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Ritornano i pirati nel Mediterraneo, la Marina Militare interviene, la Sinistra fa finta di nulla

18 Apr

I corsari barbareschi furono marinai musulmani stabilmente attivi contro possedimenti, beni e imbarcazioni dell’Europa cristiana a partire dal XVI secolo fino agli inizi del XIX secolo in tutto il Mediterraneo occidentale e lungo le coste atlantiche dell’Europa e dell’Africa.
Loro basi di partenza furono principalmente Tunisi, Tripoli, Algeri.
I corsari barbareschi non si limitavano a depredare le navi, ma effettuavano spesso anche incursioni sulla terra ferma: nel 1544 4000 deportati ad Ischia e 9000 (cioè tutti) a Lipari, come nel 1554 Vieste (7000 deportati).

Saraceni Incursione Roma - Vaticano-Stanza dell'incendio di Borgo_La battaglia di Ostia

La pirateria ricevette un duro colpo solo quando Carlo di Borbone fece attaccare le basi dei pirati (Sirte e Algeri) dalla Real Marina del Regno delle Due Sicilie, in due distinte spedizioni nel 1739 e nel 1784, visto che la situazione era talmente grave che il Congresso degli Stati Uniti dovette approvare una spesa di 60.000 dollari da versare come tributo agli Stati barbareschi per proteggere le proprie navi mercantili.
La pirateria nel Mare Mediterraneo ebbe fine solo nel 1816, quando la marina britannica distrusse il porto di Algeri colando a picco la sua flotta, e poi nel 1830 quando la Francia invase l’Algeria.

Secondo quanto rivela il Daily Mail, “l’intelligence italiana presume che (i pirati) hanno già le attrezzature ed il know how necessari a portare devastazione in acque europee.
Gli analisti del ministero della difesa si stanno ‘preparando per ogni evenienza’, ha detto un portavoce.

Un report (Rivista Italiana Difesa) afferma che ‘avere guadagnato il controllo di alcuni porti e di navi con varie caratteristiche, con la possibilità di sfruttare l’esperienza accumulata dai trafficanti di esseri umani che operano sulle rotte migratorie da anni, ISIS potrebbe ripetere lo scenario che ha dominato la regione marittima tra Somalia e Aden per gli ultimi dieci anni.
Il documento continua:barche di velocità potrebbero attaccare navi da pesca, le navi da crociera, piccole navi mercantili … Barche piene di immigrati potrebbero essere utilizzati anche in missioni kamikaze” …

Sono affari  degli italiani, ma lo raccontano i media inglesi, mica i nostri, i quali – invece – affermano, con piaggieria assoluta verso il Governo italiano, che c’è da prepararsi ad accogliere, accogliere accogliere … ovvero cedere al ricatto di ISIS che minaccia di inondare l’Europa con 500.000 profughi dalla Libia.

Ed, infatti, è passata sotto silenzio sui media nazionali che un rimorchiatore siculo, l’Airone, sia stato sequestrato da miliziani libici in alto mare e, soprattutto, che sia intervenuta la Marina Militare con conflitto a fuoco ed abbordaggio, onde liberare gli ostaggi.

Come è possibile che, a poche ore dal sequestro e dall’abbordaggio, nel salotto televisivo di Lilly Gruber Giuliano Pisapia abbia potuto omettere di rispondere alla questione ‘blocco navale’ che Alfio Marchini gli poneva, buttandola in politica?

Cosa credono di poter raccontare agli italiani, se stanotte o dopodomani sbarcasse un commando e facesse una strage chissà dove, ma a casa nostra?

E come pensano di metterla con quei tanti italiani che non sono cattolici e vorrebbero non essere coinvolti in questioni derivanti da un Concordato Italia-Vaticano per giunta semisegreto? Quanto potremo ancora andare avanti con Matteo Renzi interessato unicamente a ristrutturare il Partito Democratico e l’infrastruttura ‘tosco-emiliana’?

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

P.S. Si ‘ringrazia’ anticipatamente il solito noto giornalista della nota testata nazionale che nel giro delle prossime 48 ore provvederà a ricalcare la notizia … a propria firma. Una menzione … magari …

India inaffidabile: c’è molto peggio del caso Marò

3 Feb

L’India, durante la seconda metà del 2013, ha visto affondare ben due dei propri sottomarini, con almeno 18 morti, il INS Sindhughosh, che già nel 2008 aveva urtato una nave cargo al largo del Pakistan ed il INS Sindhurakshak carico di armamenti ed appena ammodernato in Russia con un costo di 80 milioni di dollari, che pochi mesi prima aveva dovuto essere soccorso dalla Marina egiziana.

Ad agosto 2013, è stata presentata la prima portaerei disegnata e costruita autonomamente dall’India per ostentare il suo ruolo di grande potenza navale, ma negli stessi giorni un Harrier della Marina indiana, durante uno show, ha distrutto un caseggiato dopo aver urtato una torre telefonica.

Il tasso di mortalità (1996-2005) derivante da incidenti in cui erano coinvolte navi indiane era di 61 morti per 765 navi cargo registrate (8,2 x 1000), ben superiore a Panama (6,9), alle Antille-Barbudos (3,6), all’Italia (1,1), nazioni che avevano un numero paragonabile di cargo registrati.
Ricordiamo – tra i tanti – l’incidente causato dalla MSV Samudra Suraksha – 27 luglio 2005 – quando la piattaforma petrolifera del Mubai Field con 400 uomini a bordo collassò in due ore provocando 11 morti e 11 dispersi in mare.
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La marineria indiana non sembra essere il vanto nazionale e, quando si tratta di mare, l’India non sembra essere capace nè di garantire la propria sicurezza nè quella altrui. Non solo per gli incidenti delle sue navi, ma soprattutto perchè si ostina anche a boicottare la Convenzione Onu di Montego Bay, che consente il cosiddetto “passaggio innocente”, ovvero il transito senza dolo di una nave con uomini armati a bordo, a fronte di un sistema giudiziario molto arretrato e farraginoso.
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C’è la storia dei due marinai tedeschi, detenuti da marzo 2013 e accusati di omicidio per una collisione con un peschereccio, ma rilasciati su cauzione dopo l’intervento diplomatico della Germania.
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C’è il tristemente noto caso dei due Marine italiani imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie, accusati di terrorismo – rischiando la pena capitale – per aver ucciso in acque extraterritoriali dei pescatori, che per altro non si erano fatti riconoscere. Militari che da due anni sono in ‘custodia preventiva’ lontani dalle proprie famiglie, in attesa di un processo che nessuno vuole fare.
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C’è la storia della nave MV Seaman Guard Ohio, che vede tutto l’equipaggio (tra cui sei ex soldati britannici) in carcere (ndr. anche il rilascio su cauzione, prima concesso, è stato revocato per un cavillo legale) per il solo possesso di armi da guerra, cuoco e motoristi inclusi, nonostante il fermo intervento della Gran Bretagna e la palese capziosità delle accuse.

Infatti, in ambedue i casi le navi vennero invitata a entrare nel porto di Kochi con la scusa del riconoscimento dell’imbarcazione pirata che aveva tentato un avvicinamento sospetto.
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A proposito di pirateria, l’India non è che se la cavi molto bene a difendere le proprie  navi, visto che a luglio scorso la petroliera indiana Ocean Centurion venne assalita da pirati talmente scalcagnati da limitarsi a razziare denaro e oggetti di valore per poi scappare via. Praticamente, una rapina.

Anche parlare di diritti umani è un eufemismo in India, dove – ricordiamolo – Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sono detenuti dal 7 febbraio 2010 per lo strangolamento di un loro amico, la cui autopsia dimostra il decesso per altre cause, senza che la magistratura indiana ponga rimedio a questo clamoroso errore giudiziario.

Una nazione, l’India, che pretende il ruolo di super potenza, mentre – nella sola Nuova Dehli nel 2013 – si sono contati più di 1.300 denunce per stupro  e quasi 3.000 aggressioni sessuali, mentre le donne accusano polizia e magistrati di ‘indifferenza’ se non connivenza.

Le condizioni di vita e di lavoro degli operai nel più grande cimitero di battelli del mondo – il cantiere d’Alang in India – era così descritto in un rapporto del 1995 dell’ingegnere Maresh Panda: “Questi avevano problemi di pelle e problemi respiratori dovuti al contatto con materiali tossici. Gli scafi potevano contenere del carburante e i tagliatori li foravano con la fiamma ossidrica col rischio di esplosioni. Il suolo era saturo di prodotti tossici. Ora, la maggior parte degli operai era a piedi nudi e poteva ferirsi. (…) Alloggiavano dai 20 ai 30 in una stessa baracca e dormivano su cuccette sovrapposte. Potevano arrivare a lavorare venti ore al giorno”.

E l’India è anche il paese con il maggior numero di bambini lavoratori: l’Indian Labour Organization computava nel 1996 ben 23,17 milioni di minori al lavoro, di cui 12,67 milioni a tempo pieno (14 ore al giorno). L’ultimo censimento indiano, che risale al 2001, ne conta 12,66 milioni.

Un indiano su due (54%) dichiara di essere ricorso o aver ricevuto una tangente – la media mondiale è al 28% – e i partiti politici sono considerati l’istituzione più corrotta in assoluto con una corruption rate di 4,4 su una scala di 5. La polizia indiana vede un tasso di corrruzione del 62% e si stima che il 31% di coloro che hanno avuto a che fare con un agente abbia pagato qualcosa. Ad ogni modo, anche scuole e college non sembrano esenti con il 48% di tasso di corruzione.

State Bank of India (SBI) nel 2013 ha ceduto ben il 40% della sua capitalizzazione di mercato e ora è scambiato a prezzi scontati del 25%, pur potendo contare su una base depositi di circa 290 miliardi di dollari e una rete di ben 15.000 filiali sparse per tutto il continente indiano.
Intanto, l’Europa della banche preme affinchè si stipuli un trattato di ‘libero scambio’ con l’India … un paese dove non è tutto oro quello che luce e dove, di sicuro, il pensiero del Mahatma Gandhi non è più di casa.
Infatti, dopo due anni la magistratura indiana non è riuscita a fornire in due anni un’accusa precisa verso i nostri Marò, salvo quella di ‘terrorismo’, piuttosto improbabile visto che i militari erano in servizio …

E, intanto, l’Italia inizia a prendere atto che il Governo Monti poteva fare di più.
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Riportate a casa i marò

27 Mar

In una Camera che accoglieva con una certa indifferenza o sorpresa le polemiche dimissioni del Ministro degli Esteri Giulio Terzi, date al termine di un’audizione, per pochi attimi si è udito il grido dolente di Vania Girone, moglie di Salvatore, uno dei fucilieri di Marina riconsegnati alle carceri indiane: «riportate a casa mio marito».
«Non possiamo abbandonarli», dirà ai cronisti Franca Latorre, sorella dell’altro marò, il pugliese Massimiliano.

Una situazione paradossale, se non fosse tragica e caotica, con il ‘solito’ Mario Monti colto da «stupore», dato che Giulio Terzi non gli aveva preannunciato «le sue intenzioni, benchè in mattinata si fosse tenuta presso la presidenza del Consiglio. In Mario Monti che non sorprende più nessuno nel tenere a precisare che  «le valutazioni espresse alla Camera dal ministro Terzi non sono condivise dal Governo».
Un Premier che non sa cosa frulla nella testa del suo Governo? A quanto pare si.

Una situazione tragica e caotica che vede la stessa BBC esprimere perplessità su tutto il comportamento italiano in generale, riportando alcuni elementi essenziali che non hanno avuto particolare risonanza in Italia:

  • esistono dubbi significativi sul fatto che i colpi di avvertimento siano effettivamente stati sparati. La testimonianza dei pescatori superstiti è credibile ed accurata e, inoltre, la posizione della petroliera sembra essere fuori questione, ovvero nelle acque territoriali indiane e non fuori giurisdizione come sostiene la ‘versione’ italiana;
  • i nostri marines potevano essere immediatamente trasferiti fuori dalla giurisdizione indiana, come di prassi per gli altri eserciti in casi simili e come accadde nel caso del disastro della funivia del Cermis, in val di Fiemme, il cui cavo fu tranciato da un aereo militare USA;
  • la vicenda dei marò, fin troppo procastinatasi, si è ormai intrecciata, specie sui tabloid indiani, con una denuncia per complotto e frode che la polizia criminale indiana (Cbi) ha formalizzato contro Agusta Westland (Finmeccanica) nelle indagini svolte su presunte tangenti nella fornitura di 12 elicotteri.

Il ministro alla Difesa, ammiraglio Di Paola, ha voluto precisare: «Non abbandonderò la nave in difficoltà con Massimiliano e Salvatore a bordo fino all’ultimo giorno di governo, verrei meno al senso del dovere delle istituzioni che ho sempre servito e alle scelte del governo che ho condiviso».

Ma qui la faccenda si complica. Infatti, agli occhi degli indiani, il fatto che la Procura Militare abbia avviato un’indagine per violata consegna e dispersione di armamento militare verso i due marò appare decisamente tardivo e, soprattutto, insufficiente, visto che ai due reati in ipotesi si poteva anche aggiungere qualche altra cosa, come l’omicidio colposo.
Un percorso che avrebbe, col senno di poi, certamente avvantaggiato di due fucilieri.

Infatti se, per l’art. 44 del Codice Penale Militare di Pace, “non è punibile il militare, che ha commesso un fatto costituente reato, per esservi stato costretto dalla necessità di impedire fatti tali da compromettere la sicurezza della nave”, è anche vero che per l’articolo successivo (45), “quando si eccedono colposamente i limiti imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i reati colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come reato colposo.”

Dunque, se fin dal primo giorno di rimpatrio dei due marò si fosse cambiata linea difensiva ed aperta un’indagine per mancata consegna e dispersione di armamento militare, andando a dimostrare l’eccesso colposo, sarebbe stato possibile detenere i due fucilieri, processarli per omicidio colposo e condannarli ad una pena mite (la reclusione va da sei mesi a cinque anni), che, sommando la detenzione indiana ed un po’ d’attesa di giudizio, si sarebbe trasformata in un rilascio.
Nel frattempo, un equo e congruo indennizzo alle famiglie dei pescatori morti ed alla loro comunità avrebbe aiutato a riassorbire rancori e pretese.

Una vicenda, agli occhi degli inglesi, politicamente maldestra fin dall’inizio, quando ritardi, sottovalutazioni e pressappochismo portarono all’attracco della petroliera in India con tanto di marò a bordo, a disposizione della polizia del Kerala ben pronta ad arrestarli.

Una sottovalutazione che potrebbe costare molti anni di carcere ai due militari italiani e solo una costante e capillare azione diplomatica e legale potrà, ormai, garantire che vengano scontati in Italia.

Giulio Terzi ha espresso «la propria riserva per la repentina decisione del loro ritrasferimento in India, la mia voce è rimasta inascoltata. Finalmente avevamo in patria i due fucilieri di marina. Mi dimetto perchè per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perchè solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie».

Ed allora chi ha deciso tutto e chi deciso cosa in questa vicenda?
C’è Roberto Formigoni a twittare: «Il governo chiarisca chi ha voluto rimandare i marò in India». Ma gli oltre 101 eletti del Movimento Cinque Stelle non hanno nulla da dire? Che ‘tutto taccia’ era prevedibile, ma, se non anche di questo, di cosa altro mai pensavano di doversi occupare?

Riportiamo a casa i nostri marò e basta figuracce ed ipocrisie, ingenuità ed incertezze: la nostra diplomazia non può permetterselo, ma soprattutto non può permettersele la nostra Marina: annunciando le dimissioni in piena seduta della Camera, Giulio Terzi – nel bene e nel male – ha passato il testimone al Parlamento ed al Presidente della Camera, non al Governo Monti.

Il nostro paese – già molti mesì fa, quando la Ferrari corse in India esibendo la bandiera della Marina Italiana – avrebbe dovuto impegnarsi a dimostrare l’innocenza dei nostri fucilieri o, quanto meno, la loro non intenzionalità nell’uccisione dei due pescatori indiani.

Ed invece ancora si sostiene che le raffiche furono sparate a vuoto …

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The Italian Job: notizie dai giornali indiani

15 Mar

Dalla vicenda dei marò Massimilian Latorre e Salvatore Girone, l’Italia ne sta venendo fuori nel peggiore dei modi e vale la pena che le sue aziende inizino a prepararsi alle conseguenze del duro contraccolpo in termini di credibilità internazionale, di peso politico in Europa ed ai G8 e di speculazione finanziria ‘ostile’.

Infatti, come riporta la BBC, il ministro degli Esteri indiano ha ben chiarito in quali termini, nell’attuale e nel futuro, si manterranno i rapporti con il nostro Paese: “l’India si aspetta che la Repubblica d’Italia  mantenga l’impegno sottoscritto di onorare il termine ordinativo dato ad essa dalla Corte Suprema, come qualunque altra nazione che voglia considerarsi uno Stato di diritto“.

E’ stato solo a seguito di questo impegno sottoscritto (ndr. dal nostro ambasciatore Daniele Mancini), che la Corte Suprema ha consentito ai due marines di viaggiare e rimanere in Italia per un periodo di quattro settimane e tornare in India sotto la cura, la supervisione e il controllo della Repubblica Italiana.

Rincara la dose Rajiv Pratap Rudy, un portavoce del principale partito di opposizione Bharatiya Janata Party, affermando che “questo è un tradimento ed un bluff da parte del governo italiano. Si tratta di una violazione di fiducia tra due nazioni sovrane e l’atto è del tutto inaccettabile“.

Queste le notizie riportate dalla BBC che riprende i giornali indiani, come quelli di seguito:

  • The Hindu:  il rifiuto dell’Italia per la restituzione Massimilian Latorre e Salvatore Girone “può far vincere al nuovo governo italiano punti sporchi in casa propria, ma è un  comportamento disdicevole per una nazione responsabile” e che il governo indiano è troppo “esposto per lasciarsi prendere in giro così facilmente da un governo straniero“.
  • The Times of India:  “livello spaventoso di ingenuità da parte delle istituzioni indiane nel consentire ai marines di andare, nella convinzione che gli italiani avrebbero poi voluto mandarli indietro. Nel caso in cui c’è poco che New Delhi può fare ora. Nella migliore delle ipotesi si può fare una manifestazione di rabbia diplomatica ed espellere l’ambasciatore italiano, ma tutto ciò ben poco servirebbe alla causa della giustizia per i pescatori“.
  • Mint Newspaper:  “l’episodio verrà ricordato come una macchia nera nella storia del diritto dell’India: i diritti dei due stranieri erano più importanti quelle dei poveri pescatori, il cui unico obiettivo era quello di guadagnar da vivere per le proprie famiglie“.
  • The Indian Express: l’India starebbe valutando “dure opzioni diplomatiche, tra cui la rottura delle relazioni e l’interruzione dei rapporti commerciali“.
  • Hindustan Times: “se l’India vuole davvero essere una superpotenza regionale, non può essere colta alla sprovvista da un paese che negli ultimi tempi non è stato solo travolto da una crisi economica, ma si è anche dimostrato politicamente instabile e ingovernabile in più occasioni“.

Questa, dunque, la situazione di un continente, quello indiano, dove vivono oltre un miliardo di persone e questo è quanto leggono i traders della Borsa di Londra.

A buona connotazione è utile sapere che, consultando le cronache anglofone, emergono alcuni elementi essenziali che non hanno avuto particolare risonanza in Italia:

  • esistono dubbi significativi sul fatto che i colpi di avvertimento siano effettivamente stati sparati. La testimonianza dei pescatori superstiti è credibile ed accurata e, inoltre, la posizione della petroliera sembra essere fuori questione, ovvero nelle acque territoriali indiane;
  • i nostri marines potevano essere immediatamente trasferiti fuori dalla giurisdizione indiana, come di prassi per gli altri eserciti in casi simili e come accadde nel caso del disastro della funivia del Cermis, in val di Fiemme, il cui cavo fu tranciato da un aereo militare USA;
  • da ieri l’ambasciatore d’Italia a New Delhi, Daniele Mancini, è sotto arresto – invitato a non allontanarsi dalla propria residenza – al posto dei due marò, che, prevedibilmente, avrebbero ricevuto una condanna da scontare in Italia, ovvero a piede libero in attesa di ricorso;
  • la polizia criminale indiana (Cbi) ha formalizzato, l’altro ieri, una denuncia per complotto e frode, nell’intento di approfondire le indagini svolte su presunte tangenti nella fornitura di 12 elicotteri Agusta Westland (Finmeccanica).

The Hindu, principale organo d’informazione indiano, racconta di “Finmeccanica, che ha una presenza abbastanza grande in India, in diversi progetti di difesa tra cui quello per la prima portaerei in corso a Kochi, è probabile che questo induca il governo ad un approccio ‘morbido’ nei suoi rapporti con l’Italia.”

Secondo l’ammiraglio Uday Bhaskar, autorevole analista della Difesa indiana, “il rifiuto dell’Italia di mandare indietro due dei suoi marines, sotto processo in India per aver ucciso due pescatori indiani fuori Kerala, e l’indagine di CBI sul gigante della difesa (ndr. Finmeccanica) e la sua controllata AgustaWestland avrebbero un impatto politico a lungo termine con un’elevata posta in gioco. Il governo italiano deve avere fatto i suoi calcoli e studiato la situazione prima di rinnegare la sua promessa di mandare indietro i marines per essere processato in India. Il CBI, che ha inviato un team di invastigatori, lo scorso mese, a Milano, in relazione con le indagini sullo scandalo per corruzione nell’acquisto degli elicotteri, è probabile che ponga ostacoli pretendendo l’aiuto delle autorità italiane di andare avanti con la sua indagine“.

Gli investigatori indiani accusano due intermediari di aver pagato tangenti per la compravendita di 12 elicotteri a favore di AgustaWestland, in un paese dove di recente è stata adottata la linea dura chiesta dal ministro della Difesa AK Antony: inserire in una “lista nera” qualsiasi società che viola le leggi anti-corruzione. Non a caso il Ministero della Difesa ha chiesto al nuovo CEO di Finmeccanica, Alessandro Pansa, “qualsiasi informazione che potrebbe essere in grado di fornire su transazioni sospette“.

The Hindu precisa anche che “la presenza di Finmeccanica in India risale ai primi anni 1970, quando il gruppo ha fornito 41 elicotteri Sea King della Marina Militare indiana. Il gruppo ha un tie-up per i progetti chiave con le industrie partner BHEL, BEL, Bharat Dynamics Limited, HAL e Tata Sons.

Finmeccanica e le società controllate hanno contratti per il valore di migliaia di milioni di rupie da parte del governo indiano e hanno una presenza enorme in molti settori. Queste aziende sono SELEX Galileo, Ansaldo STS e AgustaWestland.
Ansaldo STS è una società tecnologica multinazionale che produce sistemi di segnalamento e automazione per l’utilizzo da parte degli operatori ferroviari e di trasporto rapido. Ansaldo STS ha sede a Genova, in Italia, e Finmeccanica ha un 40 per cento delle azioni della società. L’azienda ha 240 dipendenti in India e, secondo fonti del settore, occupa un’importante quota di mercato nel mercato del segnalamento ferroviario.
SELEX ES fornisce sistemi di navigazione e di comunicazione per le principali piattaforme avioniche indiane dal 1995 e ATC sistemi VHF per la Airports Authority of India e i radar di precisione per l’aeronautica militare indiana dal 2001.
Nei sistemi di difesa, OTO Melara, altra società del gruppo, ha fornito armamenti di grosso calibro ed unità navali medie e piccole alla Marina Militare indiana.

E questo è quanto afferma la brochure “Finmeccanica & India, in the spirit of partnership”: “l’India è un paese di fondamentale importanza per Finmeccanica. La crescita economica sostenibile, i crescenti investimenti per la difesa, la sicurezza e le infrastrutture, la grande base industriale e la forza lavoro qualificata hanno favorito la presenza di Finmeccanica e gli investimenti con una visione a lungo termine. Per i prossimi anni, le nostre operazioni in India saranno destinate a migliorare la nostra presenza e aumentare la nostra reputazione come un partner solido e affidabile.

Dunque, è ben chiaro quale enorme pasticcio stia combinando la nostra Casta – politicamente instabile e ingovernabile in più occasioni, come afferma Hindustan Times – a danno del nostro ‘complesso industrial-militare’, distruggendo una presenza ed una friendship nel continente indiano ormai consolidate e creando tutte le premesse per la frammentazione di un importante patrimonio pubblico (Finmeccanica e non solo), cui non potrà far altro che seguire un’instabilità finanziaria ed una minore occupazione nel lungo periodo.

My compliments: it’s another Italian job.

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Marò in India verso la scarcerazione?

17 Mag

Anche oggi, Roma, ormai in piena campagna elettorale, in rossi, neri, bianchi e gente comune.
Il “pretesto” di oggi è la polemica intorno l’iniziativa dei consiglieri del Pdl di indossare in aula delle magliette con le foto dei due fucilieri della Marina Militare detenuti in India.

Il problema, secondo la presidente della Commissione delle Elette di Roma Capitale, Monica Cirinnà, è stato che ” in apertura di seduta dell’Assemblea capitolina gli uffici di Presidenza hanno distribuito una maglietta nera raffigurante i due marò detenuti in India. Oltre a chiedere la sottoscrizione al momento del ritiro della t-shirt, ai consiglieri presenti è stato chiesto di indossarla al momento dell’esecuzione dell’Inno di Mameli. Ritengo questa iniziativa del tutto sbagliata, indebita, non concordata in conferenza dei capogruppo e soprattutto un uso improprio dell’istituzione da parte del presidente Pomarici il quale lui stesso ha indossato la maglietta distribuita”.

Ugo Cassone, consigliere Pdl di Roma Capitale, parla di “stupefacente reazione antitaliana”, affermando che “è inaccettabile che, invece di aderire spontaneamente alla simbolica manifestazione l’opposizione abbia indegnamente sollevato per questa occasione questioni procedurali e di regolamento, indicative solo del suo atteggiamento ostile e per niente patriottico”.

Un po’ come a Costantinopoli, quando erano in assise per determinare il sesso degli angeli, mentre le mura cadevano sotto l’assedio dei turchi.

Possiamo tutti immaginare il profondo scoramento che potrebbe cogliere, dinanzi a tale “veemente polemica”, non solo i nostri marò ed i loro colleghi o familiari, ma tutti i nostri concittadini che, per lavoro, sono andati per mare e per terra in terra straniera.

La buona notizia è che le autorità dello stato indiano del Kerala hanno disposto il trasferimento, tra 20 giorni, dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dal carcere di Trivandrum ad un’altra struttura della città.

La Corte Suprema Indiana, infatti, aveva, nei giorni scorsi, invitato le autorità locali a dare seguito all’impegno di trasferire i militari italiani in una struttura diversa dal carcere, in risposta ad una petizione del procuratore generale aggiunto, Harin P. Raval,  “perchè lo Stato del Kerala non ha giurisdizione, essendo l’incidente avvenuto in alto mare dove la competenza è dell’Unione Indiana e non dei singoli stati.”

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Ostaggi in Nigeria, Cameron ignora l’Italia

9 Mar

Dopo l’arresto dei nostri fucilieri in India, arriva la notizia, a fatto compiuto, del blitz britannico in Nigeria per liberare degli ostaggi di Al Quaeda, tra cui un italiano che ci ha rimesso la vita.

Intanto, in questi mesi, abbiamo scoperto che lo spread, i mercati ed il default vanno “a prescindere” da cosa faccia (o meglio non faccia) il nostro governo, mentre, con tanta nonchalance, abbiamo permesso a Marchionne di “regalare” la FIAT alla Chrysler.

Ricordate gli entusiastici commenti giornalistici sulla “rinnovata immagine dell’Italia” od il “ci hanno apprezzato” di Mario Monti, quasi fossimo figli di un dio minore?

Beh, dalle chiacchiere, lusinghiere, stiamo ai fatti. Pessimi.

Intanto, mentre Repubblica titola on line: “L’ira di Monti”, a leggere l’articolo salta fuori che il messaggio “di protesta” a Cameron, Primo Ministro britannico regolarmente eletto, è stato “perché non ci avete avvertito prima? Dovevamo avere il tempo di dire la nostra, di fare delle valutazioni insieme. Vogliamo approfondire, chiediamo dei chiarimenti, un supplemento di informazioni.”

Senza parole …

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Marò, la tensione sale

6 Mar

Le sorti dei due marinai del reggimento San Marco sembrano prendere una piega sempre peggiore, anche e soprattutto a causa del poco pragmatismo e della scarsa incisività del personale diplomatico scelto dall’attuale governo per gestire la vicenda.

Ieri sono sono stati condannati a tre mesi di arresti preventivi, da trascorrere in un carcere comune a Trivandrum, e solo in extremis si è potuto ottenere che i due marines mantengano la divisa militare e stiano in una piccola struttura separata all’interno del centro di detenzione.

La sorte dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, è dunque la peggiore possibile, rispetto allo scenario iniziale, quando sarebbe, forse, bastato pagare 200.000 Euro di “risarcimento” a dei poveri pescatori, di fede cattolica tra l’altro, e quando, comunque, non andavano assolutamente consegnati i militari alle forze dell’ordine indiane.

Intanto, l’azione diplomatica “che conta” parte in forte ritardo e l’iniziativa deve prenderla il presidente della Camera Gianfranco Fini, in visita a Washington, coinvolgendo il segretario di Stato alla Sicurezza nazionale Janet Napolitano e l’ex Speaker del Congresso, Nancy Pelosi.

Infatti, è l’ambasciatore italiano negli Usa Claudio Bisogniero, con Gianfranco Fini in tutti i suoi appuntamenti istituzionali a Washington, a chiarire che sono emersi “due significativi punti di convergenza” : “La determinazione a proteggere in ogni modo i militari impegnati in queste difficili operazioni” e “la preoccupazione per azioni che, come quelle dell’India, potrebbero indebolire gli sforzi della comunita’ internazionale contro la pirateria”.

Come se non bastasse questo a confermare che “qualcosa di più” andava fatto, questa mattina, a Roma, diverse centinaia di giovani hanno manifestato, in più riprese, sotto l’Ambasciata Indiana, la propria indiganzione per la detenzione dei due marinai italiani.

Cosa pensare se il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha convocato alla Farnesina l’ambasciatore indiano , solo dopo tali fatti e dopo tanti giorni, per ribadire soltanto che nei confronti dei due marò italiani sono state messe in atto ”misure inaccettabili” e per definire  ”non soddisfacenti” le condizioni della loro detenzione.

Per non parlare di Staffan De Mistura, l’inviato del Minstero degli Affari Esteri sul posto, che, da buon diplomatico ed in un momento così, precisa cripticamente che andrebbe fatta un’inchiesta in Italia sulla decisione di far sbarcare i marò presa dal Console Generale Giampaolo Cutillo: “Sono arrivato il 22, quindi a cose fatte …  Qualunque sia stato il motivo della decisione, confermo che andrebbe fatta una bella inchiesta su questo.”

Intanto, la stampa indiana esulta per la “fermezza del proprio governo”, ma non solo.

Secondo le fonti locali, la polizia aveva chiesto la custodia di tutti e sei i marò membri dell’equipaggio della Enrica Lexie, che vede imbarcati ben 19 marinai di nazionalità indiana, e che “se necessario si aggiungeranno altri dopo aver interrogato gli arrestati”, come precisato da alti funzionari della polizia, a quanto pare piuttosto irritati dai “cavilli diplomatici”, che la stampa indiana descrive come “tattiche dilatorie delle autorità italiane che mostrano i motivi inconsistenti”.

Il tutto mentre sia il ministro degli interni sia quello degli esteri del Kerala, oltre al primo ministro Oommen Chandy,  insistono nel parlare di “assassinio a sangue freddo”.

Andiamo bene …

Leggi anche Il caso Enrica Lexie

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Il caso Enrica Lexie: l’incapacità politica di un governo tecnico

6 Mar

Il Distretto di Kollam è parte dello stato federale indiano del Kerala, che si affaccia sul Mare Arabico. Un territorio di antica civilizzazione (pre-indoeuropea), con una popolazione dalla marcata indole commerciale, dato che furono in “affari” con i Fenici ed Portoghesi collocarono fin dal 1502 una base commerciale a Tangasseri, non lontano dall’attuale porto di Kollam. Non a caso il comandante del peschereccio colpito dai marò italiani si chiama Fredy John Bosco.

La diffusione araba, storica, si fonde con la presenza di popolazioni dravidiche, che abbracciarono l’Islam per sottrarsi al dominio delle caste hindu, cosa che oggi si connota con una forte presenza della “cultura” Tamil sul territorio, comprovata dalla primarietà linguistica di un suo dialetto, il Malayalam e dalla presenza di un partito comunista, fortemente egemone.

Un partito comunista indiano che rappresenta l’unico effettivo oppositore del “sistema Gandhi”, ovvero di quel populismo che, avviato dal Mahatma e dopo un iter palesemente “dinastico”, oggi vede al potere Antonia Edvige Albina Maino, vissuta a Torino prima di sposare Rajiv Gandhi, assumere il nome di Sonia Gandhi, restare vedova ed prendere il potere divenendo la nona persona più potente del mondo secondo Forbes.

Un partito comunista dal Kerala, che possiamo immaginare “amico della Cina Popolare” e che, in possimità di elezioni, non esita a mettere in gioco il sistema di protezione contro la pirateria che esiste praticamente su tutte le navi che attraversano il Mare Arabico: militari o contractors a bordo e fuoco a volontà, dopo il segnale d’avvertimento.

Iniziamo, dunque, col dire che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono, oggi e non nelle prime fasi dell’approdo a Kollam, degli ostaggi di un non si sa quale gioco o, più probabilmente, intreccio di giochi. E’ evidente che, dopo le turbolenze di Borsa delal fine del 2011, c’è un “attacco all’Italia”, che, ricordiamolo, è l’unico paese UE a sostenere “senza se e senza ma” la politica militare USA ed è, allo stesso tempo, il tallone d’Achille del sistema germanocentrico dell’Eurozona.

Buon senso avrebbe voluto che il governo italiano intervenisse in altro modo.

Far fuggire, anche senza azioni di forza, i due militari al primo sentore di “stranezze”, liquidare una extralarge “beneficenza” e chiudere la partita lì, rifiutare la consegna delle armi, portando il caso all’attenzione dell’Unione Europea e del Governo Centrale indiano, eccetera.

Ciò che è incredibile è che la via del risarcimento non sembra essere stata affatto perseguita, nonostante la possibilità data dalla presenza storica di chiese cristiane e cattoliche e, soprattutto, dal fatto che è padre Richard Regison, segretario del vescovado di Kollam, ad assistere i familiari delle vittime, che sono dei cattolici.

Infatti, fin dai primi giorni, la questione era chiara, per come posta dal comandate del peschereccio St. Anthony: «Nel pomeriggio di mercoledì 15 febbraio ero sotto coperta a riposarmi. L’equipaggio è composto in genere da 11 uomini, tra cui alcuni parecchio anziani. Io generalmente sto al timone ma quel pomeriggio invece c’era Valentine, che era bravo quanto me. Valentine era un marinaio esperto, conosceva i segnali, tendo ad escludere che non li abbia visti. Come è stato possibile confondere il peschereccio con i pirati? I  nove sopravvissuti dell’equipaggio non riescono più a lavorare, alcuni sono ancora in ospedale …».

Una richiesta “in denaro” non di “giustizia”.

Il nulla nel nulla da parte di un governo “apprezzato” da Obama, Merkel, Sarkozy, che avrebbe riportato  in auge (e  si vede ..) il nome dell’Italia.

Per chi lo desiderasse, ricordiamo anche che non possiamo “bombardare” il Kerala, perchè l’India ha una marina decisamente superiore alla nostra, anzi, per l’esattezza, che non ne abbiamo una vera e propria, né civile né militare, grazie ai trattati della Seconda Guerra Mondiale ancora vigenti.

Dunque, l’unico esito chiaro di questa storia e, soprattutto, di come questo governo l’ha gestita è che si sconsiglia alle nostre navi mercantili di oltrepassare Suez …

Aggiornamento.

Aggiungo la “testimonianza” ricevuta da un amico con una lunga eseprienza di imbarco come ufficiale di marina mercantile.

Concordo e aggiungo:
1) la gravità del fatto di consentire l’ispezione a bordo da parte delle autorità marittime indiane quando la tragedia e avvenuta in acque internazionali;
2) il Governo e la politica italiana deve ricordarsi che gli indiani, insieme ai filippini, costituiscono la comunità più numerosa degli equipaggi di navi italiani, che a bordo godono di massimo rispetto ricoprendo anche ruoli di comando anche se non sempre sono all’altezza dei compiti a loro assegnati.
3) che incrociare i pescherecci dei paesi del terzo mondo in mare aperto è sempre pericoloso perchè non sempre rispettano le norme del diritto internazionale della navigazione e della prevenzione degli abbordaggi in mare.

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Il Buccaneer fantasma ed i diritti del Mare

8 Giu
Tutti sanno che i pirati somali tengono in ostaggio 16 marinai, di cui 10 italiani, che compongono l’equipaggio del Buccaneer, un rimorchiatore oceanico di proprietà della Micoperi di Rimini, come affermano i media.
Non tutti, probabilmente, ricordano che dopodomani saranno due mesi che la nave è sequestrata e che i rapiti lamentano un trattamento,certamente non disumano, ma che supera di poco il”pane ed acqua”.Il bello è che il Buccaneer non esiste, è un fantasma.
Potete verificare sui registri navali di mezzo mondo e troverete solo la conferma che la tug ship “Buccaneer” registrata negli elenchi è questa e solo questa.

La cosa mi ha alquanto meravigliato e sono andato a verificare sul sito del proprietario, la Micoperi Marine Contractors, e questa è la loro flotta.

Del Buccaneer nessuna traccia e il battello più grosso è il Sarom VIII, che misura meno di 70 metri, invece che i 75 dichiarati per la nave sequestrata, ed ha due fumaioli caratteristici, che lo rendono inconfondibile.

Avendo trascorso i giorni migliori della mia adolescenza al porto ad ammirare navi, mi sono messo alla ricerca del Buccaneer, visionando centinaia di foto di “tug ships” su Google.
E qui viene il bello.

Ero alla ricerca di una nave gemella, se non del Buccaaneer fotografato in tempi passati.
Da quello che ho capito la grandissima parte dei rimorchiatori oceanici misura meno di 70 metri e più di 55.   Pochi hanno la prua “acuta” come il Buccaneer che vediamo nelle foto, ancor meno hanno la plancia di comando “vintage” che si vede nelle foto e la doppia antennna.

Così, la ricerca si è molto ristretta. Alla fine sono arrivato qui e l’ho trovato.  Stando alla notizia riportata da  Zeelandnet.nl il Buccaneer sarebbe l’ex Smit Lloyd 72, glorioso vascello costruito nel 1981 in Olanda.

Il rimorchiatore oceanico (di cui andrebbe chiarita la denominazione ed il codice IMO, visto che i registri lo riportano ancora con nome “di battesimo”) sarebbe, in realtà, di proprietà della Seacor Offshore Marshall Islands ed è “managed” (un leasing?) dalla Leadership Management di Ravenna e, per tanto, batte bandiera italiana.

La foto pubblicata da sito olandese chiarisce ogni dubbio; la nave è quella e sono bene in vista il tricolore e la bandiera delle Marshall.

Di sicuro, la bandiera delle Isole Marshall è per definizione “di comodo”, ovvero una bandiera di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un’altra nazione, che, in questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse, ottenere una registrazione più facile, trasportare materiali con vincoli minori, contrattare al ribasso con gli equipaggi ( International Transport Workers’ Federation ).

Il Sindacato (unico) dei Marittimi italiani, due settimane or sono, ha scritto una proposta inerente una azione di contrasto verso l’utilizzo delle Bandiere di Comodo, in linea con le indicazioni pervenute dal G20.
Stranamente, nonostante la questione sia molto sentita dalla Gente di Mare e nonostante sia una priorità europea, la risposta stenta a pervenire.

Tra l’altro, anche il Malaspina Castle, nave sequestrata dai pirati lo scorso aprile e rilasciata dopo circa un mese, era di proprietà britannica, battente bandiera panamense e gestita dalla società B Navi di Marina di Carrara.

Dal punto di vista di un marittimo, le bandiere di comodo sono una vera disgrazia, in caso di pirateria.
Infatti, la nave spesso è di proprietà di una Società Anonima (le cosiddette  Ltd. inglesi o Inc. americane), il “proprietario, in realtà la usa come in un leasing e, se va qualcosa storto, paga l’assicurazione.
Se c’è un carico, visto il sequestro, la burocrazia aziendale provvede subito ad un nuovo shipping (invio) e spesso inserisce direttamente l’elenco del carico bloccato tra la merce “perduta”.
Così, accade che il riscatto riguardi equipaggi e passeggeri e che tocchi agli Stati nazionali pagarlo, come ha fatto Sofia per il Malaspina Castle.

Riguardo il Buccaneer, i Somali hanno anche denunciato (il Governo, non i pirati) che la nave aveva scaricato carichi tossici, il nostro Ministero ha negato adducendo a prova le foto che mostrano il naviglio “alto” sulla linea di galleggiamento, ovvero che le stive erano vuote.

Resta da capire cosa ci facessero un rimorchiatore e due bettoline vuote “a spasso” da Singapore a Port Suez e come mai, improvvisamente, l’Italia si ricorda “con affetto” della Somalia e della sua triste sorte, come ci racconta Ukundimana in Jambo Africa.

Ad ogni modo, sappiamo tutti che la Boniver, inviata sul posto, è una persona esperta, che non mancherà di risolvere anche questa “crisi”; ben venga se, invece di riscatti, si inizi a parlare di richieste e di offerte di aiuti.

Resta ancora un punto, sempre lo stesso a dire il vero, visto che sappiamo almeno dove si trova (Google Maps fa miracoli) il Buccaneer fantasma.

Come si chiama la nave e di chi è? Quali garanzie hanno i marittimi italiani imbarcati sul nostro naviglio?

Facciamo una legge sulle “bandiere di comodo”, i paradisi e gli evasori fiscali, di cui parla anche Obama e di cui lamentano i G20, o no?

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