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1952-1963, la generazione che paga per tutti

22 Set

sisifo21Sono uno dei nati tra il 1952 e il 1963, a partire dai 17 anni di età verso contributi sul mio fondo pensione e, arrivato a 58 anni, mi ritrovo con oltre 40 anni di età contributiva, ma anche con un po’ di malattie croniche, di cui una congenita – riconosciuta solo nel 2009 – che mi obbliga da sette anni ed ogni settimana ad infondere in ospedale un farmaco salva vita.

Per ottenere un’invalidità superiore al 74% e la gravità ho impiegato cinque anni e ci sono riuscito solo citando in giudizio l’Inps.
Per dimostrare che i fattori d’aggravio certificatimi da esperti internazionali erano incompatibili con il mio lavoro ed essere protetto /ricollocato, ho impiegato sei anni, una dozzina di accessi in pronto soccorso e non so quante urgenze mediche, più due visite del medico competente di cui una durata otto mesi.

Intanto il tempo passava e i governi:

  • prima hanno innalzato l’età contributiva del 17% portandola da 35 anni a 42 e vari mesi,
  • poi hanno eroso i 5 anni di scivolo pensionistico per le malattie congenite, di cui avrei goduto se dichiarato invalido grave entro il 2011 …
  • infine, da anni Inps e ministero competente si astengono dal dare seguito a quesiti e accessi agli atti volti a conoscere la mia situazione previdenziale.

Infatti, molti anni prima (tra il 1992 e il 1995) due governi avevano trasformato i nostri fondi pensione in un sistema previdenziale universale, ma non è che qualcuno venne a chiederci il permesso, non almeno secondo quanto prevede l’art. 39 della Costituzione.

Aggiungiamo che – vinta la battaglia con il medico competente – la ripresa del lavoro in soli quattro mesi mi è già costata due pronti soccorsi e un notevole incremento di farmaci e … che io avevo chiesto il prepensionamento in base ad un decreto dello stesso Mario Monti (sic!).

Adesso, proprio mentre i nati tra il 1952 e il 1963 – cioè io – vanno ad approssimarsi ai fatidici 42 anni e vari mesi contributivi, il governo del Nazareno vuole incrementarci l’età pensionabile, rendendola obbligatoria a 65 anni dopo aver impennato quella contributiva ed ostacolato in ogni modo gli invalidi.

Morale della favola, una bella fetta di nati tra il 1952 e il 1963 (tra cui io) si ritroverà – da invalido grave – a lavorare per 45-47 anni, onde sostenere le pensioni di chi (70enne o 40enne) non ha od avrà lavorato neanche 30 anni in tutto.

Sullo sfondo l’inspiegabile silenzio dei sindacati (lo ha ammesso persino Mario Monti) dinanzi ad interventi draconiani sui Fondi Pensione di uno specifico gruppo anagrafico, già in larga parte contribuiti e già rinviati di un quinquennio, persino agli invalidi gravi.

A quando un ministro del lavoro e delle politiche sociali, che abbia come scopo verso i lavoratori di “prevedere ed assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”?

Visto che si parla tanto di Costituzione, quand’è che prendiamo atto c’è qualcosa di incostituzionale nel Fiscal Compact, almeno per quanto riguarda l’applicazione che ne danno Monti – Padoan e Fornero – Poletti?

E quando constateremo che l’Inps non ha più nulla a che vedere con il mandato costituzionale per cui nacque, nè con la previdenza universale e tanto meno con i fondi pensione, se non è prevista la possibilità di prepensionarsi per chi ha lavorato 30-35 anni e soffre di patologie croniche od oncologiche?

Qui non parliamo di ‘stato sociale’ o di ‘beneficenza’, ma di contributi effettivamente versati e non riscuotibili (con i relativi montanti previsti) neanche dopo 30 anni. E’ legale una roba così?

Demata

Pensioni d’oro: Matteo Renzi getta la maschera

26 Nov

Mettere un tetto alle pensioni d’oro dei funzionari pubblici, che si applicherà su tutti i trattamenti pensionistici, anche “quelli già liquidati” ma solo “a decorrere dal 2015” senza pensare di ridurle drasticamente è talmente poco – rispetto alle aspettative di milioni di invalidi e lavoratori anziani –  da rasentare il ridicolo.
Specialmente se si eliminano le penalizzazioni previste per chi va in pensione prima di 62 anni avendo comunque accumulato i requisiti richiesti, ma “limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017”.

Praticamente, significa annunciare al Paese che chi è nato più o meno prima del 1950 ha diritto a mantenere la propria rendita pensionistica a danno di chi è nato dopo, mentre restano a piede libero gli artefici di una sequel infinita di errori contabili e finanziari in circa vent’anni di ‘riforme pensionistiche’.

Peggio ancora se le donazioni liberali dei politici ai propri partiti (cioè a se stessi) vanno a sgravio – persino sulle pensioni – e tutte le altre no.

Certo, l’affluenza alle urne non interessa il nostro Premier, Matteo Renzi, tanto nessuno l’ha eletto per fare quel che fa oggi, come nessuno elesse Mario Monti, e può permettersi di strafregarsene dei su detti milioni di di invalidi e lavoratori anziani. Tanto il Patto del Nazareno è finito, l’eclisse del Centrodestra lo richiede, e l’attenzione dei nostri ‘rappresentanti del popolo’ è tutta rivolta all’irrisolta questione dell’enorme patrimonio immobiliare dell’ex Partito Comunista Italiano, di cui fruiscono anche i sindacati, tanto per dirla tutta.

Così andando le cose, in attesa che Alfano o Berlusconi stacchino la spina, il cattivo Matteo Renzi pensa a far cassa nel partito emanando un’indecente norma pensionistica che potrà essere gradita solo a chi nacque tra gli elettori pensionati e pensionandi.

Non venga più a parlarci di ‘nuovo’, di ‘giovani’, di ‘futuro’ eccetera eccetera.

originale postato su demata

Roma: dalla storia dei Papi le soluzioni di domani

3 Ago

La situazione in cui si trova oggi Roma Capitale e lo Stato Italiano ha un preciso corrispettivo storico, che gli economisti cattolici, in prima fila Mario Monti, dovrebbero conoscere a menadito.

sisto-v“Con Sisto V al soglio pontificio per le finanze vaticane è una ventata di aria nuova. … Emblematica è la vendita dell’Ufficio di Tesoriere della Camera Apostolica. … Sisto V lo assegna lla famiglia Giustiniani per 50.000 scudi, ma dopo un anno nomina cardinale il Principe Giustiniani e si riprende la carica, rivendendola alla famiglia Pepoli per 72.000 scudi. E ancora, pochi mesi dopo, nomina cardinale il Pepoli e costituisce con metà delle entrate di quell’ufficio, 0vveero 5000 scudi l’anno, un nuovo monte cchee riesce a vendere per 50.000 scudi. In definitiva arriva ad incassare, in poco più di un anno e mezzo, 172.000 scudi” da un ufficio ” venduto ultimamente a (soli) a 15.000 scudi”. (Claudio Rendina – 2009)

Sisto V inoltre sottopone “a dazio tutti i commestibili, grano, olio, vino, carne, erbaggi, pesce, talchè le rendite dello Stato allorquando egli ascese al soglio assommavano a 1.746.814 scudi, lui morto, erano salite a 2.576.814, sulla fame, sulla miseria, sulla desolazione del popolo” (Raffaello Giovagnoli – 1879)

“E’ un fatto comunque che a fronte di questo contesto di  statalizzazione dei depositi chee si verificano i fallimenti di numerosi banchieri … ma quella riserva pontificia dura poco.
Forzieri a parte, il successore di Sisto V, Clemente VIII, si ritrova con un debito di 12 milioni di scudi … durante i 13 anni del suo pontificato le entrate precipitano da 500.000 scudi a 345.000;  onsiderando che la spesa annua resta sui 450.000 scudi, il defiit annuo si aggirerà mediamente su i 100.000 scudi. Paolo V continua a far fronte alle necessità dello Stato con i Monti, ma il debito a fine pontificato arriverà a 18 milioni di scudi. Sotto Urbano VIII è il dissesto finanziario, con debiti che arivano a 35 milioni.” (Claudio Rendina – 2009)

Solo Innocenzo XI, dopo quasi settant’anni, tenterà una inversione di rotta, abbassando gli interessi dei Monti dal 7 al 4,5%, abolendo le franchigie doganali e i donativi a famigli, riducendo gli stipendi della Curia e portando le spese a 2.580.000 scudi a fronte di 2.409.000 per le spese con un deficit sotto il 7%.
innocenzo xii

Dopo di lui, ripresero i precedenti costumi e, trascorsi altri 14 anni, fu Innocenzo XII a dover accertare, all’insediamento, che gli interessi annui sul debito equivalevano ad oltre metà dei 2.225.000 scudi di entrate, paralizzando così l’economia e la circolazione di danaro.

E fu proprio Innocenzo XII (il napolitano Antonio Pignatelli Carafa) a risanare in 20 anni il regno dei Papi.

Infatti:

  • proibì la concessione di proprietà, incarichi o rendite a qualsiasi parente
  • soppresse molte cariche inutili o duplicate, ma arricchite da laute prebende
  • introdusse alla sua corte uno stile di vita più sobrio e più economico
  • compose il dissidio cinquantennale con il Regno di Francia in materia di benefici ecclesiastici (regalia)
  • varò un piano di ampliamento dei porti di Civitavecchia e Nettuno, al fine di migliorare e promuovere il commercio
  • destinò il palazzo del Laterano ad ospizio per donne inabili al lavoro e fece costruire l’ospizio di San Michele a Ripa Grande per gli  uomini
  • lo stesso palazzo di Montecitorio fu fatto edificare per ospitare i poveri, ma poi fu utilizzato per la Curia, i tribunali, il Governatorato di Roma, la polizia

Alla morte di Innocenzo  XII, Roma era talmente potente, dal punto di vista finanziario, che il suo successore, Clemente XI da Urbino, potè realizzare importanti opere nei territori dei suoi clientes e far pervenire a Filippo V, nuovo Sovrano di Spagna, notevoli sostentamenti, tutti provenienti dai beni della Chiesa, scatenando de facto la guerra di successione spagnola.
Questo ritorno al passato vaticano (che – subordinato all’Impero di Spagna – si evolveva da nepotistico a clientelare) ebbe come conseguenza la perdita di autorità nei rapporti tra gli Stati Italiani (in particolare quelli meridionali, che iniziarono a esigere le tasse anche dal clero) e all’interno stesso dello Stato della Chiesa.

Dalla storia vaticana a quella italiana il passo è breve e i vizi del passato sono divenuti quelli del presente, se Regno e Repubblica andarono ad inglobarsi, il primo, ed uniformarsi, la seconda, con la “cultura di governo pregressa”.
Finite le ‘regalie’ dei Patti di Yalta, ecco la Seconda Repubblica con il suo epilogo senza fondo, che è davvero molto somigliante al pontificato di Sisto V.
Le soluzioni? Quelle di Innocenzo XII: meno spese per rendite di posizione, meno tasse, più welfare, più infrastrutture, più politica internazionale.

Dunque, se la ‘lezione’ di Innocenzo XII funziona, Matteo Renzi potrebbe:

  1. smagrire la Pubblica Amministrazione e digitalizzarla, creando economie
  2. intervenire sulle pensioni d’oro e sui patrimoni, aumentando le risorse per le pensioni di gran parte dei cittadini, finanziando correttamente l’INPS e riducendo debito e deficit (*intervenire sul patrimonio immobiliare romano adeguando catasto e affitti pubblici)
  3. semplificare i procedimenti, sostenere le infrastrutture e ridurre le tasse, per rilanciare investimenti, lavoro e commercio (*idem)
  4. sostenere la presenza e l’immagine internazionale dell’Italia partecipando a missioni ‘di pace’ (*delocalizzare le infrastrutture amministrative romane, creando lo spazio per l’upgrade turistico-culturale)

Esattamente quello che NON vogliono i suoi ‘compagni’ di partito o ‘alleati’ di maggioranza, i media che lo ‘sostengono’, i sindacati che ‘mugugnano’, i Cinque Stelle che gli si oppongono.

Ma Roma è sempre la stessa ed ogni male ha la sua cura.

originale postato su demata