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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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Norma Salvabanche bocciata in Corte Suprema, nessuna eco

27 Apr

La Corte Costituzionale, con sentenza n 78 del 5 aprile 2012, accogliendo la tesi del Tribunale di Benevento ed altre otto sedi giudiziarie, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’anatocismo bancario ( interessi sugli interessi), per violazione dell’art 3 della Costituzione.

La sentenza boccia “la norma “salvabanche”, che aveva applicato gli interessi sugli interessi a svantaggio dei correntisti, tra cui molti generosi e onesti imprenditori, che nella impossibilità di pagare somme non dovute, hanno scelto la strada del suicidio, lasciando le loro famiglie nella disperazione“. (Ferdinando Imposimato)

Per anatocismo (dal greco anà – di nuovo, e tokòs – interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Un esempio di anatocismo è quello di capitalizzare (ossia sommare al capitale di debito residuo) gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati. (da Wikipedia)

La norma “salvabanche” viola, secondo i giudici della Corte Suprema, l’art.3 della Costituzione perchè «facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali, eguaglianza e ragionevolezza». Inoltre, «non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi di interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo» della norma, così violando anche l’art.117 della Costituzione, che prevede, per materie di legislazione concorrente, che spetti alle Regioni la potestà legislativa riguardo “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, … casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

Bazzecole.

La prossima settimana sarà trascorso un mese da questa sentenza, Pasqua finita, Feste della Liberazione e dei Lavoratori alle spalle, eppure Mario Monti e Renato Passera sembrano quasi non essere coinvolti in una clamorosa quanto iniqua (e costosa) incostituzionalità, mentre – ad eccezione di pensioni ed F-35 – tutto quanto accade sono i tagli lineari della spesa delineati di Tremonti, più le maggiori tasse e spese del corrente governo.

Inizia a non essere improprio, visto il “pasticciaccio forneriano” su pensioni e lavoro, ipotizzare che che questo Governo si sia impantanato nella inconsistenza di questo Parlamento – imploso con il distacco di FLi dal Popolo delle Libertà – e nello sterile ed iniquo elitarismo (non “meritocrazia”) che almeno una parte dell’Esecutivo e sostenitori vari dimostrano, se non, addirittura, ostentano.

Sarà molto difficile rendere compatibile quello che resterà di questa Seconda Repubblica con il “nuovo che avanza”. Non tanto l’antipolitica, arruffona e spaccatutto, ma facile allo sbando e, si spera, non troppo arraffona.

Come dare spazio, senza disturbare qualche “piano alto”, agli unici in grado di provvedere alla sussistenza del paese, se non al suo rilancio?

Gli “eroi civili” della P.A., i “colonnelli” delle sedi periferiche, la “banda degli onesti” tecnici finora esclusi dalla governance, gli analisti di retrovia, che son quelli che traggono i dati giusti, i medici e gli ingegneri arrivati dalla gavetta, gli universitari “fuggiti all’estero”, eccetera eccetera …

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30 aprile, il count down delle Provincie inizia? E Monti, avrà coraggio e tempestività?

23 Apr

L’art. 23 del Decreto ‘SalvaItalia’ prevede che “lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 30 aprile 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

 Non è dato sapere cosa accadrà il 30 aprile prossimo venturo, ma una cosa è certa: le Regioni non hanno legiferato granchè nè s’è sentito un qualche dibattito politico a riguardo.

Dunque, inizia il conto alla rovescia: tra una settimana ci si aspetta che Mario Monti presenti e si faccia approvare in quattro e quattr’otto il decreto che “sicuramente” deve avere già pronto.

Anche perchè ci sono i Comuni che attendono … il bel fiume di denaro che prima prendeva altre vie.

In caso contrario, sarà evidente a tutti – media e Presidente Napolitano inclusi – che Monti non è in grado di rendere vigenti le leggi che propone e firma, con buona pace della governabilità, visto che il taglio dei costi della Politica è atteso dalla totalità dei cittadini ed anche dagli analisti internazionali.

Certo, i partiti “storici” e le forze – ad esempio i sindacati – che li affiancano da sempre potrebbero preferire che Mario Monti cada prima di aver chiuso “le Provincie”, visto che abbiamo davanti dieci giorni di “antifascismo” e “sindacalismo”.

I costi della politica: una irrinunciabile responsabilità diretta, che da Natale  attendiamo che Mario Monti risolva, ed una terribile distrazione, in cui Napolitano, Fini, Camusso e Di Pietro – si spera almeno loro – non vorranno cadere.

Giusto per connotare i termini della “questione Provincie”, è opportuno ricordare il Rapporto del Centro Bocconi, presentato il 12 dicembre 2011.

Lo studio focalizza cinque funzioni “core”, fondamentali, attribuite alle Provincie e che rappresentano la maggior parte della spesa. In particolare, gestione del territorio e istruzione pubblica richiedono una spesa di oltre di due miliardi di euro annui “a testa”. Trasporti e sostegno allo sviluppo economico assorbono tra 1 e 1,5 miliardi di euro, mentre la tutela ambientale e il settore “sociale, cultura, turismo e sport” circa 800 milioni di euro ciascuno. Sproporzionate le spese di amministrazione, gestione e controllo, che superano i 3 miliardi di euro annui (il 26% del totale).

Buona parte di queste spese non verrebbero cassate con le Provincie, secondo lo studio sponsorizzato proprio dall’Unione Provincie Italiane, ma anche le economie del 2-3%, come prefigurato dallo studio, sono necessarie.  Tra l’altro, i risultati sono pessimi (strade rotte, trasposti rari, scuole al tracollo, welfare all’amatriciana eccetera) e un passaggio politico o burocratico “in più” implica almeno mesi se non anni per “transitare”.

Viceversa, la dimensione ed il “taglio” della Provincia sono particolarmente influenti sulla spesa.

Infatti, la quasi totalità delle provincie con una elevata “Spesa corrente per abitante e densità della popolazione” – praticamente una spesa doppia – hanno tutte una bassa densità di popolazione, meno di 200 abitanti per kmq, ma è anche vero che una quantità di Provincie poco popolate spendano come o meno di quelle  più grandi.
La densità o l’impoervietà dei luoghi non influenza l’efficienza della spesa, ovvero non tende ad incrementarla.

Il fenomeno si conferma, in parte, andando a guardare la “Spesa corrente delle province in funzione della dimensione demografica”, dato che le Provincie più piccole sono anche quelle più spendaccione. E la cosa è ancora più vistosa se andiamo alla “Spesa totale delle province in funzione della popolazione residente”.

Quasi il 30% delle Provincie rientra nei 250.000 abitanti (Ogliastra, Isernia, Medio Campidano, Aosta (anche Regione a statuto speciale), Carbonia-Iglesias, Gorizia, Olbia-Tempio, Nuoro, Rieti, Verbano-Cusio-Ossola, Oristano, Vibo Valentia, Enna, Crotone, Fermo, Vercelli, Sondrio, Biella, Matera, Massa e Carrara, Belluno, Ascoli Piceno, Asti, Imperia, La Spezia, Lodi, Grosseto, Campobasso, Terni, Trieste, Rovigo, Prato).

Il 10% della popolazione ed il 20% del territorio che per essere amministrato necessita di ben 32 Consigli Provinciali, 32 organi decisionali, con tutto il codazzo di amministrazioni periferiche dello stato, sedi sindacali e confindustriali e di enti eccetera.

Sarebbe da capire perchè, sempre per il 10% della popolazione ed il 20% del territorio, altrove  di Provincie ne bastano solo 12 con condizioni orografiche e urbane ben rappresentative (Cuneo, Foggia, Messina, Perugia, Cosenza, Verona, Bologna, Catania, Salerno, Palermo, Bari, Brescia).

Una questione di campanili? A leggere i dati, sembra di si. Peccato che, almeno i piccoli, sembra proprio che ci costino il doppio di quanto dovrebbero.

Adesso basta.

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