapere che, consultando le cronache anglofone, emergono alcuni elementi essenziali che non hanno avuto particolare risonanza in Italia:

  • esistono dubbi significativi sul fatto che i colpi di avvertimento siano effettivamente stati sparati. La testimonianza dei pescatori superstiti è credibile ed accurata e, inoltre, la posizione della petroliera sembra essere fuori questione, ovvero nelle acque territoriali indiane;
  • i nostri marines potevano essere immediatamente trasferiti fuori dalla giurisdizione indiana, come di prassi per gli altri eserciti in casi simili e come accadde nel caso del disastro della funivia del Cermis, in val di Fiemme, il cui cavo fu tranciato da un aereo militare USA;
  • da ieri l’ambasciatore d’Italia a New Delhi, Daniele Mancini, è sotto arresto – invitato a non allontanarsi dalla propria residenza – al posto dei due marò, che, prevedibilmente, avrebbero ricevuto una condanna da scontare in Italia, ovvero a piede libero in attesa di ricorso;
  • la polizia criminale indiana (Cbi) ha formalizzato, l’altro ieri, una denuncia per complotto e frode, nell’intento di approfondire le indagini svolte su presunte tangenti nella fornitura di 12 elicotteri Agusta Westland (Finmeccanica).

The Hindu, principale organo d’informazione indiano, racconta di “Finmeccanica, che ha una presenza abbastanza grande in India, in diversi progetti di difesa tra cui quello per la prima portaerei in corso a Kochi, è probabile che questo induca il governo ad un approccio ‘morbido’ nei suoi rapporti con l’Italia.”

Secondo l’ammiraglio Uday Bhaskar, autorevole analista della Difesa indiana, “il rifiuto dell’Italia di mandare indietro due dei suoi marines, sotto processo in India per aver ucciso due pescatori indiani fuori Kerala, e l’indagine di CBI sul gigante della difesa (ndr. Finmeccanica) e la sua controllata AgustaWestland avrebbero un impatto politico a lungo termine con un’elevata posta in gioco. Il governo italiano deve avere fatto i suoi calcoli e studiato la situazione prima di rinnegare la sua promessa di mandare indietro i marines per essere processato in India. Il CBI, che ha inviato un team di invastigatori, lo scorso mese, a Milano, in relazione con le indagini sullo scandalo per corruzione nell’acquisto degli elicotteri, è probabile che ponga ostacoli pretendendo l’aiuto delle autorità italiane di andare avanti con la sua indagine“.

Gli investigatori indiani accusano due intermediari di aver pagato tangenti per la compravendita di 12 elicotteri a favore di AgustaWestland, in un paese dove di recente è stata adottata la linea dura chiesta dal ministro della Difesa AK Antony: inserire in una “lista nera” qualsiasi società che viola le leggi anti-corruzione. Non a caso il Ministero della Difesa ha chiesto al nuovo CEO di Finmeccanica, Alessandro Pansa, “qualsiasi informazione che potrebbe essere in grado di fornire su transazioni sospette“.

The Hindu precisa anche che “la presenza di Finmeccanica in India risale ai primi anni 1970, quando il gruppo ha fornito 41 elicotteri Sea King della Marina Militare indiana. Il gruppo ha un tie-up per i progetti chiave con le industrie partner BHEL, BEL, Bharat Dynamics Limited, HAL e Tata Sons.

Finmeccanica e le società controllate hanno contratti per il valore di migliaia di milioni di rupie da parte del governo indiano e hanno una presenza enorme in molti settori. Queste aziende sono SELEX Galileo, Ansaldo STS e AgustaWestland.
Ansaldo STS è una società tecnologica multinazionale che produce sistemi di segnalamento e automazione per l’utilizzo da parte degli operatori ferroviari e di trasporto rapido. Ansaldo STS ha sede a Genova, in Italia, e Finmeccanica ha un 40 per cento delle azioni della società. L’azienda ha 240 dipendenti in India e, secondo fonti del settore, occupa un’importante quota di mercato nel mercato del segnalamento ferroviario.
SELEX ES fornisce sistemi di navigazione e di comunicazione per le principali piattaforme avioniche indiane dal 1995 e ATC sistemi VHF per la Airports Authority of India e i radar di precisione per l’aeronautica militare indiana dal 2001.
Nei sistemi di difesa, OTO Melara, altra società del gruppo, ha fornito armamenti di grosso calibro ed unità navali medie e piccole alla Marina Militare indiana.

E questo è quanto afferma la brochure “Finmeccanica & India, in the spirit of partnership”: “l’India è un paese di fondamentale importanza per Finmeccanica. La crescita economica sostenibile, i crescenti investimenti per la difesa, la sicurezza e le infrastrutture, la grande base industriale e la forza lavoro qualificata hanno favorito la presenza di Finmeccanica e gli investimenti con una visione a lungo termine. Per i prossimi anni, le nostre operazioni in India saranno destinate a migliorare la nostra presenza e aumentare la nostra reputazione come un partner solido e affidabile.

Dunque, è ben chiaro quale enorme pasticcio stia combinando la nostra Casta – politicamente instabile e ingovernabile in più occasioni, come afferma Hindustan Times – a danno del nostro ‘complesso industrial-militare’, distruggendo una presenza ed una friendship nel continente indiano ormai consolidate e creando tutte le premesse per la frammentazione di un importante patrimonio pubblico (Finmeccanica e non solo), cui non potrà far altro che seguire un’instabilità finanziaria ed una minore occupazione nel lungo periodo.

My compliments: it’s another Italian job.

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Marò in India verso la scarcerazione?

17 Mag

Anche oggi, Roma, ormai in piena campagna elettorale, in rossi, neri, bianchi e gente comune.
Il “pretesto” di oggi è la polemica intorno l’iniziativa dei consiglieri del Pdl di indossare in aula delle magliette con le foto dei due fucilieri della Marina Militare detenuti in India.

Il problema, secondo la presidente della Commissione delle Elette di Roma Capitale, Monica Cirinnà, è stato che ” in apertura di seduta dell’Assemblea capitolina gli uffici di Presidenza hanno distribuito una maglietta nera raffigurante i due marò detenuti in India. Oltre a chiedere la sottoscrizione al momento del ritiro della t-shirt, ai consiglieri presenti è stato chiesto di indossarla al momento dell’esecuzione dell’Inno di Mameli. Ritengo questa iniziativa del tutto sbagliata, indebita, non concordata in conferenza dei capogruppo e soprattutto un uso improprio dell’istituzione da parte del presidente Pomarici il quale lui stesso ha indossato la maglietta distribuita”.

Ugo Cassone, consigliere Pdl di Roma Capitale, parla di “stupefacente reazione antitaliana”, affermando che “è inaccettabile che, invece di aderire spontaneamente alla simbolica manifestazione l’opposizione abbia indegnamente sollevato per questa occasione questioni procedurali e di regolamento, indicative solo del suo atteggiamento ostile e per niente patriottico”.

Un po’ come a Costantinopoli, quando erano in assise per determinare il sesso degli angeli, mentre le mura cadevano sotto l’assedio dei turchi.

Possiamo tutti immaginare il profondo scoramento che potrebbe cogliere, dinanzi a tale “veemente polemica”, non solo i nostri marò ed i loro colleghi o familiari, ma tutti i nostri concittadini che, per lavoro, sono andati per mare e per terra in terra straniera.

La buona notizia è che le autorità dello stato indiano del Kerala hanno disposto il trasferimento, tra 20 giorni, dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dal carcere di Trivandrum ad un’altra struttura della città.

La Corte Suprema Indiana, infatti, aveva, nei giorni scorsi, invitato le autorità locali a dare seguito all’impegno di trasferire i militari italiani in una struttura diversa dal carcere, in risposta ad una petizione del procuratore generale aggiunto, Harin P. Raval,  “perchè lo Stato del Kerala non ha giurisdizione, essendo l’incidente avvenuto in alto mare dove la competenza è dell’Unione Indiana e non dei singoli stati.”

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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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La Chiesa ed i segnali che non arrivano dalla classe dirigente

26 Apr

Di seguito, sono riportati ampi stralci della prolusione al Consiglio Episcopale Permanente, tenuta, il 26 marzo, dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della CEI. 

Un discorso eloquente, nella forma e nella sostanza, al quale poco davvero si potrebbe aggiungere, se non l’annotazione che la stampa nazionale e le news televisive praticamente non ne hanno dato notizia, se non fugacemente.

Dando per scontato purtroppo che la crisi non si risolverà né all’improvviso né troppo in fretta, dobbiamo, insieme alle nostre abitudini, modificare il nostro modo di pensare.

C’è bisogno di una visione forte e condivisa che probabilmente ha il suo punto di inizio nella riscoperta del bene comune come ‘universale concreto’. Quel bene che ad un certo punto forse avevamo smarrito in quanto ci sembrava il bene di nessuno, o avevamo scambiato per la mera somma dei singoli processi individuali, deve per ciascuno diventare invece il proprio bene personale.

Solo una generale conversione di mentalità che comporti conseguenze vincolanti – ad esempio, sul fronte del fisco, di un reddito minimo, di un welfare partecipato, di un credito agibile, insomma di un civismo responsabile – può ricreare quel clima di fiducia che oggi sembra diradato o dissolto. Un clima che sollecita e motiva l’affidamento reciproco.

L’approccio finanziario, infatti, senza concreti e massicci piani industriali, sarebbe di ben corto respiro. Solamente ciò che porta con sé lavoro, e perciò coinvolge testa e braccia del Paese reale, ridà sicurezza per il presente e apre al futuro.

Perché questo accada, è necessario che lo Stato e gli enti locali siano solventi e lungimiranti e gli istituti bancari non si chiudano in modo indiscriminato alle richieste di piccoli e medi imprenditori: non ogni ristrutturazione va valutata con diffidenza; è necessario considerare, caso per caso, situazioni e persone, l’onestà insieme all’affidabilità, e alla quota di controllabile rischio senza il quale non può darsi alcun salto nella crescita.

Il Paese, come il resto dell’Europa, è in sofferenza: non si può negarlo. Le parrocchie e le formazioni sociali che vivono a contatto con la gente lo constatano ogni giorno. Tutto rincara e il budget familiare diminuisce. Cambiano così le abitudini, si rivede l’ordine delle scelte. Con i provvedimenti adottati è stato portato al sicuro il Paese, facendo proprie – pur con qualche adattamento – le indicazioni comunitarie.

Bisogna però che si approfitti il più possibile di questa stagione, in cui si è costretti a dare una nuova forma ai nostri stili di vita: uscire dall’immobilismo; cominciare a fare manutenzione ordinaria del territorio; continuare nella lotta all’evasione fiscale; semplificare realmente alcuni snodi della pubblica amministrazione; dotarsi di strumenti pervasivi e stringenti nel contrasto alla corruzione e al latrocinio della cosa pubblica.

Soprattutto, azionare tutti gli strumenti e investire tutte le risorse a disposizione – dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società civile – per dare agli italiani, a cominciare dai giovani, la possibilità di lavorare: non solo per sopravvivere, ma per la loro dignità. Ma anche approfittarne per rinnovare i partiti, tutti i partiti: non hanno alternativa se vogliono tornare – com’è fisiologico – ad essere via ordinaria della politica ed essere pronti – quando sarà – a riassumere direttamente nelle loro mani la guida del Paese. Per intanto dal Governo sono attese soluzioni sospirate per anni.

Come Vescovi chiediamo di tenere insieme equità e rigore.

Senza uscire dal novero delle nazioni industrializzate, anzi preservando nella ragionevole flessibilità gli insediamenti che coltivano le specificità e le eccellenze, dobbiamo perseguire un’economia sociale di mercato, nella linea della cooperazione e dei sistemi di un welfare condiviso. Il modello economico perseguito lungo i decenni dal nostro Paese è stato ed è una prodigiosa combinazione tra famiglia, impresa, credito e comunità.

Per l’uomo comune come per quello importante, «l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio invece l’autorità significa servizio, umiltà, amore.

È l’insieme che va reinterpretato e rilanciato, recuperando stima nelle imprese familiari e locali, a cominciare da quelle agricole e artigianali. Nella realtà odierna nessuno può pensare di preservare automaticamente delle rendite di posizione. Bisogna sapersi misurare con le mutazioni incalzanti che costringono ad un pensare nuovo.

Bene sommo è la persona, e la persona che lavora; per questo vanno create le condizioni perché le opportunità di impiego non sfumino, e con esse le abilità manageriali e i capitali necessari all’impresa.

La globalizzazione è una condizione ineluttabile, con aspetti che, se non governati, possono modificare radicalmente i destini di un popolo: per questo dobbiamo starci dentro con la nostra cifra sociale, superando con la necessaria gradualità gli strumenti che sono inadeguati, per raggiungere, nelle condizioni date, la soluzione meglio condivisa.

La congiuntura ci deve migliorare, non appiattire e ancor meno schiacciare. Si dovrà probabilmente lavorare molto prima di tornare a vedere risultati importanti, ma quel che conta sono i segnali affidabili e concreti che devono arrivare dalla classe dirigente.

Questo il senso generale della prolusione del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco.

Un “discorso” aperto un mese fa, oramai, e finora rimasto scandalosamente privo di eco ed inequivocabilmente carente nelle risposte.

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