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Piazza Affari crolla: gli errori della BCE e i segnali dei mercati

2 Ott

A Milano Piazza Affari perde il 3,9% e l’Europa trema a Francoforte (-1,7%) , Londra (-1,49%) e Parigi (-2,5%). Il credito di fiducia concesso all’Italia è ormai palese che non sarà mantenuto e lo spread risale a 142.

Intanto, a giustificare i peggiori timori dei mercati, arriva la prudenza di Mario Draghi, che il Bel Paese lo conosce bene, con la BCE che mantenendo basso e bassissimo il costo del denaro – per rilanciare un Francia e Italia che non ripartono – di sicuro non favorisce la ripresa dell’inflazione.

Un Mario Draghi che ancora non ha attivato il «Quantitative Easing», il programma di acquisto massiccio di bond da parte della banca centrale a sostegno della crescita, dopo averlo proposto con insistenza  – cosa sacrosanta – come toccasana della ripresa, ma senza evidenziare che per arrivarci sarebbe stato propedeutico che Italia e Francia riformassero pubblica amministrazione e sistema di bilancio.

E così è andata che in Italia tanti – ma non Carlo Cottarelli o Daniela Morgante – si sono illusi che potessimo scaricare il 60% del debito, senza prima smantellare l’enorme e inefficiente macchina burocratica delle proroghe, delle deroghe e degli sprechi.

Infatti, è accaduto che per due anni – dopo il rullo compressore di Monti, Fornero e Passera – nessuno tra Letta e Renzi abbia ben pensato di mettere all’ordine del giorno la riforma della giustizia nè quella della sanità e neanche quella dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per non parlare del blocco del Patto di Stabilità per gli enti locali che durerà, si spera, fin quando non cambieranno sistemi di reclutamento, contratti di lavoro a ‘posto fisso’ e regole per gli appalti.

Dunque, Mario Draghi qualche colpa ce l’ha.
Poteva, ad esempio, non illudersi che Roma – la sua città natale – cambiasse metodo e registro dopo oltre duemila anni durante i quali ha perfezionato quel ‘sistema’ di tributi prima, oboli dopo ed infine imposte e accise, che le permette di vivere nello spreco.
Non si offendano i romani o gli italiani: è nei fatti che in Europa ci sono almeno 200 milioni di cittadini i cui antenati – proprio per quei motivi – si opposero strenuamente a Roma fino a distruggerla e che altrettanto – secoli dopo nei loro territori – con la Chiesa Cattolica, salvo dove la spada (Francia, Baviera e Polonia) riuscì a far deserto chiamandolo pace.

In parole povere, specialmente dopo lo stallo che la Sinistra italiana e francese impongono in casa loro da anni, è evidente che l’Eurozona ‘che conta’ andrà a recriminare sulla promessa della BCE di un «Quantitative Easing», senza chiarire i requisiti minimi di accesso per i diversi stati dell’Unione, come chiederà la marcia indietro a Draghi sul recente abbassamento del costo del denaro, per salvare due nazioni decotte come Italia e Francia, ma frenando la crescita proprio della Germania e mettendo ancor più in difficoltà la Gran Bretagna.

Una BCE che – a vederla in altri termini – non può avviare un «Quantitative Easing» a cuor leggero, perchè ci si sta rendendo conto che comporterà anche un certo indebolimento contestuale dell’Euro, dato che farebbe ‘emergere’ che il valore infrastrutturale italiano è molto inferiore al dichiarato /ritenuto (ndr. addio spread …), visto che in metà del Paese strade, scuole, edifici pubblici e ospedali sono stati costruiti spesso male e manutentati certamente peggio: per almeno un ventennio rappresenteranno un costo e non esattamente un patrimonio …

A noi italiani non piace sapere tutto questo e, infatti, i media non ne fanno cenno, ma facile intuire cosa possano pensare di noi gli stranieri, se – da quando è iniziata la Crisi – abbiamo una Politica che ha cetamente il reccord mondiale di propri esponenti finiti in tribunale per scandali e ruberie, una Finanza pubblica che promette di tutto e non mantiene niente, un Sindacato che non propone mai ma diffida sempre, una Giustizia che non vede mai le Corti supreme costituite al completo, troppi cittadini che sanno sbraitare ma non rimboccarsi le maniche, tanti media che ‘non la raccontano giusta’ come la pessima posizione in classifica Reuter dimostra, troppe piccole imprese e cooperative che non sono altro che delle famiglie affatto allargate.

Che ci piaccia o meno, questa è la ‘figura’ che stiamo facendo da tanti anni ormai e gli unici che ancora non ci trattano da insolventi che campano sugli allori sono Mario Draghi e la BCE: il ‘segnale’ di oggi non era per l’Italia, ma per l’Eurozona e, quel che è peggio, a Napoli come a Roma non l’hanno capito …

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Calciomercato Napoli: le cautele di De Laurentis

14 Lug

Si era partiti con Mascherano, ma – in Trentino, il 17 di luglio per il ritiro – potrebbe esserci una sola novità, quella di Miguel “Michu” Pérez Cuesta , trequartista spagnolo classe 1986, ‘sostituto’ di Pandev, Higuain (e Hamsik), in arrivo dallo Swansea City con 52 presenze e 20 goal.

Attesa anche per Kalidou Koulibaly, talentuoso difensore francese, coetaneo di Ghoulam e neocampione di Belgio.

Altra ‘novità’ è il cileno Edu Vargas, di rientro dal Valencia e dal Mondiale dove ha dimostrato sia le buone doti sia il persistere di prestazioni a corrente alternata. E’ un problema di ‘testa’ che dura da tre anni, ma Benitez vuole valutarlo a fondo.
C’è da dare un’alternativa a Callejon sull’ala destra e la richiesta di De Laurentis per il cileno è elevata.
Mentre SSC Napoli chiede 10 milioni di euro, Transfermarkt – noto sito di settore – ne indica soli sei, nonostante il Mundial, per via del suo stipendio da quattro milioni lordi ed un contratto che terminerà nel 2016.

Per il resto, nulla di nuovo, se che a Dimaro, in Trentino, arrivasse anche Lucas Pezzini Leiva, mediano in forza al Liverpool e pupillo di Benitez, con un cartellino da 17 milioni e uno stipendio da otto milioni lordi, se riportato da sterline in euro, oppure il giovane Kramer, neocampione del Mondo o qualcun altro chissà, dato che sarebbe un gran peccato dar via Behrami – senza un sostituto valido – solo perchè non vuole rispettare le consegne di Benitez.
E della difesa da rinforzare assolutamentenon se ne parla più.

Il motivo è tutto nelle esitazioni di Aurelio De Laurentis – astuto imprenditore internazionale – che vede ostacoli all’orizzonte e si prepara a parare i colpi, piuttosto che a darli.

A partire dal terzo posto e dai preliminari di Champions, dove i sorteggi potrebbero estrarre alcune squadre ‘difficili’ per un Napoli rimaneggiato e in avvio di preparazione:

  • FC Zenit (RUS)    73.899
  • SSC Napoli (ITA)    61.387
  • FC Salzburg (AUT)    46.185
  • LOSC Lille (FRA)    45.300
  • FC København (DEN)    45.260
  • FC Steaua Bucureşti (ROU)    39.451
  • APOEL FC (CYP)    39.150
  • R. Standard de Liège (BEL)    38.260
  • Beşiktaş JK (TUR)    32.840
  • Celtic FC (SCO)    36.813
  • FC BATE Borisov (BLR)    33.725
  • FC Dnipro Dnipropetrovsk (UKR)*    32.193
  • Panathinaikos FC (GRE)*    30.220
  • Feyenoord (NED)    13.362

Tutto chiaro, a partire dal ‘rischio Zenit’, o no? Aurelio non scioglierà le sue riserve se non dopo un preliminare d’andata con uno scarto reti significativo.

 

C’è, poi, la questione ‘appetibilità’ dell’Italia e di Napoli, nello specifico.
E nello Stivale, come vediamo per Milan e Inter, le cose vanno davvero male, salvo che a Torino e per l’appunto Napoli, dove delle dirigenze accorte hanno – finora – salvato il business più bello del mondo per la gioia dei tifosi.

Ma, a Napoli, è venuta a mancare la Politica e la sua enorme appetibilità – per vip e ordinari turisti – è quasi azzerata dall’incapacità delle forze legali con il sindaco in testa (e illegali come il crimine organizzato) di garantire la sicurezza e la tranquillità almeno in parte della città, che potrebbe facilmente attrarre top player (e turisti) amanti del mare, della cultura e delle bellezze di Partenope.


Neanche un appello ripetuto con ostinazione settimanale: lasciate in pace almeno le zone dove stiamo cercando di creare una ‘industria’ culturale e turistica.

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Stadio San Paolo, una storia di Comune indecenza

13 Lug

Anche quest’anno la squadra di calcio SSC Napoli si è qualificata per le coppe europee, vedremo se Champions o Europa Cup, e come al solito il Comune di Napoli si fa trovare impreparato e sta montando la questione ‘stadio San Paolo’.
Una criticità  che non dovrebbe esistere, essendo stadio a ridosso di un’area dalle potenzialità turistiche enormi, quella Flegrea che va da Bagnoli a Miseno, Ischia e Procida incluse, e che proprio l’anno scorso ha visto lo sgombero della base NATO, che lascia ettari su ettari praticamente intatti alla città.

Stadio San Paolo e dintorni

Un’area nella quale non si riesce a bonificare l’ex Cementir – nonostante condanne ventennali – e dove De Magistris – quasi all’insediamento – ha autorizzato ricerche per la produzione di energia geotermica, in piena area sismica e bradisismica, praticamente a mezzo chilometro dalle case.
Per non parlare della strana idea di ‘restituire ai cittadini’ l’ex complesso Nato, ovvero da sostenere con tasse e tributi, in una città nota per l’arte dell’arrangiarsi dei suoi poveri.

E’ possibile che Aurelio De Laurentis abbia inseguito un sogno californiano per i Campi Flegrei e lo stadio della SSC Napoli, che avrebbe portato decine e decine di posti di lavoro e miliardi di investimenti: il PIL di Las Vegas rasenta di 100 milioni di dollari e il ‘pro capite’ equivale a quello di Zurigo.

Il 20 maggio scorso, il sindaco di Napoli dichiarava che “per lo stadio siamo ad un punto decisivo e al tavolo di discussione, insieme alla società Calcio Napoli, abbiamo invitato anche il Coni, Il progetto esecutivo lo dovrà presentare il Calcio Napoli entro il 31 dicembre 2014. Noi abbiamo chiesto che lo stadio sia vissuto 24 ore su 24, riqualificando anche il resto di Fuorigrotta. Il Calcio Napoli deve metterci i soldi. Noi non metteremo soldi, visto che non ne abbiamo.”

Ma per sistemare lo stadio San Paolo – al momento non agibile per la Champions – ci vogliono tanti soldi.

San_Paolo_-_Curva_A
L’anello inferiore fu deciso in corso di progetto ed è sotto il livello stradale come il campo (da cui i mille problemi del prato erboso) il terzo anello è inagibile a causa di improvvidi lavori per Euro ’90 (che l’appesantì con circa 8,5 milioni di chili di metallo e un costo  di 140 miliardi finali, triplo rispetto al previsto) e andrebbe smontato, insieme alla copertura che sorregge, prima di piazzare il display elettronico e per riportare  la capienza ad oltre 70.000 spettatori.
Inoltre, gli onerosi costi di gestione dell’impianto, che ha ormai superato il mezzo secolo di vita, hanno dato luogo a un progressivo decadimento della struttura a causa dell’ostinazione del Comune di Napoli – notoriamente povero di risorse – nel voler gestirlo in forma diretta ed esclusiva, un po’ come fosse un’ex municipalizzata.
In poche parole, occorrerebbero diversi milioni di euro solo per eliminare le “avveniristiche” strutture di Euro ’90, che tanti danni fece.

 

Per tutta l’organizzazione d Euro ’90 furono spesi 6.868 miliardi di lire, il doppio del previsto, e i danni collaterali includono anche stazioni e terminali di aeroporti semi-abbandonati, alberghi mai completati.
Riguardo gli stadi ricordiamo che gli unici due impianti costruiti ex-novo furono il “Delle Alpi” di Torino, poi demolito, e il “San Nicola” di Bari, sovradimensionato, in posizione isolata e pregiudicato dalla pista d’atletica, che era il presupposto fondamentale per accadere ai finanziamenti del CONI.
Ed, oltre al San Paolo di Napoli, anche per il Sant’Elia di Cagliari i danni di Euro ’90 alle strutture preesistenti furono notevoli: dopo soli dieci anni, rischiava il crollo.

E proprio a Cagliari accadde che il Presidente Cellino si facesse carico degli interventi provvisori (poi divenuti definitivi) che permisero alla squadra di giocare in casa per sette anni, in cambio dell’uso gratuito della parte di Sant’Elia agibile. A seguire, la Commissione di Vigilanza e il sindaco di Cagliari Zedda pretesero comunque il pagamento, il Cagliari finì per giocare a Trieste e, oggi, Cellino ha lasciato la Sardegna ed è proprietario della squadra calcistica inglese Leeds United.
Concessione gratuita in cambio di ingenti lavori? Nulla da fare.

Così succede che il rafforzamento della squadra (e della società calcistica, che rappresenta uno dei primi fatturati della città) sia frenato dall’atteggiamento del Comune di Napoli, rispetto ad uno stadio che richiederebbe forse 20 milioni per essere messo a norma e almeno il doppio per diventare lucrativo, se Inter e Milan prevedono 60 milioni per il restyling di San Siro del 2016, da ‘appoggiare’ ai tanti interventi di Expo 2015.
Comune e Sindaco in testa che farebbero bene a ricordare – specialmente mentre commemorano Ciro Esposito e la sua eroica madre – che la SSC Napoli è l’unica gioia e l’unica bandiera di una città diseredata.
Specialmente se la soluzione per lo stadio San Paolo fosse da tempo chiara e semplice.

Concessione 99ennale dello stadio e di alcune aree comunali dell’area flegrea, con diritti per il Comune sui ricavi e sulle vendite dei biglietti, oltre che su alcuni spazi riservati, e deroghe al Piano Regolatore su progetti appositi.

Aurelio De Laurentis sa far bene due cose: vendere sogni, se il padre Dino vinse l’Oscar come produttore per oltre 500 film holliwoodiani in carriera, e cavar sangue dalle rape, basta vedere i cinepanettoni che rifila in mezzo mondo.
Facciamogli fare il suo mestiere.

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Rolling Stones a Roma: grandi incassi, ma quasi nulla al Comune. Arriva la Corte dei Conti?

22 Giu

Grazie al concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo, “Roma oggi ha circa 60.000 persone oltre ai 10-20.000 romani che sono venuti per questo evento. Persone che sono andate in albergo, ristoranti, che hanno preso un taxi, un gelato e hanno determinato un guadagno per la città di 25 milioni di euro in un giorno”. (Ignazio Marino, sindaco di Roma, a RaiNews24)

Dunque, 25 milioni diviso 60.000 fa 416,7 euro di spesa media per una notte in città per ciascuno degli spettatori, ammesso che nessuno abbia dove essere ospitato, che nessun altro rientri in tarda notte e che, soprattutto, molti o tutti vogliano trovare un albergo a 4-5 stelle.
Se Ignazio Marino crede a questi numeri, beato lui  e poveri noi, ma i conti andrebbero fatti in un altro modo, anche perchè parla il sindaco di una Roma Capitale al default e non il rappresentante della Confcommercio locale.

Infatti, non si comprende come sia stato possibile, per il Comune di Roma, affittare a soli 7.934 euro l’intero Circo Massimo (lungo 621 m e largo 118) ai Rolling Stones, che solo per dormire hanno speso il doppio, al Regis Hotel, in una mega suite da 14.000 euro a notte. Specialmente se si tiene conto che nella concessione è implicito che tutte le riprese effettuate nello scenario del Circo Massimo potranno essere riutilizzate senza alcun beneficio per Roma Capitale.

Al Campidoglio, dopo oltre un anno di consigliatura, si giustificano spiegando che la cifra è stata calcolata desumendola dalle tariffe stabilite per l’occupazione del suolo pubblico e che giust’appunto stavano pensando di incrementarle.
Ma, tra l’altro ci sono i costi vivi: ad esempio, le forze dell’ordine, i servizi di emergenza e d’igiene che funzionerano all’interno e all’esterno dell’area rossa, quella compresa tra via dei Cerchi-via di S. Teodoro, via dei Cerchi-piazza di Porta Capena, viale Aventino-viale del Circo Massimo via della Greca-lato Bocca della Verità, alla quale dalle 14 di domani avrà accesso solo il pubblico munito di biglietto.

Il Comune di Roma precisa che 40.000 euro entreranno dagli organizzatori dell’evento per i servizi della polizia municipale, 23.000 per il prolungamento della metro B e 30.000 per l’Ama, l’azienda dei rifiuti, altri 75.000 euro per le cooperative e ditte che forniscono bagni chimici, ambulanze e servizi sanitari.
Ma sono partire di giro per compensi al personale e fornitori, non entrate effettive per Roma Capitale, oltre fatto che non saranno i cittadini romani a beneficiare dei già pochi straordinari dei nostri vigili urbani … mentre già arrivano proteste come quella di Carlo Rienzi, presidente del Codacons, per “chiusure di strade, deviazioni, limitazioni, cambiamenti nel trasporto pubblico in una zona nevralgica come quella del Circo Massimo, che si ripercuotono sui cittadini”.

Nessun benefit per i ‘diritti d’immagine’ per Roma Capitale, nonostante avesse patrocinato l’evento e, soprattutto, mentre nella pagina dove si poteva votare la scaletta dei brani c’era proprio il disegno del Circo Massimo a far bella vista promozionale.

ROLLING STONES Circo Massimo Rome 2014

A proposito, ricordiamo che il Colosseo – per accordi di sponsorizzazione sottoscritti dal Comune di Roma, in cambio di soli 25 milioni di lire per 15 anni «eventualmente prorogabili» – potrà essere usato per «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria» (il core business di Tod’s), ma anche «profumi, adesivi, metalli preziosi e loro leghe, gioielleria, pietre preziose, orologeria, strumenti cronometrici», come anche per manifestazioni, conferenze stampa, fotografie, cartoleria, adesivi, articoli per ufficio, ombrelli, pelli di animale, fino alle manifestazioni culturali e sportive. Oltre, alla possibilità di «realizzare una struttura temporanea, o fissa, per l’accoglienza dei sostenitori dell’Associazione, ubicata nelle immediate vicinanze del Colosseo» e per tutta la durata dei lavori di restauro e per i successivi due anni» e che «può fregiarsi e utilizzare la denominazione e i segni distintivi dello sponsor».

Un vero scandalo, tornando alla musica, se consideriamo che solo per i 70.000 biglietti  a 78 euro ciascuno degli Stones sono ben 5.460.000 euro gli incassi per l’organizzazione dell’evento, presentato in Italia da “D’Alessandro e Galli”, società leader nel settore del music business, in accordo con “Rock in Roma”, di cui Mucchio Selvaggio racconta che “oltre ai due mesi di kermesse alI’Ippodromo delle Capannelle, la “premiata ditta” Bucci & Giuliani ha contemporaneamente gestito tutti i concerti dello Stadio Olimpico di quest’estate, dai Muse ai Depeche Mode fino a Roger Waters e agli italiani Negramaro e Jovanotti”.

Dunque, se è vero che con i grandi eventi girano tanti soldi,  anche sicuri che rappresentino davvero entrate pubbliche e servizi ai cittadini?
Inoltre, se quello di Ignazio Marino è il modo di fare i conti che insegnano nelle facoltà di medicina ai futuri dirigenti medici, ecco spiegate le cause della spesa pubblica sanitaria impazzita.

Infine, come non fugare il dubbio che Ignazio Marino era ben consapevole del valore d’immagine del Circo massimo se dichiara  Sky Tg24 che “per me è un grande orgoglio portare la storia del rock all’interno della nostra storia archeologica in uno scenario unico al mondo”,l’ho scelto io ed è stata subito approvata da Mick Jagger, ed è stata determinante: c’erano altre capitali europee che volevano ospitare il concerto”.

Trattativa al ribasso pur di apporre la propria ‘firma’ su un evento come i Rolling Stones a Roma? Non a caso, Alessandro Onorato, capogruppo della Lista Marchini all’opposizione in consiglio comunale, annuncia “un esposto alla Corte dei conti per danno erariale”.

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Bilanci di previsione pubblici: le proroghe sono incostituzionali?

7 Giu

Il 29 aprile scorso, un decreto a firma del ministro Alfano differiva ulteriormente io termine di deliberazione del bilancio di previsione 2014 per gli Enti Locali, prorogandolo fino al 31 luglio.
Di norma la delibera va posta entro il 31 dicembre dell’anno precedente (in questo caso il 2013), ma era stata già prorogata due volte, prima al 28 febbraio e poi al 30 aprile.
Nel 2012, le proroghe per la delibera del bilancio di previsione del 2013 erano arrivate fino al 30 novembre, ovvero fino al giorno in cui Bankitalia conclude le assegnazioni di fondi e avvia la revisione di fine anno. Niente paura, nel 2011 s’era arrivati praticamente a Natale del 2012 …

Scrive Lio Sambucci su Contabilitàpubblica.it:da sempre, e in modo sistematico da una ventina d’anni, è invalsa la prassi di spostare in avanti il momento approvativo dei documenti di programmazione finanziaria degli enti locali: in origine, il differimento era di un paio di mesi (a febbraio, qualche volta a marzo); poi, negli ultimi dieci anni, la proroga si è spinta anche fino a giugno; ed ora addirittura a fine novembre, e, cioè, praticamente a fine esercizio.
Con ciò determinandosi una situazione surreale: con un bilancio che contiene previsioni finanziarie, che definisce la programmazione per l’anno successivo, che costituisce il documento sulla base del quale solo può avvenire la gestione nel periodo considerato, e che viene approvato praticamente alla fine dell’esercizio cui si riferisce.”

In effetti, l’idea di programmare PRIMA di iniziare un anno di lavoro, non è una norma di buon senso insita nell’indole dei nostri amministratori. Infatti, il nostro Stato – dopo un tentativo di obbligare (legge n. 142/1990) gli enti locali ad approvare il bilancio di previsione entro un termine ragionevole, il 31 ottobre dell’anno precedente, dovette abdicare portando il termine (Legge 3 agosto 1999, n. 265) al 31 dicembre dell’anno precedente, prorogabile ulteriomente, tramite la gestione commissariata, fino al 31 marzo dell’anno in questione.

Ovviamente, se il pesce puzza, inizia dalla testa ed, a corrispettivo di troppe amministrazioni locali palesemente approssimative e strafalcione, dobbiamo prendere atto che non è affatto normale che lo Stato non abbia messo a bilancio nel 2013 quello che (per esempio) doveva assegnare ai comuni nel 2011 per consentirgli di deliberare il bilancio di previsone 2012 in anticipo e non postumo.

E qui si pone un’altra questione, tanto semplice ed evidente quanto dimenticata e tralasciata: quale lavoro svolgono gli strapagati dirigenti (ministeriali e locali) se tutta una serie di conti e previsioni di spesa, derivanti da leggi o unità previsionali europee e indispensabili al funzionamento del Paese, non ce le ritroviamo nei conti pubblici quando c’è da deliberare i bilanci dei ‘terminali di spesa’: comuni, scuole, caserme, ospedali.

Nel caso dell’istruzione, ricordiamo che per anni non sono state poste in bilancio le somme, ampiamente prevedibili dal pregresso, per le supplenze nelle scuole, come anche che il bilancio di previsione – normato al 31 ottobre, è stato de facto prorogato fino alla primavara, cioè a scuola finita, a partire dal 2007 con il ministro Fioroni.
Per le forze dell’ordine, c’è l’emblematico caso delle divise e della benzina insufficienti anno per anno; andando alla Sanità – tra le tante – sembra sia inutile immaginare un bilancio di previsione per il Servizio Sanitario Nazionale /Regionale, che sembra essere un vaso di Pandora con pozzo di San Patrizio annesso, mentre non spende abbastanza e dove serve, stando alle univoche statistiche di settore.

Un sistema di bilancio, quello dello Stato, che evidentemente è disallineato, nella milgiore delle ipotesi, da quello degli enti locali, pur avendo il legislatore costituzionale individuato (art. 119 Cost. ) TUTTE le diverse tipologie di entrate di cui  le regioni e gli enti locali possono disporre /riportare nei loro bilanci, eliminando ogni possibilità di fraintendimento nella programmazione economico-finanziaria dello Stato, che esercita la leva fiscale e assegna finanziamenti.
Anche per scuole, caserme ed ospedali – a voler cercare una riprova – è lo stesso: da un lato le unità previsionali UE e le voci di bilancio dei punti di erogazione del servizio, dall’altro i parametri tabellari che costituiscono la struttura di bilancio dello Stato e che, come metodo, risalgono al lontano 1886, al Trasformismo e ai primi scandali di lobbing mafiosa nella politica e nella finanza.

Acclarato che queste proroghe sono l’espressione di un sistema ‘fuori di testa’ – oltre che concausa di inerzie, defaillances, sprechi, ruberie eccetera – c’è da chiedersi se siano ammissibili dalla nostra Costituzione e se lo siano non in ‘casi eccezionali’, bensì come dato sistemico.

Lio Sambucci – ricercatore confermato presso il Dipartimento di Economia e diritto (Sezione di Diritto dell’economia)  della Sapienza di Roma – pone l’accento su un principio costituzionale prevalente quale la «buona opportunità dei pubblici uffici» rispetto alla «armonizzazione dei bilanci pubblici» e al «coordinamento della finanza pubblica», che riguardano un aspetto specifico e, in teoria, occasionale ed emergenziale

Inoltre, se “si ritenesse quello della coincidenza di anno finanziario e anno solare a tutti i livelli istituzionali un principio assolutamente insostituibile dell’ordinamento contabile pubblico, deve essere segnalato come il costante, sistematico differimento del termine approvativo del bilancio di previsione degli enti locali, oltre a presentare, come si dirà, dubbi di costituzionalità, sia in netto contrasto proprio con il suddetto principio. In proposito, è sufficiente evidenziare che, in disparte di ogni altra considerazione, per effetto della ripetuta proroga, negli enti locali la coincidenza tra anno finanziario e anno solare e lo stesso carattere annuale del bilancio di previsione sono divenuti solo una finzione contabile: le amministrazioni locali, infatti, sanno bene di poter contare sul differimento del termine approvativo e predispongono le proprie attività (funzionali alla programmazione economico-finanziaria) e i propri adempimenti tecnico-contabili in funzione dell’approvazione del bilancio entro i primi mesi dell’anno finanziario considerato”.

“Negli ultimi dieci anni, moltissimi enti locali hanno gestito in esercizio provvisorio praticamente fino a metà anno finanziario (e , in molti casi, anche oltre), con totale svuotamento delle prerogative funzionali (a carattere programmatorio e gestionale) del bilancio di previsione, ridotto a mero adempimento formale”.
Non solo enti locali e servizi essenziali come polizia municipale e sanità, ma anche tante amministrazioni e istituzioni statali, in primis scuole e università, più pressochè tutte le ex aziende municipalizzate …

Dunque, i primi dubbi di costituzionalità riguardano il contrasto tra la possibilità di differimento  dell’approvazione del bilancio da parte di pubblicche amministrazioni ed uffici con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione che trova definizione all’art. 97 della Costituzione.

Ammessa la possibilità di differire, resta comunque un altro profilo di dubbia costituzionalità – come afferma molto condivisibilmente il prof. Sambucci – che “può essere rilevato in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 81, comma quinto, Cost. (come sostituito dall’art. 1 legge cost. 20 aprile 2012, n. 1: in precedenza, il principio era stabilito al secondo comma del citato art. 81), ove è stabilito, tra l’altro, che l’esercizio provvisorio del bilancio non può avere una durata superiore, complessivamente, a quattro mesi”.

Inoltre, “il costante, ripetuto, differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali appare, inoltre, difficilmente compatibile, da un lato, con le disposizioni di cui all’art. 81, comma quarto, Cost., ove si stabilisce, tra l’altro, il principio di annualità del bilancio: si stabilisce, cioè, in Costituzione, quale principio generale della contabilità pubblica – peraltro, ribadito dalle disposizioni ordinamentali con riguardo a tutti i livelli istituzionali, e, come visto, dai principi di armonizzazione dei bilanci pubblici – che il bilancio di previsione deve essere approvato ogni anno e (quindi) deve avere una durata annuale“.

Ma non solo, dato che è evidente a chiunque che “il sistematico differimento del termine approvativo del bilancio degli enti locali risulta difficilmente compatibile con il principio di armonizzazione dei bilanci pubblici, il quale, come detto, ha trovato riconoscimento costituzionale” e regolativo nel d.lgs. n. 118/2011, che – infatti – stabilisce esattamente il contrario di quanto facciamo da quell’anno, ovvero che le amministrazioni pubbliche devono approvare il rispettivo bilancio di previsione entro il 31 dicembre, e lo richiede proprio quale principio generale di armonizzazione dei bilanci pubblici.

Intanto – mentre le proroghe sembrano essere del tutto incostituzionali e mentre dovremmo chiederci come facciano i conti al MEF e a quanto ammonterebbe ‘per davvero’ la spesa pubblica ‘a regime, se la situazione è questa da anni e anni – il Comune di Roma ha deliberato il Bilancio previsione annuale 2013 durante le Assemblea Capitolina n. 88 del 2/3/4/5/6 dicembre 2013, con 29 voti favorevoli, 16 contrari e un’astensione, citando nel testo proprio l ’art. 151 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 che dispone che il Bilancio deve essere deliberato osservando i principi dell’unità e annualità …

Bilancio 2013 ‘postumo’, ma anche Bilancio pluriennale e Piano degli investimenti 2013-2015, dove, ad esempio si prevede che la spesa per ‘studi e incarichi di consulenza’ sia di 261.698 euro nel 2014, come si prevedono 9.900 euro per spese di rappresentanza e 1.000 di pubblicità. Per il patrocinio di mostre, cinquantamila euro in tutto.
Un po’ poche per Roma Capitale che vuole cultura e turismo … specialmente se per l’acquisto, manutenzione e noleggio autovetture la spesa resta sostanzialmente invariata, oltre 1,1 milioni di euro. Per non parlare dei quasi 4 milioni annui, riconfermati per il 2014 e 2015, per editoria e rilegature, mentre siamo dell’era di internet ed esistono leggi apposite sulla digitalizzazione di atti e albi pubblici.

Speriamo che almeno per Natale venturo, Santa Klaus ci faccia trovare sotto l’albero non solo dei consutivi 2014 che dimostrino la ‘buona opportunità’ delle pubbliche amministrazioni, ma soprattutto i bilanci di previsione per il 2015, che ci diano contezza e speranza per il futuro.
In alternativa, sarà inutile chiedersi perchè l’Italia non riparte … se le previsioni si fanno puntualmente a consuntivo.

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Bagnoli (Napoli), ricchezza buttata al vento

26 Nov

Napoli – partendo dallo Stadio San Paolo ed arrivando fino al Lago Fusaro, passando per Bagnoli, Pozzuoli, Baia, Bacoli e Cuma, estendendosi fino a Monte di Procida e Procida – ha ancora un territorio relativamente ‘intatto’ e di una bellezza spettacolare, chiamato Campi Flegrei.

Un territorio che aveva posto dei limiti al proprio sviluppo sia grazie alla prima legge paesaggistica d’Italia sia a causa della presenza di due ‘ingombranti’ fabbriche  (Italsider e Eternit) e del ‘campus scolastico’ del fu Banco di Napoli, destinato a base militare NATO.

Campi Flegrei per siti di interesse

Un’area servita da tre linee di metropolitana, con un porto per traghetti come quello di Pozzuoli e due o tre porticcioli turistici (in prospettiva) a Bagnoli, Baia, Procida e fino ad Ischia, un vulcano visitabile come La Solfatara, uno stadio, un ippodromo e un palasport, spiagge, scogliere e ritrovi a go go., un’enclave di musicisti, artisti ed acculturati, che da sempre vive lì, in quella che negli Anni ’70 era la West Coast italiana.

Campi Flegrei Mappa5-800

Aggiungiamo un tot di laghi vulcanici dall’alone misterioso e tanti tanti reperti greci e romani, tra cui il mitico Antro della Sibilla Cumana e la misteriosa Grotta di Seiano od il Tempio semisommerso di Serapide e tant’altro ancora.

casina vanvitelliana fusaro

Più sedi universitarie, centri di ricerca, un ospedale generale e tante cliniche, l’area storica di Bagnoli con la sua archeologia industriale e le sue palazzine d’inizio Novecento, il Rione Terra di Pozzuoli, evacuato e mai recuperato, che affaccia direttamente sulla baia ed il porto.

Un territorio che nei decenni si è dimostrato meno afflitto degli altri da fenomeni criminali e che, in termini di ‘rifiuti nocivi’, ha ‘solo’ il problema dell’amianto dell’Eternit, per il quale c’è una sentenza di primo grado che condannava a 16 anni del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis De Cartier, ex vertici della multinazionale, per disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Sentenza finita però in prescrizione.

Bagnoli-2

Ci sarebbe anche da monitorare l’itticolutra, visto cosa hanno scaricato i Casalesi a Giugliano e Pianura che sono limitrofi a quell’area, ma qualunque costo d’investimento sarebbe ampiamente ripagato dai ricavi nell’arco di decenni e secoli, grazie alla bellezza mozzafiato dei luoghi, alle già buone infrastrutture, alla possibilità – visto che vi si accede solo tramite Tangenziale e Via Domiziana – di creare un ‘quartiere europeo’ SAFE a Napoli per turisti e visitatori, di cui già Goethe segnalava l’esigenza.

Una chiave strategica, se si pensa che dallo sviluppo turistico di Bagnoli e dei Campi Flegrei ne verrebbe anche il decollo del turismo in tutta Napoli senza alterare ‘usi, costumi e territorialità’ di un’antica metropoli.

Politecnico Napoli

Las Vegas, creata dal nulla cinquant’anni fa, oggi vale un PIL di 100 miliardi di dollari per circa 600.000 abitanti.
Napoli, con gli investimenti e gli interventi normativi giusti, potrebbe generarne almeno il triplo entro vent’anni, senza tener conto dell’apporto che ne riceverebbero le attuali attività produttive locali.

La ripresa non può che ripartire da dove si è toccato il fondo.

campi flegrei baia arco felice

Las Vegas nacque grazie ad un establishment statunitense che volle ‘risolvere’ il problema Cosa Nostra – accettando l’esistenza di un’area ‘franca’ ben circoscritta – e da ‘famiglie’ e padrini stanchi di vedere la proprie mani lorde si sangue e i propri figli seppelliti prima del tempo per qualche faida o vendetta, dopo essere cresciuti nella violenza intrinseca di quelle piccole Kabul che sono le aree di spaccio o i ‘quartieri fortino’ dei boss.

Il problema non è la Camorra, non in termini assoluti, dato che – dinanzi al disastro epocale ed il danno causato alla propria gente, oltre che l’attenzione mediatica mondiale ormai attratta – non dovrebbe altro che badare ad ‘evolversi’ verso business meno infamanti e illegali dei rifiuti tra i campi e della droga a cielo aperto di Secondigliano. L’opportunità di investire in modo legale enormi risorse ormai ‘pulite’ da anni e anni di reinvestimenti legali tramite società come tante altre sarebbe imperdibile ed imperdonabile.
Las Vegas esiste anche e soprattutto perchè nel 1946, Bugsy Siegel – emissario di Cosa Nostra – aprì il famoso primo hotel casinò di Las Vegas, il Flamingo Hotel, con un progetto di urbanizzazione che fu inizialmente preventivato a 1’500’000 di dollari dell’epoca, ma alla fine arrivò a costare sei milioni.

sant'angelo ischia

Mentre gli USA hanno sempre mostrato una certa pragmatica lungimiranza, in Italia accade, ad un anno di distanza dalla partenza dell’ultimo contingente di militari, che la base NATO di Bagnoli – che ha un valore immobiliare quasi inestimabile – sia lì, ferma, in  attesa di Godot o, meglio, del sindaco De Magistris e della Fondazione Banco di Napoli per l’assistenza all’infanzia, proprietaria dell’enorme resort.

Solo il primo dicembre prossimo la base riaprirà – eccezionalmente – i suoi cancelli ai cittadini, questo è tutto. Ci sarà Edoardo Bennato e tanti (noti e meno noti) artisti e musicisti del posto.
Tutto qui: nessuno (per ora) si lagna di un enorme impianto con edifici, campi sportivi e aree verdi da un anno non ‘rende’ più i cinque milioni di euro che la NATO versava per l’affitto.
E che – se assorbito nel patrimonio pubblico nei costi gestionali – di sicuro aggravierebbe notevolmente le casse del Comune di Napoli senza portare nè i migliaia (decine?) di posti di lavoro nè i ricavi che deriverebbero da un piano complessivo per i Campi Flegrei.

Ne abbiamo già un esempio nell’ipotesi di Parco urbano della Mostra d’Oltremare, per altro ‘adiacente’ all’ex base NATO, i cui costi di manutenimento andranno a cadere tutti sul ‘pubblico’, mentre finalizzarlo a primo nucleo di ‘area turistica SAFE’ sarebbe un presupposto essenziale per portare ricchezza e lavoro a Napoli.

Mostra-Oltremare

E se il Comune di Napoli si fa attendere – mentre congettura ipotetiche e costose ‘restituzioni’ delle aree e delle infrastrutture’ ad una cittadinanza stremata da decenni di disoccupazione, disinvestimento e malaffare – dalla Provincia non si ode eco, forse perchè dal 1 gennaio 2014 si dovrà parlare di Città Metropolitana, di cui faranno parte tutti i comuni della ex provincia (ndr. tanto per cambiar tutto per non cambiar nulla).

Il problema non è la Camorra, non semplicemente: Las Vegas ce lo insegna. Specialmente se – dinanzi al disastro epocale ed il danno causato alla propria gente, oltre che l’attenzione mediatica mondiale ormai irrimediabilmente attratta – non dovrebbe altro che badare ad ‘evolversi’ verso business meno infamanti e illegali dei rifiuti tra i campi e della droga a cielo aperto di Secondigliano.
Piuttosto la questione è – evidentemente – nella mentalità di coloro che hanno scelto di restare piuttosto che emigrare. Infatti, non si comprende come sia possibile che dagli architetti, dagli ingegneri e dagli economisti partenopei non si levi un coro unanime per uno sviluppo urbanistico che tenga conto di come la democratica Parigi, la beneamata Barcellona e persino la piccola Firenze abbiano deciso di trasformare in un’enorme area cultural-intrattenente i propri gioielli metropolitani.

Dunque, a voler far conto sulla politica del momento, i napoletani possono attendere. Anzi attendono da tempo, visto che, dinanzi alla scelta di candidati che le segreterie di partito gli propinano, ormai sono anni che si registrano astensionismi che hanno raggiunto anche al 70% degli elettori. Anche Luigi De Magistris, eletto a furor di popolo secondo i media nazionali, in realtà doveva constatare l’opposizione o l’indifferenza di sette napoletani su dieci, all’atto delle elezioni a sindaco.

E può attendere l’Italia che avrebbe davvero bisogno di un ‘crocevia mondiale dell’intrattenimento’ e del conseguente PIL napoletano incrementato di diverse centinaia di miliardi di euro, senza tener conto delle minori spese per welfare e della minore aggressività e diffusione dei fenomeni criminali.

Sfogliando il maggiore quotidiano italiano, La Repubblica, sembra che la priorità ‘turistica’, per l’Italia e anche per Napoli (o Agrigento), è la creazione nel bel mezzo di Roma Capitale – molto fantasiosa, visto che andrebbe nel bel mezzo dei palazzi del potere e dell’asfittico e caotico traffico  – di un parco archeologico romano che vada a far concorrenza a quello di Pompei ed a quello che dovrebbe già esistere da tempo, ai Campi Flegrei …

Senza ingenti e lucrativi investimenti e senza la ripresa di almeno una parte del Meridione ci vorranno almeno due o tre generazioni per ripianare l’enorme debito che affligge lo Stato italiano. Ammesso che ci si riesca: 1.000 miliardi di euro son tanti davvero, se il Paese è incravattato dalla pressione fiscale, dall’irresolutezza della politica e dalla stagnazione strisciante.

E quel che succede nella Napoli di Luigi De Magistris (o meglio NON succede) con immobili e territori di pregio, che andrebbero messi a ricavo e non ad ammortamento, ne rende esemplarmente la prospettiva economica generale dell’Italia.

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Lavoro, Iva, F35: rinviare è peggio

27 Giu

Marco Tullio il Temporeggiatore non sarebbe riuscito a far di meglio, se si voleva perpetuare lo stallo cattolici-comunisti, in cui sta lentamente sprofondando l’Italia da che si è fatta repubblica.

L’IMU è sospeso e diventerà, entro Natale, una cambiale raddoppiata per tanti cittadini, mentre i Comuni restano senza risorse proprie. Anche per le commesse degli F35 se ne riparla tra sei mesi, nonostante questo significhi azzerare quel poco di elettronica e meccanica d’eccellenza che esiste ancora in Piemonte. L’incremento dell’IVA è anch’essa sospeso, con appuntamento a dopo l’estate e sperando di rinviare il tutto a dopo le elezioni autunnali in Germania.

Rinvii pericolosi, come insegna l’esperienza, visto che, comunque andassero le elezioni in Germania, stanno preparando una Patrimoniale per il Capodanno, da attuare con urgenza tra i botti (in borsa) di fine anno.

Intanto, aumentano al 100% l’acconto Irpef, del 101% (dal 100%) quello Ires; contanti ed in anticipo per ben 2,6 miliardi stimati. Arriveranno (si noti il tempo futuro) 1,5 miliardi per le aziende che avranno la forza di investire e assumere giovani under30.

Niente sgravi per le aziende, niente riduzione del costo del lavoro: welfare camuffato da investimento infrastrutturale a patto che ci siano commesse e appalti per creare lavoro. Cosa resterà di quanto lo sappiamo già: l’abbiamo imparato durante gli Anni ’90 dalle analoghe politiche del Centrosinistra.

La legge elettorale è rinviata ad un ipotetico termine di 180 giorni, come lo sono tutte le riforme del sistema politico. Nelle carceri si preferisce andare avanti con mini-indulti, piuttosto che affontare la questione di due leggi poco costituzionali come quella sull’immigrazione e quell’altra sul consumo di stupefacenti. Berlusconi è fuori gioco, a Napolitano non restano che le dimissioni per motivi di salute e alle urgenze si aggiunge quella – dimenticata – di riformare la giustizia e la pubblica amministrazione, scuole, università e ricerca incluse. Il Partito Democratico paralizzato dall’incombente congresso che somiglia ad una nemesi storica, prefigurandosi simile a certe assemblee toscane, tramandateci dalle cronache del Rinascimento, come quelle, romane, che potrebbero descrivere cosa accade a Destra, alal ricerca di una Papessa, caduto il Papa Re.

Uno stallo, non un rinvio, in cui Milano e la ‘Padania’ vogliono solo un minimo di stabilità per profittare al massimo dell’Expo 2015, Roma ed il Centroitalia trovano gioco per nulla mutare pur cambiando tutto, al Sud ‘va tutto bene’.

Intanto, Beppe Grillo resiste e continua a raccogliere – nonostante diaspore, polemiche ed espulsioni – più persone di quante ne mettano insieme la Triplice sindacale o anche il maggiore dei partiti. Cosa ovvia, se lo spettacolo è quello del rinvio, dopo aver urlato agli italiani per due anni “fare presto, fare tutto”.

Dunque, tutto rinviato all’autunno, quando, trascorse le elezioni germaniche, si spera arrivi qualche fiume di denari o qualche strappo ai vincoli di Maastricht oppure il solito ultimatum UE che consenta di far cadere il governo. E nessuno ha – per ora, solo per ora – da ridire che le carenze finanziarie che necessitano di Imu anche sulle prime case, Iva maggiorata, acconti Irperf e Ires raddoppiati e ‘verifica’ degli F35 derivano tutti da errori di computo (vedi titoli di Stato o pensioni), da generose elargizioni (vedi Monte Paschi di Siena) e da scelte avventate (leggasi recessione) attuate dal senatore a vita Mario Monti e dal suo governo. Scelte che, nonostante i rapporti della Corte dei Conti e dell’INPS, nessuno si accinge a risanare. Come nessuno tiene in conto degli interventi della Corte Costituzionale su troppe leggi, che restano lì, e della ‘lettera morta’ che è rimasta la Riforma Brunetta, se parliamo di contratti, mansionari e metodi di assunzione nel pubblico impiego.

Dicevamo di Expo 2015 a Milano. Ma siamo davvero sicuri di non ritrovarci, con un palcoscenico mediatico simile e andando di questo passo, con una ‘patata bollente’ come quella brasiliana per la Confederation Cup?
Forse Letta o Alfano non se ne rendono conto, ma – dopo il transito di Monti e Fornero – la gente non sa neanche più quale dei mille cavilli rispettare o quale balzello gli tocchi mentre va a ritirare lo stipendio … figuriamoci a tirar su i consumi e la produzione se a tavola si mangia pane e bollette.

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I numeri del lavoro dei docenti in Europa

22 Ott

Molti sono convinti che “i docenti italiani hanno un carico settimanale di ore di lezione in classe superiore alla media europea sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3) e praticamente identico nella scuola media  (18 contro 18,1)”. (fonte Libertiamo)

Un’informazione che, secondo il MIUR, si basa su dati inoppugnabili, che risultano abbastanza incredibili per chi ha lavorato come docente all’estero e/o conosce docenti stranieri.

Italia: ricordiamo che un docente delle scuole superiori è obbligato a prestare 18 ore settimanali per 33 settimane di lezione e una 40ina ore di riunioni annue di attività funzionali all’insegnamento; in totale sono 634 ore annue ricomprese negli stipendi, per il resto solo i volontari e con compensi accessori, previsti anche per i recuperi didattici e per gli esami di Stato.

E vediamo cosa raccontano, in lingua madre, i docenti di qualche altro paese.

Germania: I docenti delle scuole, – come riportato in diversi studi negli ultimi anni, compresi quelli di ministri delle finanze ed anche tenendo conto delle vacanze scolastiche, lavorano annualmente più di 1.800 ore. In una settimana di scuola questo comporta una media di 45-55 ore. Inoltre, i tempi di “puro insegnamento” riguardano solo circa la metà di tutto il lavoro degli insegnanti. L’altra metà è composta da: preparare le lezioni, correggere, incontro con i colleghi, i genitori, gli studenti e non scolastici rappresentanti, conferenze, gite degli studenti.
Le vacanze in senso tradizionale sono solo per gli insegnanti le vacanze estive. Inoltre, molti insegnanti hanno anche il servizio militare/civile durante le vacanze nelle scuole, o essi stessi sono coinvolti nella prima settimana e le ultime due settimane di vacanza estiva con il completamento e pianificazione del lavoro. Tipici esempi di alta intensità di lavoro i periodi di vacanza di Pasqua e di Pentecoste: in queste settimane molti insegnanti indaffarati per le verifiche dei recuperi (ndr. rettifiche testualmente) che seguono gli esami di fine corso, che constano spesso di 20 pagine per singolo studente.”
(Kraus Von Josef, Präsident des Deutschen Lehrerverbandes, link)

Regno Unito: “Il numero di giorni di lavoro annui che i docenti full time di ogni scuola devono garantire è di 195. Almeno il 10% del lavoro è dedicato al planning ed alla preparazione/verifica. Ai supplenti vengono richieste supplenze raramente.
Il numero di ore in cui gli insegnanti a tempo pieno possono svolgere attività d’insegnamento od altre attività professionali (esterne) ha il limite assoluto di 1265.” (National Union of Teachers, link)

Francia: “Nelle scuole pubbliche, gli insegnanti forniscono in media all’anno 779 ore di corsi di educazione primaria, ore 701 di corsi nel primo ciclo di istruzione secondaria e 656 ore di corsi nel secondo turno delle istruzione secondaria.” (Organisation for Economic Co-operation and Development, link) Aggiungiamo che in Francia tanti studi di settore denunciano il basso impegno orario dei loro insegnanti.

Dunque, è davvero un mistero sapere come siano stati aggregati i dati italiani che raccontano di ‘carichi settimanali’ dei docenti italiani ‘superiori’ a quelli di tanti altri docenti.

Di seguito i dati dell’OECD per una vasta gamma di nazioni nel mondo.

Buona riflessione.

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L’iniquo diktat di Bersani sulla scuola

22 Ott

Nelle scuole c’è agitazione per la proposta del governo, contenuta della legge di Stabilità, di estendere l’orario di didattica frontale dei docenti da 18 a 24 ore,  con incremento delle ferie estive, ma senza aumenti di stipendio. A dire il vero, c’è agitazione solo nelle scuole medie e superiori, dato che le maestre delle elementari e delle materne, già lavorano per 24-25 ore settimanali, più un discreto carico di progetti, incontri con le famiglie e riunioni.

Due mondi in un solo comparto: i professori che riscattano 3-5 anni di studi universitari, lavorano 18 ore settimanali più 40 ore annue di riunioni, percepiscono stipendi superiori di diverse centinaia di euro, sono in discreta parte maschi, anzichè ‘solo donne’ come nelle scuole elementari, dove fanno un lavoro più complesso, più esteso nel tempo, con maggiori responsabilità e rapporti con l’utenza e … si guadagna molto di meno. Esemplare il caso dei docenti tecnico-pratici degli istituti tecnici che sono diplomati come le maestre e che guadagnano di media circa 200 euro al mese in più, lavorando 18 ore anzichè 24.

Parliamo di circa 400.000 lavoratori, la decima parte di una pubblica amministrazione – che sta subendo e sopportando tagli, sacrifici ed economie – e di un risparmio di circa 700 milioni di euro in supplenze nel triennio, con circa 30.000 giovani in meno che entreranno nella macchina stritolatutto del precariato.

Parliamo anche di troppi licei che spendono per supplenze, inspiegabilmente, più risorse pro capite di una scuola elementare piena zeppa di lavoratrici madri con figli di età inferiore ai 10 anni.  Di contratti di lavoro e mansionari che consentono ai docenti di rifiutare la supplenza interna anche se vi sono classi e classi senza vigilanza, di un sistema di graduatorie interne che garantisce alcuni e mobilizza perpetuamente altri. Di un sistema di controllo che invia revisori con un diplomino in tasca a verificare bilanci milionari badando solo (o quasi) che il totale dei debiti sia pari o inferiore al totale delle entrate, o meglio dei crediti. Di un’autonomia scolastica sempre più al lumicino.

Una norma, quella dell’elevamento dell’orario didattico de professori, inutile se esistesse anche un banale monte ore di ‘straordinari’, come per qualunque altro lavoro in modo da garantire il servizio.
Una norma che poteva essere contrattata, invece che anticiparla con uno sciopero, e che ormai andrebbe approvata, riconoscendo qualcosa di più a livello contrattuale, visto che c’è necessità che tutta la pubblica amministrazione faccia il massimo del massimo, come in un dopoguerra.

Una legge che spaventa dato che ora si tocca la categoria benemerita dei professori  edomeni potrebbero esserlo anche le attrettanto benemerite categorie dei giornalisti, dei dirigenti ed amministratori pubblici retribuiti, dei medici e degli universitari.

Suona, dunque, davvero strano che il ‘responsabile’ Pierligi Bersani affermi: «Voglio dirlo con chiarezza, noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola».

I motivi per non votare la Legge di Stabilità, caso mai, sono altri, come le norme a carico dei malati e dei disabili oppure quelle sulla detraibilità dei mutui o la vergognosa IVA che, a differenza dell’IRPERF, colpisce più i poveri che i ricchi e flette i consumi.

I motivi per parlare di istruzione e formazione sono altri, come la categoria dei docenti e lavoratori esternalizzati da province e regioni a carico del ‘diritto allo studio’, come i costi di risanamento delle precaria edilizia scolastica (l’inverno arriva …) che ammonteranno ad una decina di miliardi, innovazione inclusa, come l’enorme quantità di debiti che il MIUR mantiene verso le scuole (residui attivi) che potrebbe aver superato i 3 miliardi di euro, mentre si prevede un ulteriore e pesante definanziamento nei possimi tre anni.

I motivi per stare dalla parte dei professori sono tutti scritti nei tanti decreti e circolari dle MIUR, tra cui quello che impone ‘di fatto’ di attribuire, contro ogni meritocrazia ed equità, la sufficienza in condotta a tutti gli alunni che non abbiano commesso reati piuttosto gravi, come minacce e/o ingiurie e/o percosse, ovvero reati spesso perseguibili solo su querela di parte, per i quali  la vittima – un compagno di classe od un docente – solitamente  rinuncia,.

Il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, pensa che esiste il pericolo di «dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa. Voglio credere che ciò sarà ben compreso dal governo» e, nel giro di 24 ore, il sottosegretario Marco Doria, uno scrittore di successo, prontamente annuncia che “troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità”.

Ancora tagli al funzionamento delle scuole, che seguono a carenze di finanziamenti ed esitazioni normative che arrivano da lontano.

Ad esempio, dal ‘suo’ governo Prodi e dall’iniziativa del ‘suo’ collega, il ministro Fioroni, che accentrò i finanziamenti delle scuole in un solo ufficio di Viale Trastevere, o dall’esperienza del precedente, l’eclettico Berlinguer, che dopo aver esteso l’età d’obbligo scolastico, si vide lesinare le risorse e non potè riformare a fondo gli indirizzi di studio e le cattedre dei docenti.

Scuole che ormai sono allo stremo, come gli Enti Locali che dovrebbero provvedere alle loro manutenzioni, mentre il ministero, anno per anno, apporta continue modifiche alla rete scolastica. Una scuola superiore che, a ben vedere, è poco o punto cambiata, nei programmi e nelle risorse, rispetto a quella che frequentammo in tanti 40-50 anni fa.

Se un diktat al governo Monti andava lanciato ‘da sinistra’, quello affermato da Bersani, in favore dei professori, non è quello che intacca le maggiori iniquità e non è quello che influisca positivamente sui ceti medio-bassi o non abbienti, come non rassicura malati e giovani.

La Casta è sempre la casta e non si tocca.
E speriamo che la mela avvelenata delle risorse in favore dei professori non andrà a vertere anche sull’INPS o la Sanità, ovvero pensionati, disoccupati e malati.

Una domanda per Pierluigi Bersani: viene prima il diritto costituzionale allo studio ed alle pari opportunità di bambini, ragazzi, famiglie e disabili oppure ha più peso di un limitato gruppo di persone, i professori delle medie e superiori, che equivalgono al 4% della popolazione?

Quanti altri voti perderà il Partito Democratico schierandosi ‘come al solito’ dalla parte della Casta del pubblico impiego, dopo non aver versato una prece per disoccupati, cassaintegrati, malati, pensionandi, giovani precari e donne?

Leggi anche I (veri) numeri del lavoro dei docenti in Europa

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Comune di Bologna: uno schema finanziario collaudato

17 Mag

Virginio Merola (Partito Democratico) è il sindaco di Bologna, un comune che è il maggiore azionista di Hera S.p.A. con una quota di azioni pari al 14,76 % e, tramite questa, controlla (100%)  HERA COMM, la quale si occupa di vendita di gas ed energia elettrica ed a sua volta detiene il 50,01% di HERA COMM MEDITERRANEA la quale si occupa di produzione, acquisto, trasporto e vendita di energia, mentre il restante 49,99% è detenuto dalla società S.C.R. s.r.l. con capitale coperto da segreto fiduciario e scelta senza gara ad evidenza pubblica. Il Gruppo Hera è il secondo operatore italiano nella gestione del ciclo idrico integrato, ovvero dalla raccolta alla depurazione delle acque reflue fino alla distribuzione di acqua potabile, ed è anche il principale operatore nazionale nel settore ambiente per quantità di rifiuti raccolti e trattati.

Tra l’altro, come formalmente dichiarato a bilancio comunale, “la raccolta differenziata è particolarmente bassa nel Comune di Bologna (36%),  rispetto agli standard richiesti in sede comunitaria (65% entro il 2012).”

Un Comune, quello di Bologna, che alla chiusura del consuntivo 2011 metteva a bilancio ben 12.5 milioni di euro di avanzo economico di parte corrente pari. Risorse che non il sindaco della città ed il consiglio comunale non intendono destinare alla spesa corrente, riducendo tributi e invrementando i sussidi, e che verranno destinati “cura della qualita’ urbana della città” pur di non protestare contro il Patto di stabilità.

Un bel conflitto di interessi, di questi tempi, visto che la crisi dovrebbe indurre il Primo Cittadino a non innalzare il costo delle forniture acqua-gas-luce, se si volesse essere attenti ai cittadini, e non viceversa innalzarlo, come accade, dato che si pensa solo alla cassa ed alla spesa.

Utile aggiungere che il Comune di Bologna controlla anche Interporto Bologna  S.p.A. (35,1%), con ricavi, nel 2007, superiori ai 22 milioni di Euro, e che dagli utili, che questa società  si propone di ottenere, dipende sostanzialmente il prezzo al banco di qualunque prodotto transiti da lì.

Un bel balzello sulle spalle degli altri italiani che permette al Comune di Bologna di mantenere “fiori all’occhiello” a spese di altri.

Un Comune che annuncia (esultante?) che “tra i principali risultati ottenuti con le più recenti modifiche normative, vi sono l’esclusione dall’IMU degli immobili comunali e la possibilità di assimilare alla prima abitazione quelli non comunali (di proprietà Acer) destinati a Erp o Ers, così come quelli dei soci di cooperative a proprietà indivisa” , oltre che forti riduzioni per le imprese.

Mica alleviare i cittadini, visto che si tratta di “un Comune quasi totalmente autonomo da un punto di vista tributario e finanziario”, bensì finanziare la Casta e la folle spesa pubblica, per sostenere la quale il Sindaco e la Giunta bolognesi hanno già introdotto, per i servizi educativi nel corso del 2012, alcune significative innovazioni nell’utilizzo dell’ISEE (Indicatore di situazione economica equivalente) e che ulteriori modifiche saranno introdotte “al fine di conseguire maggiore equità e selettività nelle modalità di accesso e contribuzione ai servizi”.

Ma non solo, visto che la Giunta di Virginio Merola, con i tempi che corrono è riuscita a deliberare, per il 2012, · risorse aggiuntive per 1,6 milioni di euro “per estendere la rete e potenziare la manutenzione degli impianti di rilevazione automatica delle infrazioni al codice della strada”, mezzo milione di Euro per il bike-sharing ed un altro mezzo milione per “potenziare le azioni di recupero dell’evasione”. Importante aggiungere, riguardo ll’utilità di queste spese, che l’Emilia Romagna nel solo 2010 ha speso quasi 2 milioni di euro per il bike sharing, che è la regione con il più basso rischio di evasione fiscale e che il numero di feriti negli incidenti stradali a Bologna è relativamente costante dal 1995.
Tra l’altro, essendo il debito comunale nell’ordine dei 300 milioni, secondo alcune stime, davvero non si comprende come possano i revisori dei conti tollerare interessi passivi a fronte di somme eccedenti od accantonate.

Ritornando ad Hera spa, sia il Fatto Quotidiano sia la Voce di Romagna, raccontano una “strana” vicenda iniziata dieci anni fa, quando la società SCR – quella coperta da “segreto fiduciario” e indicata dal Fatto Quotidiano come vicina alla famiglia Cosentino tramite una fiduciaria – compra per tre miliardi e 715 milioni di lire (1,9 milioni di euro) l’area industriale della ex Ceramiche Pozzi di Sparanise (CE), un prezzo a dir poco stracciato, dato che il sito non aveva  i permessi per ospitare impianti energetici o per il trattamento rifiuti.  Nel 2001, l’area viene rilevata da AMI spa (azienda controllata dal Comune di Imola) proprio poco prima che il Comune di Sparanise cambi la destinazione d’uso dei terreni, consentendo la costruzione di una centrale a turbogas da 800 megawatt, e prima che la stessa AMI spa si fonda con altre ditte emiliano-romagnole, diventando Hera. Un’area che già nel 2003 Hera aveva provveduto a vendere a Calenia Energia, a sua volta ricomprata, nel settembre 2004, dalla  “stessa” Hera e dalla “quella” Scr collegata all’onorevole Nicola Cosentino per il 15%  e per il restante  85% del capitale dalla svizzera Egl.
Nel 2008 Hera Comm Med, società commerciale di Hera (nel cui cda siede Giovanni Cosentino, fratello di Nicola), cui è intanto è passato il controllo del 15 % della centrale, dichiara ricavi per 40 milioni di euro ed utili per 6 milioni e mezzo, dei quali  non vi è traccia nei dividendi e nei bilanci delle giunte romagnole e della multiservizi bolognese (fonte Voce di Romagna).

Non deve dunque meravigliare se il sindaco bolognase Virginio Merola segua con trepido interesse le vicende campane sia riguardo i rifiuti sia riguardo il caso Equitalia e sulle proteste scoppiate in tutto il paese, chiedendo «una grande manifestazione contro l’evasione fiscale», aggiungendo  «non come a Napoli dove contro Equitalia sono scesi in piazza cittadini e camorra».

Ciò che dovrebbe meravigliare è che nessuno ancora si sia accorto di come l’Emilia Romagna e le sue giunte rosse e bianche vantino un “successo gestionale” che si fonda su indebitamenti sine die, gestioni separate o parallele come quelle delle ex-municipalizzate, speculazioni su aree meno sviluppate del paese amministrate da “giunte amiche”, pressione fiscale ossessiva o poco trasparente.

Non meraviglia neanche che, ancora oggi, proprio negli impianti di Imola vadano a finire migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti campani e che a lucrare sulla “monnezza di Napoli” ci siano emiliani e romagnoli.

Come non meraviglia che, non Bersani e non Vendola, ma Giovanni Favia, consigliere comunale bolognese del Movimento Cinque Stelle (link), sostenuto dal Partito del Sud campano (vedi link) abbia presentato un ordine del giorno dove si chiede al Sindaco di Bologna di “adoperarsi affinchè persone delle quali non può essere garantita l’onestà e l’estraneità al mondo della camorra, non siedano all’interno di società partecipate dal comune”.

Utile sapere, però, che Virginio Merola è bolognese d’adozione, essendo nato a Santa Maria Capua Vetere, comune casertano limitrofo proprio a Sparanise, dove è nata anche la moglie dell’ex ministro alle telecomunicazioni, Mario Landolfi (PDL), rinviato a giudizio per presunti favori alla camorra, e dove dal 16 al 26 gennaio scorso è stato cercato come “sparito” l’ex sindaco, Salvatore Piccolo, un avvocato che aveva difeso gli interessi del boss Giuseppe Papa, poi “riapparso” adducendo «questioni strettamente personali».

… e che, come riportato dal giornalista Massimiliano Amato nel libro “Il casalese”, edito da “Cento Autori”, la centrale di Sparanise (una “creatura” di Giovanni Cosentino, fratello del deputato Nicola) sancisce l’inizio di un “consociativismo” negli affari tra imprenditori collegati alla camorra e politici, che travalica qualsiasi possibile distinzione tra sinistra e destra.

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