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Sanità pubblica, prevenzione zero?

26 Apr

Istat: cala l’aspettativa in vita degli italiani (e la salute peggiora).

In Italia si muore ancora per patologie ampiamente prevenibili e gestibili, se tra ischemie, trombosi, ictus, infarto e cardiopatie varie muore il 30% della popolazione, che fanno quasi 200.000 persone l’anno.
Tra le cause di morte (dati 2012), quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore (ischemia, infarto, angina pectoris), responsabili di 75.098 morti (più del 12% del totale).
Seguono le malattie cerebrovascolari come trombosi o ictus (61.255 morti, quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore non di origine ischemica (48.384 morti, circa l’8% del totale).

Con dati del genere è davvero difficile credere nell’efficienza e nell’efficacia della nostra medicina di base e del nostro sistema di accesso alle cure specialistiche ed accertmenti vari (Recup).

Inoltre, tenuto conto che si opera praticamente solo d’urgenza (95%) per carenze innanzitutto di infermieri, nel 2014 la dotazione di posti letto negli ospedali pubblici è risultata di 3,04 per 1.000 abitanti per gli episodi acuti e di 0,58 per 1.000 per la degenza post-acuti, lungodegenza e riabilitazione, tutti valori inferiori agli standard normativi.

Resta da chiedersi se sia legittimo che le Regioni – con una tale emergenza – non abbiano autorizzato e non autorizzino l’accesso strutture private tramite impegnativa, se entro 15 giorni non sono in grado di mandare a visita od a controllo il paziente.

Nel 2014, la spesa sanitaria pubblica pro capite è stata di 1.817 euro, in linea con il valore dell’anno precedente tra quelli che spendono meno). Nell’ultimo anno, per esempio, il Canada ha speso oltre il 100% in più per ogni cittadino rispetto all’Italia, la Germania il 68% in più …

Prendiamo atto che lì i servizi sanitari pubblici sono erogati tramite polizze assicurative e strutture sanitarie private … e non dal solito carrozzone di luminari, affaristi e politicanti.

Demata

Carceri troppo piene: numeri e riflessioni

29 Lug

“Nelle carceri italiane a migliaia vivono in condizioni disumane e gli ospedali psichiatrici giudiziari sono un orrore, inconcepibile in un paese civile. Questa situazione ci allarma e umilia davanti all’Europa. Bisogna trovare soluzioni politiche”. (Giorgio Napolitano)

E’ possibile che, dinanzi ad una situazione intollerabile,  il nostro Presidente non chieda anche la costruzione di più carceri e di maggiore qualità, ma solo una “soluzione politica”, che, evidentemente, riduca il numero dei reclusi?

Improbabile.

Anche perchè, nella realtà dei numeri, i  criminali detenuti non sono poi troppi, circa 100 ogni 100mila abitanti, a fronte di Una Norvegia che ne annovera 70 e gli USA che arrivano a circa 500 detenuti ogni 100.000 abitanti.
Eppure, qui da noi i direttori degli istituti di pena scendono in piazza perché non hanno fondi neanche per “comprare i materassi e la carta igienica da dare ai detenuti”, i quali sembra vivano anche in 13 per cella.

Secondo i dati diffusi in rete, i detenuti sono poco meno di 70.000, di cui circa 27.000 in attesa di giudizio, di cui circa 15.000 verranno assolti o, soprattutto, andranno prescritti.
Possono sembrare tanti, quindicimila, ma ricordiamo che in Italia, ogni anno, vanno prescritti 150-200.000 reati, a volte anche gravi e gravissimi, nonostante spesso gli indagati siano stati condannati almeno in primo grado. Nel decennio, sono stati cancellati per prescrizione due milioni di procedimenti penali.

Le persone che entrano in carcere per la prima volta sono 32mila, di cui solo un terzo (6-7.000 persone) verrà, poi, assolto.
Dunque, se i nostri tribunali potessero lavorare con maggiore celerità ed efficacia, grazie ad un codice di procedura penale più efficiente, i reati prescritti andrebbero in giudicato, oltre al beneficio di evitare tanta detenzione preventiva, e dovremmo far fronte ad una popolazione carceraria di 100-150.000 persone, almeno fino a quando la certezza della pena, attualmente “prescrivibile”, non dovesse indurre gli italiani a vivere nella legalità.

Questo quadro di lassismo è confortato dal dato che, in Lombardia, la percentuale dei detenuti che “esce nel giro di una settimana varia dal 50 al 60 per cento.”

Inoltre, sono circa 23.000 gli stranieri detenuti, spesso per reati violenti o connessi al traffico di sostanze o di persone, che grazie ad accordi internazionali potrebbero essere trasferiti nelle strutture carcerarie dei paesi d’origine. Ricordiamo anche che da loro è commesso il 23% dei reati di stampo mafioso.

I boss al 41 bis sono il 10% della popolazione carceraria, circa seimila persone, una vera goccia nel mare se pensiamo che, ormai, anche Lombardia e Veneto appaiono seriamente infiltrate. Anche in questo caso, potremmo ipotizzare la necessità di un maggior numero di posti nelle nostre carceri, forse altri 50.000.

Ed i reati per possesso di droga o per immigrazione clandestina?
Forse, è a questi ultimi che si riferiva il nostro Presidente, visto che i primi riguardano la sfera personale dei cittadini e la nozione scientifica di “droga”, mentre i secondi rappresentano un’innovazione normativa piuttosto discutibile e decisamente inefficace.

Basterebbe eliminare la parola “detiene” dall’art.73 della legge Giovanardi-Fini, per veder crollare il numero di detenuti per “detenzione di droga” e che, essendo tossicodipendenti e non spacciatori, andrebbero aiutati, piuttosto che puniti.
Tra l’altro, gran parte dei 25.000 tossicodipendenti detenuti sono stati condannati per reati diversi dalla semplice detenzione di sostanze stupefacenti.

Ricordando che il 60% degli irregolari sono ex-lavoratori regolari e che i morti alle nostre frontiere sono ormai decine di migliaia, varrebbe la pena di notare che, abroigando il reato di immigrazione clandestina introdotto dalla Legge Maroni, ridurremmo sensibilmente il numero di detenuti stranieri e, soprattutto, accogliendo le indicazioni pervenute dalla Suprema Corte, dalla Santa Sede, dall’Unione Europea, dall’ONU.

Non è di certo l’indulto o l’amnistia, che risolveranno un’infrastruttura carceraria che andrebbe ammodernata ed ampliata, nonchè deregolata, allorchè si volesse prevedere un effettivo percorso di rientro nella società produttiva.

Possiamo alleggerire l’attuale sovraffollamento (156 detenuti ogni 100 posti previsti) solo iniziando ad uniformare la nostra legislazione sui reati minori, derubricando o depenalizzando reati o, ancora, adottando quelle forme sostitutive al carcere che la Mitteleuropa ha già adottato. Non dimentichiamo che il numero di detenuti che, in Italia, conseguono un titolo di studio in carcere è davvero esiguo.

Possiamo evitare di ritrovarci con un problema analogo, tra due o tre anni, sono assicurando maggiore legalità al Sistema Italia tutto, ovvero abbattendo i reati stessi, e, ahimè, iscrivendo al debito pubblico dello Stato la costruzione di nuove carceri e l’ammodernamento delle attuali.

Codacons, MIUR e le aule troppo strette

16 Giu

Ecco la prima class action italiana contro una norma dello Stato. Il Codacons chiede al MIUR  di «emanare il piano di edilizia scolastica come stabilito dalle leggi vigenti».

Il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla class action promossa dal Codacons sulle aule sovraffollate dove il numero di alunni supera il limite previsto dalle norme.

Tutto molto giusto ma … quali norme?

Sostanzialmente una: le norme tecniche per l’edilizia scolastica del 1975, legge dello stato con tanto di progetti “fac simile”, dove, tra l’altro, furono fissate cubature, metri quadri eccetera.

Una legge che non fissa un numero massimo di alunni, ma che determina quanto spazio debba avere ogni alunno, cosa che impedisce in molte scuole di avere classi di 25 alunni, come recita la norma apposita del Ministero dell’Interno riguardo la prevenzione incendi.

Per questo i Codacons chiedono un Piano per l’edilizia scolastica e non semplicemente il ritiro di certe disposizioni dle Ministro Gelmini.

Come cittadini, però, dovremmo prendere coscienza che non dovrebbero esistere aule affollate, visto che le aule costruite prima del 1976 erano pensate per classi numerosissime e quelle fatte dopo dovrebbero essere tutte omologate per 25 alunni.

Come anche, dovremmo ricordare che dietro quegli appalti e quelle licenze edilizie, quanto meno inadeguati, ci sono delle firme, delle persone, delle responsabilità.

Perchè nessuno mai è intervenuto? Perchè i Comuni, finchè c’è stato l’ICI, e le Regioni, visto che c’è l’IRPERF, non provvedono?

Perchè, in questa Seconda Repubblica, sono rimasti pressochè intatti i fondi speciali per l’edilizia scolastica messi a disposizione in Finanziaria da molti governi?

Semplice: perchè, quando si parla di edilizia scolastica, le indagini giornalistiche languono e ci si ferma alle solite lacrime da coccodrillo sul disastro di turno od allo scandalo delle classi (N.B. mica aule …) stracolme.

Il resto, evidentemente, è noia …