Tag Archives: ricavi

Alfa Romeo lascerà l’Italia?

1 Ago

Dopo le dichiarazioni di Sergio Marchionne secondo cui “è impossibile fare industria in Italia”, arriva  la replica del ministro del lavoro Enrico Giovannini: “Non sono d’accordo. Ci sono molte imprese che in queste condizioni stanno continuando a investire, a crescere, a creare profitto e posti di lavoro.”
Infatti, fare impresa nel made in Italy può essere conveniente per le holding straniere che stanno comprando ‘i gioielli della corona’, ma a patto che ciò avvenga nei settori dell’agroalimentare e dell’abbigliamento, dove il lavoro nero prospera sotto ogni latitudine. (leggi Quel che (non) resta del Made in Italy: dati e riflessioni)

Intanto, Fiat-Chrysler deve vedersela con i sindacati, in Italia come in USA.
Nel primo caso, parliamo del diritto – concesso dai magistrati – a bloccare una fabbrica organizzando un corteo interno senza neanche aver verificato la ‘rappresantatività in loco’ di chi organizza certi tipi di ‘lotta’. Nel secondo, del prezzo da pagare al fondo pensionistico Veba – detenuto dalle Unioni statunitensi – per una quota di Chrysler, che valeva zero dollari il giorno prima dell’arrivo di Marchionne e per la quale, oggi, si pretendono miliardi.

Riguardo l’Italia, la vicenda è irrisolvibile, dato che sarebbe necessario intervenire in una delle matasse indistricabili della nostra ‘ottima’ Costituzione (rappresentanze sindacali e giusto processo). Parlando degli USA, anche se c’è l’ipotesi di una bislacca sentenza da parte di una corte del Delaware, ma si tratta di una liquidazione, tutto qui, per la quale il giudice ha già accettato il calcolo di Fiat sul peso del debito di Chrysler nella determinazione del prezzo delle azioni. Che i sindacati – nell’interesse stesso dei lavoratori – debbano stare fuori dalla governance delle aziende, in USA, è da alcuni anni un dato e non più un dibattito.

Andando ad Alfa Romeo, i progetti di rilancio messi in cantiere dalla casa hanno un obiettivo prefissato e annunciato proprio dall’amministratore delegato del gruppo Fiat Sergio Marchionne: arrivare, entro il 2016, a 300.000 unità vendute a fronte delle sole 100.000 attuali.
Un mercato Alfa relativamente forte in Europa, con il 90% delle vendite, ma con enormi potenzialità di crescita nelle Americhe ed in Asia, dove, oggi, vende solo 10.000 autovetture e, domani, potrà contare sull’intera catena distributiva di Chrysler-Fiat.

Un vero e proprio miraggio per l’Italia, se, a fronte di un mandato costituzionale chiaro – ovvero di delega al Parlamento nel formulare una norma apposita – ci troviamo non con richiami assidui e puntuali a legiferare, bensì con “molteplici sentenze della Corte Costituzionale che hanno chiarito che la rappresentatività di un sindacato sono determinati da una serie di elementi anche indiziari, non unicamente dal numero di iscritti, di preferenze nelle elezioni di RSA/ RSU piuttosto che nei referendum approvativi di un contratto collettivo nazionale.
Con la sentenza n. 30/1995, la Corte afferma che “la maggiore rappresentatività risponde ad un criterio di meritocrazia e alla ragionevole esigenza […] di far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori”. (fonte Wikipedia)

La Costituzione Italiana  prevede che la rappresentanza sindacale sia regolata da una legge apposita, che in oltre 50 anni non siamo riusciti a darci, con risultati abnormi, che ledono alla base gli interessi sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro.
Dall’esercito di sindacalisti di cui sono dotate le pubbliche amministrazioni – in particolare le scuole dove si arriva anche ad un rappresentante sindacale ogni 15-20 dipendenti – alla possibilità, nel privato, di bloccare un’intera fabbrica al lavoro, indicendo uno sciopero senza neanche aver firmato il contratto ed interferendo con la produzione.

Ed, infatti, Sergio Marchionne e la Fiat da tempo chiedono che il governo italiano “introduca una legge” sulla rappresentanza per uscire da questo momento di incertezza. Abbiamo chiesto con urgenza di varare delle misure che rimedino a questo vuoto, ma per ora non vediamo niente.”
Come, d’altra parte, i parlamentari di turno non possono che esitare a promulgare una norma che attui un rigo di Costituzione, per il quale già sanno che è obbligo – in un paese democratico, si noti bene – far “convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori” …

Di sicuro, se le cose restassero così, un imprenditore, che non voglia investire in lavoro temporaneo o stagionale ed in sussidi-commesse pubbliche, non è che abbia grandi certezze in Italia, nè come controllo del progetto-impresa nè come affidabilità del sistema pubblico nè, ricordiamolo, come fiscalità.

Anche perchè – affrancata dall’asfittico sistema-Italia – la Fiat dimezza le perdite in Europa e in Asia comincia a decollare, stabile nel Sudamerica, vede il Nordamerica e le sue vendite a traino del gruppo, con i ricavi in crescita oltre 42 miliardi. “Il gruppo automobilistico torinese ha completato il secondo trimestre dell’anno con 435 milioni di utile netto, sfiorando il raddoppio rispetto ai 239 milioni di euro del periodo aprile-giugno dello scorso anno. Sempre nel secondo trimestre, i ricavi sono cresciuti del 4% al 22,3 miliardi.” (Corsera)

Tenuto conto che i marchi di lusso (Ferrari e Maserati) hanno dato un lusinghiero +14% e si prevede che continuino a crescere, dove saranno prodotte le 200.000 Alfa Romeo che, si spera, verranno vendute nel 2016?

In Italia? Ne siamo davvero sicuri?

originale postato su demata

A chi non conviene il Fair Play finanziario?

18 Giu

Ormai, l’Europa del calcio è entrata nell’Era del Fair Play finanziario, fosse solo per difendere quel che resta dello sport, che rischia di cedere sotto l’assalto delle centinaia di milioni di dollari che nababbi del petrolio e speculatori finanziari stanno già versando nelle casse di noti club.

Sono sotto gli occhi di tutti le ‘campagne acquisti’ del Paris Saint Germain e del Manchester City, del Chelsea e del Manchester United, come del Real Madrid o del Bayern Monaco. Squadre che somigliano, ormai, più agli Harlem Globetrotter che ad altro, come quel ‘vecchio guarriero’ di Drogba ha dimostrato alle attonite od esaltate platee dei football fans in Coppa dei Campioni.

Fenomeni eclatanti per le vistose spese, che falsano campionati nazionali e coppe internazionali, visto che ‘dette spese’ non rispondono spessissimo ad una effettiva differenza di valori in campo.

Campionati falsati anche da spese ugualmente ingenti – ma meno vistose in quanto ‘passivi’ – come quello italiano, ad esempio, se si vuole considerare il rapporto sui bilanci societari delle Società Calcistiche che La Gazzetta dello Sport redige annualmente e ripubblicata da tuttonapoli.net.

A far due conti della serva, c’è da restare stupefatti, se tifosi delle tre ‘grandi’ (Juventus, Milan, Inter), da sollevarsi indignati, se tifosi delle altre squadre di calcio, e da restarci secchi per la depressione, se si è dei cittadini normali.

Basti dire che Juventus, Milan ed Inter vanterebbero ‘perdite’ sul rendimento netto di circa 250 milioni di euro, ovvero l’80% del ‘buco’ complessivo della Serie A.

E, dunque, se volessimo pensare ad una ‘classifica avulsa’, che tenga conto della effettiva disponibilità finanziaria delle società di calcio – e non dei giocatori comprati e pagati con ‘le cambiali’ – questo sarebbe il quadro.

Se i tifosi di Udinese, Napoli, Lazio, Roma, Parma, Lecce, Novara potrebbero gridare allo scandalo, ben altro che di uno scandalo dovrebbe parlarsi, se volessimo discutere di bilanci societari, di sostenibilità del ‘calcio moderno’, di  diritti televisivi e di distribuzione dei proventi, di stadi nuovi e sicuri.

Infatti, il budget velleitario e catastrofico delle nostrè ‘grandi’ (Juventus, Milan, Inter) ingessa definitivamente il ‘sistema calcio’, già soffocato dall’elevata leva fiscale sui compensi dei calciatori, che rende impossibile dotarsi di giocatori affermati se non sperperando enormi somme: ogni cambiamento sarebbe disastroso per dei brand che tanto sono quotati quanto sono in rosso.

.

.

Una situazione che non può continuare così, bloccando le nuove norme sugli stadi di calcio e congelando i diritti televisivi a favore dei soliti noti, mentre il sistema fa acqua da tutte le parti.

Parlare di gestioni disastrose è un eufemismo, dunque.

Ma quel che è peggio, per chi ama lo sport, è che potrebbe davvero diventare grottesco – di fronte al persistere di questi numeri – parlare, per il futuro, di ‘campionati regolari’.

originale postato su demata