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Come ridurre le tasse e sanare il debito in mezza generazione

28 Nov

Sappiamo tutti che l’Italia ha una leva fiscale stimata tra il 60 ed il 70%, se parliamo di un piccolo imprenditore o di un professionista, intorno al 50% se parliamo di worker class.
Dunque, se vogliamo giustizia sociale, investimenti ed occupazione, dobbiamo ridurre le tasse e non di poco.

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Ridurre le tasse non è semplice, dato che vengono completamente assorbite dalle spese  della Pubblica Amministrazione, dalle pensioni ‘di Stato’ e dall’assistenza sanitaria ‘universale’.
E, come noto, spesso le entrate non coprono queste spese, da cui deficit e debito pubblico.

Una voragine di spesa che fa capo alle tre grandi anomalie italiane:

  1. una pubblica amministrazione gravata quasi esclusivamente per le spese di funzionamento e gli oneri stipendiali degli ancora milioni di addetti in un dedalo di iter decisionali discrezionali o contrattualizati nell’epoca dell’Amministrazione Digitale
  2. un sistema assicurativo previdenziale statale a base contributiva, ma senza Fondi Pensione – trasformati anch’essi in tasse – e con l’Inps che opera in condizioni di assoluto monopolio (95% del totale)
  3. un’assistenza sanitaria “universale” che attinge direttamente sulla capacità produttiva (sic!) del Paese, leggasi accise, Irap ed Iva etc.

Anomalie italiane non per qualche bieca ideologia antipopolare, bensì perchè così è scritto in Costituzione.

  1. Articolo 97: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la SOSTENIBILITA’ DEL DEBITO PUBBLICO.”
  2. Articolo 38 “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed ASSICURATI mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. L’assistenza privata è libera. Provvedono organi ed istituti predisposti o INTEGRATI dallo Stato.”

Oggi, in Italia è il contrario, la Costituzione parla chiaro e non servono misure tatcheriane per venirne a capo.

  1. Riportiamo la Sanità al mandato costituzionale dell’Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
  2. Prevediamo che i lavoratori siano liberi di assicurarsi dove meglio credono (e non per forza presso la ASL o l’INPS) “in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
  3. Pretendiamo che la PA garantisca innanzitutto i servizi minimi nei costi standard. Semplifichiamo e innoviamo procedure e tecnologie, sbloccando le pensioni per chi ha almeno 30 anni di servizio (Quota 95 o 100).
  4. Introduciamo anche in Italia i voucher alle famiglie per l’istruzione dei figli ed un salario /reddito minimo in vece degli alloggi popolari e sussidi vari o delle pensioni di invalidità.

Stiamo parlando di quasi 200 miliardi di euro annui che andrebbero ad essere sottratti al deficit: solo così possiamo prevedere di riportare il bilancio in attivo in meno di una generazione.
Solo così abbasseremo le tasse, renderemo i servizi sanitari ed assicurativi degni dell’Europa di cui facciamo parte e potremo rendere la nostra burocrazia più trasparente e snella.

E’ per i nostri figli (o nipoti) che serve farlo. Da che parte stiamo?

Demata

P.S. Certo, questo cambiamento toccherà equilibri e status quo, come per i policlinici universitari e le ASL che dovranno privatizzarsi per davvero a partire dal dover garantire standard certificati e servizi pianificati, non sale d’attesa e Recup tra sei mesi.
E dovrà cambiare tanto mondo del volontariato, se anche i poveri avessero uno stipendiuccio, ovvero la possibilità di scegliere. O l’agroalimentare, che tra sussidi ed esenzioni, oggi vale neanche il 5% del nostro PIL. Oppure le politiche locali, se le famiglie potessero scegliere tra scuole sgarrupate e altre linde e pinte.

Insomma, è difficile che il PD di Matteo Renzi o i Cinque Stelle di Di Maio riformino un qualche cosa che possa ridurre la spesa pubblica (e le tasse) … con Enrico Letta e con Di Battista sarebbe stata un’altra cosa …

Inefficienza pubblica e PIL italiano

6 Ott

“Le inefficienze del settore pubblico pesano sugli investimenti e produttività”, questo il titolo di un paragrafo del Report sull’Italia del Fondo Monetario internazionale emesso nel luglio scorso.

“Secondo gli indicatori della Banca mondiale per il 2016, ad esempio, ci vogliono 1.120 giorni per far rispettare un contratto, 227 giorni per ottenere un permesso di costruzione, e 124 giorni per ottenere una connessione elettrica: un tempo sostanzialmente più lungo rispetto alla media OCSE.

La debole prestazione del settore pubblico può essere attribuita a diversi fattori. In particolare, alle eccessivamente lunghe ed onerose procedure burocratiche, alla sovrapposizione di competenze ed ai conflitti intra-istituzionali, alla mancanza di capacità amministrativa, determinata dall’invecchiamento della forza lavoro e dall’incompetenza. Ad esempio, l’Agenzia per la contrattazione della pubblica amministrazione considera indeguate le competenze di un terzo delle posizioni studiate.

La durata media di una gara d’appalto è di 210 giorni, rispetto a una media europea di 77,4 giorni, mentre il numero di contratti con offerta che vengono assegnati è circa un terzo (ndr. i vincitori sono sempre gli stessi). Questo aumenta la percezione della corruzione come fenomeno diffuso.

Il numero di imprese pubbliche locali è proliferato ad oltre 8000 (ndr. senza contare le scuole), sullo sfondo di un quadro complesso di affidamento diretto dei contratti di servizio con nessuna gara aperta. In molte aree, la fornitura di servizi locale è dominato da monopoli assegnati ad aziende di proprietà o legati ai governi locali.”

Da La Repubblica di oggi: “Perché allora l’Italia non cresce come la Germania? La differenza è data dai consumi della Pubblica amministrazione. Al netto della Pa, la crescita cumulata del Pil italiano negli ultimi sei semestri sarebbe stata dell’1,3% e quello della Germania dell’1,4%.”

Demata

Sanità fuori bilancio: cosa fare?

15 Set

Il finanziamento del Servizio Sanitario è fondato sul D.Lgs. 56/2000 che ha previsto un sistema fondato su quattro fonti di risorse: l’IRAP, l’addizionale regionale all’IRPEF, la compartecipazione all’IVA e la compartecipazione all’accisa sulle benzine.

L’IRAP – ricordiamolo – è l’imposta regionale sulle attività produttive a carico delle imprese ed è proporzionale al fatturato e non all’effettivo utile di esercizio.
In pratica, equivale ad una sorta di ‘Danegeld’ (balzello) medievale sulla capacità produttiva, che – come da dottrina economica e prassi confermata – deprime la spinta all’innovazione e agli investimenti, mentre fomenta l’evasione fiscale, il contrabbando e il plagio.

L’addizionale Regionale all’Irpef è una quota tributaria aggiuntiva (0,9%) per sostenere la spesa sanitaria applicata su qualsiasi reddito delle persone fisiche. E’ incrementabile dalle singole regioni anche del doppio (es. Puglia 1,8%). Opportunamente ricalibrata, appare essere – con la compartecipazione dell’IVA – una buona forma di finanziamento del sistema sanitario pubblico di base (servizi essenziali e per gli indigenti), come la Costituzione prevede.

La compartecipazione all’IVA è una quota annuale che compete a ciascuna regione, determinata sulla base della media dei consumi finali delle famiglie e di parametri riferiti alla popolazione residente, alla capacità fiscale, ai fabbisogni sanitari ed alla dimensione geografica di ciascuna regione. Importante ricordare che, nel caso in cui la quota spettante ad una regione risulti inferiore a quanta necessaria, interviene la solidarietà interregionale che preleva dalle regioni con “surplus di IVA”, le quali, in tal modo, vedono frenata la propria capacità di migliorare i servizi o ridurre la pressione dei tributi locali, mentre quelle sussidiate restano sotto il giogo della sovratassazione dell’Irpef e del regressivo consociativismo localistico.
Allo stato attuale (settembre 2016), l’applicazione delle disposizioni, atte a definire ed assicurare il livello minimo assoluto sufficiente al finanziamento dei livelli minimi essenziali delle prestazioni (i così detti ‘costi standard’ per sanità, assistenza sociale, istruzione scolastica, spesa in c/ capitale) attende di entrare in vigore al 2013.

L’accisa sulle benzine che rappresenta un’importante entrata dello Stato Italiano e delle Regioni. Nel 2011, valeva oltre 20 miliardi di Euro, cioè il 5% di tutte le entrate a bilancio dello Stato, più una somma equivalente derivante dall’IVA.
L’accisa è un tributo indiretto perché il produttore, che paga il tributo sulla quantità, invece che sul prezzo, la gira al consumatore. Solitamente, rappresenta un’alta percentuale del prezzo al consumatore finale. Nel caso delle benzine, la ricaduta delle accise incide non solo sul costo dei mobilità su gomma, quanto sul quelli delle merci, specie le derrate alimentari, e ad esserne intaccati sono maggiormente i redditi più bassi.
Utile ricordare che finanziare un servizio essenziale come la sanità di base attingendo prevalentemente da accise equivale a voler garantire spese in conto capitale ricorrendo alla cassa corrente e lo stesso discorso potrebbe esser fatto per la compartecipazione dell’IVA.

A latere, ricordiamo che nell’accisa benzine, che destiniamo alla Sanità, ci sarebbero 0.0071 euro/litro per il finanziamento alla cultura e 0,04 euro/litro per l’emergenza migranti dal 2011, 0.02 euro /litro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri dal 2014, 0.005 euro/litro per l’acquisto di autobus ecologici dal 2005, 0.000981 euro/litro per il finanziamento della guerra d’Etiopia dal 1936 e tanto altro ancora.
Ad esempio, nell’accisa sulle benzine ci sono anche 0.0387 euro/litro per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia dal 1980, 0.0511 euro/litro dal 1976 per quello del Friuli, 0.00516 euro/litro dal 1963 per la ricostruzione post disastro del Vajont, che avremmo potuto (dovuto?) usare per mettere in sicurezza sismica almeno gli edifici pubblici.

La Sanità ed il corrispettivo Comparto Assicurativo vanno ricondotti nel mandato costituzionale, perchè “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” e non a tutti, perchè “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e non per ragioni di bilancio, perchè “l’iniziativa economica privata è libera” e non un monopolio di aziende a capitale e controllo pubblico.

Il finanziamento del Servizio Sanitario Regionale deve fondarsi esclusivamente sull’addizionale regionale all’IRPEF e sulla compartecipazione all’IVA in base a ‘costi standard’ e deve servire a fornire cure gratuite agli indigenti e, nel caso volessero servirsene, ai cittadini assicurati. A riguardo, il riferimento non è dato dal sistema vigente in USA, quanto da quello tedesco delle Versicherung o, anche, delle ‘Casse’ in auge fino agli Anni ’70 ed in alcuni casi (vedi i giornalisti) ancora esistenti.

Il Servizio Sanitario Nazionale deve fondarsi su specifiche voci di bilancio a vertere sull’Erario e – oltre ad avere poteri di subentro commissariale – deve servire a funzioni di monitoraggio, controllo e prevenzione, come alla gestione delle patologie epidemiologiche e delle malattie rare, in particolare nel garantire su tutto il territorio nazionale l’accesso universale e gratuito  ai farmaci sperimentali e/o ‘orfani’.

La spesa assicurativa e sanitaria dei cittadini va dedotta dalle tasse entro un tetto proporzionale al reddito ed un criterio analogo è utile anche per determinare quale pressione fiscale serva per garantire i servizi essenziali ed universali. In brevis ed a titolo esemplificativo, potrebbe riconsiderarsi il 9,9% del reddito, come previsto prima del D.Lgs. 56/2000.

Non farlo significherà solo andare avanti con tagli su tagli, mentre l’onere della spesa, grazie alle accise sui carburanti, graverà proporzionalmente di più tra chi ha un minor reddito e l’aggravio strutturale finirà sulle imprese, grazie soprattutto all’Irap non finalizzata alla ripresa e alla crescita produttiva della Nazione.

Demata

2015: previsioni facili per un anno difficile

31 Dic

Giorni fa, chicchierando con due politici locali, mi trovavo a segnalare che la ‘gente’, per l’anno che verrà, proprio non ha ‘sogni nel cassetto’, niente speranze, niente prospettive. Al massimo il sogno di andare via, per se e/o i propri figli, emigrando a nord o all’estero.
E ricordo sia le loro facce sgomente nell’esser posti dinanzi al dovere di ‘dare un futuro alla polis’ sia il loro silenzio attonito sia il mio corrispettivo stupore, dinanzi a tale vacuità.

Cosa ci aspetta per il 2015? Cosa ci lascia il 2014?

Sul fronte dei partiti italiani, ciò che accade è ormai evidente: il Paese è bloccato a causa della faida perpetua che attangaglia la Sinistra (Italia, Grecia o altrove è uguale) e quella che è de facto una minoranza degli italiani riesce ancora a bloccare riforme attese da 20 e passa anni.

Riguardo l’economia, il 2014 è stato un altro ennesimo anno nero ed infatti ci siamo beccati ben due abbassamenti di rating, finendo nella sentina del BBB+ oltre la quale c’è solo la quarantena, dato che l’attuale parlamento – a ben vedere – non ha reso esecutive le tante e troppe riforme che servirebbero. Anzi in molti casi non le ha proprio approvate neanche a livello di norma generale.
Inoltre, la spesa pubblica aumenta, nonostante i tagli su tutti i servizi e il blocco degli stipendi e delle pensioni, ma nessuno ci spiega quale ne sia la causa, come anche i conti vengono puntualmente smentiti, ma nessuno paga per gli errori fatti.

Intanto, sul fronte della ripresa, Napoli e Milano stanno dimostrando che – nonostante il malaffare – un rilancio infrastrutturale e d’immagine è possibile, Roma no. Non solo il fiasco dei Fori pedonali e di Malagrotta o le vergogne di Parentopoli e di Mafia Capitale oppure l’incapacità a costruire in tempi ‘ordinari’ un palazzo congressi o uno stadio, ma anche l’imprevidenza di un’espansione urbanistica decisa proprio mentre i mutui-casa andavano in tilt in tutto il mondo (subPrime) o il mantenimento di una lunga filiera di enti, consigli d’amministrazione e direttivi, prebende e busillis, gerontocrazie e partitocrazie che dimostrano solo che Roma – allo stato attuale – riesce a stento ad essere capitale di se stessa.

Andando fuori dai confini italiani, il 2014 è stato un anno fosco, con la Sinistra europea che ‘domina’ ma ‘brilla’ per gli scandali e ‘flette’ per le solite faziosità, mentre Obama alla fine di un doppio mandato piuttosto scialbo e zeppo di errori in politica estera, cerca di recuperare il consenso perduto puntando sui cavalli di battaglia kennediani: diritti civili e questione cubana. Intanto, ISIS, Putin e un tot altri mostrano i muscoli e il petrolio flette, ma … saranno problemi del prossimo presidente, mica suoi.

E il 2015?

Si dice che Italia e Francia siano protette dalla buona sorte ed, infatti, allorchè cadde il Muro di Berlino fu la carneficina yugoslava a dissuadere tanti post-comunisti nostrani dal giocarsi la ‘sfida all’OK Corral’ anche a casa loro. Oggi c’è la Grecia di Tsipras.
Infatti, il ‘problema’ è che ormai i greci sono ‘padroni’ solo della bandiera e della cartina geografica del loro paese, tutto il resto, in un modo o nell’altro, è in mano a stranieri: la tentazione di nazionalizzare o iperfiscalizzare ciò che si è ceduto per debiti accumulati è una tentazione antica come il mondo.
Cosa dire? Speriamo che i greci facciano presto a seguire le solite promesse e che si rovinino ulteriormente con le proprie mani, in modo che l’Italia e, soprattutto, la Francia dei solotti buoni aprano gli occhi su un gauchisme che ha sempre portato sangue e prevaricazione?

Come anche, sarà Hillary Clinton o Jeb Bush il prossimo inquilino della Casa Bianca, è davvero difficile che Italia e Francia possano cavarsela come finora, grazie all’inerte benevolenza dell’Imperatore. Nel primo caso, difficile che si continui a tollerare l’instabilità italiana in un Mediterraneo-Mar Nero sempre più bellicosi, nel secondo caso dovremo vedere cosa ne sarà dell’armata statunitense al momento stanziata nell’Africa Equatoriale ‘contro Ebola’.

Venendo a noi, i tempi della politica (e dei processi) non sono allineati con quelli dei mercati (rating, trend, spread, eccetera) e davvero sarà difficile evitare il BBB-, se andiamo a questa velocità. Inoltre, Roma non sembra in grado di badare a se stessa, figurarsi il paese, e soprattutto ‘costa un botto’. Andrebbe commissariata – ma sul serio – sia al Comune sia in Regione, come dovrebbero esserlo Napoli e Palermo, almeno finchè gli apparati locali non si rendessero efficienti, economici e affidabili come il resto d’Italia.

Quanto alla ripresa e al lavoro, basti dire che il 2014 si conclude con un ulteriore differimento di quattro mesi dell’età pensionabile, mentre il turn over langue, ed inizia ad essere aastanza chiaro a tutti che l’attenzione della Sinistra alle pari opportunità (invalidi, disoccupati, donne, giovani) è un mero ricordo del passato, dopo uno sciopero generale che chiedeva il mantenimento dello status quo e dopo il veto di Matteo Renzi al neodirettore dell’Inps, Tito Boeri, a riformare alcunchè.

Detto questo, le cose potrebbero andare così:

  1. staremo a cincischiare tra elezione presidenziale, legge elettorale, jobs act e quant’altro fino a primavera, quando si capirà se la Grecia ha crashato ulteriormente, se e come si affermeranno Clinton e Bush, se lo Stato Islamico ‘tiene’,  et cetera
  2. a ridosso dell’estate le agenzie di rating potrebbero anche star tranquille – l’elezione di un nuovo presidente porta di solito bene – e può anche darsi che Damiano e Boeri riescano ad invertire il meccanismo della Riforma Fornero e che Renzi abbia il coraggio di sottrarre ai sindacati il controllo – tramte la loro presenza nei CdA – dell’Inps e di tanti altri Enti
  3. se accadesse questo – ma è fantapolitica – si andrebbe ad elezione in settembre, cioè prima che  qualcuno possa far bloccare o annullare con cavilli le norme emesse e andando al voto con il PD di Renzi alleato i Centristi, mentre quello ‘sindacalizzato’ dovrebbe necessariamente costituirsi ‘a se stante’ e … farsi carico – come oneri e come immagine – dell’enorme patrimonio immobiliare ereditato dall’ex PCI o trasferitogli ope legis dai beni dell’erario subito dopo la II Guerra Mondiale e di un sistema opaco come quello delle elezioni /decisioni sindacali nell’era dell’Edemocracy e del voto on line
  4. molto più prevedibilmente, le cose continueranno a stare come sono, magari in attesa di vedere come andranno le presidenziali USA o sperando in qualche miracolo di San Pietro intento a far lavanderia a casa sua, mentre per l’occupazione persisterà la stagnazione e per i servizi pubblici non ci resta – ahimé – che ‘privatizzare’ tutto. Così, tra settembre o novembre, se va bene, arriverà qualche solita batosta, mentre le aziende straniere avranno comprato tutto quanto ci sia da lucrare nel nostro Bel Paese. Basti dire che da due anni i benefit di una nota azienda autostradale italiana vanno ad ingrassare un fondo pensioni canadese … mentre noi ieri abbiamo elevato l’età media dei nostri pubblici impiegati di quattro mesi per i prossimi dieci anni, perchè Inps e ambienti governativi considerano ancora l’Inps come fosse un salvadanaio, neanche fossimo alla fine dell’Ottocento.

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Poi, arriverà il 2016 e, dunque, poi si vedrà. Intanto, saranno passati il raccolto delle olive 2015, la ridislocazione delel filiera produttiva toscoemiliana per via dei terremoti e le diverse indagini in corso sul reticolo delle cooperative  e avremo scoperto (l’impresa italiana è tutta qui) cosa ne è stato del nostro sistema agro-alimentare, del Paesaggio Italiano e … della Dolce Vita.
Siamo Italiener, ‘noi’ viviamo nella Grande Bellezza, na klar. Scuola, giustizia, sanità? Abbiamo delle tradizioni: basta consultare Pinocchio di  Collodi per saperlo …

P.S. A proposito, voi vi mettereste in affari con uno che ragiona così?

originale postato su demata

Gli aforismi politici di Confucio e i partiti italiani

1 Ago

ConfucioNon tutti sanno che Confucio fu il padre di tutti gli statisti, oltre che ‘fondatore di una religione’.

Uno statista talmente abile e lungimirante che il ‘suo’ impero, quello cinese, esiste ancora oggi sostanzialmente intatto e dopo aver garantito la pace e la prosperità per quasi 2000 anni. Un uomo rispetto al quale appaiono dei ‘nani’ il nostro Nicolò Machiavelli o l’anglosassone Adam Smith  oppure il germanico Karl Marx.

Dunque, da Confucio (e non solo da lui) avrebbero molto da imparare i nostri governanti e i nostri partitielli.

Ad esempio, Beppe Grillo e i Cinque Stelle – followers inclusi – potrebbero lanciare un voto on line per ‘scegliere il metodo’, visto che “Esistono tre modi per imparare la saggezza. Primo, con la riflessione, che è il metodo più nobile. Secondo, con l’imitazione, che è il metodo più facile. Terzo, con l’esperienza, che è il metodo più amaro.

La Sinistra potrebbe  organizzare un convegno agostano  dal tema “Non mi affliggo che gli altri non mi riconoscano. Mi affliggo di non riconoscere gli altri oppure un congresso nazionale riguardo al dato che “Solo i grandi sapienti ed i grandi ignoranti sono immutabili.”

Il Centrodestra potrebbe addirittura ricompattarsi se Silvio Berlusconi apprendesse che  persino Confucio dovette ammettere: “Non ho mai conosciuto un uomo che vedendo i propri errori ne sapesse dar colpa a se stesso.”

Ai ‘moderati’ – da Mario Monti ed Enrico Letta passando per D’Alema – potrebbe essere utile sapere che “Vedere ciò che è giusto e non farlo è mancanza di coraggio” oppure che  “Chi impara, ma non pensa, è perduto. Chi pensa, ma non impara, è in pericolo.”

Matteo Renzi, Beppe Grillo e quant’altri potrebbero guardare ai politici di altrove che ben sanno come “L’uomo superiore è modesto nelle parole, ed eccede nelle azioni.” E chi pretende ascolto ‘assediando i palazzi del potere’ dovrebbe comprendere che  non è a queste condizioni che si ottiene dialgo e apertura: “Non mettetevi a discutere con un pazzo! Chi vi guarda non distinguerebbe l’uno dall’altro.”
Come chi vede ‘trame’ dovunque, potrebbe anche iniziare a considerare l’ipotesi che Niente è più evidente di ciò che è nascosto.”

Quanto alla Lega di Salvini, alla Destra ‘europea’ e all’arcipelago Antagonista, sarà sempre troppo poco il ripetere che “Per natura gli uomini sono vicini, l’educazione li allontana e che “È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole.”

Prima di ri-candidarli, i partiti dovrebbero rispettare  la regola aurea che “Un uomo che ha commesso un errore e non lo ha riparato, ha commesso un altro errore.”

Tutti, prima di pronunciare un discorso, dovrebbero rammentare il detto: Dimmi e dimenticherò, mostrami e forse ricorderò, coinvolgimi e comprenderò.” Come anche prima di legiferare, potrebbero ricordare che In un Paese ben governato la povertà è qualcosa di cui ci si deve vergognare. In un Paese ben governato, è vergognosa la ricchezza.”

I nostri intellettuali e direttori di giornali e televisioni varie potrebbero iniziare a rendersi conto che “Un padre che non insegna al figlio i suoi doveri è tanto colpevole quanto il figlio che non li segue”.

Quanto a noi elettori (Grandi e piccoli che siamo), basterebbe tener conto che Belle parole e un aspetto insinuante sono raramente associati con l’autentica virtù” e che “L’uomo superiore comprende la giustizia e la correttezza; l’uomo dappoco comprende l’interesse personale.”

originale postato su demata

Senato: chi gioca al massacro non ama l’Italia

31 Lug

Oggi, la Lega di Salvini ha conseguito una importante vittoria, ottenendo che nel futuro Senato – quello delle Regioni per intendersi – si possa legiferare su temi etici come famiglia, matrimonio e diritti civili.

Una buona cosa, visto che è solo da 150 anni che il Cattolicesimo è diventato la religione di Stato degli italiani, mentre prima – eccetto 3-4 regioni – ognuno legiferava come voleva. Ad esempio, pochi sanno che nei due stati borbonici (Due Sicilie e Parma-Modena) il divorzio fu consentito dal 1804 al 1819-21, come anche che i regnanti di Napoli fin dal 1600 emisero editti di tolleranza verso gli omosessuali.

L’Italia non è nata ‘serva di Roma’, come cantava il buon Goffredo Mameli, e … l’elmo di Scipio è andato perduto, se i nostri marò non siamo proprio capaci di  riportarceli a casa.

Dunque, davvero non si comprendono le perplessità del ‘core’ intellettuale della Sinistra, ovvero il quotidiano La Repubblica, verso Matteo Renzi e le sue proposte, se il voto di oggi vede il governo battuto per un’inezia su un’inezia, ma in realtà si aprono le porte ad una alleanza trasversale con la Lega e la nuova destra.

E si è già aperta la porta delle ‘preferenze’ – l’ha fatto oggi Matteo Renzi, finalmente – che fanno lievitare i costi della campagna elettorale (come ricordava Anna Finocchiaro), con buona pace di grillini, più predestinati e pervenuti vari, eletti con una manciata di voti personali.
Quanto al problema che il PD paventa – cioè che il controllo delle preferenze garantisca, poi, in alcuni settori del Paese i tentativi della criminalità organizzata di inquinare la campagna elettorale – sappiamo che ci riescono lo stesso (la Seconda Repubblica è finita negli scandali come la prima) e che è anche vero che se un partito candidasse mafiosi è sempre ampiamente possibile che vinca l’altro partito perchè gli onesti si riverserebbero in massa. Il problema si verificherebbe se in TUTTI i 2-3 partiti che contano  ci fosse un mafioso candidato …

La porta delle preferenze ed un vero federalismo, forse è questo che agita il giornale di cui fu direttore Eugenio Scalfari: la percezione che gli italiani siano ormai stufi di una ‘certa sinistra’ che sa solo criticare o puntare i piedi, ricordarsi delle regole solo a corrente alternata, proteggere solo i lavoratori delle grandi aziende o della pubblica amministrazione e mai  i giovani, le donne, gli invalidi, i disoccupati.

Sappiamo tutti che tra i maggiori oppositori del ‘salario minimo’ c’è la CGIL, segretari in testa. Come qualcuno ricorderà che – erano i tempi di Espero – proprio i sindacati misero in giro la storia che le pensioni sarebbero venute a mancare, piuttosto che denunciare quello che ha scritto in più riprese il Sole24ore o che risulta a sentenza, ovvero che per anni non furono versati i contributi dei precari statali, che almeno 30 miliardi dell’ex Inpdap sono finiti a compensazione della voragine chiamata Sanità, che un altro buco di 5-6 miliardi ci arriva dalle ex casse dei dirigenti pubblici, grazie agli errori di stima sull’apprezzamento lira-euro, errori che oggi sappiamo estesi a chiunque abbia versato contributi prima del 1980 circa.

Fattacci che non solo i sindacati, ma anche i Cinque Stelle o Mineo e la Sinistra PD potrebbero denunciare e sanare: l’ha scritto chiaro e tondo il Sole24ore, ce l’hanno tutti i giorni  in rassegna stampa e stanno lì a guardare? E dell’ex direttore Mastrapasqua – son passati mesi – come vanno indagini, accertamenti e processi? Neanche un’interrogazione a cinque stelle per sapere che ne è – dopo un anno – del buco Inps?
Potrebbero almeno ‘ritirarsi in buon ordine’, non avendo granchè da proporre, dando del solito ‘fascista’ a Renzi, come ha fatto SEL, sempre fedele alla tradizione.

Sempre da lor signori, andando alla Camera, arriva la grande novità che, finalmente,  per professori universitari e medici primari il pensionamento d’ufficio potrà scattare dopo i 68 anni, alla faccia dell’innovazione e del cambiamento, mentre Renzi chiedeva 65 e basta come per tutti.
Il tutto ammesso e non concesso che arrivi il parere favorevole della commissione Bilancio sulle coperture finanziarie, che l’INPS non ha neanche i soldi che doveva avere accantonato in 40 anni e passa per/da questi lavoratori, caso mai volessero pensionarsi di diritto domani.
Privilegio uguale e contrario per i ricercatori universitari: il pensionamento d’ufficio scende a soli 62 anni d’età, anche se a manovali, docenti, tramvieri, artigiani, infermieri e chi più ne ha più ne metta tocca di arrivare a 65 anni.

biani_forconi

Parliamo di chi si sta opponendo a Matteo Renzi, di cosa effettivamente facilitano e cosa bloccano, e come dimenticare che mentre il Miur trova risorse per oltre 30.000 assunzioni di docenti precari nella scuola, mentre il turn over pensionistico è bloccato grazie alle norme di Elsa Fornero (e ai buchi da 50 miliardi di euro nel bilancio ex Inpdap), con i tempi che corrono è grasso che cola, ma Cobas e Cgil si lamentano: volevano di più …
Eppure, le nascite sono sempre in stallo, la riforma Gelmini  è ancora da mandare a regime ed i posti  in soprannumero che si dovevano tagliare li paghiamo con le nostre tasse da due o tre anni, mentre esodati disoccupati e invalidi possono aspettare.

Un po’ come a Roma, dove per salvare i posti di lavoro dei dipendenti comunali e mantenere un patrimonio immobiliare insostenibile e poco utilizzato, il sindaco Ignazio Marino preferisce tagliare quasi 3 milioni di chilomentri di linee autotramviarie, oltre ad eliminarle quasi del tutto d’estate, anche se la città (e la Capitale) deve continuare a funzionare nonostante lui e il suo Comune disastrato.

O come i Cinque Stelle che in questi 18 e passa mesi di legislatura sono riusciti a dimostrare solo una cosa: non vanno d’accordo con nessuno, non riescono a coinvolgere e farsi convolgere su proposte concrete, non intervengono sulle leggi finanziarie.
I disoccupati, gli invalidi, gli anziani, gli esodati che Beppe Grillo abbracciava piangendo davanti alle telecamere sono ancora disoccupati, invalidi,  anziani,  esodati.

Se questi sono, come proprio sembra, gli strenui oppositori delle riforme di Matteo Renzi in nome del popolo italiano …

originale postato su demata

La guerra del Senato spiegata for dummies

25 Lug

A leggere e ad ascoltare le News, sembrerebbe che in Italia vi sia una situazione inestricabile in Parlamento – e specialmente al Senato – riguardo le riforme costituzionali e la legge elettorale.

In realtà, di inestricabile c’è solo l’atteggiamento di tanti ‘eletti dal popolo’ che assolutamente non vogliono cambiamenti fin da quegli Anni ’70 dell’Ottocento, quando il Trasformismo (politico e finanziario) attecchì indelebilmente nel Parlamento italiano.

Vignatta di Simone Baldelli twitter.com/simonebaldelli/

Vignetta di Simone Baldelli
twitter.com/simonebaldelli/

“Conservazione della specie”, come spiegava Laura Ravetto di Forza Italia alla trasmissione Omnibus di stamane, rilanciando sulla reintroduzione di norme penali per il falso in bilancio.
Eh già, perchè – come oggi stiamo iniziando a comprendere – la depenalizzazione del falso in bilancio servì innanzitutto a cancellare parte di Tangentopoli ed a mantenere per quasi 20 anni il malgoverno di tante aziende a capitale pubblico e gli sprechi o le negligenze di  tante amministrazioni pubbliche finite sulle cronache.

Tempi che cambiano, mentre Milano prova a far pulizia con l’Expo 2015, ma Roma non si libera delle ‘sue aziende’, anche a costo di quasi azzerare i servizi pubblici.

Tempi che devono cambiare anche nelle aule del Parlamento italiano e, nel caso del Senato, le riflessioni dovrebbero essere ben poche:

  • 300 senatori equivalgono a un eletto ogni 115.000 elettori circa, su un quorum di quasi 34-35 milioni
  • salvo un sistema uniminale ‘secco’, un collegio elettorale ‘decente’ deve essere almeno composto da circa 400.000 elettori che votano per tre senatori
  • se i collegi non sono strettamente svicolati da quorum nazionali, è possibile diventare senatori con poche centinaia di preferenze personali, ovvero senza avere alcuna effettiva rappresentatività dell’elettorato
  • se il rapporto 300 / 34 milioni viene applicato in modo ‘secco’ la rappresentatività delle aree più popolate e produttive è compressa a favore di una miriade di piccole lobby locali

Il Servizio Studi del Senato, nel 2012, ha prodotto un documento apposito, che contiene una serie di tabelle ben rappresentative del problema.

Riformare il Senato (eletto o nominato che sia) significa, dunque:

  1. ridurre il potere di comitati, lobbies e interessi di campanile sulla politica nazionale. Non è un caso che i ‘mal di pancia’ nel PD arrivino dall’Italia del parastato, Rai in primis, Sanità e Università a seguire;
  2. riportare il peso dei sindacati, specialmente CGIL e Cobas, entro quello che realmente rappresentano (milioni di lavoratori e non decine di milioni di elettori). Da qui, l’assedio dei 6.000 emendamenti presentati proprio da SEL, che è a rischio di estinzione come già avvenne per PCI, Rifondazione Comunista e Verdi, Democrazia Proletaria, PSIUP e chi più ne ha più ne metta;
  3. obbligare i senatori ad una effettiva rappresentanza delle Regioni da cui provengono, legiferando sulle materie condivise. O per nomina del Consiglio regionale, come vuole Renzi, oppure con elezione uninominale ‘secca’, come assolutamente non vogliono gli oppositori di Renzi, a partire dai Cinque Stelle.

La Lega e Fratelli d’Italia? Dialogano con il governo e non sarà un caso che le loro basi elettorali sono nelle regioni più popolose e nelle aree suburbane.
Forza Italia e Nuovo Centrodestra? Un polo cristiano–democratico sarà sempre o il primo o il secondo partito … in Italia come ovunque in Europa. E Silvio Berlusconi che se ne impossessò vent’anni  fa va per gli ottanta ormai.

E, allora, che dire degli appelli per la democrazia violata o dei mille cavilli che – secondo alcuni – gioverebbero alla norma?

Anche in questo caso, posta la ‘domanda giusta’, arriva una risposta ‘facile’.
Infatti, se ci chiedessimo cosa ‘vuole l’opinione pubblica’, cosa vogliono gli italiani, la risposta sarebbe semplicissima: “fate presto”.

Non possiamo permetterci che la ‘crisi della Politica italiana’ continui a soffocare una Nazione che potrebbe ritornare ad un livello di produttività e di spesa pubblica accettabili. Questo è quello che vuole la gente, le imprese, gli investitori.

Fateci capire perchè i nostri media non hanno mai stigmatizzato l’atteggiamento di alcune forze e/o esponenti politici (del PD, dei 5S, di SEL) che non si sono seduti al tavolo con l’intenzione di dialogare, seguendo forse l’autolesionismo o i piccoli interessi di certi propri elettori, ma di sicuro non facendo l’interesse degli italiani che sono tenuti a rappresentare, visto che, se dialogano, i cavilli diventano regole semplici e condivise.

A proposito di media, sarà per questo che Del Rio è andato in visita da De Benedetti?

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Senato: perchè Renzi finirà per prevalere

7 Lug

Riguardo la riforma del Sentato siamo arrivati alle soglie delle ferie (e del mandato italiano in UE) con una gran confusione e tanti atteggiamenti del tutto inconcludenti.

A partire dal Movimento Cinque Stelle che si fa ‘beccare impreparato’ – senza compitini fatti all’interrogazione finale – visto che a poche ore dal ‘meeting in streaming’ (trad: PD e M5S si parlano) Matteo Renzi si ritrova a precisare “o documento scritto o niente incontro”.
Qualcosa in più di una bruttissima figura, per essere quelli che da anni strillano che tutti gli altri non sono capaci/onesti.

C’è poi il Partito Democratico con i suoi 18 ‘dissidenti’ e una cinquantina di ‘frondisti’, ma a questo siamo abituati, visto che a forza di ‘ma anche ‘ e di ‘vocazione maggioritaria’ si finisce per raccogliere il consenso di chi vuole tot e chi vuole il contrario di tot.
Serrare in ranghi in nome di elezioni e poltrone? Difficile crederci se il governo va a dimezzarle o, peggio, a cancellarle: meglio montar polemiche contro gli onnipresenti ‘fascisti’, stavolta nella Lega ma non nei M5S, mentre il ‘core’ riformista e populista cerca di andare avanti.

Poi, c’è il Centrodestra, che nella riduzione dei senatori e nella loro non eleggibilità vede una soluzione ai propri mali interni e un’assicurazione per il futuro, visto che nelle Regioni l’alternanza bipolare funziona. Anche in questo caso, riformismo e populismo fanno in modo che ci si renda conto che una riforma costituzionale richiede l’apporto flessibile di tutti e non mille distinguo e cento mal di pancia.

Arrivando all’opposizione con la Lega che vede nella riforma in corso una sua vittoria ‘a prescindere’ e SEL che sa bene che è destinata all’oblio se si riduce il numero dei senatori e si regionalizza il mandato, specialmente se il suo principale sponsor, la CGIL, è sul baratro di una ristrutturazione contrattuale, da decenni disattesa, per contratti territoriali e per comparti di settore ‘pesanti’ come metalmeccanica e manifattture, pubblica amministrazione, scuola ed enti locali.

Dicevamo della gran confusione e dei tanti atteggiamenti inconcludenti: non siamo più in campagna elettorale e le grandi riforme si fanno tra tutti e con tutti. Chi non si siede al tavolo, paga pegno.

Vincerà inevitabilmente Renzi e non a causa del suo ‘berlusconismo’, ma, viceversa, perchè la sua è l’unica proposta in campo grazie al fatto che la fronda interna del PD e/o il Movimento 5S e/o SEL non hanno neanche tentato di condividere e presentare un progetto alternativo a quello renziano che non fosse un maquillage del vecchio Mattarellum.

A volte a prevalere non è la squadra migliore: semplicemente vince l’unica pervenuta.

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Renzi e Mineo o della repubblica del senato e del popolo

14 Giu

Il senatore Corradino Mineo, dopo anni di direzione a Rainews24 e forti screzi con l’editore RAI, veniva indicato capolista per il Senato della coalizione “Italia Bene Comune” in Sicilia alle elezioni politiche italiane del 2013 e , risultato eletto, si iscrive  al Partito Democratico e aderisce al gruppo parlamentare.

Precisiamo che al Senato, in Sicilia, “Italia Bene Comune” comprende Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, +Centro Democratico e Moderati, più ‘indipendenti’ come Mineo. Coalizione dissoltasi poco dopo le elezioni, quando il leader di SEL Nichi Vendola annunciò che il suo partito non entrava nel governo di Enrico Letta. In parole povere, almeno per quanto riguarda gli eletti in Sicilia, la ‘quota’ SEL+indipendenti non corrisponde più alla compagine che ha raccolto i consensi.

 

voto sicilia 2013Ricordiamo, inoltre, che le ‘primarie’ che individuarono come capolista Corradino Mineo in Sicilia furono vessare da ombre e sospetti al punto che la Commissione nazionale di garanzia del PD  dovette accogliere i ricorsi di tra candidati (Bernardo Mattarella, Alessandra Siragusa e Antonino Russo) decretando che “l’anagrafe degli iscritti al Pd nella provincia di Palermo non è stata validata dalla Commissione provinciale di garanzia e che il relativo prospetto è stata trasmesso all’organizzazione nazionale soltanto in data 18 dicembre 2012”, “vista l’urgenza e la conseguente impossibilità di ulteriori approfondite verifiche sul  tesseramento 2011 per la provincia di Palermo” e “al fine di evitare contenziosi e turbative nella fase delle operazioni di voto”, “nella provincia di Palermo possono votare alle primarie del Pd per le candidature al Parlamento soltanto le elettrici e gli elettori compresi nell’albo delle primarie di Italia Bene Comune”.
Aggiungiamo che in Sicilia vota in pratica il 50% dell’elettorato, che la coalizione di centrosinistra ha raggiunto il 25% dei voti (12% degli elettori) solo in un paio di province siciliane, che nella provincia di Agrigento forse un cittadino su dieci ha votato ‘Mineo’.

Così andando le cose, il 12 giugno 2014 viene decisa a maggioranza da parte del gruppo PD al Senato la sua sostituzione da membro della Commissione Affari Costituzionali del Senato con il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda. La sostituzione di Mineo segue di pochi giorni il suo voto in Commissione a favore dell’ordine del giorno di Roberto Calderoli sulla elettività diretta dei senatori contro la proposta di Riforma del Senato presentata dal Ministro Maria Elena Boschi.

Essendo Corradino Mineo iscritto al PD solo dall’ottobre 2013 e votando contro su una questione così delicata, la decisione è praticamente irreprensibile, oltre che saggia, dato che se Mineo (con Vattimo e Mauro) si fosse tempestivamente spostato al Gruppo Misto, ci saremmo trovati in Commissione Affari Costituzionali con tre senatori che votano al contrario della volontà della base elettorale che li ha scelti.

Infatti, la principale preoccupazione del buon Corradino sembra essere: “La stragrande maggioranza dei senatori vuole un Senato elettivo. Come la mettiamo?” E, aggiungiamo, con gli elettori come la mettiamo?

Il compromesso sul sistema francese non le va bene? «Ma non c’entra nulla con l’architettura costituzionale italiana. Lì c’è un presidente eletto dal popolo che garantisce il bilanciamento dei poteri rispetto alla Camera. Allora molto meglio il sistema tedesco, proporzionale, di una Camera dei Lander. E’ più adeguato a noi».(Secolo XIX)

Eppure, il Bundesrat (trad. Consiglio federale) è un organo costituzionale legislativo, composto dai 69 delegati dei governi dei vari Länder. Ha funzioni di revisione costituzionale e di iniziativa legislativa in materia federale, proprio come propone il ministro Boschi, mentre la proposta votata da Corradino Mineo, quella del leghista Calderoli, somiglia davvero andar a cambiar tutto per non mutare nulla.
Forse, il noto corrispondente RAI da Parigi si confonde con il Bundestag (trad. Dieta federale), che è il parlamento federale tedesco composto da 630 deputati, eletti con un sistema misto.

“Ma una volta che mi sostituiscono, cosa risolvono? Se non fossi confermato in commissione Affari Costituzionali sarebbe un gravissimo errore politico. Andrebbe contro i principi che Renzi porta avanti da mesi. Era lui che diceva che le riforme costituzionali si fanno coinvolgendo le opposizioni, è lui che ha aperto a Berlusconi dopo aver bacchettato Grillo che aveva rifiutato ogni dialogo. E invece adesso che fa?” (Secolo XIX)

Fa che sarebbe un gravissimo errore politico non tenere conto che alle Europee gli elettori hanno consegnato più del 40% dei voti a Matteo Renzi e poco più o poco meno del 20% a Berlusconi e Grillo. Un giornalista navigato come Corradino Mineo, fosse solo per dovere di cronaca e in onore alla famiglia di matematici da cui proviene, avrebbe già dovuto accorgersene.

Come non stupirsi, inoltre, che un caporedattore politico noto fin dagli Anni ’90, con ampia esperienza inernazionale e candidatosi al Senato della Republica, non si sia reso conto – dal vaglio delle carte costituzionali dei vari stati europei che almeno dovrebbe conoscere –  che se il Senato ha gli stessi compiti e i medesimi poteri della Camera dei Deputati, invece di dedicarsi alla revisione di leggi e trattati, lo Stato non funziona bene: decide con lentezza, spende con dissolutezza.

Ancora più incredibile che, con la Corte Costituzionale che ha sancito l’incostituzionalità dei meccanismi  elettivi dell’attuale contesto di  senatori, mentre il governo cerca di  fare una legge che ci garantisca almeno il diritto di votare, si siano autosospesi dal PD Paolo Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Erica D’Adda, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, Walter Tocci, Lucrezia Ricchiuti, Renato Turano, Francesco Giacobbe, Mario Mauro, Corradino Mineo, Vannino Chiti.

Chissà se racconteranno agli elettori: di aver agito in nome dei senatori o del popolo sovrano?

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Senato e Titolo V: senza riforme l’Italia in stallo

3 Giu

In Gran Bretagna, i parlamentari  (Camera dei comuni) sono 650 – Members of Parliament – eletti dal popolo a suffragio universale e con il sistema maggioritario.
Esiste anche la House of Lords (Camera dei Lord) con 826 membri totali di cui 92 sono ereditari e 709  a vita, che ha compiti di revisione della legislazione emessa dall’Esecutivo, controllo sulla legislazione europea, funzioni costituzionali e dibattimentali su questioni politiche e giudiziaria. Una sorta di corte/camera costituzionale allargata e trasparente, di cui fa parte anche l’alto clero anglicano.

L’Assemblea Nazionale francese è formata da 577 deputati, eletti in un collegio elettorale uninominale a doppio turno, 346 senatori sono eletti a suffragio indiretto da circa 150.000 grandi elettori: sindaci, consiglieri comunali, delegati dei consigli comunali, consiglieri regionali e deputati.
Il Senato ha praticamente gli stessi poteri dell’Assemblea Nazionale, ma a causa della lunghezza del mandato, della relativa minore importanza rispetto all’Assemblea, alla possibilità di cumulare cariche elettive locali con il mandato di senatore, è considerato come un buon ripiego per politici a fine carriera o come mezzo di rientrare nella politica attiva per i candidati all’Assemblea Nazionale che non sono stati eletti.

Il Bundestag (trad. Dieta federale) è il parlamento federale tedesco composto da 630 deputati, eletti con un sistema misto: per metà in collegi uninominali con il sistema maggioritario plurality e per l’altra metà con il sistema proporzionale del quoziente.
C’è anche il Bundesrat (trad. Consiglio federale), un organo costituzionale legislativo, composto dai 69 delegati dei governi dei vari Länder. Ha funzioni di revisione costituzionale e di iniziativa legislativa in materia federale.

In Spagna, il Congresso dei Deputati è composto da 350 membri, eletti in ogni circoscrizione elettorale, a cui viene attribuita una rappresentanza minima iniziale ed un numero addizionale di seggi in base alla popolazione. Sono, poi, 208 senatori sono eletti direttamente dal corpo elettorale con suffragio universale nel Senato delle Autonomie.
La Costituzione attribuisce al Congresso una notevole autonomia rispetto al Senato, tra cui il poter conferire e ritirare la fiducia alle Corti Generali nel Governo e dirimere i conflitti che sorgono tra le Camere durante l’elaborazione e l’approvazione delle leggi.

In breve:

  • Spagna, un eletto dal popolo ogni 80.000 abitanti. 588 politici nelle ‘Camere’. Senato  a suffragio universale di limitata importanza
  • Germania, un eletto dal popolo ogni 117.000 abitanti. Un parlamentare – di cui l’11% non eletto direttamente – ogni 99.000 abitanti. 699 politici nelle ‘Camere’. Senato di ‘delegati’ con funzioni di revisione costituzionale e iniziativa federale
  • Italia, un eletto dal popolo ogni 63.000 abitanti. 944 politici nelle ‘Camere’. Senato  a suffragio universale equiparato alla Camera
  • Francia, un eletto dal popolo ogni 113.000 abitanti. Un parlamentare – di cui un terzo non eletto direttamente – ogni 63.000 abitanti. 916 politici nelle ‘Camere’. Senato  di ‘delegati’ equiparato alla Camera, ma di limitata importanza
  • Gran Bretagna, un eletto dal popolo ogni 97.000 abitanti. Un parlamentare – di cui tre quinti non eletti direttamente – ogni 37.000 abitanti. 1476 politici nelle ‘Camere’. Senato di ‘delegati’ con funzioni di revisione costituzionale e legislativa.

Detto in altri termini, solo l’Italia con la Francia ha un Senato eletto effettivamente equiparato alla Camera dei Deputati, ma in Oltralpe al posto degli elettori troviamo dei Grandi Elettori con un ricambio triennale.
Anche in Spagna è eletto dal popolo come in Italia, ma ha una rilevanza minore per legge.
In Germania, è una ‘commissione di lavoro allargata’ dei Lander, in Inghilterra un’ampia rappresentanza di Lord, in ambedue i casi i compiti sono principalmente revisori.

In parole povere – al vaglio delle carte costituzionali dei vari stati europei da parte di di noi posteri –  se il Senato ha gli stessi compiti e i medesimi poteri della Camera dei Deputati, invece di dedicarsi alla revisione di leggi e trattati, lo Stato non funziona bene: decide con lentezza, spende con dissolutezza.
Stop.

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