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Istat e Confindustria: allarme povertà

23 Gen

Il rapporto annuale dell’Istat, «Noi e l’Italia», racconta che, nel 2011, le famiglie in condizioni di povertà relativa erano l’11,1%, 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6% della popolazione residente, il 5,2% delle famiglie. Inoltre, secondo il rapporto, nel 2011, non avevano lavoro e non ne cercavano un il 37,8% degli italiani con una media di una donna inattiva su due. Il 51,3% dei disoccupati nazionali era di ‘lungo periodo’, il tasso di disoccupazione giovanile era al 29,1%. Sei famiglie su dieci avevano un reddito inferiore a quello medio.

Figuriamoci come stiamo messi male oggi. E figuriamoci come staremo tra un anno, se il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) si attende, per il 2013, un PIL ancora in calo (-1%) per l’Italia.
Basti dire che, secondo l’Ufficio Studi Confcommercio, in occasione della conferenza stampa convocata da Rete Imprese Italia, nel 2012 i redditi sono regrediti ai livelli di 27 anni e sono state chiuse 100mila aziende.

Che chi punta il dito verso il lavoro nero, le evasioni fiscali ed i falsi in bilancio – speranzoso che vi sia ancora qualche fondo di barile da raschiare – ma, nel 2011, era il 12,2% la stima delle unità di lavoro complessive ‘black listed’, ma soprattutto ‘grazie al Mezzogiorno’ con i suoi accampamenti di braccianti immigrati e le sue fabbrichette ‘stop and go’, così funzionali all’economia del Settentrione ed al consenso capitolino.
Non è un caso che Confidustria, proprio oggi, chieda un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese», in particolare, «il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei».

Sempre il Rapporto ISTAT evidenzia come, negli ultimi 10 anni, la quota di mercato dell’export italiano sul totale mondiale è diminuita dal 3,9% del 2002 al 2,9% del 2011, mentre le merci andate fuori Europa rappresenterebebro solo il 10,6%, nonostante “il 50% delle imprese esportatrici ha aumentato l’export rispetto ai livelli pre-crisi”.

Non tutta l’imprenditoria è in crisi, dunque, non quella che non ha pensato solo a capitalizzare.
Non come Monte Paschi di Siena travolta dallo scandalo dei derivati, mentre prendono piede le ipotesi di un’azione di responsabilità della Banca e della Fondazione contro dell’ex presidente Giuseppe Mussari. Non come Alitalia, che – crogiolandosi nella propria posizione dominante, piuttosto che diventare economica e competitiva –  si ritrova a dover cedere gli slot sulla rotta Milano-Roma per sentenza del Consiglio di Stato, respingendo il ricorso di Alitalia.

«La crisi sta lasciando profonde ferite, è emergenza economica e sociale. Servono scelte immediate, forti e coraggiose. L’alternativa è il declino».

Dovremmo sentirlo dire dai politici e dai media. Invece, è solo un accorato appello degli industriali italiani. Per Bersani, sono urgenti leggi per i “diritti civili, come il diritto dei lavoratori a partecipare in forma scritta i contratti a livello aziendale. Unione civile per le coppie omosessuali. I diritti di cittadinanza per gli immigrati“. Per Monti, sono quattro le misure urgenti: “tirocini, più interconnessione tra Università e imprese, formazione continua, mobilità“. Per Berlusconi, l’idea è di proporre alle aziende “se assumete anche una sola persona in più con un contratto a tempo indeterminato, non pagherete per 3-4-5 anni né tasse né contributi previdenziali. E’ come assumere qualcuno in nero“.

Chi è più realistico e convincente dei tre?

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Italia in balia delle lobbies

5 Dic

In questi giorni si legge esultanza per lo spread – il famigerato spread – ritornato intorno ai valori di marzo scorso, quando ci strappavamo i capelli per quanto andassero male le cose.
Uno spread, così catastrofico, generato dall’eccessiva quantità di titoli che lo Stato Italiano immetteva sui mercati, offrendo tassi di interesse generosissimi, che rappresenteranno un’onerosa palla al piede per circa un decennio.

Un decennio cruciale che vedrà arretrare l’Italia sempre di più, se le premesse sono queste.

crash test

Assistiamo ad una lotta serrata, all’interno dei vari Poteri, come per la Cassa Depositi e Prestiti, che va consolidata al più presto, oppure per le pensioni, che appaiono sospese ad libitum, ma anche per le prebende e le iniquità di cui nessuno sembra voler spogliarsi. In tutto ciò, vorremmo tutti sapere che fine hanno fatto Unicredit e Monte Paschi di Siena, come vorremmo sapere da dove prendiamo i soldi per finanziare la fabbrica di caccia F-35, per comprarne in largo numero e per manutentarli nei prossimi 15 anni.

Si va avanti a colpi di blitz, più o meno riusciti, come quello di Profumo sull’orario e le sostituzioni dei docenti, senza però toccare il costo dei libri di testo, che sono ‘unificati’ e forniti dallo Stato in molti paesi più democratici e trasparenti del nostro, alle concessioni trentennali delle spiaggie richieste da un governo che afferma di voler vendere parte del Demanio.

Oppure, il gioco d’azzardo che, grazie ad un migliaio di nuove autorizzazioni on line, arriva nelle case alla vigilia di Natale e nessuno pensa, almeno, a vietarne la pubblicità in televisione. E nel giorno della vittoria del democratico Bersani rivediamo pugni chiusi ben alti verso il cielo, come se il tempo non scorresse e gli errori non fossero diventati Storia.

La Consulta, non i Servizi Segreti, che ordina di distruggere le intercettazioni che coinvolgono il Presidente della Repubblica nell’inchiesta sulle ‘trattative Stato-mafia’. Il ministro dell’Ambiente interviene riguardo l’ILVA, una fabbrica chiusa dai magistrati per i diffusi danni alla salute delle persone, auspicando che si sia ragionevoli e la si riapra. Intanto, giusto per ricordarci il naturale ordine delle cose, la terra trema nel Piceno, scossa di magnitudo 4, e secondo Mario Monti dovremmo avere tutti un’assicurazione contro i danni geosismici.

adac crash test

L’altro ieri, a Montalcino, qualcuno ha distrutto 600 ettolitri di Brunello pregiato e gli indagini parlano di ‘vandali’,mentre il mondo degli adolescenti deve essersi fatto davvero triste, se i bulli (eufemismo che sta per youngster, ovvero giovane criminale) imperversano a danno di omosessuali, passanti e persino soccorritori, come leggiamo sulle cronache. Intanto, L’Espresso riporta che si verifica circa un caso al giorno di laser negli occhi dei piloti, in fase di atterraggio negli aeroporti italiani.

Di legge elettorale, risultati zero. Il governo auspica una riforma, ma noi cittadini prendiamo atto che è dal 1994 che devono farne una che funzioni e che, ormai, questi nostri partiti si son convinti di poter governare con il 30% dei consensi su una base di votanti del 60-65%, ovvero il 20% circa dell’elettorato complessivo. Intanto, Patroni Griffi avvisa che “nella P.A. ci sono 260.000 precari e non è possibile stabilizzare tutti”, mentre Balduzzi, alla Sanità, lancia tagli per oltre un miliardo, ma è pronto a cederne quasi altrettanto al Lazio per risanare i conti di Polverini.

Dopo un anno di governo del probo Mario Monti, la corruzione in Italia peggiora di tre posizioni nel rapporto annuale di Transparency International: siamo 72mi alla pari della Tunisia. E che l’appeal per le aziende globali sia basso, lo conferma il ministro Passera che, riguardo alla FIAT, non vede “la determinazione a superare la crisi con gli investimenti e la volontà nel campo dell’auto”.
Ovviamente, basta sfogliare Quattroruote per prendere atto che FIAT, Alfa Romeo e Lancia di modelli ne facciano pochini, di motori ancor meno e che il marchio è presente nei segmenti medio ed alto solo con la Giulietta-Delta e la ‘vecchia’ 159, il resto è Chrysler.

Quanto al bilancio complessivo del Paese, l’aver investito in cemento, anzichè tecnologia, comporta che da quasi 20 anni non esportiamo hardware, ma lo importiamo ampiamente, e che un quarto circa della nostra spesa estera consiste in energia, mentre tutto il settore agroalimentare fornisce un misero 4-5% al PIL complessivo del paese. Giusto notare che il nostro export, oltre all’agroalimentare, consiste principalmente nel Made in Italy e vedremo quanto uscirà indebolito dall’overtaxing montiano e dagli aiuti contro la crisi ricevuti a caro prezzo, in un paese che non restituisce in servizi, innovazione e sicurezza quanto i cittadini versano come tasse, tributi e previdenza.

crash test 1

Per non dimenticare 2,9 milioni di disoccupati (con il welfare che ci ritroviamo), una marea di casalinghe ‘obbligate’, qualche milione di precari e contratti a termine, 400.000 lavoratori a nero nell’agroalimentare, una ventina di milioni di pensionati che campano con redditi inferiori ad un salario minimo. O la totale inazione del governo nel bloccare, ope legis, i vitalizi che i politici locali si sono regalati nel corso di questi mesi, e la poca incisività nel trasformare le Province in distretti amministrativi, eliminando un migliaio di politici e almeno 200 milioni di spese.

Dunque, dopo un anno, le chiacchiere stanno a zero e le cose vanno peggio.
Questo sarà il lascito per il Paese di Mario Monti, ex consulente di Goldman Sachs, di Giorgio Napolitano, che l’ha incaricato, e di Eugenio Scalfari, che l’ha fortemente voluto.

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Produttività, un accordo monco

22 Nov

Firmato l’accordo tra governo e parti sociali sulla produttività. Camusso (Cgil): «si determina una riduzione dei salari reali dei lavoratori». Centrella (Ugl): «l’intesa porterà più posti di lavoro e salari più alti». Monti: «è un passo importante per il rilancio delle imprese e la tutela dei lavoratori».

Chi ha ragione? Tutti e nessuno.

Infatti, Palazzo Chigi ha precisato che «il governo ritiene che sussistano le condizioni per … (l’) implementazione degli atti normativi necessari a definire i criteri di operatività dei meccanismi di defiscalizzazione necessari a sostenere in una logica di incentivazione della contrattazione di secondo livello, i salari e la produttività».

In due parole, le contrattazioni nazionali definiranno dei minimi salariali e delle parametrazioni generali, la restante parte verrà definita in sede aziendale o di categoria in base alla produttività, ovvero come ‘premialità’.

E’, dunque, probabile che, nel tempo, i salari minimi perdano potere d’acquisto, che nei territori dove l’imprenditoria è sana e produttiva i redditi dei lavoratori s’incrementeranno, che avverrà un rilancio delle imprese, ma non necessariamente in tutti i settori e/o con sensibili benefici per i lavoratori.

Inoltre, la defiscalizzazione del lavoro dipendente, se non controbilanciata da una maggiore leva fiscale su altri settori della società, comporta una minore finziabilità dei servizi pubblici ‘alla persona’ (scuole, ospedali, assistenza, salario minimo), che sono indispensabili per questi ceti con minore potere d’acquisto e minore disponibilità finanziaria.

Per come stanno le cose oggi in Italia, le norme contrattuali sulla produttività potranno avere probabili benefici sull’evasione fiscale (fuori busta e lavoro nero), ma, per il resto, è difficile che i benefici per i lavoratori verranno diffusamente percepiti nelle regioni a sud di Firenze.

Il bilancio delle misure sulla produttività concordate tra lo Stato e le organizzazioni dei lavoratori dipendenti (eccetto la CGIL) non è, dunque, di per se positivo. E’ un intervento necessario che attendeva di divenire norma da diversi decenni, se non ‘ab origine’, ma proprio a causa del ritardo con cui avviene, necessiterebbe di essere accompagnato dalle altre misure – sul welfare – che lo rendono benefico non solo per le aziende, ma anche per la società in termini complessivi.

Ad esempio, la liberalizzazione del comparto assicurativo e la negoziabilità da parte dei singoli lavoratori di esodo anticipato entro determinati parametri, come in USA, e/o l’introduzione del salario minimo e la liberalizzazione del sistema sanitario, come in Europa, e/o l’esistenza di un corpo ispettivo sui servizi esternalizzati e sulle amministrazioni pubbliche che erogano servizi di assistenza od un sistema giudiziario rapido ed efficace, come dovunque.

Un intervento di ‘blando ultraliberismo’, insomma. Come del resto è stata finora tutta l’azione politica di Mario Monti.

Qualcosa per cui nessun elettore aveva dato mandato a questo Parlamento e che dovrebbe far riflettere chi, dopo un anno così, vagheggia ancora un governo di programma – un quinquennio – sotto l’egida di Mario Monti o, pejus, propone una sua elezione al Quirinale.

Certo, c’è qualcuno che è convinto che si possa governare anche con il solo 30% dei consensi espressi ed il 15% di quelli effettivi.
Ma c’è da chiedersi se questo sia possibile al di fuori degli USA – dove accade ma con un establishment che concede ‘in cambio’ grandi libertà individuali a tutti i cittadini – e c’è da chiedersi, soprattutto, per quanto tempo possa durare una siffatta leadership, quale sia il prezzo da pagare per mantenere il potere in tali condizioni minoritarie e cosa accadrebbe, primo o poi, quando la legge del corsi e dei ricorsi dovesse fare il suo effetto.

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Landini contro tutti

28 Gen

Oggi, i sostenitori della FIOM hanno organizzato cortei e presidi dinanzi alle fabbriche per protestare contro gli accordi siglati dagli altri sindacati ed accettati dai lavoratori degli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori.

Il segretario generale della FIOM Maurizio Landini annuncia: «Federmeccanica e Confindustria devono sapere che, se fanno quello che fa la Fiat, ci sarà un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese».

Eh già, con la situazione politica, finanziaria e produttiva che abbiamo ci manca solo il “conflitto” di Landini, in modo che, dopo la Tunisia e l’Egitto, anche l’Italia abbia le sue giornate di morte e di sangue.

Cos’altro mai, visto che si annuncia un conflitto?

 

I comunisti e la logica del conflitto

28 Gen

Il principale problema insito nel confrontarsi con dei comunisti è l’idea che la società sia divisa in classi e che queste siano in conflitto tra di loro.

E’ una questione che puntualmente riemerge, inficiando profondamente sia la credibilità democratica dei comunisti stessi sia, soprattutto, il perseguimento di soluzioni pienamente condivise.

Oggi, il segretario generale della FIOM ha prefigurato un conflitto sociale prossimo venturo “che non ha precedenti nel nostro Paese”, che, ricordiamolo, ha già vissuto, in 150 anni, le insurrezioni del primo dopoguerra, il Fascismo e gli Anni di Piombo.

Un conflitto probabile, se c’è chi soffia sul fuoco ed indottrina giovani; un conflitto sterile, dato che impoverirebbe il paese come accadde negli Anni ’70; un conflitto inutile, perchè i comunisti farebbero bene a capire che il “nemico è anche tra di loro”.

Un esempio banale può chiarire facilmente l’assurdità di quello che accade. Giorni fa, infatti, si annunciavano gli utili azionari della Fiat a fronte del nuovo contratto di lavoro peggiorativo. Non pochi hanno associato i dividendi a squallidi personaggi di grotziana figura ed i contratti a schiere di lavoratori Fiat schiavizzati come solo Fritz Lang seppe fare.

A nessuno è venuta l’idea che tanti di quegli azionisti siano normali lavoratori dipendenti che hanno puntato i loro risparmi, poche migliaia di euro, sulla ripresa di un’azienda italiana che da lavoro agli italiani.

Nessuno ha pensato che tra i “fortunati” azionisti Fiat ci possano essere anche non pochi lavoratori della stessa azienda.

Quanti sono gli “schiavi” che sono anche “padroni” di se stessi?

Anche questo è il Terzo Millennio.