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Storia dei sindaci dimissionari di Roma

24 Giu

Virginia_Raggi_-_Festival_Economia_2016Una delle tradizioni meno note di Roma è quella del Sindaco dimissionario, cosa che si ripete dagli albori della Repubblica, come del resto avveniva nell’antichità per Tribuni e Imperatori, eletti e giubilati a furor di popolo e … di senatori.

Il primo sindaco repubblicano di Roma fu Salvatore Rebecchini – ingegnere, docente universitario ed esponente della Democrazia Cristiana – che fu eletto una prima volta il 10 dicembre 1946 e si dimise due settimane dopo, preso atto dell’impossibilità di formare una giunta omogenea, ma fu prontamente reinsediato.
Rieletto il 5 novembre 1947 e poi, per la terza volta, il 3 luglio 1952, avrebbe continuato se non fosse stato che, poco prima delle nuove elezioni,  il 22 gennaio 1956, L’Espresso denunciò le facilitazioni che da anni la Società Generale Immobiliare riceveva dal Consiglio Comunale della capitale per ottenere varianti ai piani regolatori. Il mandato di Rebecchini si concluse l’8 luglio 1956 senza essere ricandidato.

Dopo di lui, Umberto Tupini – avvocato, esponente della Democrazia Cristiana, membro dell’Assemblea Costituente – che rassegnò le dimissioni dalla carica dopo un anno e mezzo, avendo deciso di candidarsi al Senato, dopo le polemiche per alcune varianti al piano regolatore, fra cui quella che avrebbe dato il via all’edificazione di una vasta porzione di Villa Chigi allora di proprietà privata e che fu successivamente respinta dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Poi fu l’ora di Urbano Cioccetti –  avvocato e politico democristiano, vicepresidente dell’Azione Cattolica, presidente dell’O.N.M.I. e cameriere di cappa e spada da Pio XII – sotto il quale furono messi in cantiere, per i Giochi della XVII Olimpiade, alcuni notevoli interventi infrastrutturali dagli effetti dirompenti sullo sviluppo urbanistico della città. Il piano regolatore adottato nel 1959 fu respinto nel 1961 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e il Sindaco, da poco rieletto, si ritrovò con la Democrazia Cristiana romana al centro degli scandali. Il 29 aprile 1961 rassegnò le dimissioni da Sindaco.

Alle successive elezioni, il 17 luglio 1962, venne eletto Glauco Della Porta – libero docente di economia politica all’Università di Messina e dirigente dell’Ufficio studi del Banco di Roma – e il 18 dicembre 1962 il Consiglio comunale di Roma adottò finalmente il nuovo piano regolatore generale, l’anno dopo si inaugurò il Ponte delle Valli sul fiume Aniene e proseguì nei lavori di costruzione dei sottopassaggi di Corso d’Italia e dei Lungotevere. Furono anche appaltati i lavori per il tratto Termini- Anagnina della linea A della metropolitana, i quali iniziarono il 12 marzo 1964, ultimo giorno da sindaco di Della Porta,  che – intanto – si era dimesso in ossequio a un accordo politico all’interno della Democrazia Cristiana, che prevedeva la staffetta con l’assessore e vero capo del partito a Roma.

Il 13 marzo 1964, infatti,  è eletto sindaco Amerigo Petrucci – laureato in filosofia, e entrato nella Democrazia Cristiana nella metà del 1944 – e sotto di lui il fenomeno dell’abusivismo edilizio assume proporzioni allarmanti nelle borgate, come testimoniato dai film di Pier Paolo Pasolini. Alle elezioni amministrative del 12 giugno 1966, Petrucci viene rieletto sindaco, ma  il 13 novembre 1967 si dimette da sindaco per candidarsi alla Camera dei deputati alle elezioni politiche del 1968. quando è ormai prossima una sua incriminazione per reati concussivi, poi caduta.

Gli successe come Sindaco di Roma Rinaldo Santini – segretario della Camera del lavoro di Roma e tra i fondatori della CISL – in carica dal 29 dicembre 1967 al 6 maggio 1969, quando si dimette poco dopo il rilascio delle licenze di costruzione alla Magliana, nonostante le aree fossero a sette metri sotto il livello del Tevere, per cui fu poi rinviato a giudizio e assolto.

Clelio Darida  è stato Sindaco di Roma dal 30 luglio 1969  per due mandati consecutivi, inframmezzati dalle dimissioni del 15 febbraio 1972.  Sotto la sua giunta furono deliberate la  perimetrazione delle borgate abusive sorte dopo il 1962 a premessa di futuri condoni,  la seconda parte del tracciato della linea A della metropolitana (Termini-Ottaviano) su un percorso diverso da quello previsto inizialmente, il “Piano Acea” (Depuratori Roma-Nord, Roma-Sud, Roma-Est e Roma-Ostia), la scelta della direttrice Rebibbia in luogo di quella verso Montesacro, la “strada panoramica” sulle pendici di Monte Mario, l’enorme piano di edilizia economica e popolare per un totale di 35.000 stanze/abitanti realizzate, cioè molti milioni di metri cubi in cemento con decine e decine di chilometri di strade asfaltate e reti urbane, eccetera.
Clelio Darida concluse il suo mandato dimettendosi il 6 marzo 1976 per candidarsi al Parlamento.

Giulio Carlo Argan – critico d’arte e docente universitario – fu eletto Sindaco della Capitale il 9 agosto 1976 – sostenne la difesa dell’ambiente e la riqualificazione storico-urbanistica della città, ponendo le premesse per il rilancio dei Fori imperiali e creando l’Estate Romana, come intervenendo contro la speculazione edilizia.  Si dimise il 27 settembre del 1979.

Dopo di lui, il 27 settembre 1979, venne eletto Luigi Petroselli – politico comunista e giornalista – che completa gli interventi sull’area archeologica pedonale, dal Colosseo al Campidoglio, dota dell’allacciamento alla rete idrica e fognaria le centinaia di migliaia di cittadini delle borgate abusive e riesce ad inaugurare la prima metropolitana di Roma  (la linea A), i cui lavori erano iniziati quasi 20 anni prima.  Muore per un malore improvviso il 7 ottobre 1981.
Gli succede il vicesindaco Ugo Vetere – combattente antifascista, politico comunista e sindacalista CGIL –  che si dedica allo sviluppo di quella che è l’odierna edilizia scolastica romana e da avvio allo sviluppo urbanistico della Romanina, ancora oggi incompleto.

Dopo di lui, il PCI perde le elezioni e dal 31 luglio 1985 diventa sindaco di Roma Nicola Signorello – laureato in giurisprudenza ed ex ministro democristiano – di indiscussa integrità morale per cui fu oggetto di numerose critiche di “immobilismo”, al punto che, dopo due crisi della giunta risoltesi con la riconferma di Signorello a sindaco,  alla terza volta dovette dimettersi il 10 maggio 1988.

Gli fa seguito Pietro Giubilo – funzionario regionale democristiano – che viene eletto sindaco il 6 agosto 1988, ma si dimette il successivo 29 marzo 1989, a causa di una vicenda giudiziaria dalla quale sarà poi scagionato. La Giunta dimissionaria approva un numero esorbitante di delibere, di cui ben 1.200 il giorno prima dello scioglimento e la nomina del commissario prefettizio Angelo Barbato il 10 luglio 1989.

Il 19 dicembre 1989 viene eletto Franco Carraro – dirigente sportivo e ministro socialista – che si ritroverà a concludere anticipatamente il suo mandato il 19 aprile 1993 per scioglimento dell’assemblea capitolina, con la nomina di un commissario prefettizio, tra  incriminazioni degli assessori per Tangentopoli e dimissioni dei consiglieri comunali.

Al commissariamento fa seguito, il 5 dicembre 1993, l’elezione a Sindaco di Francesco Rutelli – segretario del Partito Radicale e ministro – che attuò tramite il supporto di collaboratori esterni un enorme programma di recupero e modernizzazione delle infrastrutture della città di Roma , venendo rieletto e restando in carica fino a fine mandato, l’ 8 gennaio 2001. Sotto la sua amministrazione il comune si aggiudicò il rating Tripla A, mentre i 347 mutui contratti dalla giunta rimasero al 12% delle entrate, molto al di sotto della quota consentita, non emettendo dei derivati.  Le entrate cittadine, in crescita di oltre 1,5 miliardi di euro, e un’autonomia finanziaria, superiore al 70%, erano agevolate da un programma efficiente di privatizzazioni, per 1,2 miliardi di euro.
Rutelli si dimise il 29 gennaio 2001 per poter guidare il centrosinistra come candidato premier alle elezioni politiche, mentre montava l’inchiesta per incarichi professionali a collaboratori esterni come personale della propria segreteria, poi ridimensionatasi.

Dopo di lui, venne eletto sindaco Valter Veltroni – politico ex PCI, giornalista, scrittore e regista – in carica dal 1º giugno 2001 e rieletto fino al 13 febbraio 2008, quando si dimise per candidarsi alle elezioni politiche, dopo aver completato con difficoltà solo parte delle opere pubbliche avviate dalle Giunte Rutelli e mentre Roma entrava drammaticamente nella spirale debitoria odierna.

A seguire, dal 29 aprile 2008, è Sindaco di Roma Gianni Alemanno, – politico di estrema destra e ministro – che concluse regolarmente il suo mandato l’11 giugno 2013, ma la Giunta era paralizzata da anni, sia per il grave indebitamento del Comune di Roma, quantificato dall’agenzia di rating Standard & Poor’s a 6,9 miliardi di euro, sia per lo Scandalo di “Parentopoli” per le assunzioni nelle aziende ex municipalizzate del Comune di Roma, tra cui Atac, la società del trasporto pubblico, e AMA, che si occupa dei rifiuti, mentre fu allora che ebbe inizio l’infiltrazione corruttiva di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, attraverso la fondazione Nuova Italia, passata alle cronache come ‘Mafia Capitale’.

Sull’onda degli scandali, il 12 giugno 2013 venne eletto sindaco Ignazio Marino – chirurgo e accademico – che tentò di riavviare la crescita e la modernizzazione  delle Giunte Rutelli senza particolare successo e che dovrà lasciare l’incarico il 30 ottobre 2015, a seguito delle dimissioni di 26 consiglieri comunali, in buona parte poi finiti nelle inchieste di Mafia Capitale o dello Scandalo Parnasi.

Arrivati ad oggi, ricordiamo che il Sindaco Virginia Raggi fu eletta il 22 giugno 2016. Finora si è dimesso un numero esorbitante di assessori, mentre Roma è ferma e perde infrastrutture una dietro l’altra. Secondo i romani intervistati da Euromedia per Il Messaggero, il 76,5% non la voterebbe e il 68,6% la considera «incapace come sindaca di Roma». Visti i precedenti, di oggi e del passato, sarebbe utile sapere anche se i romani sono capaci di farsi governare.

Quasi tutti i Sindaci di Roma Capitale hanno concluso il proprio mandato dimettendosi, gli unici due sindaci che sono arrivati a fine mandato sono proprio quelli oggetto dei maggiori scandali, quasi sempre al centro delle polemiche c’erano l’espansione urbana e le opere pubbliche, cioè speculazione che genera occupazione e benessere.

Ma, a ben vedere, è dai tempi dell’ “immobilista” Nicola Signorello che Roma non aveva la produttività già solo per sostentare la convulsa espansione demografica e urbanistica avvenuta dal Dopoguerra agli Anni ’70, spesso speculativa e/o abusiva.

E, finito il mandato di Francesco Rutelli, sembrerebbe che sia venuta a mancare anche l’attrattività e la ricchezza, come la cultura e l’innovazione, che sono indispensabili per una Capitale del III Millennio … se è questo che Roma vuole ancora essere.

Demata

 

Roma, la grande bellezza

17 Feb

La grande bellezza è un film del 2013, diretto e sceneggiato da Paolo Sorrentino (Napoli, 31 maggio 1970).

Nel 2014, La grande bellezza (vincitore di quattro European Film Awards 2013) ha ottenuto il Golden Globe per il miglior film straniero e vince ai BAFTA come miglior film in lingua straniera. E’ in corsa per i Premi Oscar 2014 nella categoria miglior film straniero.

Il film racconta di un grottesca mondanità capitolina, che vive a ridosso della Casta e di cui avrebbe potuto farne parte se l’indole – pigra e irresoluta – dei personaggi non avesse avuto la meglio, anche grazie allo status acquisito ed alle prebende conferite nel mondo facoltoso di cui fanno parte.

Un affresco di un gruppo d’insieme la cui inutilità sociale è conclamata dall’assenza – nella vita mondana raccontata nel film – degli onnipresenti politici, a differenza di ‘La terrazza’ di Ettore Scola, dove  «la politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione», come scrive Mariarosa Mancuso su Il Foglio.

«La grande bellezza sta a La dolce Vita come la Via Veneto di oggi sta alla Via Veneto del 1959. Adesso è solo una strada di hotel di lusso dove è vano ricercare il clima notturno di un tempo: i caffè affollati di artisti e intellettuali, le scorribande di divi e fotografi, i night-club frequentati da una variegata fauna di nobili, perdigiorno e letterati». (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Un film che racconta i luoghi e la ‘gentry’ di Fellini, ma con un ‘occhio’ non molto diverso da quello di Scola in ‘Brutti, sporchi e cattivi’ … in una Roma che, nel III Millennio, non sembra essere molto cambiata da quel ‘Marchese del Grillo’ del buon Mario Monicelli …

Non a caso il film non è piaciuto a Roma, non alla Roma che ‘conta’.

«Magari La Grande Bellezza si accontentasse di essere un brutto film. È piuttosto “un’esperienza emotiva inedita”, come ha scritto Walter Veltroni sul Messaggero di ieri.» Nanni Delbecchi, Il Fatto Quotidiano)

Forse è Roma ad essere diventata un ‘brutto film’ e ad offrire ogni giorno ‘un’esperienza emotiva inedita’ … ed a quanto pare servono film come Gomorra o La grande bellezza per racontare – all’estero – quello che i nostri media nazionali dimenticano di riportare.

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Il solito scandalo dei finanziamenti pubblici al cinema italiano

27 Dic

La Direzione Generale per il Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, come recita il sito istituzionale, “è stata istituita nel maggio del 2001, quando – a seguito della riforma del Ministero per i Beni e le Attività culturali – ha ereditato, insieme alla direzione generale per lo Spettacolo dal vivo funzioni e competenze del dipartimento dello Spettacolo. Il Cinema italiano ha avuto, così, per la prima volta una specifica struttura operativa di riferimento.”
“Il mandato istituzionale della Direzione generale per il Cinema consiste nella promozione, sviluppo e diffusione del cinema italiano e dell’industria cinematografica nazionale.

colpi-di-fortuna

Cinema italiano che vede, oggi, il suo ‘prodotto di punta’ in “Colpi di fortuna” di Neri Parenti, un cinepanettone di Aurelio De Laurentis, e – ‘a ribadire’ – ecco quali ‘fortunati’ troviamo nelle delibere del 9 dicembre (link)riguardanti i progetti di lungometraggio presentati rispettivamentre entro il 31 maggio e il 30 settembre 2013” di “interesse culturale” per l’Italia e gli italiani.

  • Paolo e Vittorio Taviani – “Meraviglioso Boccaccio” – 1.000.000
  • Matteo Garrone – “Il racconto dei racconti”    1.000.000
  • Ferzan Ozpetek – “Allacciate le cinture” – 900.000
  • Ermanno Olmi – “Cumm’è bella ‘a montagna stanotte” – 800.000
  • Francesca Archibugi – “Il nome del figlio” – 500.000
  • Michele Placido – “La scelta” – 400.000
  • Cristina Comencini – “Latin lover” – 400.000
  • Marco Bellocchio – “La prigione di Bobbio” – 400.000
  • Abel Ferrara – “Pasolini” – 350.000
  • Gautam Ghose – “Lala – Incontro a Bombay” – 350.000
  • Carlo Verdone – “Sotto a una buona stella” – 300.000
  • Saverio Costanzo – “Hungry Hearts” – 250.000
  • Gianni Di Gregorio – “Buoni a nulla” – 250.000

Secondo la Direzione Generale per il Cinema sono risultati di ‘interesse culturale’, ma senza contributo, anche i film:

  • “Margherita” di Nanni Moretti
  • “Sapore di te” di Carlo Vanzina
  • “Un matrimonio” da favola di Enrico Vanzina
  • “Un boss in salotto” di Luca Miniero
  • “Indovina chi viene a Natale?” di Fausto Brizzi
  • “Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese
  • “Soap opera” di Alessandro Genovesi
  • “E fuori nevica” di Vincenzo Salemme

Sola menzione di ‘interesse culturale’ per le opere prime di Diego Bianchi, alias Zoro, per “Arance e martello” e – incredibile ma vero – Walter Veltroni per “Quando c’era Berlinguer”.

A differenza di quelle di Vanzina, Salemme e gli altri, ben diciotto opere sono state ritenute “non in possesso dei requisiti” per il riconoscimento dell’interesse culturale. Quelle dei registi  Davide Barletti e Lorenzo Conte (Fluid Video Crew), Antonio Capuano, Anna di Francisca, Angelo Orlando, Giancarlo Bocchi, Marina Spada, Enrico Lando, Pierfrancesco Campanella, Stefano Calvagna, Andrea Barzini, Sabina Guzzanti, Asia Argento, Isabella Sandri, Davide Marengo,  Alessandro Piva, Rodolfo Bisatti, Giorgio Serafini, Ago Panini.

Utile sapere che la corsa ad ottenere la qualifica di ‘interesse culturale‘ è probabilmente data dall’automatismo che prevede che a questi film venga poi attribuita anche la qualifica «d’essai» in base al Decreto Legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004.

Lo stesso decreto assegna un contributo alle ‘sale d’essai’ – ovvero quella “sala cinematografica il cui titolare, con propria dichiarazione, si impegna, per un periodo non inferiore a due anni, a proiettare film d’essai ed equiparati per almeno il 70% dei giorni di effettiva programmazione cinematografica annuale”.
Gli ultimi dati ufficiali (2010) resi noti dalla Direzione Generale per il Cinema dichiarano una spesa ‘folle’ di 2 milioni di euro per le ‘sale d’essai’, che, divisi tra 871 sale, fanno ‘ben’ 2.290 euro anni di contributo medio per ogni sala che, intanto, ha proiettato i film di sicuro interesse culturale di cui sopra …

Considerato che Costanza Quatriglio, autrice del docufilm “Terramatta” nel 2012, ha ricevuto nel 2013 100.000 euro per “87 ore”, il suo nuovo lavoro, e che almeno altrettanto poteva essere dato anche alla ventina di esclusi, non resta che chiedersi quanti giovani registi avremmo potuto finanziare nel 2013 con i contributi milionari assegnati a Ozpetec, Olmi e quant’altri, che dovrebbero essere già ben inseriti nell’industria cinematografica per aver bisogno di contributi statali.
Dovrebbero …

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Coppie gay, negarle è antistorico

23 Lug

Pochi sanno che lo storico Giovanni Romeo, nel suo libro “Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione. Napoli 1563-1656″, scrive di ben due matrimoni gay noti che sarebbero stati celebrati a Napoli nel 1591. Il tutto a fronte di una ampia base documentale.

D’altra parte, a Napoli, “il femminiello è una figura che fa parte del tessuto sociale dei quartieri popolari di Napoli, e persino dell’ ambito religioso, come nella “Candelora al Santuario di Montevergine ad Avellino” oppure nella “Tammurriata” alla festa della Madonna dell’Arco. Nell’opera di Roberto De Simone, La gatta Cenerentola, diversi femmenielli rivestono il ruolo di personaggi importanti. Tra le scene principali al riguardo vi sono il rosario dei femmenielli ed il suicidio del femminiello.” (fonte Briganti)

Infatti, ogni anno, il 2 febbraio, nel giorno della Candelora, i femminielli napoletani ‘fanno la juta’ (trad. fanno una uscita), un pellegrinaggio verso il Santuario di Montevergine ad Avellino, in base ad un antico accordo con le autorità ecclesiastiche, per esprimere la propria devozione a Mamma Schiavona, la Madonna del posto. L’esistenza di un accordo sarebbe stata implicitamente confermata, lo scorso anno, quando Don Beda Paluzzi, abate di Montevergine, precisò che il patto poteva essere revocato.

Anche il Santuario della Madonna dell’Arco (Sant’Anastasìa), ogni Lunedì in Albis, è oggetto di pellegrinaggio da parte dei femminielli, di cui la nota “Tammurriata“. Sempre nella zona vesuviana si pratica da secoli e secoli, la “figliata dei femminielli”, un rito ‘di fecondità’ risalente al paganesimo, di cui ne hanno parlato sia Curzio Malaparte nel suo libro “La pelle” e dalla regista Cavani nell’omonimo film.

Una situazione di ampia tolleranza, prima dell’epoca moderna, che i documenti storici ci riconfermano

  • a Venezia, nel 1450, dove si indica i portici vicini a Rialto e il portico della chiesa di San Martino come luoghi d’incontro
  • a Firenze, nel Quattrocento, dove Francesco Scambrilla ne segnala intorno a S.Ambrogio, o, nel 1514, con Machiavelli parla dell’esperienza di Giuliano Brancacci, uscito una sera a caccia di “uccelli”,
  • a Roma, dove Bertolotti, nel ‘500 a Roma, racconta degli adolescenti che si prostituivano in piazza Navona,
  • a Napoli,intorno al 1630, dove Bouchard descrive la prostituzione dei gay per le vie e nelle piazze.

La Chiesa Cattolica condannò definitivamente la ‘sodomia’ solo nel XII secolo – precedentemente era solo peccato gravissimo – e solo dal 1700 in poi si incrementa l’attenzione verso l’omosessualità femminile: per quanto la sua azione repressiva sia stata e sia consistente, non è stata lei a modificare il ‘comune senso del pudore’.

L’odierna esclusione dei ‘sessualmente diversi’ trova origine nel Codice Napoleonico che introdusse la cosiddette misure  di polizia relative all’offesa alla pubblica decenza, poi assorbite anche dal corpus legislativo vittoriano, e dal il concetto pseudo-biologico di degenerazione e di tara fisica, al quale fascismo, nazismo e socialismo reale abbondandemente attinsero per fomentare l’astio verso la “classe borghese’ e gli oppositori di turno.

La rimozione dal corpo sociale attraverso l’arresto del singolo omosessuale troppo “chiacchierato” rafforzava l’immagine sociale della “normalità”. Al contrario l’improvviso arresto indiscriminato di decine di persone, in maggior parte “insospettabili” quando non sposate e con figli, minava dall’interno l’immagine della “normalità eterosessuale”.

E‘ la diversità sessuale in se – e non l’atto peccaminoso di cui ognuno eventualmente rende conto personalmente – a turbare la nostra società ‘bigotta e vittoriana’ e l’ordine costituito dello stato ‘liberale” o di quello ‘sociale’. Un mondo dove le oligarchie sono tutte esclusivamente ‘al maschile’ ed, evidentemente, non deve essserci ‘confusione’ di sorta.

Queste le origini dell’omofobia, della paura verso chi si comporta o semplicemente veste diversamente. Paure indotte con precisi atti normativi, circa 200 anni fa, in una società che, precedentemente, era sostanzialmente indifferente al ‘problema’, accomunando l’omosessualità alle tante altre peculiarità dell’essere umano e, come le altre, tollerandola.

Come potranno i nostri partiti, tra cui UDC e Partito Democratico, scrivere una legge decente sull’omofobia e le coppie omosessuali è davvero un mistero, visto che sembrano ragionare solo in termini di ‘degenerazione’, ‘pubblica decenza’ e ‘sodomia’?

Come far capire loro che parliamo di diritti individuali essenziali sanciti, per l’appunto, dalla Carta dei Diritti dell’Uomo sottoscritta anche dall’Italia e che una tale questione non può essere un affare di retrobottega?

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