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Scuole ed ospedali cattolici: qualcosa da recriminare?

30 Nov

Oggi, la La CEI, colpita nel vivo, si risveglia dall’incanto ed, anche lei, protesta contro l’iniquo Mario Monti. Una Conferenza Episcopale Italiana che si è distinta, da sempre, per le continue ingerenze nella governance del nosto paese. Alcune legittime come quelle di oggi, in base all’articolo 7 della Costituzione Italiana, altre meno legittime, altre a dir poco eccessive, come la pretesa di influenzare le leggi sulla procreazione, sulla ricerca scientifica, sull’educazione dei giovani, sui diritti delle persone.

Una CEI che, come chiede il Vaticano, mette al primo posto il contrasto delle politiche anticoncezionali e dell’emancipazione di donne ed omosessuali, rispetto a cose ben più gravi come la povertà, il welfare, lo sfruttamento, l’avidità dei potenti, eccetera.

Una CEI che da mesi taceva – o quasi – nonostante le misure del Governo Monti stessero impoverendo il paese, esponendo gran parte dei lavoratori a sacrifici insostenibili, mantenendo un sistema ladrone, ingiusto ed iniquo che era stato chiamato a debellare. Una CEI che si era forse illusa, come tanti italiani, e che adesso vede, almeno nel Lazio, i propri gioielli strozzati dall’incapacità della Regione a formulare una pianificazione sanitaria, prima, ed un piano di rientro finanziario, oggi.

Una CEI che, oggi, per bocca del suo presidente, il Cardinal Bagnasco, reclama perchè è «grave se le scuole cattoliche dovessero chiudere a causa dell’Imu», batte cassa con un «c’è preoccupazione soprattutto per la mancanza di contributi», che si preoccupa se dietro la crisi della sanità cattolica «ci sono tantissime persone e le rispettive famiglie: spero che, attraverso una maggiore attenzione e l’approfondimento delle diverse situazioni, se ne possa uscire».

Un vero vaso di Pandora scoperchiato, a ben vedere, si nasconde dietro queste affermazioni.

Infatti, solo delle scuole collocate in residenze principesche od di modeste dimensioni, ma avezze ad eludere il fisco, possono prevedere dei bilanci in rosso a causa dell’IMU. Per il resto, l’IMU non dovrebbe incrementare le rette degli alunni di 5-10 euro al mese. Leggendo le dichiarazioni del Cardinal Bagnasco, si intuisce che, per le scuole cattoliche, il problema effettivo non è pagare l’IMU, quanto il regime complessivo in cui si vengono a trovare.

A tal proposito, le dolenzie per la ‘mancanza di contributi’ alle scuole rappresentano una questione aperta, ma incomprensibile senza fissare prima alcune coordinate.

Ad esempio, che “lo Stato per ogni studente della scuola statale paga 5.200 euro l’anno contro i 530 euro per ogni studente della scuola paritaria”, come sostiene Maria Grazia Colombo, presidente dell’ Associazione Genitori Scuole Cattoliche (Agesc).
Sei miliardi di risparmio l’anno per le casse dello Stato, 9.000 istituti e 727.000 studenti, secondo i dati riportati da Il Messaggero di sant’Antonio e presentati il mese scorso dal Centro studi per la scuola cattolica della Cei.

Una questione confermata dal dato ufficiale, contenuto nel maxiemendamento alla legge di stabilita del 2010, che prevedeva 245 milioni di euro alle scuole paritarie nel 2011. Se quei 727.000 alunni avessero frequentato una scuola pubblica non sarebbero costati così poco alla leva fiscale italiana, che finanzia con oltre 35 miliardi di euro i circa 4 milioni di alunni delle scuole statali.

Qualunque osservatore neutrale (ad esempio l’Unione Europea tanto decantata da Monti e Centrosinistra) si rende conto in un battibaleno che lo Stato esercita un monopolio sull’educazione dei giovani, elemento caratterizzante dei totalitarismi e delle demagogie, e che non offre pari opportunità agli alunni delle scuole private, che sono costretti, per la loro scelta, a doversela autofinanziare, pagando una retta. Una problematica che emerge anche dalle tante storie che i ‘precari delle scuole private’ raccontano in rete e che non sussisterebbe se anche i loro stipendi facessero capo al MIUR ed al MEF.

Di quanti miliardi avrebbe bisogno il MIUR, domattina, se quei 727.000 alunni decidessero di iscriversi ad una scuola statale?

Chiarito che sulle scuole cattoliche ci sarebbero tanti ‘puntini sulle i’ da considerare e che la CEI o le Associazioni dei genitori farebbero bene a precisare meglio tutta la questione, è disarmante sentire, riguardo la sanità cattolica, cose come quelle che sentiamo o leggiamo.

Non solo perchè non pochi ospedali e case di cura cattoliche hanno dato luogo a scandali e sentenze riguardo i quali la CEI ed il Vaticano non hanno mai preso duri e risolutivi provvedimenti, tra i tanti che una monarchia assoluta può disporre.

E neanche perchè le ‘tantissime persone e le rispettive famiglie’ non ci sono solo tra i lavoratori degli ospedali, ma anche tra i 2,9 milioni di disoccupati ed un esercito di casalinghe senza diritti, che vanno avanti da mesi senza una prece. E, sempre negli ospedali cattolici, tra le persone e rispettive famiglie ce ne sono alcuni che guadagnano molte migliaia di euro e tanti che arrivano solo a fine mese, ma quando si tratta di cassaintegrare o licenziare si parte dal basso e qualcuno dovrebbe spiegarci perchè si mantengono al lavoro, mentre si rischia il fallimento, dei senior già pensionabili e si licenziano invece giovani eccellenti contrattisti.

La questione degli ospedali cattolici e del suo personale è, però, un’altra: quanto intende la CEI attingere dall’8×1000 che incassa regolarmente per risanare malegestioni e recuperare in immagine ed eccellenza?
Infatti, gli ospedali e le case di cura cattolici non esisterebbero se i malati non si fossero rivolti a loro, guidati dai simboli di una fede od attratti da una qualità etica, come anche non esisterebbero senza la capacità di attrarre donazioni e contributi, prestazioni non a fini di lucro e sgravi fiscali o tributari.

E’ un vero peccato – nel senso letterale e figurato – che la Chiesa Cattolica Italiana non si renda conto che è arrivato il momento – come già accaduto altre, forse molte, volte nel corso di questi ultimi duemila anni – di dimostrare che l’etica cattolica coincide con quella cristiana, fondata sull’onestà, sull’equità e la sobrietà, a ben leggere il Vangelo e ad ascoltare quello che borbotta la gente.

Giusto, dunque, che le famiglie ricevano un contributo diretto per l’istruzione (voucher) spendibile nella scuola che scelgono, privata o statale o regionale che sia, ma è anche giusto ricordare che nel crack della sanità cattolica dovrebbe intervenire non solo la finanza pubblica italiana, ma anche quella cattolica.

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Pensioni – Fornero, pessime idee

26 Nov

Che il Governo Monti non abbia i numeri per durare è un dubbio che inizia a serpeggiare tra gli osservatori.

Sono già troppe le “buche” che questo governo ha mostrato di non saper evitare, dal protrarsi delle scelte per i ruoli di governo minori, ma “politici”, alla quasi assenza di esposizione mediatica, ovvero di attenzione al consenso popolare.
Per non parlare delle età e delle professioni rappresentate nel governo, che mostrano una squadra vecchia e lontanissima dal mondo del lavoro e delle imprese medio-piccole, per non parlare della gente: un esecutivo che mai è stato esecutivo.

Crepe già vistose, di cui torneremo a parlare, che la proposta del ministro Fornero sulle pensioni non fa altro che confermare, deludendo profondamente le aspettative di chi aveva sperato in una vera riformatrice.

Infatti, non era difficile comprendere cosa chiedono a viva voce gli italiani: stop pensioni d’annata e privilegi, meno anziani al lavoro più spazio ai giovani, sistema contributivo per tutti.

Basterebbe, per far sentire garantiti i lavoratori italiani, legiferare che nessuna pensione possa superare lo stipendio iniziale dell’ultima/migliore professione svolta. Facile come bere un bicchier d’acqua.

Cosa offre il ministro? Più anziani al lavoro, meno spazio ai giovani, sistema contributivo solo per chi è ancora al lavoro.

In due parole, potrebbe esserci uno scarto anche del 15%  sulla pensione tra un lavoratore pensionatosi lo scorso anno ed uno che sta andando via oggi con la stessa entità contributiva.

Rieccoci con le pensioni d’annata …

L’incredibile è che la motivazione di un intervento così iniquo sia dato dal fatto che, come annuncia lo stesso ministro Fornero su La Repubblica, i “principi, che sembrano banali, sono stati spesso largamente disattesi, nel periodo preriforma, ma anche successivamente, sia con la riforma Amato (1992), sia con la riforma Dini (1995), in modo particolare con la scelta di tutelare i “diritti acquisiti” dei lavoratori meno giovani, scaricando invece sulle nuove generazioni l’onere dell’aggiustamento. E hanno continuato a essere disattesi nel periodo successivo, a ogni nuovo intervento sulla transizione.”

Ma non finisce qui: non è solo un problema di equità.

Infatti, il neoministro del Welfare sarebbe anche dell’idea di “non si può prescindere dall’abolizione delle ingiustificate posizioni di privilegio che perdurano per molte categorie difficilmente annoverabili tra i bisognosi, come i liberi professionisti con le loro casse.
E dire che eravamo tutti d’accordo, tempo fa, che nell’additare il duopolio INPS-INPDAP come l’elemento sistemico che ha messo in ginocchio il sistema pensionistico italiano, oltre a creare una commistione pericolosa tra previdenza, assistenza e politica.

Dunque, la ricetta del governo Monti per le pensioni è sostanzialmente quella di colpire “i lavoratori nati tra il 1950 e il 1962”, di fare cassa tramite l’assorbimento delle poche forme assicurative “privatistiche” esistenti.

Magari, il prossimo passo, dopo aver accorpato tutte le pensioni nell’INPS-INPDAP, sarà di trasformarli in aziende di Stato e metterli sul mercato …

Ecco il “progetto Monti” per noi più giovani di loro: niente equità, ma, soprattutto, tanto statalismo, a cui potrebbe far seguito  un’enorme cessione del sistema previdenziale, visto che siamo nelle mani di banche e sindacati.

Un’idea involutiva, visto che se i giovani in Italia avessero un sistema sbloccato, potrebbero iniziare a lavorare e versare contributi prima dei 25 anni, risolvendo il problema all’origine, e visto che, con un sistema assicurativo libero, ogni lavoratore può negoziare individualmente il proprio pensionamento.

L’avevo detto io che se non era pan cotto era pan bagnato …

(leggi anche Pensioni, quelle d’annata non si toccano e Pensioni, quel che propone Confindustria)

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Pensioni: quelle d’annata non si toccano …

24 Nov

La riforma delle pensioni «è già stata largamente fatta ma necessita di tempi più accelerati», Elsa Fornero ministro del Welfare.

Una «azione improntata a sobrietà», in nome dell’equità dice il neoministro, che «implicherà che i sacrifici imposti siano equlibrari in funzione della capacità di sopportazione dei singoli».

Non è quello che ci aspettavamo: restano intatte le pensioni d’annata e quelle d’anzianità che, non essendo su base contributiva, gravano “inspiegabilmente” sugli attuali e futuri lavoratori.

Questo è tutto quello che le generazioni nate tra il 1925 ed il 1950 hanno riservato a noi che siamo nati dopo di loro.
E’ iniziata quando avevamo ancora 15 anni, cambia poco se fossero gli Anni Settanta, Ottanta o Novanta e, dopo 20-30 anni, continua ad andare così.

Una letale e brutale corsa senza traguardo e senza vincitori: una generazione in esubero da “smaltire”.

Predatori, che ci hanno portato alla rovina arraffando tutto quello che c’era, durante il Boom economico, e che intendono continuare a farlo finchè ci sarà sangue e linfa da succhiare.

Le loro pensioni non si toccano, le nostre si.

E questa il ministro Fornero la chiama “equità”?

(Leggi anche Pensioni – Fornero, pessime idee e Pensioni, quel che propone Confindustria)

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Il rischio recessione

24 Nov

Queste le ultime dichiarazioni di Mario Monti.

Ho illustrato il programma in corso di articolazione del governo, e ho insistito nell’interesse che l’Italia ha di perseguire in modo rigoroso gli obiettivi di consolidamento della finanza pubblica, entro termini serrati, confermando l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 e in modo sostenibile.

La sostenibilità implica anche una crescita economica non inflazionistica, non alimentata dal disavanzo. Questo significa riforme strutturali.

“L’Italia ha un rilevante avanzo primario, ma deve fare sforzi particolari. Non è in discussione l’obiettivo del pareggio di bilancio, esiste un problema più generale di cosa accade se si entra in una fase recessiva.”

Fase recessiva? Eh già …

Da tempo questo blog ha richiamato l’attenzione sulla necessità di sostenere un’inflazione contenuta, a causa dell’elevato interesse sul debito, e di evitare spinte inflattive forti, derivanti da fattori speculativi,  a fronte della prevedibilissima flessione dei consumi causata da patrimoniali, nuove imposte dirette ed indirette, tassi di interesse accresciuti, incertezza riguardo lavoro, salute e pensioni.

Il rischio recessione, grazie al salasso che ci colpirà a breve, è notevole e tutto ci serve fuorchè un ulteriore downgrade dei prezzi degli immobili od ulteriore caos e tagli sui servizi pubblici.

Non è una partita tecnica però, bensì politica, visto che i piani regolatori toccano ai Comuni,  i piani di gestione sanitari alle Regioni ed il welfare e la formazione a tutti e due. Comuni e Regioni, cassate le Provincie si spera, che potrebbero, dati i precedenti, dissolvere in un mare di sprechi, cemento e prebende ciò che è congelato dal Patto di Stabilità e non solo, impoverendoci ulteriormente.

Le rassicurazioni per il governo Monti non devono arrivare solo dall’Europa, ma soprattutto dai partiti nostrani, che oltre le “amene” chiacchierate a Porta a Porta non vanno, quasi che il problema non fossero anche e principalmente loro.

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Rajoy promette “lacrime e sangue” e vince

21 Nov

La Destra spagnola, con il centrista Rajoy in testa, vince promettendo “lacrime e sangue”. Intanto, i mercati crollano.

Questo il dato che va a completare il mosaico del “panic” europeo.

Sono quasi due anni che l’Europa, e con lei il mondo, ha dovuto fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria che andavano a portare a nuovo esito i diversi “difetti di produzione” presenti nelle democrazie che si affaciano sul Mediteraneo.
E’, dunque, ora che naviganti ed osservatori siano in grado di leggere bussole e sestanti, onde pervenire ad un esito soddisfacente per i cittadini europei.

La prima a cadere, ricordiamolo, fu la Grecia, sostanzialmente un “non stato”, se andassimo a rintracciarla sulle carte storiche, nato più per diseuropeizzare la Turchia e per fronteggiare l’espansionismo sabaudo, con buona pace dei nazionalisti greci.
Una nazione che può sostenersi solo in base a quanto l’Europa ha intenzione o possibilità di dare, sia turismo, siano sussidi, siano prestiti.

Poi, venne il turno dei due altri PIIGS, Spagna e Portogallo, dove, parliamo di Madrid, il governo Zapatero, esempio fulgido per la Sinistra italiana, venne preso del tutto alla sprovvista dagli eventi e proprio dove sono nati, guarda caso, gli Indignados nel nome della meritocrazia e contro la cooptazione, oltre che contro il Partito Socialista locale.
Due paesi dove, dopo le dittature militari cinquantenarie, aveva attecchito un modello socialdemocratico e consociativo, durato con qualche discontinuità fino ai nostri giorni.

Si arriva all’Italia, con tutto quello che sappiamo e con tutte le attese di vivibilità, di semplicità e di equità, che Mario Monti dovrà soddisfare. Esigenze, internazionali ed italiche, che, a dire il vero, non si sa ancora come saranno accolte dall’attuale Governo Italiano e, soprattutto, da parlamento, sindacati, clero e cittadini.
Utile aggiungere che l’Italia non è riuscita a superare le dialettiche (e le dicotomie) preunitarie e del Ventennio, mantenendo una infrastruttura di Stato e parastato immutabile ed additiva, negando “a prescindere” il concetto di “piena delega”.

Fatto sta che i mercati non reagivano positivamente alla notizia, nonostante Berlusconi si fosse fatto da parte e l’Italia avvesse, nella sostanza, accettato un “commissariamento tecnico”.
Anzi, la deriva finanziaria si è estesa, allargandosi alla Francia, terra madre dei sistemi di gestione della finanza pubblica vigenti nei paesi menzionati. Una Francia che, però, ha un debito pubblico in ordine e non dovrebbe patire un declassamento del rating.

Il tutto, mentre la Cina Popolare è diventata la prima potenza mondiale, in termini di produzione e di finanza, superando gli Stati Uniti di Obama.

E’ evidente che i mercati stano rispondendo a logiche diverse e non solo speculative. Per “mercati” intendiamo il sistema dalle cause e degli effetti finanziari e produttivi.

Da un lato, è palese che agli stati cattolci dell’UE venga chiesto di ridurre la (onni)presenza del “pubblico” e di superare un welfare fondato sul populismo e l’assistenzialismo.  Un “metodo” che ha permesso trasformismi in tutti i diversi paesi, che permette alla pubblica amministrazione tempi smisurati, che non facilita il monitoraggio ed il controllo di gestione.

Dall’altro, inizia ad essere evidente, almeno agli addetti di settore, che quello in crisi è il modello di bilancio pubblico, su basi ordinamentali, strutturato, all’origine, dalla Francia. Un sistema non compatibile, o quantomeno sovrapponibile, a quello anglosassone, vigente in tutto il resto del mondo che conta.

Infine, dobbiamo ricordare che un’Europa debole e disunita non può far fronte alla forza finanziaria delle principali banche indiane, cinesi, brasiliane. Questo ha come conseguenza l’espansione delle corporation ed indebolisce tutta la filiera produttiva e distributiva tradizionale, fatta di artigiani, piccoli produttori, aziende di nicchia.

Tre cose che sarà molto difficile da far digerire agli (indo)Europei, selezionatisi nei secoli anche per la propria attitudine a dire la propria ed a far valere i propri diritti.
Per questo i cittadini, spagnoli e non solo, chiedono “lacrime e sangue”.

Solo un’Europa “etica” e “sobria”, come quella dei suoi barbari antenati, può reggere all’infiltrazione delle corruttele, delle mafie, degli speculatori, dei pressappochisti.

Non ha nessun futuro un’Europa che dovesse continuare a dividersi in “potenti”, cooptati, privilegiati e “cittadini”. C’è chi reagisce chiedendo o promettendo “lacrime e sangue”, chi cercando di salvare la Casta e gli affari di bottega  e chi speculando per il proprio tornaconto impoverendo chi gli vive intorno, ma la sostanza è la stessa.

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Bank of India sbarca in Italia?

20 Nov

Una settimana è trascorsa dal “venerdì nero” dei fondi italiani ed il Governo Monti  sta per insediarsi, la Cina sta pe sorpassare gli USA e la Gran Bretagna non è più una realtà finanziaria mondiale.

Intanto, nel cosiddetto “six pack”, l’Unione Europea annuncia l’introduzione, in ogni stato membro, di un “Consiglio indipendente di bilancio’ autonomo, con il compito di monitorare i conti e con poteri ispettivi.

Le Borse europee non sono andate meglio, questa settimana, ma neanche peggio, anche se la turbolenza sembra si stia spostando sulla Francia.

Così accade che anche Oltralpe ci siano cittadini indignati, Les Indignees come li chiamano da quelle parti, e la mappa che segue rappresenta l’Europa per come potrebbe diventare.

Singolare davvero …

Specialmente se, ricordando che Sonia Gandhi ha studiato presso l’istituto dei Salesiani a Torino più o meno nello stesso periodo in cui metà del governo frequentava scuole cattoliche tra Torino e Milano, ci si dovesse chiedere da dove arrivano i soldi per almeno 6-700 milioni di euro in Buoni del Tesoro che sono, in questi giorni, all’asta.

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Precari: meridionali tutti a casa?

1 Apr

Ancora 3 mesi e le decine di migliaia di supplenti meridionali in servizio al Nord  resteranno senza lavoro e stipendio, dato che il ministro Gelmini progetta di relegare ognuno nella propria provincia di residenza.

Una iniziativa, che fa seguito agli ostacoli già posti dal MIUR, da qualche anno a questa parte, ai trasferimenti del personale di ruolo da regione a regione e che ha trovato finora “ampia disponibilità” da parte del sindacato più rappresentativo del mondo della scuola, ovvero la Federazione Lavoratori della Conoscenza della CGIL.

Un approccio unico al mondo, dato che insegnamento, cultura e sapere non hanno confini ed amano la pluralità. Intanto, su circa 65mila precari della scuola 2/3 sono meridionali e la maggior parte dei posti ad incarico è nelle regioni settentrionali …

Il panico che si sta diffondendo tra i precari è giustificato anche dall’estinzione delle cosiddette graduatorie “di coda”, un coup de frode del ministro Gelmini avallato dai sindacati, che sono state giustamente dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale.

Per non parlare della class-action di 40 mila precari  (scuola e università) annunciata dal Codacons o della sentenza del giudice del lavoro di Genova che ha condannato il ministero a pagare quasi 400mila euro come risarcimento per 15 precari, non assunti dopo 3 anni di servizio continuativo.

Il MIUR promette tante assunzioni, forse 50mila in tre anni, ma questo significherebbe far saltare i vincoli di bilancio fissati da Tremonti che sono ormai l’unica “certezza” della maggioranza al governo. Improbabile o meno che sia, la soluzione gradita a ministro e sindacati non farebbe altro che riproporci, tra pochi anni, un’eguale massa di precari tra gli attuali neolaureatiche non potranno trovare alcuna collocazione.

Una “politica del fare” piuttosto fallimentare, quella del ministro Gelmini, specie se si tiene in conto che da tre anni almeno esiste una proposta dell’on. Aprea del PdL che avrebbe evitato questo disastro “generazionale”, dotando le scuole di piena autonomia, trasferendo competenze alle Regioni, fornendo le famiglie di sussidi e libertà di scelta.

Una proposta di legge “di destra” che nasce in seno alla maggioranza, che adempie al mandato costituzionale riguardo le competenze sull’istruzione e che, seppur sgradita dall’opposizione, con qualche limatura poteva essere ragionevolmente accettabile per tanti.

Peccato che il disegno di legge equiparasse la scuola pubblica alla privata e che, nell’attuale contesto, quest’ultima goda di inestimabili vantaggi … oppure che, trasferendo le competenze alle regioni, andrebbero a federalizzarsi anche i contratti di lavoro.