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Lega a Cinque Stelle: un bilancio in cinque immagini

9 Gen

Quale sia il bilancio dello Stato e del Governo Lega / Cinque Stelle incomincia ad essere chiaro un po’ a tutti, ma – probabilmente – ognuno conosce solo il bonus o il malus che lo riguarda.

Vediamo rapidamente quali paradossi emergono da una prima lettura della Legge di Bilancio 2019.

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lega cinque stelle salvini premier emergenze

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lega cinque stelle salvini premier sociale

Paradossale, vero? 

Demata

Riforma Del Rio: cosa cambierà per la Casta

4 Apr

La Camera dei Deputati, con 260 sì, 205 assenti, 158 no e 7 astenuti, ha approvato in via definitiva il ddl Delrio su città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni.
Considerato che contro hanno votato Fi, M5S, Lega, Sel e Fratelli d’Italia, che da soli assommerebbero a 238 voti, prendiamo atto che circa la metà dei deputati del Partito Democratico ha evitato di votare.
Storia simile al Senato, con  160 voti a favore, 133 contrari e 107 assenti.

E, del resto, tanti reucci e regine di provincia o di campanile come avrebbero potuto votare una norma che manda a casa non solo una parte di loro, ma soprattutto riduce le poltrone disponibili per la progenie a venire?

Innanzitutto,  il presidente delle nuove province sarà eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia, sarà a capo del consiglio provinciale e dell’assemblea dei sindaci. Tutti ricoprono l’incarico a titolo gratuito e gradualmente le attuali competenze verranno trasferite, se non quelle di indirizzo e controllo, oltre alla gestione di servizi territoriali.
Finita la commedia ‘infinita’ dei sindaci e dei presidenti provinciali che litigavano invocando recciproche competenze e prenderà una nuova piega l’eterna questione di quei comuni (troppo piccoli o cresciuti troppo in fretta) che non hanno mai voce in capitolo.

Inoltre, dopo  quasi 40 anni di attesa e travaglio, nascono le città metropolitane: Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria (e non Catanzaro), Trieste, Palermo, Catania, Messina, Cagliari.
Le loro funzioni fondamentali? Piano strategico del territorio metropolitano, pianificazione territoriale generale, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, mobilità e viabilità, promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.
Dunque, vedremo se i capibastone dei partiti potranno ancora permettersi di collocare pervenuti di basso profilo o pensionandi celebri a fare il sindaco o il consigliere di aree metropolitane di milioni di persone.

Infine, i piccoli comuni per i quali la riforma Calderoli prevedeva invece 6 consiglieri, per i Comuni fino a mille abitanti, e 10 consiglieri e 4 assessori per quelli tra i 5mila e i 10mila abitanti, con una norma elettorale talmente ‘maggioritaria’ da determinare spesso che il partito ‘vittorioso’ ottenesse la maggioranza assoluta pur avendo pochi voti in più del secondo e, comunque, molti di meno del 50%.
Introducendo un incremento del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali (10 per i comuni piccolissimi e 12 per quelli sotto i 10000 abitanti), nonché la “rideterminazione degli oneri connessi all’attività di amministratore locale”, non solo in molte realtà verrà a decadere la maggioranza assoluta nei consigli comunali, ma sopratutto potrà accedervi almeno un consigliere ‘fuori dai giochi’, cosa impossibile finora.
Inoltre, per i tanti comuni inadempienti all’unione (almeno 10.000 residenti, 3.000 se in montagna) per  l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, il termine inderogabile per l’adeguamento è fissato a breve, il 31 dicembre 2014.

Si poteva fare di più e si dovrà fare di più alla scadenza delle riforme costituzionali, ma il dado è tratto e, per ora, Matteo Renzi può prendere atto che le Idi di marzo gli sono state favorevoli.

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Tremila finti invalidi. Parliamo degli altri?

23 Ago

Oggi, La Repubblica on line titola “Gdf, scoperti tremila invalidi e poveri falsi danno erariale per un miliardo e mezzo”, seguita a ruota dai principali quotidiani. In realtà, il danno erariale è stato accertato in “quasi 13 mila interventi contro truffe e sprechi di denaro pubblico”, come precisa lo stesso quotidiano.

E siamo alle solite.
Se un disabile resta bloccato ore e giorni a Piombino in attesa di un autobus che lo porti al treno per rientrare dalle ferie o se un altro blocca il traffico in Versilia perchè è ‘impossibile salire su gran parte degli autobus oppure scendere a causa delle piazzole’, la notizia va in cronaca locale, senza neanche interrogarsi su come funzionino sanità e assistenza in Toscana o, meglio, su quanti altri casi accadano senza che vi sia notiza e, soprattutto, soluzione.

In un Paese da 60 milioni di abitanti, fanno notizia i ‘tremila invalidi e poveri falsi’. Non i milioni di invalidi sotto-riconosciuti ed in balia del sistema sanitario e degli enti locali, con diritti ed accessibilità, che nelle grandi città come Roma cambiano da una strada all’altra, a seconda della ASL di appartenenza.

Malpractice Cartoons by T. McCracken mchumor.com/medicine_malpractice.html

Il ‘Dossier in tema di malattie rare del 2008-2010 (a cura di Cittadinanzattiva, Tribunale per i diritti del malato, Coordinamento nazionale associazioni malati cronici), segnalava:

  1. le difficoltà nel godere effettivamente dei benefici previsti dalla legge
  2. le forti differenze che si riscontrano tra regione e regione,
  3. più del 40% dei pazienti non ha spesso accesso ai farmaci indispensabili o ai farmaci per la cura delle complicanze.

Peggio ancora, secondo Il Sole 24 ore nel “Focus sanità” del 11-17 Novembre 2008, per quanto relativo l’inadeguatezza sanitaria e il mancato accesso ai diritti, ovvero ‘costi e disagi, che determinerebbero la rinuncia alle cure da parte di 1 paziente su 4 a cui andrebbe aggiunto un 37% che desiste per gli ostacoli burocratici’, che evidentemente vengono posti dai diversi ospedali e ASL.

Aggiungiamo la bella trovata della legge sulla disabilità (L. 68/99), che apparentemente aveva accolto – con sette anni di ritardo – le direttive del WHO che impongono di tenere conto della ricaduta funzionale e non solo del danno biologico, ma che, viceversa, le ha solo menzionate nella norma vigente.
Risultato? Si continuano a conferire punteggi in base alle patologie ed a un sistema di punti non troppo diverso dal preesistente, come se si fosse di fronte ad un tirchio ispettorato assicurativo e non dinanzi ad una benefica istituzione medica tramite la quale lo Stato garantisce l’accesso a diritti essenziali.
O della porta di servizio tramite la quale i servizi ancora in carico diretto al SSN (quelli pagati prima, di solito) sono stati esternalizzati in alcune regioni su strutture non pubbliche, cosa che riduce notevolmente le tutele dei malati, specie dopo l’introduzione delle cartelle cliniche elettroniche, e comporta non pochi disagi, visto che le norme prevedono che le certificazioni emesse siano validate/riemesse dal medico di base.

Malpractice Cartoons by T. McCracken mchumor.com/medicine_malpractice.html

Preso atto che le malattie rare (sempre e comunque croniche) sono solo cinque tra quelle in elenco, parliamo di una legge che nega diritti internazionalmente riconosciuti a chiunque non soffra delle patologie elencate nella lista. Utile aggiungere che i malati italiani delle quasi 3.000 malattie rare esistenti sono milioni.
Il ritardo ‘de facto’ nell’applicazione delle direttive WHO-1992 (in italiano OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità) su funzionalità, lavoro e disabilità, ammonta ormai a 21 anni.

O, peggio, che addirittura nei contratti di lavoro, stipulati dallo Stato (non il ‘bieco aguzzino’ privato) per i propri dipendenti di ruolo, non sono considerati i diritti (e le dovute garanzie) a tutela dei malati con prescrizione sanitaria emessa da una commissione medica collegiale, di cui fa obbligo la norma nazionale apposita (art. 42 comma c d. lgs. 88-2008).

Una situazione drammatica per non pochi cittadini non (del tutto) abili al lavoro, oltre che sofferenti nella salute, come, ad esempio, quella del Lazio, dove almeno una ASL non concede l’art. 3 comma 3 della L.104 (quello che consente tre giorni di malattia al mese, per intenderci) neanche a persone con malattie congenite che devono essere sottoposte a frequenti terapie ospedaliere o che lesina punti, tanti punti, di invalidità a persone con doppio bypass, seri problemi metabolici, malattie croniche e notoriamente gravose, eccetera …

Un sistema che – grazie al de facto mancato assorbimento delle norme OMS che distinguono tra invalidità e capacità funzionale a svolgere una certa mansione/incarico – trasforma i malati italiani in due precise categorie: ‘gravissimi’, ovvero insindacabilmente non atti al lavoro, e ‘tutti gli altri’, ai quali – salvo esenzioni ticket (ci mancherebbe altro …) spetta poco o nulla, con un’età pensionabile che si allontana sempre di più.
Un sistema che aggravia i costi del lavoro per incrementare le spese sanitaria ed assistenziale, visto che un malato cronico che lavora senza tutele, si aggrava e necessita anche di maggiori cure, oltre ad assentarsi.

Malpractice Cartoons by T. McCracken mchumor.com/medicine_malpractice.html

Qualcuno ha provato a chiedersi se costa di più un lavoratore ultracinquantenne aggravato da particolari carichi di lavoro, che, ricorrendo frequentamente a cure e controli, richiede anche una spesa sanitaria di 30-40.000 euro annui o costa di meno un lavoratore con 25-30 anni di contribuzione che diventi un part timer od un pensionato e che, però, se la cava da solo ed incide molto meno sulla spesa sanitaria?
E, soprattutto, è questa una domanda lecita in una nazione come l’Italia, dove abbiamo circa un centinaio di parlamentari che arrivano dal settore sanitario ed un altro tanto dagli apparati locali di partito?

Di questo dovrebbero scrivere e raccontare – a proposito di invalidità e lavoro – i nostri quotidiani, non (solo) dei soliti tremila furbi che si annidano in tutte le categorie umane.

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Stefano Cucchi, le colpe di tutti

7 Giu

Stefano Cucchi – in data giovedì 15 ottobre 2009, verso le ore 23.30 – viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti, a Roma, e trovato in possesso di un modesto quantitativo di droga, una ventina di grammi di cocaina e hashish in tutto.

Incredibile a dirsi, ma Stefano Cucchi – tossicodipendente ed epilettico con qualche spicciolo di droga in tasca – viene sottoposto a “custodia cautelare in carcere”, che è la forma più intensa di privazione della libertà personale in tema di misure cautelari.
Una misura, prevista dall’art. 275 del Codice di Procedure Penale, da applicare solamente quando ogni altra misura risulti inadeguata, ovvero solo in tre casi, cioè pericolo di fuga e conseguente sottrazione al processo ed alla eventuale pena, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di turbamento delle indagini.

Al momento dell’arresto, il giovane non aveva alcun trauma fisico e pesava 43 chilogrammi per 176 cm di altezz, ma, il giorno dopo,16 ottobre, quando viene processato per direttissima, aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava inoltre evidenti ematomi agli occhi.
Nonostante la modesta quantità di stupefacenti in suo possesso, la lunga storia di tossicodipendenza, l’epilessia, la denutrizione, il giudice stabilisce una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che Stefano Cucchi rimanesse per tutto questo tempo in custodia cautelare nel carcere romano di Regina Coeli.
C’era il sospetto che fosse uno spacciatore, come poi confermatosi grazie alla collaborazione dei genitori, che – dopo la morte del figlio – scoprono e consegnano 925 grammi di hashish e 133 grammi di cocaina, nascosti da Stefano Cucchi in una proprietà di famiglia.

Una scelta, quella della privazione della libertà, decisamente infausta, visto che già dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente e viene visitato presso l’ambulatorio del palazzo di Giustizia, dove gli vengono riscontrate “lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente” e dove Stefano dichiara “lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori”. Anche all’arrivo in carcere viene sottoposto a visita medica che evidenzia “ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione”.
Trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per effettuare ulteriori controlli, viene refertato per lesioni ed ecchimosi alle gambe, all’addome, al torace e al viso, una frattura della mascella,  un’emorragia alla vescica ed  due fratture alla colonna vertebrale.

Un quadro clinico gravissimo ed eloquente per il quale i sanitari chiedono il ricovero che però viene rifiutato dal giovane stesso, che nega di essere stato picchiato.
Stranamente, con una tale prognosi e l’evidenza biomedica di un brutale pestaggio nessuno dei sanitari intervenuti (in tribunale, nel carcere di Regina Coeli, nell’ospedale Fatebenefratelli) sente il dovere di segnalare al drappello ospedaliero ed a un magistrato la cosa, come accadrebbe, viceversa, se a presentarsi al Pronto Soccorso fosse – massacrato e reticente – un qualunque cittadino.

Stefano Cucchi, con un’emorragia alla vescica e due vertebre fratturate, ritorna in carcere. Il giorno dopo, 17 ottobre,  viene nuovamente visitato da due medici di Regina Coeli, trasferito al Fatebenefratelli e poi, all’ospedale Sandro Pertini, nel padiglione destinato ai detenuti.
Lì trascorre altri tre giorni in agonia, arrivando a pesare 37 chili, ai familiari vengono negate visite e notizie, muore ‘per cause naturali’ il 22 ottobre 2009.

Durante le indagini circa le cause della morte, ottenute con grande fatica dalla famiglia anche grazie ad un forte coinvogimento popolare, diversi testimoni confermarono il pestaggio da parte di agenti della polizia penitenziaria. Un testimone ghanese e la detenuta Annamaria Costanzo dichiararono che Stefano Cucchi gli aveva detto d’essere stato picchiato, il detenuto Marco Fabrizi ebbe conferma delle percosse da un agente,  Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti picchiare Cucchi con violenza (fonte Il Messaggero).

“Pestato nei sotterranei del tribunale. Nel corridoio delle celle di sicurezza, prima dell’udienza. Stefano Cucchi è stato scaraventato a terra e, quando era senza difese, colpito con calci e pugni”. L’omicidio preterintenzionale viene contestato a Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, sospettati dell’aggressione.  (fonte La Repubblica)

Traumi conseguenti alle percosse, che da soli non avrebbero, però, potuto provocare la morte di Stefano Cucchi. Per i quali non si aprono indagini immediate, nè in tribunale quando Cucchi si presenta in quelle condizioni, nè dopo quando rimbalza tra Fatebenefratelli e carcere, informando un magistrato.
Ed infatti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato adeguatamente il giovane.

Stefano Cucchi muore per il digiuno, la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche). Determinante fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato e tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante la semplice assunzione di zuccheri.

Un pestaggio in carcere non dovrebbe, ma può accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto. Che si infierisca con brutalità su un tossicodipendente, epilettico e denutrito è un abominio, non a caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.

Ma è davvero mostruoso che un malato trascorra la propria agonia in una corsia, dove dovrebbe essere monitorato, nutrito, curato, tutelato senza che nulla di tutto questo accada.
Una colpa gravissima che ricade tutta sui medici preposti e giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo.
Gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti – in primo grado – dall’accusa di lesioni personali e abuso di autorità con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

“Nonostante siano passati 25 anni da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e altre pene e trattamenti… inumani e degradanti, ancora nell’ordinamento italiano non è stato introdotto un reato specifico, come richiesto dalla Convenzione, che la sanzioni”. (Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Detenuto Ignoto).

Un vuoto legislativo che ci «colloca agli ultimi posti in Europa» denuncia Mauro Palma, presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. Un buco nero tornato alla ribalta dopo che i pm che indagano sui fatti di Bolzaneto legati al G8 di Genova sono stati costretti a contestare agli indagati solo l’abuso di ufficio. (fonte Corsera)
Una ‘problematica’ che si ripresenta, tra i tanti,  per Stefano Cucchi e per Federico Aldrovandi, per Giuseppe Uva (Varese), per Aldo Bianzino (Perugia), per Marcello Lonzi (Livorno), per Stefano Guidotti (Rebibbia), per Mauro Fedele (Cuneo), per Marco De Simone (Rebibbia), per Marcello Lonzi (Livorno), Habteab Eyasu (Civitavecchia), Manuel Eliantonio (Genova),  Gianluca Frani (Bari), Sotaj Satoj (Lecce), Maria Laurence Savy (Modena), Francesca Caponetto (Messina), Emanuela Fozzi (Rebibbia) e Katiuscia Favero (Castiglione Stiviere).

In effetti, nel 1987 Roma ratificò la convenzione Onu che vieta la tortura, ma in Italia non è mai stata fatta la legge in materia, nonostante già nel dicembre 2006 la bozza di legge era stata approvata alla Camera  e  nel luglio 2007 era stata licenziata dalla Commissione Giustizia del Senato. Intanto, nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno: un terzo per suicidio, un terzo per “cause naturali” e la restante parte per “cause da accertare”.

«Avrebbe dovuto approdare in aula nei giorni della crisi ma è stata lasciata morire. È necessario che il prossimo Parlamento metta tra le sue priorità l’approvazione del provvedimento che introduce il reato di tortura in Italia» auspica”. (Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone per i diritti nelle carceri)

Il ‘prossimo parlamento’ c’è e nel Padiglione detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini sembra siano rimasti solo tre medici, visto che i loro colleghi degli altri reparti hanno il diritto di rifiutare il trasferimento, , come accade per tanti altri servizi necessari ai cittadini.

Intanto, prendiamo atto che per Stefano Cucchi un intero ospedale non è riuscito a fornire un cucchiaio di zucchero (meglio una flebo di glucosio), che le lesioni gravi e l’abuso di potere ci sono state, ma non si sa chi le abbia perpetrate e, soprattutto, che nessuno dei medici le ha denunciate.

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Rosy Bindi, il disastro Sanità ritorna?

22 Feb

Rosy Bindi è uno dei big che il Partito Democratico ha blindato, garantendogli l’elezione, ed è accreditata come futuro vicepremier, ma potrebbe finire – ahimè – alla Sanità od al Welfare.
I suoi principali meriti sono legati a fattori occasionali, come essere accanto a Vittorio Bachelet (del quale era assistente universitaria) nel momento del suo assassinio, il 12 febbraio 1980, da parte delle Brigate Rosse, o fideistici, come il lungo impegno nell’Azione Cattolica, di cui è stata vicepresidente nazionale, dal 1984 al 1989.
Dal punto di vista politico, prettamente politico, si contano, viceversa, i disastri.

Ad esempio, il pasticcio del 1996, quando chiuse in modo decisamente affrettato ben 63 strutture psichiatriche che servivano 17.000 malati, determinando che andavano riutilizzate o, se vendute, i soldi ricavati dovevano andare al progetto obiettivo sulla salute mentale.
Risultato a 15 anni di distanza? Si legge dalla relazione dei Nas: “Gli ambienti sono stati per lo più ristrutturati e riutilizzati dalle Asl anche per l’assistenza e cura dei malati psichiatrici. Dati in comodato d’uso gratuito. Dismessi e non utilizzati. Venduti o locati in tutto o in parte a Comuni, Università o privati e i relativi ricavi utilizzati anche per la creazione di strutture destinate ai malati psichiatrici. Le somme derivate dalle vendite o locazioni, a volte, sono state versate direttamente nelle casse regionali, rendendo difficile una ricostruzione dettagliata del loro successivo utilizzo“.

Morale della favola: un regalo per le onlus, comunità terapeutiche e case famiglia, che gestiscono servizi pubblici esternalizzati in 1.679 strutture residenziali con 19.299 posti per 30.375 utenti, mentre i ‘centri diurni’ consistono in altre 763  strutture, 12.835 posti, 32.030 assistiti.
Salute mentale privatizzata, missione compiuta?

Una Rosy Bindi che nasce a Sinalunga, in terra dei Monte dei Paschi di Siena, ma va a conquistarsi le primarie a Reggio Calabria, vincendole nonostante per i calabresi lei sia solo un nome su un cartellone.
Una Bindi, presidente del Partito Democratico, che si poneva a capo della ‘resistenza ai tagli alla politica’ di Mario Monti, insieme  alla vicepresidente della camera Susanna Cenni (PD),  e azzerava il provvedimento con un provincialissimo ed arrogante ‘non si capisce come mai Siena venga duramente penalizzata dal testo predisposto dal governo sul riordino delle province. La scelta operata dal governo appare miope anche alla luce della candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura per il 2019.
Forse perchè il Comune di Siena raccoglie appena 54.646 abitanti e la provincia intera arriva a sole 270.333 anime?

Una schietta origine senese che si è confermata, scandalosamente, giorni fa, nel salotto di Bruno Vespa, dove Rosy Bindi haprovato a sminuire il caso Mps, bollandolo come «polemica elettorale», sostenendo che quasi due milioni di euro – versati al PD da dirigenti Mps – sono stati definiti «liberalità, erano contributi volontari, cosa c’entrano?».
Oppure lo scandalo sanità in Toscana dove oggi si devono tagliare 2.000 posti letto per risparmiare circa 350 milioni di Euro e tra questi ci sono quelli degli Ospedali Riuniti della Valdichiana, voluti una ventina d’anni fa dalla Rosy nazionale, che da soli rappresentano un bel 10% dello surplus di posti. Lo stesso dicasi per l’Ospedale di Chieti, il suo trasferimento ed il risanamento del territorio, per le quali si spesero cifre folli per le quali l’ex sindaco Cucullo ringrazia ancora pubblicamente, mentre da anni la Regione Abruzzo ‘taglia sprechi’, riducendo i posti letto proprio di quella provincia, dove, evidentemente, sono stati creati in eccesso.
Una Toscana dove la procura di Massa ha indagato a lungo sul sistema sanitario, descritto dalla Commissione d’inchiesta parlamentare come “elefantiaco e clientelare”, mentre sembra che un toscano su 72 sia in qualche modo retribuito dal sistema regionale sanitario. Un sistema di potere clientelare che ha scaricato sui ticket ed sui tagli il dissesto finanziario, visto che solo la Asl di Massa aveva un deficit superiore ai 420 milioni di euro, mentre la Commissione Parlamentare non ha mancato di evidenziare la discutibilità dei quattro nuovi ospedali di Lucca Pistoia, Prato e Massa.

E, a proposito delle disastrose idee di Rosy Bindi, come non ricordare il decreto legislativo 229 del 1999, la riforma del Servizio Sanitario Nazionale, che, come noto a tutti, ha messo in ginocchio la finanza pubblica nazionale, ha devastato le tasche di mezza Italia con i prelievi IRPERF, ha delegato alle Regioni servizi primari che, poi, sono stati esternalizzati, ha foraggiato l’avidità di tanti corrotti politicanti e dirigenti.

Ma non solo. Una riforma che, collegata alla legge sulle malattie rare, emanata in piena campagna elettorale se non addirittura mentre si votava, che ha scatenato il caos generalizzato, delegando tutto alle Regioni, con il risultato che 3/4 dei malati rari non è diagnosticato ed un terzo di quelli noti rinuncia alle cure per problemi gestionali. Per non parlare delle Onlus che, a 20 anni di distanza, hanno deluso tutti ed innanzitutto i malati, sempre esternalizzando servizi, parcellizandoli con enormi costi aggiuntivi.

O la bella trovata della legge sulla disabilità (L. 68/99), che apparentemente aveva accolto – con sette anni di ritardo – le direttive del WHO che impongono di tenere conto della ricaduta funzionale e non solo del danno biologico, ma che le ha solo menzionate nella norma vigente, che continua, infamemente indefessa, a conferire punteggi come se si fosse di fronte ad un tirchio ispettorato assicurativo e non dinanzi ad una benefica istituzione medica.
Una legge, oggi, che nega diritti internazionalmente riconosciuti a chiunque non soffra di patologie elencate nella lista, come i malati di quasi 3.000 malattie rare non mezionate nel testo italiano, mentre i finti invalidi affollano le prime pagine dei giornali.
Il ritardo, rispetto alle direttive WHO-1992 su lavoro e disabilità, ammonta ormai a 21 anni, cosa per cui ringraziamo l’ex ministro Rosy Bindi.

Dunque, con le elezioni alle porte, c’è da chiedersi perchè gli elettori calabresi, abituati a lunghi e costosi ‘viaggi della speranza’, visto il disastro sanitario in cui versa la regione, dovrebbero votare proprio Rosy Bindi. Mica credono che porterà ospedali anche a loro, dopo Montepulciano e Chieti, e, comunque, mica credono che non glieli taglieranno quasi subito, come a Montepulciano e Chieti?

E, visto che ci siamo, perchè votare, a Novara, il medico genovese Ignazio Marino, noto per i suoi blitz in un paio di ospedali romani, che molto, ma molto di più, avrebbe potuto e dovuto fare come Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, nonché membro della Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica nella XVI Legislatura.

Un Ignazio Marino che – molto furbamente o troppo ingenuamente, ma certamente con una buona dose di demagogia – propone in campagna elettorale di abolire i ticket che sono “una tassa odiosa che scarica le inefficienze del sistema sulle persone, si può eliminare e sarà il primo obiettivo del PD una volta arrivati al Governo. Siamo già in una situazione insostenibile che pesa sulle famiglie e sugli anziani che sempre di più rinunciano alle cure per via del ticket.”
Veramente è sull’IRPERF – una tassa che colpisce direttamente tutti, sani inclusi – che si scaricano le inefficienze dei baronaggi ospedalieri e delle malversazioni dei dirigenti medici ed amministrativi. Il ticket è un contributo direttamente correlato ad un servizio, ma questo, forse, il senatore Marino l’ha dimenticato, come da medico e parlamentare non ha notato le ‘vacatio legis’ che sono alle fondamenta della costosa e sprecona non-gestione di invalidi, malati rari e psichiatrici.
Dal punto di vista finanziario, poi, a parte il caso Toscana, azzerare i ticket significa anche azzerare le entrate cash delle aziende sanitarie, con risultati simili a quando si accentrò la gestione delle scuole con il risultato che per due anni non si pagarono esami e supplenti, maturando un debito pubblico che è ancora in circolo.

Tornando a Rosy Bindi, l’ultima è la cacciata del giornalista Antonino Monteleone della trasmissione Report, di Milena Gabanelli, che ha spiegato come «l’onorevole appena mi ha visto ha detto che non avrebbe cominciato se non me ne fossi andato». Non è un caso che il fatto accada a Reggio Calabria, al convegno «Diritto alla salute in Calabria: tra livelli essenziali e gestione delle risorse», un evento con tanto di logo del PD bene in vista mentre la Bindi è candidata come capolista per Montecitorio.
Tra l’altro, trattandosi di sanità e di denaro pubblici, i giornalisti avrebbero dovuto essere bene accetti … a meno che ‘lì dentro’ non dovessero discutere di qualche altra ‘disastrosa idea’.

Malati e contribuenti italiani sono avvisati.

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Ndrangheta: strage di Duisburg, l’ultima beffa

15 Set

La mafia di San Luca è affiliata ad una delle fazioni della nDrangheta più pericolose al mondo: trafficano droga, armi, rifiuti tossici, esseri umani, tangenti, appalti.

Nonostante la pericolosità, per molti anni le nDrine di San Luca vengono minimizzate come “faida” dai nostri media, finchè non accade un fatto eclatante in Germania (con tanto di strage) e l’Italia deve render conto all’opinione pubblica estera.

Pensate che sorpresa scoprire che la stampa tedesca sapesse tutto di questi calabresi che vanno in giro per il mondo a metter vergogna alla loro bella e generosa terra, mentre per i nostri redattori e pubblicisti tutto si riduceva alla sanguinosa lotta di  fazione dei “Pelle-Vottari” contrapposti ai “Nirta-Strangio” in un paesino di mille anime.

Dopo i sei morti della strage di Duisburg, 15 agosto 2007, la Germania aveva preteso che qualcosa accadesse, visto che, tra l’altro, Giovanni Strangio, ritenuto il mandante del massacro, era inspiegabilmente in libertà, dopo che l’anno precedente era stato, addirittura, catturato durante un conflitto a fuoco con i carabinieri.

Così accadde che, nel giro di tre anni, le indagini permisero di arrestare 43 persone in tutto, ovvero i principali esponenti delle due “famiglie” di San Luca più il Gotha della Locride, rimasti imprendibili per almeno un ventennio.

Cosa ne è, oggi, di questi “pericolosissimi” criminali?

Otto di loro sembra siano stati condannati per associazione mafiosa o reati minori in primo grado e sono ancora in carcere.

Tra questi, Francesco Barbaro, il “Re dei sequestri” super latitante per 30 anni, che sta finalmente scontando il carcere alla veneranda età di 84 anni e che chiede clemenza (sic!)  tramite internet, senza però precisare che è lui “U castanu”, il boss della nDrina di Platì, un cartello narcomafioso di rilevanza mondiale, di cui anche le cronache milanesi si sono occupate di recente.

Dieci sono stati assolti in primo grado, tra cui Sebastiano Strangio, Antonio Rechichi e Luca Liotino, che l’accusa ritiene personaggi di spicco delle nDrine.

Altri dodici, condannati per associazione mafiosa in primo grado, sono stati rilasciati per decreto del Tribunale della Libertà: Achille Marmo, Emanuele Biviera, Giuseppe Biviera, Vincenzo Biviera, Michele Carabetta, Giovanni Strangio (classe 1966), Antonio Giorgi, Domenico Pelle, Raffaele Stranieri, Antonio Vottari, Domenico Mammoliti, Giuseppe Pugliesi.

Per la strage di Duisburg, infine, vengono condannati in primo grado: Giovanni Strangio, Gianluca Nirta, Francesco Nirta, Giuseppe Nirta, Francesco Pelle, Sebastiano Romeo, Francesco Vottari, Sebastiano Vottari, Antonio Pelle, Antonio Carabetta, Sonia Carabetta.

E’ di oggi la notizia che Antonio Pelle, fortemente implicato nella strage tedesca, è evaso con particolare facilità, dato che era agli arresti domiciliari in ospedale senza vigilanza 24 ore su 24.

Aveva pianificato la fuga da tempo, imbottendosi di farmaci per calare di peso e spacciandosi per anoressico, ma, ovviamente, dietro un’impresa del genere c’è una schiera di complicità e superficialità: non avrebbe dovuto ricevere quei farmaci e non sarebbe dovuto uscire, ma, soprattutto, un criminale così dovevano piantonarlo.

A conseguenza della strage di Duisburg, annoveriamo 43 arresti (tra cui un tot di superlatitanti), 10 assolti, 31 condanne (di cui ben 24 sotto i dieci anni di reclusione), 12 mafiosi rilasciati, 2 latitanti, 1 evaso.

Poteva essere la volta buona per smantellare una parte delle cosche agroalimentari che affamano  la fertile Locride e che reinvestono altrove i soldi sottratti al Meridione.

Oggi come oggi, neanche in Messico, che è tutto dire,  andrebbe a finire così.

Non ci resta che l’amaro dubbio che, senza le proteste tedesche, quei superlatitanti sarebbero rimasti tali e che si sarebbe continuato a parlare di faida piuttosto che di regolamento di conti.