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Renzi e le riforme che farà

14 Feb

I dati delle elezioni del 1992 furono l’ultimo atto della Prima Repubblica ed in essi è sugellato alla Storia il quadro – ferale ma bellamente ignorato – di una egemonia di consensi tanto ‘riformista’ quanto poco  ‘di apparato’, visto che i consensi ‘a sinistra’ videro, alla Camera, Occhetto (PDS) fermo a 6,3 milioni di voti, il PSI di Craxi a 5,3 e il PRC a 2,2 milioni, i Verdi poco oltre il milione.

Da lì prese avvio la Seconda Repubblica, erano almeno 14 milioni di voti, dopo 20 anni – nel 2013 – erano poco più di 10 milioni …

L’odierna Sinistra Ecologia e Libertà è riuscita a dilapidare un patrimonio di oltre 3 milioni di voti (PRC + Verdi nel 1992), divenuti meno di un milione nel 2013, mentre alle ultime elezioni tedesche Linke e Grunen – nonostante la batosta – hanno assommato comunque il 20% delle preferenze. Praticamente quanto oggi raccolto dal Movimento Cinque Stelle …

Quanto al Partito Democratico, oggi raggiunge circa 10 milioni di preferenze, più dei sei del 1992, ma molto meno di quanto raccogliessero PDS e PSI. In Italia, come in Germania per l’odierna SPD, quella che risulta determinante è l’incapacità di attrarre il voto moderato e di formulare strategie di politica economica.

Jean Ziegler – allorchè cadde il Muro di Berlino ed ebbe inizio la Globalizzazione – preannunciò questa crisi della ‘sinistra’, sia in ragione dell’ampio spread di diritti, tutele e benefit di cui godono i lavoratori europei (ma non nel resto del mondo) sia perchè la fine dei ‘blocchi ideologici’ avrebbe affievolito il ‘legante’ che finora aveva accomunato ceti medi e ‘dananti della terra’.

Enrico Letta poteva essere il protagonista di questo cambiamento, traghettando le istituzioni (e la Sinistra che ne ha fortemente condizionato l’attuale status) verso un sistema di governance che permetta la cosiddetta ‘alternanza’ senza escludere le minoranze di una certa entità e verso un  Progetto Italia che non pensi solo a consolidare il denaro ma anche e soprattutto a farlo circolare.

C’era da far la voce grossa in Europa – con ottimi alleati in Gran Bretagna, Francia e Strasbourg – e c’era da por mano alla ridondante questione romana (INPS, Alitalia, debiti comunali, legge sui rifiuti, Bankitalia, vendite e concessioni demaniali, eccetera), c’era da dar respiro ad un’Italia che produce e arranca, senza che vi sia almeno un termine prefissato per misure (ndr. quelle di Monti e Fornero) che non possono essere ragionevolmente durevoli, e c’era da dar speranza a quanti – troppi – non hanno il lavoro, la cura o la pensione che gli spetterebbe con le tasse che ci fanno pagare.

Enrico Letta non l’ha fatto e, in mancanza di altri parlamentari proponibili, arriva Matteo Renzi.

Per fare cosa?
L’agenda è già scritta dagli errori e dalle esitazioni di chi l’ha preceduto, ovvero dall’urgenza:

  1. risolvere il brutto pasticcio delle pensioni e del conseguente blocco del turn over e dell’innovazione
  2. alleggerire l’impianto dei contratti nazionali e della filiera negoziale, per facilitare gli sgravi fiscali, il sistema di premialità, gli accordi locali, la flessibilità sull’export
  3. riformare la legge elettorale in modo che sia garantita l’alternanza, ma anche la democraticità, ovvero le minoranze politiche di rilievo ed il federalismo
  4. riformare -per riequilibrarlo con il nuovo parlamento – il livello apicale della governance (sindacati, CSM, INPS, Bankitalia, Regioni, Provincie e Comuni)

Il passaggio politico più difficile non è il primo – come qualcuno cerca ancora di convincerci – ma l’ultimo, visto che cambiare sistema elettorale per davvero e pervenire ad un parlamento diverso per accesso e poteri significa dover mutare tutto quello che a Roma è immutabile da un secolo e passa: la Pubblica Amministrazione.

Non sarà difficile sbloccare previdenza, lavoro e investimenti, incassando consensi prima e dopo le elezioni europee. E non dovrebbe essere difficilissimo concertare una legge elettorale.

Vedermo, però, se Matteo Renzi riuscirà a riportare nei limiti sostenibili quell’antico Male che si impossessò di Roma nell’arco di soli 10-15, già negli anni di poco precedenti la Breccia di Porta Pia … ma potrebbe farcela.

Serviranno l’azzeramento delle prebende, gli scivoli pensionistici, l’innovazione tecnologica, la meritocrazia e il controllo di gestione: tutte cose che i Sindacati confederali italiani avversano come fosse il fumo negli occhi …

Dunque, a prescindere da Renzi, riuscirà l’Italia a dotarsi di un partito riformista?

originale postato su demata

Renzi segretario: un’opportunità per il Centrodestra?

11 Dic

Durante gli Anni ’70 il Partito Comunista Italiano subì un vero e proprio tracollo nell’incamerare l’adesione delle nuove generazioni, proseguito, poi, negli Anni ’80.

I dati delle elezioni del 1992 ne furono la ferale conferma, con Occhetto (PDS)  fermo a 6,3 milioni di voti, il PSI di Craxi a 5,3 e il PRC  a 2,2 milioni. Altra riprova ne sono le date di nascita di D’Alema (1949), Bindi (1951), Veltroni (1955), Fassino (1949), Turco (1955), Gentiloni (1954).

Non uno che avesse tra i 45 e i 54 anni, ovvero appartenesse a quei giovani che 30 anni fa cercarono approcci riformisti per la soluzione dei problemi italiani e che reclamarono un cambiamento meritocratico nelle carriere, a loro precluse perchè determinate dalla politica consociativa di DC-PSI-PCI.

Proprio quei cinquantenni che SWG – in un suo sondaggio del febbraio scorso – individuava, come lo zoccolo duro dell’astensionismo, con una ‘base’ di almeno 3 milioni di ‘non voti’.

sondaggio-swg febbraio 2013 astenuti per fascia d'età

Un dato ‘pesante’ per tanti motivi.
Dal fatto che si tratti proprio di ‘quella generazione’ che va dai movimenti ‘pacifici’ del ’77 agli ultimi fuochi della Pantera all’evidenza che si tratta di quasi una persona su due sia perchè – a differenza delle altre fasce d’età – appare indipendente dal livello di istruzione.

Era davvero difficile convincere a votare Fioroni o Franceschini (1958) se parliamo di un gruppo elettorale, una generazione intera, che ricorda i Cattivi Maestri della Guerra Fredda e gli Anni d Piombo, come l’assurgere delle Mafie e della corruttela generale o gli strani affari di Marcinkus e della P2.
E’, d’altra parte, una delle promesse di Romano Prodi, lui stesso ‘tecnico’, fu quella di aprire le porte della politica a quella generazione, che, per altro, a furia di ricoprire ruoli esecutivi e amministrativi, le ossa se l’era fatte.
Mai promessa fu talmente disillusa: Bassanini e Berlinguer nel poco tempo che ebbero incontrarono una miriade di difficoltà proprio ‘a sinistra’, nel partito e nei sindacati. Delle più o meno equivalenti promesse di Berlusconi e di cosa ne sia stato, nulla di più eloquente di un centrodestra parlamentare privo di ricambio e frammentato.

Meglio far scorrere acqua sotto i ponti – così agevolando vent’anni di Berlusconismo – ed attendere che fosse pronta una nuova generazione da proporre ai ‘nuovi italiani’.

Matteo Renzi è del 1975, la sua segreteria ha di media meno di 40 anni d’età. Praticamente i figli dei Big che vanno a sosituire.

“Luca Lotti all’organizzazione, Stefano Bonaccini (Enti locali), Davide Faraone al (welfare), Francesco Nicodemo (comunicazione), Maria Elena Boschi (riforme) e Alessia Morani (giustizia). Filippo Taddei della John Hopkins University è un esponente del fronte di Pippo Civati e con un ruolo di peso, quello di responsabile Economia del partito. Dall’aera di Walter Veltroni alla segreteria dem arrivano Marianna Madia (Lavoro) e Federica Mogherini (Europa). C’è Debora Serracchiani (infrastrutture), ‘scoperta’ da Franceschini quando era segretario del Pd, da tempo poi sostenitrice di Renzi. Chiara Braga (ambiente) e Pina Picierno (legalità e sud) di provenienza ‘franceschiniana’. Lorenzo Guerini è portavoce della segreteria”. (Il Fatto Quotidiano)

Complimenti, il Partito Democratico ha fatto il turn over senza dover assorbire la generazione degli attuali 45-54enni.

Il sondaggio di SWG ‘leggeva’  il doppio degli astenuti tra gli over44 rispetto a quanti più giovani e nessun sondaggio è stato fatto per capire se siano più ‘conservatori dello status quo’ i nostri giovani under40 in carriera od i cinquantenni esclusi da sempre dalla governance del paese.

Va da se che i margini di raccolta dei loro voti (39% astenuti) da parte di un centrodestra ‘all’inglese’ aumentano a dismisura, come diventano appetibili quelle di incrociare il consenso dei loro figli, che nel prossimo decennio raggiungeranno la maggiore età.
Senza contare la reazione – prevedibile – degli over-55 che potrebbero sempre meno votare un partito in cui non vedono riflesse le proprie convinzioni o rappresentate le proprie esigenze, astenendosi o votando altro.

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