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La grande bugia (che accomuna Berlinguer, Prodi e Renzi)

24 Mar

Quando avevo 20 anni, Enrico Berlinguer annunciò i ‘sacrifici’, che equivalsero a dire che noi giovani diplomati e laureati dovevamo aspettare per salvare il lavoro dei padri di famiglia con le medie e le scuole professionali.

Quando ne avevo 40, furono Romano Prodi a spiegarci che il lavoro era finito, ce lo dovevamo inventare creativamente, ma che il mondo restava solidale, così c’era pure da pagare welfare e pensioni dei nostri padri

Adesso che vado per i 60, Matteo Renzi mi spiega che va sacrificato il lavoro dei padri di famiglia diplomati e laureati, mettendoli per strada da anziani, per dar lavoro a giovani senza una professione, preavvisandomi che costoro non verseranno mai abbastanza contributi neanche per se stessi grazie alle leggi sul lavoro precario che Antonio Bassolino emanò.

Dico … ma – visto come è iniziata la ‘storia’ e la quantità di ‘balle’ che lo ‘stesso partito’ ha riservato ad un’intera generazione, almeno Renzi potrebbe rivolgersi ai padri di famiglia del 1977, che costituiscono quasi il 30% dei residenti e versarono tutto pre-inflazione e pre-contributivo, anzichè a quelli del 2007, che sono si e no il 10% e bene o male hanno versato il giusto?

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Vivere nella Crisi

5 Lug

La prima volta che ci dissero che arrivava la Fine del Mondo era agli inizi dei Settanta: crisi petrolifera, domeniche a piedi, benzina razionata, ma dopo un po’ iniziarono a vendere le Fiat 127 agli operai.
Lo chiamarono capitalismo postindustriale, la bacchetta magica, wow!

La seconda fu pochi anni dopo: era il 1977 e fu annunciato che non c’era abbastanza posto per noi, nati nei Cinquanta: li chiamarono sacrifici, ma eravamo noi ragazzi i martiri.
Non loro, oggi come ieri.

Poi, fu la volta del 1982. Arriva Reagan, impera Tatcher e, di nuovo, la crisi incombeva. Stavolta era il Welfare a fare acqua. E così accadde che per stare meglio, ci tolsero quello che serviva per non stare peggio: formazione, politiche per le famiglie, meritocrazia.
Dopo di che incominciammo ad affastellare esistenze ai bordi delle città e le periferie diventarono una giungla d’asfalto.

Dieci anni dopo circa, un’altra mattanza. La colpa, questa volta, era delle Tigri Asiatiche e degli speculatori delle casse rurali USA. In realtà, era caduto il Muro di Berlino e s’era aperto il serraglio del Caos. Il problema si risolse iniziando a mettere all’asta CdA e cariche pubbliche; le mafie e le lobby gradirono e approfittarono.
Finì che i migliori andarono in esilio o si ritirarono progressivamente in buon ordine.

E poi accadde di restar fermi nel pantano per 20 anni con due tizi in TV – uno pelato e l’altro occhialuto – a catalizzare il (pseudo)dibattito economico e politico. Prevalsero i comici e gli imbonitori da talk show: ad ognuno la sua professione, o no?
No. La gente confuse i comici per politici e la politica per una comica: frittata fatta.

Ed oggi si presentano con l’ennesimo Armageddon, un’altra Apocalisse, come se potesse ancora farci paura e come se non sapessimo che a noi ‘nati dopo il 1955’ tocca solo lavorare – se possibile – e pagare le tasse.
La pensione? I giovani? Si vedrà …

Ritornando all’inizio della storia, a quegli Anni Settanta, non resta che chiedersi cosa ci abbiamo guadagnato da tutta questa ‘crescita’ e dalla sopportazione che abbiamo dimostrato. L’aspettativa in vita?

… ma solo a patto che la Sanità funzioni e, soprattutto, che sia una vita che valga la pena di essere vissuta.

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Elsa Fornero? Si dimetta dal Welfare

28 Giu

Elsa Fornero ha dichiarato che ‘il lavoro non è un diritto, va conquistato con i sacrifici”. La Costituzione, invece, recita “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, una norma che, pur essendo il primo articolo della Carta costituzionale, non sembra sia stata mai pienamente attuata.

Infatti, se parlassimo di ‘diritto al lavoro’, come tanti asseriscono, allora dovremmo chiederci perchè disoccupati e disabili non siano adeguatamente ‘indennizzati’ a causa del mancato accesso a questo diritto. Ovvero, perchè non esiste un salario minimo?
Se, viceversa, si trattasse di ‘dovere al lavoro’ dovremmo farci una ragione del perchè esistano tanti disoccupati o sottoccupati – specialmente giovani ed over50enni – nel nostro Paese e di come siano stati maturati vitalizi e pensioni d’oro.

In ambedue i casi – e specialmente se si trattasse di un ‘dovere’ – il lavoro va fornito e non conquistato e , caso mai fosse parleremmo di merito e pari opportunità, non certamente di sacrifici, se non quelli che lo studio e l’esperienza richiedono.

La questione che va ben oltre la nostra Costituzione italiana e che attinge direttamente ai ‘fondamentali’ del pensiero economico.

Infatti, fu Thomas Hobbes a scrivere che «la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno Stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa». (Thomas Hobbes, Leviatano p. 167)

Lo Stato opera per la pace sociale ed a difesa di tutti i discendenti di coloro che, a suo tempo, «cedettero il diritto di governare se stessi ad un uomo o ad una assemblea di uomini», a condizione di avere pari diritti, pace e tutela.

Pensare che ‘il lavoro vada conquistato con i sacrifici” è un’idea che azzera il patto sociale sul quale si regge uno Stato.
Senza ‘pari diritti, pace sociale e difesa dei deboli’ si ritorna al mondo che esisteva prima dell’avvento degli Indoeuropei e delle prime monarchie.
Oppure, si va verso un incerto futuro, con uno Stato ridotto ad un guscio rinsecchito, e ci ritroveremmo tutti a vivere in qualche arcipelago mondiale della narco-corruzione od in uno dei tanti territori dove la ‘polizia’ sono i contractors della security di qualche multinazionale ed i ‘giudici’ sono i corrispettivi avvocati.

Dunque, Elsa Fornero si sbaglia: Stato e divisione del lavoro sono l’un l’altro connaturati.

Il lavoro è un diritto/dovere: è l’elemento contrattuale essenziale per il quale vada a costituirsi una società ove esista una specializzazione tecnica e, dunque, una divisione dei compiti.
Parliamo di aspetti della gestione sociale di cui troviamo tracce (ovvero norme e regole) nella società minoica, che racchiusa in un’isola, si trovò ben presto a dover risolvere i problemi del ‘lavoro’, derivanti dalla presenza di molte ‘industrie’ di produzione di ceramiche e terracotte e dal sistema di trasmissione ereditaria delle terre, che ne salvaguardava – guarda caso – il controllo da parte delle linee familiari proto-isolane.

Il lavoro va creato, fornito, distribuito, diversificato, cercato, richiesto, terminato, ma non conquistato. Le ‘conquiste’ si addicono alle ‘carriere’, ma essere in carriera non significa necessariamente ‘lavorare’ per uno scopo (mission) od un obiettivo comune.

La frase del ministro Fornero non è stata pronunciata durante una estemporanea intervista per strada. Erano parole ben meditate, visto che certi speech vengono, di solito, accuratamente preparati.
Certo, potremmo pensare che Elsa Fornero non abbia ancora compreso che si rivolge ad una platea di milioni di persone che vivono una vita di sacrifici e non a qualche decina di fortunati amici e conoscenti, scelti e selezionati in quella Grande Turìn, che tanti meridionali ricordano come avida, bigotta e razzista.

E sono parole – se non potenzialmente ‘eversive’ dell’ordine precostituito (lo Stato) – certamente ‘rivoluzionarie’ ed i ministri queste cose non le dicono.

Ma non solo. Stiamo parlando di un ministro del Welfare, che vede milioni di giovani, donne e padri di famiglia per strada, senza lavoro, sottoccupati o sfruttati, probabilmente indebitati (cos’altro è il mutuo o la rata dell’autovettura?) e senza un futuro almeno per i prossimi due o tre anni, se andasse tutto bene.
Ed altri milioni di cittadini elettori e contribuenti, se volessimo parlare di chi – malato, invalido od anziano – avrebbe bisogno non tanto di cure, quanto di vivibilità, ovvero di due spiccioli, un tetto sicuro e qualcuno da chiamare in caso di bisogno.

Altrove, si stava già parlando di dimissioni: il welfare aiuta chi ha bisogno, non gli chiede sacrifici per alimentare bilanci statali od aziendali. Peggio ancora se pensiamo a chi un lavoro l’ha perso a causa di qualche speculatore o di un imprenditore  incapace, troppo furbo o affossato dalle banche e dai crediti dovuti da enti pubblici.

Lasciare al Welfare una persona che non sia convinta che un qualsiasi Stato si debba reggere su un patto sociale è come mettere il lupo nell’ovile.

Come anche dovremmo prendere atto che il Wall Street Journal ha tenuto a precisare che (la riforma del lavoro del)la ministra Fornero «svuota il Lago di Como con mestolo e cannuccia».

Se Mario Monti ed il Parlamento, trascorso il vertice UE, vorranno ancora eludere la ‘problematica’, non resteremo meravigliati da questo ennesimo atto di arroganza, ma, di sicuro, i ‘mercati’ prenderanno atto che il Leviatano italiano è davvero ‘sick’ ed ‘out of order’ e che la stabilità italiana, di questo passo, è lungi da venire.

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