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Pensioni? Non cambia nulla, forse va peggio

6 Giu

Sulle Pensioni sono poche le cose da sapere, ma pochi le ricordano. Facciamo dei casi concreti della “Quota 100”.

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Nell’ipotesi di pensionarsi con 36 anni di contribuzione e 64 anni di lavoro, ricordando che non si prevedono grandi incrementi stipendiali per il prossimo decennio:

  1. una persona nata nel 1959, ha iniziato a lavorare nel 1982 e oggi percepisce uno stipendio (al netto di tasse, ma anche dei premi) di 2.000 euro. Nel 2018 compie 36 anni contributivi, ma ha solo 59 anni anagrafici: dovrà comunque attendere il 2024 per andarsene con 64 anni d’età e oltre 42 anni di contributi, che saranno circa il 40% dell’ultimo stipendio. Tale e quale ad oggi.
  2. una persona nata nel 1955, optò per il lavoro autonomo o artigiano ed ha pochi contributi ed oggi  percepisce uno reddito dichiarato (al netto di tasse) di 1.500 euro. Nel 2019 compie 31 anni contributivi ed avrà 64 anni anagrafici: può andare in pensione, ma dovrà campare con poco più di una pensione minima e molto meno di un reddito di cittadinanza. Finirà per mettersi a lavorare in nero, togliendo lavoro ai giovani ed evadendo le tasse,  tale e quale ad oggi.
  3. una persona nata nel 1963, ha iniziato a lavorare nel 1993 e oggi percepisce uno stipendio (al netto di tasse, ma anche dei premi) di 2.000 euro. Nel 2019 compie 26 anni contributivi ed avrà 57 anni anagrafici: dovrà attendere il 2029 per i 36 anni contributivi, quando però avrà 66 anni minimi, e la rendita sarà circa il 40% dell’ultimo stipendio. Tale e quale ad oggi.

Come siamo arrivati a questo? Complicato se non si conosce tutta la storia, semplice, se si è abbastanza vecchi da ricordarselo:

  1. in base alla Costituzione ogni italiano con reddito dovrebbe versare una quota allo Stato per la previdenza pubblica di indigenti od invalidi e una rata assicurativa ad un Ente o Assicurazione per la propria pensione
  2. fino alla metà degli Anni ’70, esistevano l’Inps e le Casse previdenziali, come esistevano l’Inam e le Mutue sanitarie. Poi, l’Inps e l’Inam fallirono a causa dell’assistenzialismo populista e la soluzione fu quella di “risanarli” come fosse una bad bank pubblica ed assorbendo progressivamente nella ‘good company’ Casse e Mutue sane
  3. la voragine creata da chi a Bankitalia doveva dare l’allarme fin dalla metà degli Anni ’60 non era finita, però, e negli Anni ’90 arrivò la riforma delle pensioni Amato-Dini, quella che garantiva l’ultimo stipendio per intero ai pensionati con sistema retributivo, ma prospettava una pensione al 40% dello stipendio base per i contributivi
  4. la norma era ‘pesante’, colpiva chiunque non avesse contribuzione almeno di quindici anni: c’era un esercito di pensionandi con pochi contributi (la generazione del ’68) e una massa di giovani disoccupati (la generazione degli ’80) a causa della voragine nei bilanci e la svalutazione della Lira rispetto al petrolio.
  5. dunque, venne previsto un quinquennio di transizione, durante il quale le pensioni contributive sarebbero state adeguate a quelle retributive, e venne introdotta la possibilità di integrare la pensione consentendo – tra l’altro – ai Sindacati di ricostituire come Fondi assicurativi quel che prima erano le Casse e le Mutue
  6. invece accadde che le perequazioni sulle pensioni contributive continuarono fin al 2011, i Sindacati si batterono non per le Mutue, ma per una ‘salute uguale per tutti’ e quando si parla di ‘abolire Fornero’ è di questo che si tratta, non solo l’età e l’aspettativa in vita: il primo problema è quanto si è contribuito, quale è il capitale a monte accumulato e se c’è da compensare una pensione infima
  7. nel 2011 Elsa Fornero pose un tetto sull’età contributiva, pervenuto a 42 anni e 10 mesi, e sull’età anagrafica a 67 anni, ma – lo scrive uno che è stato pesantemente danneggiato da quelle scelte – sono  restava da chiarire cosa succede ai pensionandi contributivi, specie se vogliono anticipare. ed avrebbero dovuto farlo il parlamento ed i sindacati nel 2011
  8. arrivati al 2017, ci ritroviamo che la norma Fornero diventa una norma di diritto (nessuno può farmi lavorare più di 42 anni e 10 mesi od oltre i 67 anni. Chi ha iniziato giovanissimo e chi è troppo anziano per lavorare sono tutelati) ed un meccanismo trappola, dato che da quest’anno chi non avesse ambedue i requisiti rischia di finire in un meccanismo-trappola.  Il Partito Democratico non fa nulla
  9. forse lo farà questo governo Lega-Cinque Stelle. Ma per ricreare la previdenza sociale, che è spesa pubblica da tasse versate, e ripristinare gli Enti Assicurativi, che restituiscono come rendite i contributi versati, serve che per alcuni anni l’Italia sfori il proprio debito di tantissimi miliardi, per rimediare a pasticci fiscali, assistenziali e previdenziali dell’epoca di Prodi, Carli e Savona
  10. per farlo è necessario attingere alla Cassa Depositi e Prestiti, dovevamo farlo con  Renzi, non badando solo alle banche ed agli investitori/risparmiatori, con Gentiloni era troppo tardi. Il problema è che CDP non è Pantalone, bensì raccoglie anche i depositi postali degli italiani e ‘garantisce’ la liquidità di Bankitalia. Da qui l’interesse diretto e legittimo dell’Eurozona: non a caso per ora esultano sterlina e rublo, mentre il dollaro ci da embargo …

Meglio girare intorno al problema, mentre i lavoratori invecchiano comunque ed i giovani pure, e promettere una Quota 100 che è tale e quale alla situazione lasciata da Elsa Fornero ?

E, per lo meno, è possibile (Di Maio, Conte, Salvini eccetera) rassicurare gli italiani che la Quota 100 non danneggi chi ha lavorato fin da ragazzo e che anche in futuro sarà possibile pensionarsi con 42 anni e 10 mesi a prescindere dall’età oppure gli eletti dal Popolo vorranno penalizzare proprio chi appena maggiorenne si cercò un’occupazione?

Demata

Addendum:
Focalizzandosi su “in base alla Costituzione ogni italiano con reddito dovrebbe versare una quota allo Stato per la previdenza pubblica di indigenti od invalidi e una rata assicurativa ad un Ente o Assicurazione per la propria pensione”, c’è la soluzione e se na parlava già 15 anni fa.

Il dettame costituzionale nel III Millennio può significare diverse cose:
– una ‘bad bank’ per smaltire il retributivo e le pensioni d’annata
– un sistema di Enti assicurativi (sanità, previdenza, assistenza, vita) per tutti i lavoratori, vigilato (ergo garantito) dallo Stato
– un Inps che torna alle origini e bada alla previdenza pubblica sociale, in base a parametri internazionali, ma anche per scelte politiche sociali temporanee può far leva sulla tassazione (apposita)

A parte che questo è il sistema nel resto d’Europa e pure in USA (+ o -), è anche l’unica via per risolvere il problema più immediato è che i più giovani si troveranno a vivere in un paese senza consumi, se tra 5-10 anni la maggior parte dei residenti saranno pensionati sotto i 1.000 euro al mese o disoccupati?
Come sostenere con la previdenza sociale pubblica questi futuri indigenti ex lavoratori per 40 anni, se non almeno con esenzioni ed accessi? … e cioè facendo leva fiscale sociale (c’è sempre l’articolo delle pari opportunità …) su alcune tipologie di redditi, tra cui le pensioni apicali – ad esempio – ed il cerchio si chiude.

P.S. ci si lamenta dei populismi, ma sono stati i partiti a mettere un eletto dal popolo (governatore regionale) a capo di un ente assicurativo come il Servizio Sanitario Regionale, sorto dalle ceneri delle Mutue.

 

Le gambe corte del contratto Salvini-Di Maio

14 Mag

Proprio mentre Matteo Salvini tentava di formulare con i Cinque Stelle il suo governo leghista, allo Stadio Marassi di Genova riecheggiavano quei cori razzisti antipartenopei, che lo stesso Salvini cantava anni fa ad un convegno della Lega.

Intanto, prendiamo atto che  nei Cinque Stelle sono napoletani Luigi Di Maio, Roberto Fico e Carla Ruocco , mentre sono meridionali Barbara Lezzi, Nicola Morra, Carlo Sibilia, Manlio Di Stefano, Alfonso Bonafede, Vito Crimi, Giulia Grillo, Riccardo Fracarro e Mario Michele Giarrusso.

Salvini definì quei cori una ‘goliardata’, ma sta di fatto che nel Meridione la Lega continua a non essere particolarmente gradita agli elettori, più o meno quanto l’elettorato settentrionale non ha votato i Cinque Stelle.

E proprio nelle ore in cui Salvini si appresta a governare tramite un ‘premier terzo’ e con i Cinque Stelle al seguito, al Marassi la questione Nord-Sud si ripresenta, non come momentaneo coro da curva, bensì come litania razzista urlata per decine di minuti da decine di migliaia di persone a reti unificate.

Cosa accadrà quando Salvini (e Di Maio) dovranno metterci la faccia per le norme  potenzialmente inique o sprecone se non dannose che si profilano all’orizzonte, alcune più gradite a Nord ed altre più volute a Sud ?

Inique, se la flat tax fosse ‘uguale per tutti’, sapendo che il reddito disponibile al Sud è di un quarto sotto la media, se  si attesta a 20.800 euro per abitante sia nel Nord-ovest che nel Nord-est, è pari a 19.300 euro nel Centro, mentre scende a 13.400 nel Mezzogiorno.

Sprecone, se il reddito di cittadinanza sarà superiore all’assegno con cui ‘campa’ un invalido o di un pensionato minimo e se è concesso per due anni anche a chi il lavoro non lo cerca, finanziandolo con il divieto di cumulo pensionistico dei redditi autonomi e dipendenti, altri tagli alla spesa della P.A., eliminazione del Fondo per il sostegno alla povertà, eliminazione di ogni contributo pubblico all’editoria.

Dannose, se il combinato flat tax / reddito di cittadinanza finisse per stabilizzare lavoro nero ed evasione fiscale, e/o povertà e criminalità, andando non solo ad incrementare spesa e debito, ma anche a contrarre il PIL e la produttività nominale.

Muhammad Yunus, l’economista inventore del microcredito, ricorda che: «I salari sganciati dal lavoro rendono l’uomo un essere improduttivo, ne cancellano la vitalità e il potere creativo».

Se si finisse per stabilizzare lavoro nero ed evasione fiscale, povertà e criminalità, in un paese dove già esistono sostanziosi sussidi agli agricoltori, enormi facilitazioni per le cooperative e persino la ‘cassa integrazione’, cosa ne sarà del divario Nord-Sud nel 2020, non appena l’effetto delle riforme leghiste a cinque stelle si sarà fatto sentire?

I cori di Marassi annuncio di una Nemesi? Speriamo davvero di no, ma Salvini e la Lega dovrebbero opporsi apertamente al razzismo, se vogliono (loro e i Cinque Stelle) credibilità e consenso il giorno che ci sarà il popolo scontento. Specialmente al Sud.

Intanto, tra i problemi più urgenti ci sono le pensioni e non sarà una grande svolta pensionarsi a quota 100 dal 2020, se la rendita si aggira intorno ai mille euro dopo una vita di lavoro, e ci sono l’istruzione e la formazione, con una Buona Scuola incompiuta e le Università da riformare (insieme alla Sanità), mentre nel 2020 sarà ufficiale che l’Italia ha meno laureati e diplomati d’Europa, senza parlare dei voti e della quantità di anni serviti per conseguire i titoli e di quanti tecnici ci ritroviamo.

Cosa pensano, di arrivare giusto giusto al 2019, dopo aver speso e spaso con la flat tax, il reddito di cittadinanza più tot norme a pioggia per mille casi particolari e poi si vede? E – senza parlare della miriade di cose in cui Lega e Cinque Stelle sono in disaccordo – quale Italia vogliono realizzare?

“L’ozio avvilisce ed il lavoro nobilita: perché l’ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti ed indipendenti: questi buoni effetti non sono già i soli. L’abitudine al lavoro modera ogni eccesso, induce il bisogno, il gusto dell’ordine; dall’ordine materiale si risale al morale: quindi può considerarsi il lavoro come uno dei migliori ausiliari dell’educazione.” (Massimo d’Azeglio)

Demata

Pensioni: il dopo Fornero

15 Feb

Per le pensioni, arrivati al 2018, l’Era Fornero volge alla fine: è inevitabile che sia così, dato che la stessa norma era parte di un piano pluriennale di rientro finanziario.
Ed era invevitabile che così fosse, dato che – dovendosi contenere e dilazionare la problematica di liquidità di Cassa Depositi e Prestiti – lo scopo essenziale era quello di ‘rinviare’ di un lustro tutte o quasi le pensioni correnti, cioè i quasi Quota95 che oggi sono Quota ‘ultra100’ …

giannelli

Ciò che è singolare è che solo Salvini si è ‘speso’ per raccogliere il voto di tanti elettori senior, preoccupati per il loro futuro, ma non i raggruppamenti di Berlusconi e Renzi, che già con Mario Monti avevano avuto l’occasione di far qualcosa in più.

Salvate le banche, c’è il settore assicurativo, cioè le pensioni (e la Sanità): cosa porta il futuro ai quasi anziani di ceto medio-basso? 

Riguardo alle pensioni, accadrà che per qualche anno (2-4) saranno in uscita gli ultimi del sistema retributivo, cioè i pre1960, che prima dei vent’anni avevano iniziato a versare contributi e che intorno ai 62 anni raggiungeranno una pensione più o meno pari all’ultimo stipendio. Non sono pochi, dato che parliamo dei tanti arrivati a circa Quota95 e ‘bloccati’ anche da 6-7 anni, con l’avvento delle norme Fornero.

Dunque, la Politica potrebbe essere tentata dal prendere tempo, se non fosse che – intanto – tante donne che potevano pensionarsi a sessant’anni non potranno più farlo e tanti sessantenni decideranno di attendere i 67 anni comunque, dato che in pensione si troveranno una rendita del 5-60% dell’ultimo stipendio.
Un diluvio annunciatosi fin dalle Riforme Amato-Dini del 1992-95: in poche parole, per un impiegato che oggi guadagna 1.600 euro netti, era già noto che si sarebbe trovato a dover vivere con meno di 1.000 euro.

All’epoca si confidava nella ‘crescita e nell’Europa, ma c’è poco da fare se alla base c’è il tardivo ingresso nel mondo del lavoro che affligge i nostri giovani da sempre. Tra l’altro, Amato e Dini avevano ben chiarito che quelle misure andavano accompagnate da stipendi iniziali più robusti, in modo da innanzare il valore contributivo e la pensione stessa, e da pensioni integrative, che – salvo qualche iniziativa aziendale – non hanno mai attecchito proprio tra i lavoratori più esposti.

Purtroppo, i vari governi – invece di intervenire su stipendi iniziali, progressioni di carriera e assicurazioni integrative – misero la cenere sotto il tappeto estendendo fino all’avvento di Elsa Fornero il sistema retributivo limitato, all’origine, a chi aveva 18 anni contributivi nel 1995.

‘Abolire la Fornero’ per ritornare al sistema retributivo o alla Quota95 ‘secca’ significherebbe solo peggiorare ulteriormente la situazione di chi ha oggi meno di 50 anni. Allo stesso modo, è impensabile che un’intera generazione di lavoratori ormai quasi sessantenni sia alle soglie di una vecchiaia ai limiti della povertà e nessuno se ne faccia carico.

E’ vero che viviamo in una nazione tanto produttiva quanto iperfiscale che avrebbe già potuto permettersi qualcosa di più per la pochezza delle pensioni sociali degli invalidi inabili al lavoro o per farsi carico degli lavoratori esodati o invalidi gravi rimasti nel limbo dal 2011 al 2018.
Ma è anche vero che se nessun parlamento vorrà farsi carico di rifinanziare l’Inps – fosse solo perchè ha assorbito non poche situazioni in perdita – l’Italia è destinata ad essere un paese di anziani impoveriti e di giovani senza futuro.

Sta ai nostri legislatori scegliere, poi, se i rifinanziamenti saranno dello Stato (primo debitore di tanti istituti cessati perchè in perdita) o se l’Inps diventerà una società per azioni con una quota  privata.
La questione delle pensioni da fame per chi ha lavorato una vita è ormai in drittura d’arrivo: difficilmente potrà essere rinviata di un’altra legislatura senza serie ripercussioni sulla coesione sociale.

Demata

Fallimento Renzi: rating al ribasso, troppo fisco, troppi tagli, troppe spese

22 Ott

Halloween si avvicina, l’elezione del nuovo Presidente USA pure ed anche il Dia del Los Muertos sarà festeggiato a breve. Intanto, il 30 ottobre – il giorno dei conti da portare in UE – è alle porte. A seguire il 2017 con le sue centinaia di miliardi in BOT e BTP da saldare e ricollocare.

E non dobbiamo meravigliarci se l’agenzia di rating Fitch ha benevolmente confermato la sua valutazione del debito italiano ‘BBB+’, seppur rivedendo al ribasso l’outlook da ‘stabile’ a negativo: non ci siamo ritrovati in ‘C+’ – cioè in stato di dichiarato fallimento – solo grazie ad Obama che appoggia Matteo Renzi e lancia indagini su Moody’s, sperando che vinca Hillary e che arrivi qualche ‘aiutino’ proprio mentre stiamo contrattando BTP e BOT di cui sopra … sennò – poco male – si fa una ‘bella’ patrimoniale agostana …

A condizionare la revisione – comunque e doverosamente – al ribasso, sono le bugie / gli errori del Governo Renzi e l’incapacita a riformare la struttura amministrativa e finanziaria dello Stato italiano, con un calo del Pil nel 2016, che crescerà solo dello 0,8% con il debito pubblico, che aumenterà fino /oltre il 133,3% nel 2017.

Inoltre, il Belpaese è arrivato al 64,8% di prelievo fiscale annuale sul profitto delle imprese (contro una media europea del 40,6%) e queste perdono ben 269 ore all’anno per adempimenti fiscali, a fronte di una media europea di 173 ore e mondiale di 261 ore.

Se di tasse e di prebende si finisce male, questo accade anche perchè, di taglio in taglio, l’Inps annuncia che le pensioni liquidate nei primi 9 mesi sono scese del 26,5% rispetto allo stesso periodo del 2015 e lo stesso presidente Boeri contesta il ministro del Lavoro Poletti sulla “scelta politica di aiutare bassi redditi” e le persone che “sono già in pensione”.
Intanto, la Sanità è talmente agli sgoccioli da dover introdurre di fretta e furia un incremento dell’accisa tabacchi per poter almeno pagare i vaccini, la copertura per le malattie rare e i sussidi agli invalidi gravissimi … dato che i denari stanziati servivano per nuove assunzioni senza però pensionare medici iper-retribuiti che si sono laureati quando farmacologia, genetica, gestione clinica e diagnostica erano all’Età della Pietra rispetto ad oggi.

Il tutto con Equitalia che è stata ‘soppressa’ annunciando miliardi di economie (ma come non era lucrativa? ma come le cartelle non erano gonfiate?), ma subito ci affrettiamo a garantire posto e lauto stipendio agli oltre settemila che resterebbero senza lavoro. Ma … anche ci ritroviamo le scuole ed i musei come al solito a combattere con i posti vacanti.
E, con tutte le riforme istituzionali fatte, non ce ne è una che permetta allo Stato di commissariare per un po’ di anni Roma Capitale e/o qualche Regione dissestata …

Queste sono le capacità espresse da Matteo Renzi e dal suo Governo. Il pasticcio dell’Italicum e i copia-taglia-incolla della Riforma Costituzionale da referendare sono solo la punta dell’iceberg.

Chi li stesse appoggiando – per tornaconto personale o per una speranza mal riposta – farebbe bene a rivolgere altrove il proprio opportunismo od i propri ideali ‘as soon as possible’.

Demata

L’attacco alle pensioni che dura da 25 anni

15 Ott

giuliano_polettiUna persona nata nel 1960 potrebbe da un lato aver già cumulato 40 anni di diritti previdenziali ed, allo stesso tempo, dovrà attendere il compimento di 66 anni e sette mesi, cioè altri DIECI ANNI, per poter fruire della pensione.

Questa persona si è già trovata a dover permanere al lavoro più di quanto le fosse stato precedentemente assicurato nel 1992 (Amato), nel 1995 (Dini), nel 2004 (Maroni), nel 2011 (Fornero). Ogni volta promettendo che sarebbe stata quella risolutiva.

Oggi, in Italia, in una repubblica “fondata sul lavoro”, con la Riforma Poletti – Renzi non ci si pensiona in base agli anni di contribuzione, cioè di prestazione lavorativa: tutti via a 66 anni e 7 mesi a prescindere da quanto si sia lavorato o di come vada la salute.

Dopo gli esodati di Elsa Fornero lasciati senza protezione dalla disoccupazione forzata, è nei fatti  che il Partito Democratico (con il silenzio assenso dei Cinque Stelle e della Destra) NON intende adempiere all’articolo 38 della Costituzione Italiana nel provvedere ad assicurare mezzi adeguati in caso di vecchiaia o di invalidità.
Anzi, addirittura, li sottrae, invitando chi per l’ennesima volta e con ben 41 anni di lavoro sulle spalle vede allontanarsi il giusto riposo a sottoscrivere indebitamenti capestro (APE) per 20 anni pur di andare via.

Riepilogando, abbiamo una generazione che gode di pensioni discrete od ottime pur avendone contribuita minima parte, ne abbiamo un’altra che – contribuendo poco – non cumulerà una rendita sufficiente e … un’altra ancora che dovrà lavorare il doppio per percepire la metà, onde garantire le prime e le seconde. Tra questi gli invalidi gravi con ben 41 anni di contribuzione previdenziale.

Evidentemente, in una repubblica fondata sul lavoro e sulle pari opportunità, esistono generazioni che pagano (e lavorano) per tutti e si pretende che gli invalidi gravi abbiano la stessa capacità lavorativa e la stessa aspettativa in vita di chi in salute.

Resta da chiedersi – e potrebbero iniziare a farlo almeno le associazioni dei malati – quanto la Costituzione Italiana permetta tutto questo.

Demata

Pensioni, al peggio non c’è mai fine: dopo Fornero, arriva Poletti

14 Ott

Le pensioni di Elsa Fornero potrebbero rivelarsi una ‘passeggiata di salute’ a confronto con quelle di Giuliano Poletti.

Riepilogando in breve, sembra che le cose andranno così:

  • l’età pensionabile è fissata per tutti a 66 anni e 7 mesi
  • chi vuole andare via si troverà con un debito ventennale (APE) di non poche centinaia di euro
  • non è chiaro per quanto tempo il TFR /TFS sarà trattenibile o rinviabile
  • lo Stato interverrà per le pensioni “anticipate” medio-basse, colpendo duramente quelle medio-alte
  • questo avverrà anche per i lavoratori gravemente disabili che abbiano 41 anni di contributi.

Una vergogna: malati gravi con una minore aspettativa in vita che, dopo 40 e passa anni di duro lavoro quotidiano,  pur di tutelare la propria salute devono indebitarsi per 20 anni, con la triste prospettiva che tale debito verrà trasferito ai figli, in caso di prematura dipartita.

giuliano_polettiE, visto che l’agenda politica tratta di Costituzione, di Referendum e di Matteo Renzi ‘uomo solo al comando’, proviamo a capire se Poletti, dopo Fornero, possa avere il diritto di colpire così duramente anziani e meno anziani con una vita di lavoro (quello vero) e di sacrifici sulle spalle, illudendo le nuove generazioni e proteggendo chi gode  già da 10 o 20 anni di una  pensione tanto lauta quanto poco contribuita.

L’art. 38 della Costituzione è ben chiaro:

  • I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
  • Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
  • L’assistenza privata è libera. Stop.

Dunque,

  • lo Stato emana leggi che prevedano casistiche e soluzioni.
  • Il cittadino può scegliere liberamente l’assistenza privata, onde assicurarsi mezzi adeguati.
  • Lo Stato provvede o integra con propri organi ed istituti, nei casi in cui non siano assicurati mezzi adeguati.

Non il contrario, come avviene dal 1992.

Ed aggiungiamo che la ‘vecchiaia’ è un dato individuale, essendo definibile solo come la “fase più avanzata del ciclo biologico, nella quale si manifestano vistosi fenomeni di decadimento fisico e un generale indebolimento dell’organismo”.

Un invalido grave, un lavoratore usurato o precoce possono essere già vecchi a 55 anni ed avere un’aspettativa in vita ben inferiore, specialmente se hanno lavorato ogni giorno per 35-40 anni. A prescindere se fossero minatori o autonomi, dirigenti o liberi professionisti.

Infatti, chi si occupa sul serio di previdenza – le Compagnie Assicuratrici private – ne tiene ben conto, specie perchè poi tocca a loro (come da noi allo Stato) sprecare somme assurde in cure, farmaci e giornate lavorative perse pur di tenere in attività over55 con più di una patologia cronica ed in condizioni di salute non buone.

Sembra proprio che abbiamo smarrito la nostra Costituzione e che – inseguendo il punto percentuale di aliquota fiscale o congiunturale – abbiamo dimenticato come si amministra la Cosa Pubblica.

Invocando il Fiscal Compact, le norme pensionistiche di Elsa Fornero non furono referendabili.
Ma nel Fiscal Compact non c’è mica scritto che ogni qual volta il Governo falla le proprie promesse e rinnova le solite prebende, si debba andare a colpire i prossimi pensionandi, specialmente se qui c’è sempre la stessa gente che si è vista allontanare l’età pensionabile già 3-4 volte negli ultimi vent’anni.

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”: se la previdenza è una competenza esclusiva dello Stato, perchè chi ha lavorato più anni (i pensionandi di oggi) deve attendere, finendo per lavorare anche per 49 anni, dai 17 e mezzo ai 66 e sette mesi) pur di non vedersi decurtato quanto faticosamente accumulato?
E quale equa norma implica che debba farlo per sostenere i pensionati attuali, che raramente sono arrivati ad oltre i 35 anni contributivi, ed i tanti giovani e meno giovani che iniziano a contribuire molto tardivamente, se alla ricerca del lavoro che piace e che sia vicino casa?

La riforma pensionistica di Poletti e Renzi è contraria allo spirito della Costituzione Italiana ed è un ennesimo esempio dell’opportunismo politico di Renzi ed i suoi nel continuare ad illudere le nuove generazioni.

Demata

Pro e contro della riforma pensionistica (in sintesi)

28 Set

La Repubblica riporta che “il verbale del governo” prevede di consentire:

  1. persone con disabilità = accesso alla pensione con 41 anni di contributi
  2. lavoratori precoci (con 12 mesi di contributi prima dei 19 anni di età) = eliminare le penalizzazioni sul trattamento pensionistico in caso di pensione anticipata prima dei 62 anni
  3. lavori gravosi (da definire con i sindacati) = accesso alla pensione con 41 anni di contributi
  4. lavori usuranti = anticipo pensionistico di 12 o 18 mesi rispetto alle attuali norme
  5. pensioni inferiori ai 1000 euro = quattordicesima
  6. pensioni anticipate (Ape) = tagli alle pensioni superiori ai 1500 euro fino al 25% sull’importo dei successivi vent’anni

In parole povere:

  1. bene per i disabili, ma sarebbe stato più equo fissare il limite a 35 anni contributivi
  2. bene per i lavoratori precoci, ma solo a condizione che valgano anche le ricongiuzioni – salatamente pagate – che adesso sono escluse dal computo
  3. male per i lavori gravosi = sarebbe stato più umano fissare il limite a 35 anni contributivi
  4. peggio per i lavori usuranti, = sarebbe stato più umano fissare il limite a 30 anni contributivi
  5. bene le pensioni più basse = è praticamente quanto serve a garantire l’alimentazione di una persona per due settimane / un mese
  6. malissimo le pensioni anticipate = chi mai vorrà lasciare il lavoro perdendo fino al 25% di un buon reddito – conquistato nell’arco di una vita – per anticipare di un anno o due?

C’è, dunque, da vigilare, perchè, tra il dire e il fare, la furbaggine dei nostri attuali governanti potrebbe -alla fine – risolversi con un fico secco, salvo i ‘pacchi alimentari’ per le semi-minime (3,3 milioni di italiani) e l’ennesima mattanza del ceto medio (tra i nati 1952-1963) … visto che “saranno previste misure ad hoc per le uscite dovute a crisi aziendali  con oneri a carico delle imprese”.

Fico secco utilissimo a raccattare voti tra i ‘poverelli’ come al solito ed a rinviare di altri due o tre anni il blocco delle pensioni attuato da Monti, Fornero e il Pd che li sosteneva nel silenzio assoluto dei sindacati.

Demata

 

 

1952-1963, la generazione che paga per tutti

22 Set

sisifo21Sono uno dei nati tra il 1952 e il 1963, a partire dai 17 anni di età verso contributi sul mio fondo pensione e, arrivato a 58 anni, mi ritrovo con oltre 40 anni di età contributiva, ma anche con un po’ di malattie croniche, di cui una congenita – riconosciuta solo nel 2009 – che mi obbliga da sette anni ed ogni settimana ad infondere in ospedale un farmaco salva vita.

Per ottenere un’invalidità superiore al 74% e la gravità ho impiegato cinque anni e ci sono riuscito solo citando in giudizio l’Inps.
Per dimostrare che i fattori d’aggravio certificatimi da esperti internazionali erano incompatibili con il mio lavoro ed essere protetto /ricollocato, ho impiegato sei anni, una dozzina di accessi in pronto soccorso e non so quante urgenze mediche, più due visite del medico competente di cui una durata otto mesi.

Intanto il tempo passava e i governi:

  • prima hanno innalzato l’età contributiva del 17% portandola da 35 anni a 42 e vari mesi,
  • poi hanno eroso i 5 anni di scivolo pensionistico per le malattie congenite, di cui avrei goduto se dichiarato invalido grave entro il 2011 …
  • infine, da anni Inps e ministero competente si astengono dal dare seguito a quesiti e accessi agli atti volti a conoscere la mia situazione previdenziale.

Infatti, molti anni prima (tra il 1992 e il 1995) due governi avevano trasformato i nostri fondi pensione in un sistema previdenziale universale, ma non è che qualcuno venne a chiederci il permesso, non almeno secondo quanto prevede l’art. 39 della Costituzione.

Aggiungiamo che – vinta la battaglia con il medico competente – la ripresa del lavoro in soli quattro mesi mi è già costata due pronti soccorsi e un notevole incremento di farmaci e … che io avevo chiesto il prepensionamento in base ad un decreto dello stesso Mario Monti (sic!).

Adesso, proprio mentre i nati tra il 1952 e il 1963 – cioè io – vanno ad approssimarsi ai fatidici 42 anni e vari mesi contributivi, il governo del Nazareno vuole incrementarci l’età pensionabile, rendendola obbligatoria a 65 anni dopo aver impennato quella contributiva ed ostacolato in ogni modo gli invalidi.

Morale della favola, una bella fetta di nati tra il 1952 e il 1963 (tra cui io) si ritroverà – da invalido grave – a lavorare per 45-47 anni, onde sostenere le pensioni di chi (70enne o 40enne) non ha od avrà lavorato neanche 30 anni in tutto.

Sullo sfondo l’inspiegabile silenzio dei sindacati (lo ha ammesso persino Mario Monti) dinanzi ad interventi draconiani sui Fondi Pensione di uno specifico gruppo anagrafico, già in larga parte contribuiti e già rinviati di un quinquennio, persino agli invalidi gravi.

A quando un ministro del lavoro e delle politiche sociali, che abbia come scopo verso i lavoratori di “prevedere ed assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”?

Visto che si parla tanto di Costituzione, quand’è che prendiamo atto c’è qualcosa di incostituzionale nel Fiscal Compact, almeno per quanto riguarda l’applicazione che ne danno Monti – Padoan e Fornero – Poletti?

E quando constateremo che l’Inps non ha più nulla a che vedere con il mandato costituzionale per cui nacque, nè con la previdenza universale e tanto meno con i fondi pensione, se non è prevista la possibilità di prepensionarsi per chi ha lavorato 30-35 anni e soffre di patologie croniche od oncologiche?

Qui non parliamo di ‘stato sociale’ o di ‘beneficenza’, ma di contributi effettivamente versati e non riscuotibili (con i relativi montanti previsti) neanche dopo 30 anni. E’ legale una roba così?

Demata

La dittatura previdenziale del Nazareno e la debolezza liberale

20 Set

In Italia ci sono:
– 5 milioni di veri invalidi che sopravvivono con ‘pensioni’ spesso al di sotto dei 500 euro mensili pari a soli 8 miliardi di spesa
– 6 milioni di pensionati vive con un reddito netto inferiore ai 1.250 euro mensili pari a 70 miliardi di spesa
– 3 milioni di italiani con pensioni che vanno dai 1250 ai 2000 netti mensili pari a circa 70 miliardi di spesa
– 1,2 milioni di pensionati che ricevono al mese tra i 2000 e i 2500 euro netti
– 750mila pensionati che vivono nel lusso percependo pensioni di oltre 3000 euro mensili lordi pari a circa 40 miliardi di spesa.

Nel frattempo,
– 9 milioni di italiani sono disoccupati cronici (spesso over50 e senza salario minimo)
– 3 milioni di laureati sono precari
– 9 milioni di italiani sono sotto-occupati e vivono con meno di 1.250 euro mensili
– un ferroviere, un docente, un poliziotto, un impiegato o un dirigente pubblico non di rado si trovano con un reddito inferiore alla pensione dei propri ‘colleghi.

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Tito Michele Boeri – presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

 

Di tutto questo se ne occupa l’Inps, di cui non si comprende se sia un Ente Pubblico od una Concessionaria dello Stato o (come risulta in una sentenza della Corte di Giustizia europea) una Public Company del settore assicurativo.

Inps che, almeno stando al nome (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) dovrebbe garantire ad ogni cittadino inabile e a tutti i lavoratori “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
La così detta pensione è un’altra cosa: è una rendita permanente o temporanea corrisposta agli assicurati che abbiano versato il contributo o premio previsti. Di norma, è in capo a un Ente o una Compagnia ed il ‘settore’ è denominato ‘comparto assicurativo’.

Viceversa, l’Inps gestisce il 95% della spesa assicurativa ‘pensionistica’ nazionale. Che operi in condizioni di assoluto monopolio, come nella nota causa intentata in sede europea, è ormai evidente. Il peggio è che – oltre a non dare priorità al mandato costituzionale e ad operare in condizioni di monopolio e a godere di leggi ‘bulgare’ visto che si tratta della prima causa di debito pubblico – l’Inps gestisce molto male i soldi, che puntualmente ogni mese i lavoratori e i datori di lavoro versano.

Come, nel 2011, quando l’INPS ha assorbito l’INPDAP che aveva accumulato un disavanzo di 31 miliardi di debiti accertati verso lo Stato, vuoi per mancati contributi previdenziali versati, vuoi per le anticipazioni di cassa in favore della Sanità regionale.
E, poco prima, l’INPDAP – tra il 2008 e il 2010 – aveva assorbito gli enti previdenziali del comparto ‘dirigenza’ (quello delle pensioni sopra i 3000 euro di oggi) che, riconvertite le Lire in Euro, si era ritrovato con circa 4 miliardi di debito accumulato e venne “salvato”, così garantendo il prosieguo di pensioni, evidentemente, sovradimensionate per qualche calcolo bizzarro.

L’Inps non ha avviato la messa in mora dei crediti e così ci ritroviamo a risanare spesa ed innovare l’Italia con un terzo dei dipendenti pubblici over55, che è in condizioni di salute non buone e soffre di almeno due malattie croniche, senza parlare del fatto che ci toccano spese su spese in servizi esternalizzati e contenziosi persi, dato che non sarà oggi o domani che vorranno apprendere ad usare l’automazione d’ufficio, se non vollero farlo quando erano trentenni …

Sappiamo che l‘unico modo per sbloccare l’Italia dalla fangaia degli ‘splendidi sessantenni’ (beati loro … ) e delle “soluzioni politiche” è pensionare almeno chi ha lavorato 35-40 anni, fermare l’emorragia delle pensioni retributive apicali sigillandole in un Fondo apposito e ripristinare il mandato costituzionale per cui s’era creata e riformata l’Inps.
Quanto alle pensioni dei lavoratori assicurati, quelle ‘contributive’, si dia adempimeto alla Costituzione, dove previsto che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”: è lo Stato (dopo aver predisposto) che integra i minimi, sono le Casse previdenziali e le Compagnie assicuratrici che – per l’appunto – ‘assicurano’ …

L’Inps? Che pensi a “prevedere ed assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”: previdenza, cosa diversa dalle così dette pensioni contributive.
Le generazioni future?
Qualcuno potrebbe restare sorpreso a vedere cosa accadrebbe tra 20-30 anni con un vero sistema assicurativo e lo Stato che integra … molto più efficace ed efficiente.
E il fondo di garanzia per attrarre investitori e spacchettare l’Inps? … ecco cosa farsene di tanti beni demaniali iscritti in Patrimonio S.p.a. e cose simili.

Che la Destra (NCD e FdI) o i Cattolici e la Sinistra (PD) – storicamente e fisiologicamente statalisti – non sappiano reagire (imbarazzati e senza idee) a questa scandalosa dittatura previdenziale è già triste, ma è doloroso constatare – dinanzi ad un quadro così scellerato –  le grida a ‘nuovo rigore’ (e tagli) di certi liberali, attestati in Scelta Civica e Forza Italia.

Intanto, almeno una ventina dei famosi crediti Inpdap verso lo Stato è stata accertata da magistrati e revisori: perchè non salvare anche gli Italiani dopo aver salvato le banche di provincia? Come anche il Fiscal Compact non vieta di ristrutturare profondamente l’Inps, lasciandogli la previdenza e liberalizzando le rendite assicurative.

Viste le posizioni del PD, di NCD, di Forza Italia e Scelta Civica e vista la situazione recessiva che perdura ormai da sette anni, l’unica chance che ha l’Italia è nell’unione di tutti i ‘liberali’, cioè di coloro che credono nel potere di una Costituzione, che va applicata ed – dove necessario – aggiornata. Mai distorta, che si tratti dell’Inps o del sistema elettorale o di quello sanitario.

Demata

Pensioni: nuove iniquità in arrivo

17 Giu

E’ ormai storia che la riforma delle pensioni votata nel 2011 da Partito Democratico e dei centristi di Alfano è stata (ed è) in realtà un blocco in piena regola con rinvio senza limiti chiari dei pensionamenti.
Ed abbiamo ormai capito tutti che il vulnus è l’ex Inpdap, dove i versamenti pubblici datoriali spesso e volentieri non furono versati, mentre quelli dei lavoratori servirono a finanziare la Sanità pubblica sprecona, oltre a far da gruzzolo di riserva per la Cassa nazionale.

Dunque, è proprio nel comparto dei dipendenti pubblici che troviamo l’esempio lampante di questa follia, che è andata drammaticamente oltre i termini introdotti da Monti e Fornero, che ben indicarono nella norma il mantenimento di tutte le salvaguardie pregresse per i dipendenti pubblici e i docenti infermi.

Viceversa, a voler visitare i siti e i forum delle forze dell’ordine e dei militari, scopriamo che persino le pensioni privilegiate per agenti o militari feriti in servizio sono un’ardua impresa. E dobbiamo iniziare a chiederci cos’è che non va nei diritti dei lavoratori, se le Amministrazioni non provvedono all’apposito iter per il “recesso per infermità”, dacui conseguente pensione, mentre … l’Istat-Inps certificano che 1/3 dei dipendenti pubblici over55 ha almeno due patologie croniche ed è in condizione di salute non buone.
Peggio ancora se questi dipendenti fossero laureati o precoci … ovvero – avendo dedicato al lavoro gli anni migliori della propria vita – non rientrano comunque nell’età pensionabile.

In parole povere, trasformato il (pre)pensionamento in un enorme lager, adesso si mette un casello e si mungono le vacche che volessero riprendersi la propria libertà.

Quanto costa il ticket?
Se fosse il 15% spalmato su un ‘mutuo’ ventennale, iniziamo a dirci che alla fine avremo lasciato sul tavolo il 30-35%. Se, poi, il tasso fosse variabile, anzichè fisso, … saranno solo dolori per noi, per il sistema finanziario, per la società intera.

Demata