L’aspetto più inquietante della premiership di Mario Monti è l’omologazione dell’informazione, in Italia, che riguarda lui e le sue scelte.
Già quando erano in cantiere le pensioni “alla Fornero” questo blog si è ritrovato unico e solo nel sollevare timori riguardo una prevedibilissima recessione, dubbi sull’esattezza dei conti e delle ricadute finanziarie, perplessità sulla necessità della misura, imbarazzo per la costituzionalità di quanto accadeva. Tutto confermato da quanto, poi, tutti hann scritto “dopo”, quando la riforma era legge.
Come allora, è da qualche tempo che questo blog cerca di attirare l’attenzione sui “mal di pancia” quantomeno britannici e statunitensi, riguardo la strada che Monti e Merkel (son rimasti soli …) continuano a perseguire con risultati nulli o pessimi.
Avremmo potuto e potremmo ancora, noi europei, intraprendere strade diverse da quella indicata dai dogmi del “politically correct made in Europe”, che, ancor prima del welfare, predilige il salvataggio di banche ed aziende sull’orlo del fallimento.
Non è un caso, allora, che pochi o nessuno vengano a spiegare che le motivazioni di Standard & Poor’s non sono affatto assurde o faziose: “il taglio (ndr. della spesa pubblica per come attuato dal governo Monti) riflette quella che consideriamo una crescente vulnerabilità dell’Italia ai rischi di finanziamento esterni e le negative implicazioni che ciò può avere per la crescita economica e quindi per le finanze pubbliche“ e sussiste il timore “che ci sia un’opposizione alle attuali ambiziose riforme del governo e questo aumenta l’incertezza sull’outlook di crescita e quindi sui conti pubblici”.
Come non è un caso che accada qualcosa di molto più allarmante.
Infatti, nessuno parla della crisi che sta travagliando la Polonia: un paese popoloso, relativamente giovane ed adiacente alla Germania, cosa alquanto disdicevole se i polacchi dovessero emigrare “in massa”.
Una Polonia che non fa parte dell’Eurozona, ma le cui due principali banche, crollate se non fallite, sono nel pacchetto della Unicredit italiana, che a sua volta partecipa (link) al 21,6% in Banca d’Italia, ovvero nell’Euro stesso.
Un eventuale crollo di Unicredit graverebbe direttamente sull’Euro, ma all’origine di questa “pericolosa trasfusione”, non c’è la scelleratezza italica, ma un’OPA vincente che Unicredit lanciò sulla austriaca HBV che portò al controllo di Pekao e Bph, le due principale banche della Polonia. Il tutto con ampio plauso della finanza bavarese.
Questo il problema, relativamente noto tra gli addetti ai lavori e, precisiamolo, non v’è alcuna necessità che Unicredit venga fortemente ridiensionata o che gli italiani si svenino.
Le strade per venirne fuori sono almeno tre.
La prima, quella seguita da Monti e Merkel, vede gli italiani, gente sparagnina e poco indebitata, intervenire a sostegno del bilancio del proprio Stato, ovvero della propria banca, dando il tempo al sistema bancario di “rimettersi in sella”, dato che dai polacchi c’è poco da aspettarsi anche se dovessero entrare nell’Eurozona.
La seconda via d’uscita dalla Crisi dell’Eurozona, paventata in vari modi da USA e UK oltre che sostenuta da Mario Draghi, lascerebbe cadere un po’ di rami morti, intervenendo sulla fluidità del denaro e sul diverso apprezzamento dell’Euro sui mercati per rilanciare occupazione e competitività, mentre l’Europa si dota di un impianto organico ed omogeneo per la fiscalità ed i conti pubblici. I Polacchi? Ci pensassero i tedeschi …
La terza, che può essere parallela alle altre due, consiste in un forte afflusso di capitali extraeuropei in Unicredit o la cessione del “pacchetto polacco” ad entità extraeuropee, con ricadute poco gradite per gli USA e, soprattutto, la Germania.
Quale delle divrse vie d’uscita (exit strategies) possa dare maggior beneficio è chiaramente impossibile dirlo a priori, anche se la minore conflittualità sociale dovrebbe suggerire la seconda, come dovrebbe suggerirla la perentorietà con la quale mercati, economisti extraeuropei ed agenzie stanno bacchettando l’Eurozona, ormai ben oltre ogni ipotesi speculativa o cospirativa.
Passando dai dubbi alle certezze, alcune cose sono evidenti, anche in questo caso.
Nessuno ancora nota che gli italiani si stanno ritrovando ad essere i “salvatori dell’Euro”, probabilmente loro malgrado: una cosa che va riconosciuta a livello generale, dato che la Germania di Angela Merkel non può cavarsela con due pacche sulla spalla e tre consigli da maestrina.
Oppure, che la politica intrapresa dalla Cancelliera del Bundestag in questi due anni è stata del tutto passiva e fallimentare e che è necessariamente un’altra – quella indicata da Mario Draghi? – la strada della ripresa.
In ambedue i casi, l’Italia va sostenuta e non abbandonata a se stessa, dopo averle imposto scelte industriali e finanziarie nel nome dell’interesse europeo collettivo.
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