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Emergenza profughi ucraini, ma quanti saranno?

1 Mar

L’Italia è il primo Paese europeo per presenza di cittadini ucraini che rappresentano la quinta popolazione straniera per numerosità, passando da 120 000 nel 2006 a circa 234 000 nel 2019.

La comunità ucraina in Italia è composta principalmente da donne (80%), in media di 45 anni, laureate, senza figli a carico; parte della famiglia, a cui vanno le rimesse, resta in Ucraina. Il 70% degli ucraini in Italia ha permesso di soggiorno di lungo periodo.

L’Ucraina è divisa i 4 regioni: Centrale (Kiev) , Occidentale (Leopoli) , Meridionale (Odessa e Cherson) , Orientale (Donetsk, Lugansk e Kharkiv) ed è già scappato circa mezzo milione di persone.

Secondo alcune stime statunitensi, i profughi potrebbero diventare 4-5 milioni, se – in attesa di un accordo – si arrivasse almeno ad un armistizio con ritiro russo da Kiev e solo l’Ucraina Orientale più parte di quella Meridionale resterebbero ‘zona contesa’ con una popolazione ‘non russofona’ del 20-30% … in fuga.

Ma se le parti non arrivassero almeno ad un armistizio e tra due settimane si combattesse per le strade di Kiev (e già oggi a Kharkiv), i profughi saranno anche molti di più.

Preso atto che tutte le ricadute di questa crisi ucraina ricadono largamente sull’Unione Europea, ma molto meno su USA e UK, cosa deve aspettarsi l’Italia?

Possiamo ipotizzare che, legittimamente, solo la metà degli ucraini che lavorano da anni qui da noi chiedano la ricongiunzione familiare per i loro cari: se il totale è delle presenze è di 240mila circa e la metà fa 120mila, anche mettendo solo un figlio e una nonna a testa … stanno arrivando 3-400mila persone.

Forse, anche qualcuna in più: un’emergenza, insomma.
E non saranno ‘profughi’ nè ‘rifugiati’ ma nuovi ‘residenti’. Dove? Secondo percentuale, come nella tabella.

Demata

Reddito di base: una soluzione liberale

8 Gen

Arriva il gelo e chi più esposto muore.

homeless
Subito decollano i confronti con i circa 1.000 euro al mese (30 € circa al giorno) erogati per i profughi stranieri, dimenticando le decine e decine di miliardi – prelevati dai nostri redditi e dai nostri consumi – che spendiamo per il settore socio-sanitario ‘privato’ (enti morali, aziende o società che siano) … quali sono Inps, onlus e policlinici universitari fino alla (certamente benerita) Caritas.

Eppure, dal mondo liberal sono emerse, da oltre cinquant’anni, non poche proposte di reddito di base, tra cui – ad esempio – quella di Friedrich von Hayek.

“Pochi metteranno in dubbio che soltanto questa organizzazione [dotata di poteri coercitivi: lo Stato] può occuparsi delle calamità naturali quali uragani, alluvioni, terremoti, epidemie e così via, e realizzare misure atte a prevenire o rimediare ad essi”.

Per questa ragione, appare del tutto evidente “che il governo controlli dei mezzi materiali e sia sostanzialmente libero di usarli a propria discrezione” … “vi è ancora – scrive Hayek – tutta un’altra classe di rischi rispetto ai quali è stata riconosciuta solo recentemente la necessità di azioni governative, dovuta al fatto che come risultato della dissoluzione dei legami della comunità locale e degli sviluppi di una società aperta e mobile, un numero crescente di persone non è più strettamente legato a gruppi particolari su cui contare in caso di disgrazia.
Si tratta del problema di chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in un’economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani – cioè coloro che soffrono condizioni avverse, le quali possono colpire chiunque e contro cui molti non sono in grado di premunirsi da soli, ma che una società la quale abbia raggiunto un certo livello di benessere può permettersi di aiutare”.

Successivamente, James Meade – nella sua nota analisi della compatibilità degli obiettivi di piena occupazione ed equilibrio della bilancia dei pagamenti, da tenere strettamente separate all’incontrario di come facciamo noi – elabora il concetto di “dividendo sociale”, ipotizzando che, in una società dal lavoro sempre più scarso, parte dei proventi del reddito personale non avrebbero più potuto essere coperti dal reddito da lavoro, proponendo pertanto un nuovo modello socioeconomico che include tra i suoi istituti anche un dividendo sociale, e cioè un beneficio pubblico indipendente dal contributo lavorativo personale ed uguale per tutti i cittadini.

Nel 1985 La Revue Nouvelle belga pubblica un numero monografico sul tema del reddito di base dal titolo “Une reflexion sur l’allocation universelle”, proponendo l’alleggerimento della legislazione sul lavoro, l’eliminazione del limite di età pensionabile e la sostituzione di ogni altra forma di welfare con un un reddito che fosse da solo sufficiente a coprire tutte le esigenze standard di una persona single.
Incredibile a dirsi, ma proprio questo modello è considerato incostituzionale dalla sinistra e dai sindacati nostrani …

Ma, se il settore sociosanitario ‘così com’è’ rappresenta un bacino di consenso primario per il PD ed i sindacati come per i Cinque Stelle, quel che non si comprende davvero è perchè il Centrodestra e – soprattutto la Destra – dimenticano del tutto la soluzione liberista del ‘reddito di base’, in un paese in piena deriva populista, con milioni di poveri e di sottoccupati, mentre l’economia stenta ad uscire dall’inviluppo della stagnazione e dell’overflow pubblico.

Stato Minimo: alleggerimento della legislazione sul lavoro, eliminazione del limite di età pensionabile, libera assicurazione dei lavoratori, sostituzione di ogni altra forma di welfare con un un reddito di base !
 
Demata

Migranti: le bugie su Papa Francesco

29 Apr

Anche Papa Francesco è umano e, dunque, pecca inevitabilmente, almeno stando alla dottrina cristiana, ed in quanto Re Assoluto dello Stato del Vaticano alcuni di questi ‘peccati’ sono ‘pubblici’.

Ad esempio, come la mettiamo se un’autorità spirituale mondiale condiziona pesantemente le politiche e le elezioni di USA, Italia e Germania quando afferma sui migranti  che “respingerli è un atto di guerra”, dimenticando che i trattati internazionali prevedono l’ingresso solo per i rifugiati di guerra?

Semplice: verifichiamo la notizia e scopriamo che il Papa non ha MAI fatto riferimento ai migranti, bensì a chi fugge dal proprio Paese a causa di un conflitto, e, soprattutto, crede che “anche i conflitti possono farci bene, perchè ci fanno capire le differenze, come sono le cose diverse. E ci fanno capire che se non troveremo la soluzione che risolve questo conflitto ci sarà una vita di guerra”.

O, anche, che dire di un leader mondiale che “chiede perdono” ai migranti affermando che sono “trattati come un problema, invece sono un dono”, mentre allo stato dei fatti i popoli più disponibili ed aperti verso culture diverse sono proprio gli europei artefici della multiculturalità?

Semplice: verifichiamo la notizia e scopriamo che il Papa non ha MAI fatto riferimento ai migranti, bensì chiede a “tutti i Paesi, finché perdura la situazione di precarietà, a estendere l’asilo temporaneo, a concedere lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei, ad ampliare gli sforzi per portare soccorso e ad adoperarsi insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso”, i quali – comunque – anche secondo il Santo Padre “possono farci bene”.

E cosa dire se poi leggiamo titoli come “Migranti, Obama cita il Papa: Non servono muri. E lancia appello per Europa unita” e poi scopriamo che il presidente USA ha semplciemente ricordato all’Europa che “Francesco ha detto che i profughi non sono numeri, ma sono persone, che hanno volti e storie” e “che è necessario aumentare le spese sulla Difesa”?

Le questioni sono due: o i redattori dei nostri media non conoscono la differenza tra migrante e rifugiato oppure i direttori delle testate stanno manipolando l’opinione pubblica. Temo sia la prima che ho detto …

Inoltre, l’equivoco si è allargato a dismisura e potrebbe condizionare seriamente le prossime elezioni o referendum, se troviamo on line un appello /petizione ricco di adesioni anche autorevoli o significative che chiede “un’Europa dalle porte aperte, che garantisca ai migranti una via d’accesso sicura e legale senza costringerli a mettere a repentaglio la propria vita.”

E’ cosa nota che per i rifugiati già da due anni servisse un canale umanitario per dislocarli negli stati confinanti (vedi Grecia e Turchia) ed un cordone militare per impedire l’espansione di Isis e per contenere la reazione a volte incontrollata degli eserciti e delle milizie che difendono il territorio.

E’ meno noto che le notevoli difficoltà a gestire i rifugiati sono dovute innanzitutto alla marea di migranti che si infiltra tra di loro sperando di farla franca o, peggio, di campare di sussidi per un paio di anni alle nostre spalle.

Non sarebbe affatto male se i nostri media e chi amministra i nostri soldi iniziassero a distinguere i rifugiati dagli asilanti temporanei o dai migranti illegali.
Perchè creare una falsa querelle sui migranti – sfavorendo come ‘razzisti’ i vari soliti noti – mentre il Papa e il Mondo parlano di rifugiati e, sembrerebbe, si prefigura non la pace, ma la guerra?

Demata

Venti di guerra, ma stavolta non è colpa degli Amerikani

7 Set

Ad alcuni non è piaciuto il monito del Pentagono riguardo i venti anni che ci attendono tra guerre e corrispettivi profughi. Eppure, era chiaro fin dal 2001 che eravamo in guerra e che sarebbe durata almeno una generazioni, quando Al Qaeda abbattè le Torri Gemelle.

Prima di puntare il dito verso i ‘soliti mericani’ andrebbe per lo meno considerato che per fare le guerre c’è da tener conto delle armi, che vanno altresì considerate anche ‘dopo’, quando c’è da garantire una pace ‘armata’.

Partendo dagli USA e un intervento di ‘proactive peace keeping’ – se non di vera e propria guerra con il Daesh, lo Stato Islamico – c’è innanzitutto da rilevare che gli armamenti sono spesso inferiori  a quelli degli altri eserciti.

Se il gap nel settori armi leggere potrebbe essere superabile tramite l’importazione dall’Europa, come avviene ad esempio per le pistole da molti anni, il problema delle migliaia di Abrams da smaltire entro 20 anni circa potrebbe essere addirittura un incentivo all’azione militare. Ma, al momento non sembra che abbiano carri adeguati per sostituirli e gli F35 non saranno operativi se non tra qualche anno.
Inoltre, gli USA (come qualunque altro stato) hanno poca voglia di continuare ad ampliare un esercito ‘civile’ (milizia?) con tutti i giovani americani che sono stati in Irak o Afganistan nell’ultimo decennio.

Più interessata ad un conflitto potrebbe essere l’Europa che ha migliaia di Eurofighter da avvicendare ed avrebbe un potenziale notevole – che non riesce a sviluppare – nel settore delle armi leggere e dei veicoli suburbani o tattici, per non parlare dei servocontrolli e dell’avionica.

Al contrario degli USA, la Russia che ha un esercito molto ammodernato e da anni si prepara a dislocare interi battaglioni corazzati nel giro di poche ore a migliaia di chilometri di  distanza. E vista l’aria che tira in Africa ed in Medio Oriente, anche per via degli enormi interessi minerari, c’è anche la Cina che si è appena proposta (tra dieci anni saranno forse al livello) come potenza militare globale.

E qui arrivamo al dunque, i soldi: è dalla Crisi cinese che arriva il profilarsi di conflitti di macro-area in Africa e nel Medio Oriente in fiamme, con effetti ‘benefici’ sulla produzione industrial-militare, sul ‘profitto’, sulla ‘produzione’, sull’occupazione e sui ‘consumi’ di tutto il mondo, non solo degli USA.

L’Africa? Noi occidentali – ma anche i cinesi ed i giapponesi o gli indiani – costruimmo strade, ponti, ferrovie, porti e fabbriche per fare la guerra … persino la pennicillina fu scoperta per esigenze belliche …
Non è un bel rendiconto, ma è questa la natura degli Homo Sapiens Sapiens.

Demata

Venti anni di profughi e … di guerre

4 Set

Il ‘core’ della crisi cinese è l’apertura agli investimenti stranieri, un tasto abbastanza dolente per la Cina, memore sia della Guerra dell’Oppio anglo-americana sia della Manciuria giapponese. Allo stesso tempo è inevitabile e potrebbe essere perseguita fuori dalla Cina, con joint ventures in Africa, in Asia e, forse, nell’Europa greco-balcanica.
L’alternativa è il profilarsi di conflitti di macro-area in Africa con effetti ‘benefici’ sulla produzione industrial-militare occidentale.
Meglio la prima, più probabile la seconda se la Cina non fa presto, ma in ambedue i casi il ‘profitto’, la ‘produzione’ e i ‘consumi’ sarebbero assicurati.

Oggi gli USA avvisano il mondo che ‘la crisi migratoria durerà 20 anni’ e l’Unhcr ha lanciato un appello per la ripartizione di almeno 200mila richiedenti asilo in Unione Europea nell’immediato.

Non ci vuole la sfera di cristallo per prevedere che anche per i prossimi 20 anni in buona parte si tratterà di profughi dall’Africa e dal Medio Oriente in fiamme … con effetti ‘benefici’ sulla produzione industrial-militare, sul ‘profitto’, sulla ‘produzione’ e sui ‘consumi’.

Demata

La pessima accoglienza italiana fomenta la xenofobia

17 Lug

La Germania accoglie profughi palestinesi e ne garantisce l’inserimento nel lavoro e gli studi, ma con permessi a tempo legati all’effettiva situazione di rischio che ha determinato l’accesso allo status di rifugiati. Se non fosse così (queste sono le regole dell’UNHCR mica della Germania) i paesi da cui provengono i rifugiati sarebbero depauperati della loro parte migliore …

L’Italia accoglie profughi e non solo, visto che non riesce ad espellere neanche i delinquenti abituali. Finora li destinava in dei luoghi orrendi chiamati CIE, con cancelli e filo spinato. Adesso, visto che somigliavano troppo a dei lager e che i soliti scandali di corruttela s’erano appalesati, il sistema è cambiato.

Ci pensano i Comuni collocandoli in palazzine semisfitte, a volte senza corrente a volte senza acqua, ma sempre nel nulla. Palazzine che non di rado vedono la coesistenza di regolari proprietari delle abitazioni che hanno investito la propria vita in un mutuo ventennale depauerato vertiginosamente dalla conversione del residence in un campo profughi.

Un sistema assurdo e disumano, che colloca i profughi in qualche intestizio extraurbano (alla faccia dell’integrazione) e che marginalizza gli italiani che ne sostengono direttamente il carico, mentre ombre sempre più fosche si ammantano sui rapporti tra politica locale e palazzinari.

Ovviamente i nostri media raccontano dell’infamous Merkel dinanzi alla ragazzina che non vuol tornare e dei pessimi di Forza Nuova o della Lega di Salvini, ma non della follia e dell’iniquità del sistema di accoglienza italiano. E neanche del fatto che si accusa di isolazionismo proprio la Germania dove almeno il 40% della popolazione si ritrova con un genitore o con un nonno od un parente straniero.

Che l’Italia sia pessima in fatto di accoglienza ed integrazione lo dimostra che, tra le tante cose che non ci raccontano, centinaia e centinaia di profughi (bambini e vecchi inclusi) si allontanano come possono ed appena possono dalle località sperdute in cui li collochiamo. E, non a caso, i nostri media raccontano puntualmente che tanti stranieri – arrivati in Italia – si dirigono al meglio possibile verso le nostre frontiere: i diritti e la qualità dei diritti che gli sono garantiti in Germania (ad esempio) non hanno paragone con quello che accade in Italia.

Demata

Libia, sempre peggio: un milione di profughi, a rischio i tesori archeologici

9 Mar

Mustafa Turjman, direttore del centro studi archeologici della University of Tripoli, ha dichiarato la propria preoccupazione per le devastazioni di cui potrebbero essere autori gli islamisti in Libia. Infatti, già al momento sono in serio rischio le città di Leptis Magna, uno dei maggiori resti della storia dell’Impero Romano, di Sabratha, dove si trova anche un imponente anfiteatro, di Cirene, una delle più antiche colonie greche, di Gadames, uno dei più antichi siti agricoli del Nordafrica, definito dall’ Unesco come “the pearl of the desert”, e delle pitture rupestri preneolitiche tra i monti Acacus.

acacus8

Gli affiliati di Isis non le hanno ancora colpite, ma questi gruppi controllano la striscia costiera tra Derna e Sirte, come buona parte dell’interno della Libia.

La National Oil Corporation libica ha annunciato che sette tecnici stranieri (due europei) sono stati rapiti dai militanti islamici, dopo l’attacco al centro petrolifero di Ghani, durante il quale era stata uccisa una dozzina di guardie e distrutti gli impianti.
A Tripoli, solo da una settimana è stato riparato uno degli impianti di stoccaggio, secondo la Brega Petroleum Marketing Company; a Zueitina, invece, la Wintershall riprende l’estrazione, ma con ‘personale locale’. Chissà se ‘governativo’ o ‘islamista’ come in Irak …

Sabratha-008Intanto, l’inviato speciale dell’ONU, Bernardino Leon, chiede che sia attivato un blocco navale per impedire il traffico di armi e di petrolio, senza chiarire cosa fare dei profughi, mentre il direttore dell’agenzia Frontex, Fabrice Leggeri, precisa che il blocco avrebbe un forte impatto sui migranti che cercano di fuggire dalla Libia, stimati in un milione, ed ai quali la Germania ha già garantito lo status di rifugiati.

Rifugiati come gli oltre 70.000 stipendi di insegnanti e funzionari che non saranno pagati questo mese. Settantamila persone, settantamila famiglie, trecentocianquantamila prossimi profughi o … vittime.
Traffico come quello svelato dalla GNC-Libya Dawn LANA News Agency, secondo la quale su 223 forni del pane ispezionati a Tripoli ben 94 non esistevano pur ricevendo ingenti quantità di farina dalle agenzie di aiuto umanitario. O come quell’altro – per ora negato dalla NOC che gestisce il mercato ‘esterno’- che vede letteralmente scomparire la benzina e il gasolio che vengono importati, dato che la Libia non ha raffinerie, e redistribuiti dal governo (ndr. quando c’è) tramite le compagnie ‘interne’ Libya Oil, Al-Sharara, Alrahela e Al-Toroq Assareeya.

La Libia è nel caos, si combatte nelle città.
A Tobruk per un pelo è stato sventato un attentato con una autobomba contro un ospedale. Da Derna, invece, è stato postato il video della macabra esecuzione di due soldati governativi. A Kufra, intanto, le tensioni intertribali tra Zwai e Tebu sono sempre meno contenute con agguati e morti.
E, giorni fa, a Tripoli anche la compagnia maltese Medavia ha ritirato i voli charter, dopo i continui attacchi dell’aviazione libica per impedire che venisse preso dai jihadisti. Aviazione che – a sua volta – comporta quasi 250 milioni di dollari di spese e che soffre delle restrizioni alla Libia, per cui potrebbe essere dismessa …

Dunque, o si ripeterà la tragedia degli Armeni con navi ed aerei a raccogliere un milione di persone oppure c’è da fare una ‘guerra coloniale’ come quelle che avvenivano prima dei Patti di Yalta del 1945 e dell’accordo di Sikes(UK)-Picot (FR) del 1916.

Sikes-Picot 1916
Una guerra che ‘estenderebbe i confini’ di Italia o Egitto o Tunisia (o tutte e tre) fino ai campi petroliferi, lasciando agli jihadisti il deserto e le fazioni tribali dell’interno. E che forse farebbe meno morti e meno disastri di un ennesimo esodo biblico con approdo a pochi chilometri dalle nostre coste delle stesse milizie che vediamo operare in Medio Oriente.

Una guerra che si è già estesa oltre i confini della Libia (ammesso che esistano ancora) se il portavoce delle Sudan Armed Forces (SAF), il colonnello al-Sawarmi Khalid Sa’ad, continua a ribadire che non sono coinvolti nel supporto ai ribelli libici tramite gli islamisti del Darfur oppure il portavoce del ministero dell’interno tunisino, Mohamed Ali Aroui, deve dirsi fortemente preoccupato per l’ennesimo deposito di armi (inclusi razzi) rinvenuto al confine con la Libia dalla polizia locale.
La strategia di sconfinamento e di interposizione che Is ha adottato in Medio Oriente potrebbe infiammare l’Africa sahariana e tormentare il Mediterraneo.

leptis magnaPer ora, lo scenario NATO è in stallo, dato che Obama è ideologicamente contrario ad un ‘nuovo Vietnam’ e ad un ‘nuovo Afganistan’, ma soprattutto vede nello Stato Islamico che avanza – e soprattutto nella Libia – il simbolo del suo fallimento alla Casa Bianca. Dunque, non intende occuparsene, come se la sua firma su tutto quello che sta accadendo (e quello che dovrà accadere) non sia la sua.
A sua volta anche Hollande teme una qualunque soluzione della crisi libica per l’ennesima perdita di peso nel Mediterraneo. E, quanto a Matteo Renzi, è davvero difficile credere che come distributore di giornali a Firenze si sia fatto una qualche idea di come ‘muoversi’ in questi casi; Gentiloni (e la Bonino) qualche idea gliel’avevano data, persino la Boldrini qualche ‘se’ gliel’ha lanciato … nulla.

Attendiamo Washington, con li sarracini alle porte. Intanto, però, prendiamo atto che in Libia le cose vanno male per davvero e che i nostri media preferiscono raccontarci dei terribili foreign fighters in Siria, ma non di cosa accade al di là del mare, Tunisia ed Egitto inclusi, passando per Leptis Magna, Cirene, Gadames e Sabratha.
Fecero lo stesso con Cosa Nostra, mentre occupava e devastava il Meridione, e se la sono ritrovata a Roma e Milano …

originale postato su demata

La BBC diffonde prove false contro Assad

7 Set

“La propaganda anti-Assad si serve di grandi nomi, tv potenti, accreditate e giornalisti di lustro. E quando i giornali accreditati sono molto seguiti non occorre nemmeno il sensazionalismo tanto demonizzato dai lettori e se una notizia di propaganda è nutrita di sensazionalismo, non importa. L’uomo medio la filtra e la riconosce come “notizia certa.

E’ quello che è accaduto alla BBC, tv inglese seguita in tutto il mondo.” (fonte Coscienzeinrete)

Infatti, la BBC, trasformatasi da mesi in una sorta di strumento di propaganda anti-Assad, ha diffuso un’immagine ‘shock’, affermando che è stata scattata nella città siriana di Hula ed inviata da alcuni attivisti in Siria, a testimonianza dei massacri attuati dalle forze di Assad avrebbe attuato nel suo stesso popolo per sedare le rivolte affamate di “democrazia”.

In realtà, è un falso, come ha denunciato su Facebook da oltre un anno dall’autore, un fotografo free lance.
“E’ un Italiano e si chiama Marco Di Lauro. Quando ha scattato la foto era il 27 marzo 2003 a Al Musayyib, una città iraqena a 40 km a sud di Baghdad.” (fonte Ecplanet)

massacro siria irak di mauro fotografo falso BBC

Qualcuno sta usando illegalmente una delle mie immagini per la propaganda anti-siriana in prima pagina del sito web della BBC“, questo il post del 27 maggio 2012 (link) dove è precisato anche che il reportage di Marco Di Lauro era ‘by Getty Images’, ovvero nel catalogo di una delle maggiori agenzie fotografiche del mondo.

Come sia riuscita la BBC ad affondare nel fango della propaganda bellica è davvero un mistero.

E’ viceversa tutto da chiarire come sia riuscito Gianni Letta ad associarsi allo sparuto gruppo degli stati che accusano Assad senza averne (ancora) le prove.
Specialmente se il nostro Ministero degli Esteri, nella persona di Emma Bonino, e la Santa Sede sembrano avere informazioni diverse e molto più accurate di quante finora sbandierate dall’asse Stati Uniti – Gran Bretagna – Arabia Saudita …

originale postato su demata

Obama e la Siria: ultima corvée per i Democratici?

2 Set

Obama dovrà attendere il voto parlamentare per attaccare la Siria, dopo aver baldanzosamente annunciato: «ho deciso che gli Stati Uniti conducano un’azione militare contro il regime siriano», «ho il potere di ordinare l’attacco senza il via libera di Camera e Senato»

Una catastrofica figuraccia, perchè l’iter si concluderà intorno alla metà di settembre e, in caso di rinuncia all’attacco, con grande spreco di carburante che si è reso necessario per trasferire un’intera flotta di fornite le coste libanesi a carico dei contribuenti statunintensi.

La defaillance presidenziale era stata ampiamente annunciata da questo blog, in due post: Egitto, un nuovo flop per la Casa Bianca, dove si riportava la notizia che anche Bill Clinton, in un suo libro in uscita, si è aggiunto a Gove Vidal e Rupert Murdoch nella considerazione che Barack Obama è un incompetente, e Guerra in Siria, tutto quello che c’è da sapere, dove si raccontava del’interferenza saudita, della sua capacità di pressione su Wall Street e Londra e dell’antico vezzo dei presidenti statunitensi di far guerra altrove quando in homeland le cose non vanno bene per la fazione d’appartenenza.

Così, infatti, sono andate a finire le cose, con la Gran Bretagna che ha congelato le velleità belliche di Cameron e con la Francia di Hollande unica e sola nell’appoggiare Mr. President.

Le ricadute globali di questo disastro politico obamiano sono e saranno pesantissime, forse epocali, anche se dovesse riuscire a lanciare i suoi ‘attacchi mirati’ senza subire ripercussioni dalla reazione siriana, senza i ‘danni collaterali’ causati in Iraq, Libia e Afganistan e senza scatenare l’Armageddon in Medio Oriente.

Infatti, quello che viene drammaticamente a cadere è tutto il modello politico democratico e progressista di cui Obama (e Hollande) erano gli ultimi alfieri.

Un approccio internazionale ‘orientato al confronto’ che non ha saputo risolvere la questione Guantanamo, nè quella afgana o quella israelo-palestinese. Che ha visto esplodere drammatiche rivoluzioni nordafricane e mediorientali contro dittatori appoggiati dai poteri mondiali, a tutt’oggi non stabilizzate. Che non ha avviato una politica ‘atlantica’ di superamento della crisi mondiale, con tutte le conseguenze date da una Germania egemone e prepotente. Che ha permesso una notevole crescita dell’instabilità nell’Oceano Indiano e nell’America Meridionale.

Cartoon da Cagle.com

Cartoon da Cagle.com

Una esibizione di muscoli – in Libia come in Siria – decisamente pletorica e controproducente. Questo è uno dei verdetti relativi al presidente Barack Obama, ma non è tutta colpa sua.

Infatti, quale futuro può esserci per l’ideale ‘democratico’ (o meglio progressista), se il mito del Progresso è stato infranto già dalla fine degli Anni ’70? O, peggio, se gli stessi Progressisti hanno provveduto – venti e passa anni fa – a sdoganare la Cina Popolare, la Russia di Eltsin e Putin, il Venezuela di Chavez, la strana federazione indiana della famiglia Gandhi, un tot di regimi islamici e qualche residuale dittatura fascista o socialista?

Che farne del costo del lavoro e dei salari minimi, della sanità pubblica, delle pensioni, del welfare, se il sistema globale necessita, per alimentarsi e fluidificarsi, di ignorare l’elemento fondante una società organizzata, ovvero la solidarietà umana?

Come offrire ‘progresso’ in cambio di ‘tradizione’ e ‘pace’ in vece di ‘cambiamento’, se l’effetto conseguente è ‘meno solidarietà’, ‘meno uguaglianza’?

E come esprimere qualcosa di ‘progressivo’, in una società dove non è il lavoro l’elemento alienante delle nostre esistenze, bensì lo sono i consumi e l’iperconnessione?

Dopo un quinquennio di pessime mosse in politica estera e di tagli continui al Welfare, la figuraccia di Obama – nel suo quasi solitario tentativo di inaugurare una nuova guerra mondiale, sulla base dei soliti e sacrosanti doveri morali – è la ciliegina sulla torta per chi cercasse una riprova che o si ritorna ad uno stato etico e liberale oppure progresso, democrazia e welfare diventeranno sempre più una chimera.

Una questione che coinvolgerà tutti i partiti progressisti nel mondo, già vessati da oscene storie di corruttela o di sliding doors in cui tanti dei suoi leader sono stati coinvolti. Ed, infatti, Hollande si è ben guardato da intaccare l’autorevolezza delle istituzioni francesi e l’accessibilità dei servizi ai cittadini, mentre i ceti popolari metropolitani slittano sempre più a destra in Francia, dopo che alcuni leader socialisti sono transitati con non chalance dall epoltrone di partito a quelle degli organi di garanzia per pervenire, sistemate le cose a modo loro, ai vertici di alcune maggiori holding francesi.

Andando all’italia, dove la sola e solitaria Emma Bonino ha avuto il coraggio di ricordare il ‘rischio di una guerra mondiale’, ci troviamo con l’Obama di casa nostra, Matteo Renzi che si propone insistentemente per la guida del Partito Democratico.

Non è che storicamente il Partito avesse brillato per la presenza di leader nati e cresciuti in una qualche metropoli, ma c’è davvero da chiedersi cosa mai potrà permettergli di chiamarsi ‘progressisti’, se il leader è un uomo, che arriva ‘fresco fresco’ da una piccola città di provincia in un mondo miliardario e globale, che deve la sua sopravvivenza alle vestigia – mai rinverdite o rinnovate – del suo lontano Rinascimento e delle speculazioni finanziarie dei loro antenati?

 originale postato su demata

Guerra in Siria, tutto quello che c’è da sapere

26 Ago

Usa e Gran Bretagna “pronti ad attacco entro dieci giorni”, ma Mosca avverte che “con intervento le conseguenze sarebbero gravissime” ed ammonisce su una “nuova avventura irachena”. Assad promette: “Li aspetta il fallimento”. Secondo il Daily Telegraph e il Daily Mail, la decisione sarà presa “entro 48 ore”, dopo la lunga consultazione di ieri tra Barack Obama e David Cameron.
La Casa Bianca, per ora smentisce, ma Hollande indirettamente conferma: “Si deciderà entro prossima settimana” e la Bbc ha comunicato che il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ritiene che una risposta all’uso di armi chimiche da parte del regime siriano sarebbe possibile anche senza l’appoggio unanime del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Intanto, gli ispettori dell’Onu sono alla ricerca di tracce del gas nervino contro gli insorti nell’oasi di Ghouta in Siria, mentre decine di migliaia di curdi siriani e di rifugiati palestinesi si stanno aggiungendo a quanti cercano con ogni mezzo di uscire dal paese.

La dislocazione delle forze militari nel settore è elevata ed il rischio di escalation è notevole.

foto da maritimequest.com

La Royal Navy garantisce una presenza navale massiccia tra cui un sottomarino a propulsione nucleare, la portaerei Hms Illustriuos, la portaelicotteri Hms Bulwark e almeno 4 fregate, oltre alla copertura aerea garantita dalla base Raf ad Akrotiri a Cipro.

Oltre alla presenza della VI Flotta nel Mediterraneo e della forza di intervento rapida dislocata in Sicilia e nella base aerea di Incirilik a Smirne in Turchia, a cui si potrebbero aggiungere i caccia F-16 dislocati in Giordania, gli USA hanno collocato in prossimità delle acque siriane almeno quattro cacciatorpedinieri di classe Arleigh Burke.

La plancia di un sistema AEGIS – da Wikipedia

Questi destroyer sono armati ognuno con 96 missili da crociera Tomahawk, effettivi per bersagli fino a 2.500 km di distanza, ma, soprattutto, dotati  di sistemi AEGIS, per la guerra elettronica, capaci di integrare i vari sottosistemi e far reagire la nave alla presenza di minacce di superficie, aeree e subacquee.

L’Italia ha in Libano la Brigata di Cavalleria ” Pozzuolo del Friuli”,  lì dislocata per l’Operazione Leonte, voluta dal Governo Prodi nel 2006. La Francia è presente con una consistente presenza terrestre (tra cui 16 carri armati pesanti Leclerc ed aviazione leggera ALAT di supporto) e già nel 2006 aveva dislocato le navi anfibie  Mistral e Siroco e le fregate Jean Bart and Jean de Vienne. La Germania dispone di circa 200 uomini, addetti prevalentemente a logistica e intelligence, e di due navi pattugliatrici.

La Russia ha spedito nella sua storica base navale di Tartus, verso il confine siriano con il Libano e di fronte Cipro, almeno una dozzina di mezzi navali, secondo il Wall Street Journal, mentre soli i civili russi presenti in Siria sono stimati in 30.000 persone secondo il Financial Times.

foto da naval-technology.com

Tra queste navi, ci sono la squadra guidata dalla portaerei Admiral Kuznetsov, che trasporta gli avanzati caccia multituolo Su-33 ed elicotteri d’assalto Ka-27, Ka-28, Ka-29, Ka-32 ed è equipaggiata con il sistema antinave Granit, i modernissimi sistemi di guerra elettronica antiaerea Kortik e Klinok, più l’Udav che offre protezione dai sottomarini. Si aggiungono le navi anfibie d’assalto classe Ropucha, l’Aleksandr Otrakovskiy, la Georgiy Pobedonosets e la Kondopoga, con centinaia di marines a bordo, ed una task force che include il cacciatorpediniere antisommergibile Admiral Panteleyev, la fregata Yaroslav Mudry, altre enormi navi anfibie d’assalto,  la  Peresvet, la Kaliningrad, l’ Alexander Shablinaltre e l’Admiral Nevelskoi, più diversi mezzi navali attrezzati per la guerra elettronica come gli incrociatori antimissile classe Slava, i sottomarini classe Tango e Kilo, le corvette classe Grisha e Dergach. Inoltre, è in prossimità l’intera Black Sea Fleet di stanza nel Mar Nero ed, in particolare, come reazione rapida, il 25° Reggimento Elicotteristi attrezzato con almeno venti Ka-27 and Mi-14, il 917 Reggimento aviotrasportato, il 43° Squadrone dotato di 18 velivoli Su-24M e 4 Su-24MR.

Marines russi a Tartus da Globalpost.com

Il ministro della Difesa russo, alla Pravda, ha precisato recentemente che la Russia non intende ritirare un solo uomo dalla base di Tartus, che rappresenta la sua unica opzione nel Mediterraneo e questo chiarisce la posizione di Mosca riguardo la Siria e palesa il timore di essere scalzata dal suo avamposto, nel caso di una caduta di Assad.
Considerato anche che la Russia ha molto investito in questi anni sulla propria flotta e sugli strumenti per la guerra elettronica, la motivazione appare non solo evidente, ma ampiamente plausibile, in un’ottica di delicati equilibri internazionali.

L’Izvetzia di oggi ha pubblicato una lunga intervista con il presidente siriano Assad (link), che ha negato l’uso di armi chimiche e ha accusato l’Arabia Saudita ed i wahabiti di fomentare e finanziare gli insorti. Inoltre, “sono sono stati ottemperati tutti i contratti stipulati con la Russia. E né la crisi, né pressioni da parte degli Stati Uniti, l’Europa e gli Stati del Golfo hanno impedito l’attuazione. La Russia fornisce Siria che cosa ciò che richiede per la sua difesa, e per la difesa della sua gente.
Diversi stati che si oppongono al popolo siriano hanno inflitto gravi danni sulla nostra economia, soprattutto a causa del blocco economico, a causa della quale noi oggi soffriamo. Russia ha agito in modo diverso. Quando la sicurezza nazionale è indebolita, questo si traduce in un indebolimento della posizione economica. E va da sé che il fatto che la Russia fornisce contratti militari della Siria e questo porterà ad un miglioramento della situazione economica in Siria.

Il sostegno politico della Russia, e anche l’adempimento accurato di contratti militari, nonostante la pressione degli Stati Uniti hanno migliorato significativamente la nostra situazione economica.
E, in particolare, parlando di economia, qualsiasi linea di credito da un paese amico come la Russia è vantaggiosa per entrambe le parti. Per la Russia può significare l’espansione dei mercati e di nuove opportunità per le imprese russe, mentre per la Siria è l’occasione per raccogliere fondi per sviluppare la propria economia.”

Se le cose stanno così, almeno a sentirle raccontare ‘dall’altra sponda’, lascia molto perplessi l’annuncio della Casa Bianca di ‘star studiando il modello Kosovo’, visto che si tratta del ‘buco nero’ di tutti i traffici che ci ritroviamo – noi europei – collocato nel bel mezzo dei Balcani, oltre all’infiltrazione islamista che fu solo relativamente contenuta e le stragi etniche che furono perpetrate anche dai ‘liberatori’.

Tra l’altro la Siria ha un esercito di tutto rispetto con circa 300.000 effettivi, oltre 350 caccia MIG di diverso, anche recente, aggiornamento, e 70 Sukoi per l’attacco al suolo, un centinaio di elicotteri d’attacco, una decina di motovedette lanciamissili classe Osa, almeno 2.000 mezzi per la contraerea, oltre 4.000 missili antiaerei spalleggiabili, una cinquantina di mezzi per razzi e missili balistici tattici classe Scud, Frog e OTR-21 Tochka, migliaia di pezzi d’artigleria o lanciarazzi multipli, quasi cinquemila carri armati di produzione russa classe T54/55, T62 e T72.

Il rischio di un nuovo disastro iracheno, stavolta alle porte di Gerusalemme e di fronte a Cipro, è evidente.
In Siria il problema scatenante il conflitto è dato dall’insorgere dei ceti sunniti contro la minoranza alawita che sostiene da sempre la famiglia Assad e come vadano a finire certe spinte moralizzatrici l’abbiamo appena constatato con il tentativo di golpe bianco di Morsi e dei Fratelli Musulmani in Egitto.
Ma la Siria è anche confinante con l’Iraq, non ancora pacificato, con il Libano, che vede una folta presenza di forze UNIFIL ‘ad interim’, con Israele, che non vede di buon occhio “i crociati in Terrasanta’, con la Turchia, dalla quale Erdogan spinge per uno stato confessionale, con la Giordania, dove l’impatto dei profughi e le tensioni palestinesi sono già allarmanti e dove già da mesi è stato inviato il team del Meccanismo europeo di protezione civile inviato da Bruxelles, con alla guida un italiano.

La guerra in Irak contro il dittatore Saddam Hussein si è rivelata un disastro per il popolo iracheno, un buon affare per i petrolieri statunitensi e britannici, un ottimo subentro per qualcuni dei tanti sceicchi miliardari che l’Arabia Saudita partorisce, una bombola d’ossigeno per Wall Street e per l’occupazione occidentale durata un decennio.

La Siria aveva nel 2010 un PIL di circa 60 miliardi di dollari, ha una produzione di petrolio di 522.700 b/g, a fronte di un consumo interno di 265.000 b/g, una buona presenza industriale. Lo sviluppo dell’economia è stato ostacolato dalla collocazione ‘non allineata’ della Siria rispetto alla questione irachena, che condiziona gli scambi con i paesi occidentali. L’incremento dei prezzi delle merci nei mercati globali hanno portato ad un brusco aumento del tasso di inflazione e della disoccupazione.

Dopo il disastro iracheno, la guerra infinita in Afganistan, il caos libico, la dittatura militare in Egitto,  la paralisi del Libano e della Giordania, quale altro pasticcio stanno per combinare Gran Bretagna e Stati Uniti, in territori e culture che – ormai è evidente – non riescono a comprendere e gestire fin dai tempi di Lawrence d’Arabia e delle fallimentari Anglo-Afghan Wars, dopo aver disarticolato il peso di Turchia, Due Sicile e Catalogna nel Mar Mediterraneo.

Un Mediterraneo sul quale si adombrano fosche nubi, non solo per l’instabilità nordafricana o per la questione israelo-palestinese, ma anche e soprattutto per l’interferenza saudita e la sua capacità di pressione su Wall Street e Londra e per l’antico vezzo dei presidenti statunitensi di far guerra altrove quando in homeland le cose non vanno bene per la fazione d’appartenenza.

Intanto, dalla Cina Popolare il ministro degli Esteri, Wang Yi, ricorda a Barack Obama di non potersi permettere di scatenare una guerra sulla base di accuse false, come accade con G. W. Bush, precisando che “tutte le parti dovrebbero gestire la questione delle armi chimiche con cautela, per evitare di interferire nello sforzo generale di risolvere la questione siriana attraverso la soluzione politica”.

originale postato su demata