Non sapevo che il testo fosse di Cassiano Ricardo, ma “Giovanni telegrafista” mi colpì davvero nel profondo del cuore per l’irriducibilità dell’amore, che non le parole, ma la voce di Enzo Jannacci drammaticamente raccontava.
Era il lato B di uno dei primi successi di massa di quell’Italia che cambiava, ma non cambiò: “Vengo anch’io. No tu no“, un brano dadaista, cabarettistico, praticamente delirante, che restò per anni nell’immaginario collettivo di un mondo dove i Don Camillo ed i Peppone si escludevano, puntualmente, a vicenda.
Avevo già adocchiato da anni, pur essendo ancora un bambino, quel simpaticone anticonformista, che, accompagnato dai gloriosi Svampa Nanni e Patruno Lino, aveva fatto capolino dalle opache televisioni in bianco e nero dell’epoca. Uno che si era presentato in RAI cantando “L’Armando“, “El portava i scarp del tennis” ed mitico “Palo dell’ortica“, “Messico e nuvole” … Uno che ‘faceva cose’ con Gaber, Ric e Gian, Cochi e Renato, ma lavorava anche come medico in ospedale.
Enzo Jannacci, un pezzo di storia italiana, della nostra musica, della nostra televisione, del nostro teatro, della nostra umanità italica: un fotogramma di come eravamo, di come saremmo potuti essere e di quello che ancora potremmo divenire.
Canzoni diverse, che raccontavano le città industriali di allora, le semiperiferie – ormai emancipate ed acculturate – da cui, altrove, arrivavano Beatles e Rolling Stones, Pink Floyd e Jimi Hendrix.
Facce e vestiti diversi, come quelli che vestivano i nostri genitori, oggi ottantenni ed, allora, giovani italiani desiderosi di cambiamento, con quegli impermeabilini e quelle cravattine rigorosamente nere, alla Sartre ed alla Ives Montand, ma anche alla Blues Brothers, come scoprimmo anni dopo.
Storie diverse, che parlavano della vita e della gente, dei sentimenti vissuti e non esibiti, degli uomini non ancora sommersi da un’indiscaricabile ammasso di merci ed informazioni.
Città diverse, dove droga, racket e cemento non avevano scavato le trincee che oggi ci separano in residence e palazzoni.
Città da amare, non ammassi di vite, cemento, metallo e asfalto raggrumati intorno a centri storici che sono, ormai, solo Storia.
Ciao Enzo, ci si vede in giro …
originale postato su demata
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.