Tag Archives: parlamentarismo

Arriva il presidenzialismo

3 Giu

Si inizia a parlare di qualche riforma concreta, quella che porterebbe al presidenzialismo, è già nel Pd si vanno formando due schieramenti. Tra  i favorevoli (con ballottaggio alla francese) ci sarebbero Walter Veltroni, Matteo Renzi, Romano Prodi e Gugliemo Epifani; tra i contrari all’elezione diretta del capo dello Stato troviamo Rosy Bindi e l’ala sinistra del partito, con l’ex segretario CGIL Sergio Cofferati e l’ex ministro Fabrizio Barca in testa.

Intanto, il premier Gianni Letta ha annunciato che “l’ultima elezione del Presidente della Repubblica mostra la fatica della nostra democrazia. La mia opinione è che non potremmo più eleggere il presidente della Repubblica con quella modalità”.
L’ha seguito a ruota, Angelino Alfano, vicepremier, ricordando che “nel Pdl siamo assolutamente d’accordo sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. E adesso anche dal Pd arrivano dei significativi spiragli. Se riuscissimo a farla sarebbe una grande prova di democrazia come succede in altri paesi, come Francia e Stati Uniti, dove i cittadini scelgono direttamente il Capo dello Stato”.

Beppe Grillo arringa il popolo con “il Paese è al collasso e il governo si balocca col presidenzialismo”, come se gli 87 anni suonati di Giorgio Napolitano non pretendessero l’urgenza di darsi una norma ‘innovativa’ per eleggere il Capo dello Stato e per sancire i suoi poteri in un nuovo quadro istituzionale.

Certo, SEL e M5S hanno le loro ragioni,perchè il nostro è tutto un sistema che non funziona e la nostra Costituzione è imperfetta come qualunque cosa umana e richiede emendamenti fin dagli Anni Settanta, quando – trenta anni dopo la nascita della repubblica – si dovette iniziare a prendere atto che non si erano promulgate le previste leggi sui sindacati, sulle regioni, sui comuni, sulla spesa pubblica, sul decentramento e l’autonomia.
Parliamo degli anni del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), dei bilanci sanitari regionali puntualmente bloccati dalle Corti Regionali dei Conti, di una nazione che usciva da un decennio (1969-1978) in cui le ore di lavoro perse per scioperi furono in media 143 milioni l’anno, dell’Italia statalista e totalmente dipendente da un decreto ministeriale.

Un’Italia con un sistema di bilancio e di controllo di gestione non pronto all’ingresso nel sistema monetario europeo, come dimostratosi prima con lo SME  e poi con l’Euro, che, con l’unificazione dei mercati e la globalizzazione, paga a caro prezzo la durata e l’imprevedibilità del nostro sistema giudiziario, dei processi e le procedure relative, la poca trasparenza amministrativa, bancaria e fiscale, un sistema previdenziale ed assicurativo arcaico, un welfare indifeso dalla voracità di chi investe nella charity, ma ‘senza fini di lucro’, una politica di istruzione e formazione costretta tra un dettame costituzionale statalista ed una Convenzione ONU ed una società libera che vanno da tutt’altra parte.

Questo ed altro ancora, sono tante le cose di cui l’Italia ha urgenza ormai trentennale.

Se nulla si è potuto fare in questa Seconda Repubblica, la causa è certamente nella struttura economica dello Stato italiano delle origini e dai debiti enormi che contrassero i Savoia, ma è anche in un sistema elettorale che conferisce ai due maggiori partiti un potere assoluto ma da l’un l’altro annullato ed è anche in una funzione presidenziale, che era concepita come ‘notarile’ rispetto ad un Parlamento pensato come sovrano ed, in realtà, prima suddito delle ideologie e, dopo, dei partiti e delle lobbies.

Se una legge elettorale deve tenere conto che abbiamo fin troppo tutelato i piccoli partiti al punto che anche quelli maggiori appaiono come un arcipelago di entità, spesso di esclusiva base micro territoriale, è anche vero che per una questione di pesi e contrappesi – al cui dibattito l’M5S farebbe bene a partecipare nell’interesse di tutti – non è possibile che si trovi un accordo in quattro e quattr’otto.
Infatti, se le soluzioni sono note (sbarramento, ballottaggio, senato federale) il doverle applicare tutte e tre insieme provoca un livello di complessità (una matassa) non sbrogliabile in breve tempo: abbiamo già visto che danni ha provocato un Porcellum ed un Mattarellum frettolosi, in nome di un bipolarismo dottrinale che in Europa non c’è.

Piuttosto, è possibile, se non davvero urgente, che si affronti il nodo dei poteri del Capo dello Stato, di come viene eletto, di cosa competa di riflesso al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Corte Costituzionale e alla Corte dei Conti.
Anche in questo caso, ma senza le complessità del sistema elettorale, è abbastanza evidente quali siano le soluzioni: elezione diretta del Capo dello Stato, funzione disciplinare del CSM, autonomia della Corte Costituzionale, potere di vero da parte della Corte dei Conti.

Così funziona nel mondo intero,dove non c’è ‘la Costituzione migliore del mondo’ e dove si tratta di presidenzialismo oppure di monarchia costituzionale, raramente troviamo il premierato e solo quando lo Stato è nato dalla fusione di staterelli pre-esistenti, cone in Germania, India e Gran Bretagna.

D’altra parte, il dualismo dei poteri parlamento/ presidente è indispensabile per evitare stalli ventennali come la Seconda Repubblica in cui siamo impastoiati, come una maggiore indipendenza della magistratura dal potere politico è indispensabile se, in futuro, non vorremo scoprire di nuovo che abbiamo votato per un decennio con una legge incostituzionale.

Perchè la sinistra del Partito Democratico borbotti, come son scontenti M5S e CGIL, è abbastanza chiaro: qualunque forma di presidenzialismo pone fine (o quanto meno argine) al giacobinismo di chi, con un mero 20% di consensi o anche meno, pretende di condizionare le scelte generali.

Facciamo presto.

originale postato su demata