Il Lavoro consiste in un accordo (contratto) tra chi ha bisogno di una prestazione e chi è in grado di offrirla in cambio di risorse o prestazioni.
Il Lavoro, dunque, è una materia di cui lo Stato e la Politica dovrebbero occuparsi solo a contrasto di sfruttamento, abusi o frodi ed in termini di assistenza sociale a disoccupati e invalidi: neanche Keynes si sarebbe fatto Datore a tempo indeterminato di milioni di lavoratori nè Assicuratore a vita per decine di milioni di pensionati e neanche Mediatore diretto, cioè garante, tra diversi soggetti contrattuali, perchè è proprio da queste attività che derivano sprechi, inefficienze, corruttela e tasse sempre maggiori.
Una materia non semplice e non a caso il professore Pasquale Tridico, in predicato di divenire ministro del Lavoro in un governo a Cinque Stelle, spiega che “dopo circa 15 anni di studi e ricerche sui temi del lavoro, della flessibilità, della produttività e della crescita economica” è pervenuto ad “una idea precisa sul mercato del lavoro e sui problemi della scarsa performance della produttività e del Pil in Italia: alla base del nostro declino economico non ci sono solo le politiche di austerità ma anche la precarizzazione del posto di lavoro“.
Vero, verissimo: una nazione di lavoratori privi di laurea, non di rado senza neanche un diploma e spesso con studi tecnico-scientifici minimali o frammentari, perchè mai dovrebbe trovare un lavoro continuativo nell’Era Digitale e Globale ?
Secondo il professor Tridico, però, la causa di tutti i mali non è nel basso livello di formazione tecnica-professionale del nostro Sistema Nazionale d’Istruzione nè della diffusa dispersione scolastica: il punto è che il lavoro flessibile costa poco.
Anche questo è vero, verissimo, ma – a parte che i lavoratori poco formati e/o poco tutelati dallo Stato costano sempre poco – chiunque conosca un sistema di bilancio sa anche che il lavoro flessibile costa (apparentemente) poco innanzitutto perchè non è iscritto nelle spese fisse, bensì in quelle per esigenze momentanee, con la possibilità di spalmarne i costi sugli anni a seguire. E chi lavora fuori da grandi apparati tutelati come le Università tocca con mano come l’autonomia contrattuale locale è inficiata dal sistema rigido dei contratti di lavoro nazionali.
In second’ordine, tra le cause dell’eccessivo ricorso alla flessibilità occupazionale ci sono minori versamenti assicurativi previdenziali e fiscali, con erosione dei redditi e della pianificazione territoriale ed infrasrutturale, come il professor Tridico afferma, ma, visto che il problema reale non è l’austerità, bensì la competitività e la formazione, egli stesso chiede di “porre al centro la qualità del posto di lavoro, gli investimenti in settori avanzati, e la formazione continua”.
Le cose, però, si complicano, allorchè il professor Tridico va a spiegarci cosa intende fare.
1) Il reddito di cittadinanza spingerà “almeno 1 milione di persone che attualmente non cercano lavoro” ad iscriversi almeno ai Centri per il lavoro “e andranno così ad aumentare il tasso di partecipazione della forza lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap” e “possiamo mantenere lo stesso rapporto deficit/Pil potenziale, cioè il cosiddetto ‘deficit strutturale’, spendendo circa 19 miliardi di euro in più di oggi“.
Questo significa che il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle non è a spesa invariata, ma solo che l’Italia potrà spendere circa 20 miliardi extra all’anno per sussidiare un milione di disoccupati “che attualmente non cercano lavoro” e che potrebbero rimanere tali per mesi ed anni.
2) Gli investimenti produttivi dello Stato ci riportano alla Prima Repubblica che ‘creava lavoro’, ma i settori a più alto ritorno occupazionale sono quelli per l’agroalimentare, il manifatturiero ed il turismo. Non certamente i settori avanzati.
E “l’idea è di destinare almeno il 34% di questi (ndr. nuovi) investimenti nel Sud Italia, che ha urgente bisogno di uscire dal sottosviluppo e dal sotto-investimento” (ma come fare senza annunciare una lotta radicale alla mafia?), mentre lo Stato sosterrà una “Banca pubblica di investimento, che erogherà credito a tassi agevolati a micro, piccole e medie imprese” … alla stregua dell’I.R.I.?
3) il salario minimo orario è cosa sacrosanta, ma dovrebbero indicarlo i Contratti di lavoro, ma ci sono “categorie di lavoratori non coperte da contrattazione nazionale collettiva“. Se i Cinque Stelle intendono salvaguardare questi lavoratori, perchè non estendere la copertura dei contratti nazionali, anzichè introdurre una spesa che di sicuro non può caricare sull’Inps ed i versamenti dei lavoratori assicurati, nè può ricadere sul costo delle merci ?
4) serve un Patto di Produttività programmato tra lavoratori, governo e imprese, perchè “i circa 23 miliardi di sgravi fiscali sulle nuove assunzioni regalati dal Jobs Act” non abbiano portato ad “investimenti capital intensive in settori ad alto contenuto tecnologico“. Ma, stante la limitata formazione tecnica superiore degli italiani, come sostenerne le assunzioni se non sostenendo i settori a basso contenuto tecnologico?
5) la robotizzazione, “una sfida che non va lasciata alla schizofrenia del mercato, ma gestita politicamente” (sic!) con “la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario” e con lo Stato che va ad “incentivare la riorganizzazione produttiva delle imprese”.
In parole povere, sovranismo monetario e aiuti pubblici alle imprese, trasferendo parte dell’attuale costo del lavoro dalle imprese al welfare.
Anche se i liberisti potrebbero inorridire, di sicuro il professor Tridico è un rinomato esperto di economia, quella del lavoro, e c’è una questione essenziale che riguarda direttamente i Cinque Stelle e il loro eventuale governo: qui parliamo di programmazione economica-finanziaria strutturale pluriennale in settori che vanno dalla new economy all’agricoltura, dalla metalmeccanica ed il cemento al digitale, come parliamo di legislazione delle imprese, di fiscalità e di assicurazioni.
Il progetto di cui ci parla il professor Tridico è materia primaria del Ministro dell’Economia, da approvarsi in Consiglio dei ministri tra cui il dicastero del Lavoro, ma anche quelli parimenti coinvolti delle Infrastrutture, dell’ Agricoltura e del Turismo, dell’Istruzione e dell’Università.
Inoltre, finchè si parla di economia del lavoro anzichè di governance e legislazione apposita, restano indeterminati i tempi ed i limiti dettati da norme costituzionali, trattati internazionali, rapporti Stato-Regioni, consultazioni con le associazioni di categoria, convergenze parlamentari ed altro ancora.
Sono proposte che pesano decine di miliardi, che riguardano diversi ministeri e che non solo vanno portate e votate in Parlamento, ma dovranno attuarsi gradualmente “senza aumentare il rapporto deficit/Pil e senza sforare la soglia del 3%” di previsione per il triennio a venire, mentre oggi … il nuovo governo è ancora lontano a vedersi.
Dunque, vedremo.
Demata
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