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Cinque Stelle: dagli ospedali nel Lazio scappa chi può

14 Feb

Secondo le elaborazioni statistiche della Task Force Sanità del Gruppo Consiliare Movimento Cinque Stelle della Regione Lazio, nella ASL RMB il 44% dei pazienti ricoverabili presso l’Ospedale Sandro Pertini ed il 38% di quelli del Policlinico di Tor Vergata rifiutano il ricovero volontariamente, mentre il primo indirizza ad altra struttura per inapacità ricettiva il 13,5% dei pazienti ed il secondo il 125% …
Inoltre, a fronte di oltre 250.000 malati cronici, solo il 26% della popolazione residente nella ASL RMB fa ricorso ai pronti soccorsi di questa Asl, il resto vanno altrove o … evitano del tutto.

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Va meglio nella ASL RMA, che copre il 10% degli accessi regionali totali, ma – comunque – accade che “circa il 43% della popolazione cronica si rivolga impropriamente al pronto soccorso. Pertanto l’assorbimento da parte dell’assistenza territoriale è migliore rispetto ad altre asl, ma comunque insufficiente per risolvere il completo e corretto programma assistenziale dedicato a queste patologie”. E dire che parliamo anche e soprattutto del Policlinico Umberto I e dell’Università La Sapienza …

Peggio, almeno secondo la vox populi, la ASL di Latina dove “dei circa 50 mila pazienti che necessitano di ricovero ben 15 mila si rifiutano spontaneamente di accedere presso i reparti ospedalieri” o la ASL di Viterbo, se “l’Ospedale di Acquapendente … annovera soltanto il 12% tra codici rossi e gialli” oppure la ASL di Rieti, dove andrebbe tutto bene, se non fosse per l’elevata mobilità passiva, ovvero che … tanti vanno altrove.

Nella Roma C capita, poi, che ognuno dei circa  100.000 malati cronici residenti (il il 50% del totale) si rivolga al Pronto soccorso almeno una volta all’anno di media, escludendo l’ortopedia. Presso l’Ospedale Sant’Eugenio il 38% dei ricoverabili rifiuta volontariamente il ricovero e nella ASL tutta “quasi il 10% dei pazienti che fanno accesso al PS rinuncia volontariamente al ricovero” e “l’11% dei ricoverabili viene mandato in altre strutture per assenza di posti letto”.

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Nella ASL RMD, solo nell’Ospedale Grassi “ben 4300 pazienti su un totale di circa 13 mila ricoverabili decide di ricorrere ad altra struttura. Tra questi circa 2500 vengono mandati via per assenza di posti letto”.

Nella RME, viceversa, “l’80% della popolazione residente ricorre ogni anno ai pronto soccorso” e “la maggior parte degli accedenti ai PS non è residente”. Inoltre, “gli ospedali accreditati quali il Gemelli, il Fatebenefratelli, il Cristo Re e l’Aurelia Hospital … tendono ad accentuare la propensione al ricovero” con “un’anomalia nell’incidenza dei pazienti potenzialmente curabili presso il territorio (valori molto al di sotto della media) e parimenti un incremento del tasso dei ricoverati rispetto alla popolazione media che si presenta al Pronto soccorso. A fronte di una media di ricoverati rispetto agli accessi pari a circa il 15%, in tali ospedali la media si avvicina al 30%, malgrado l’incidenza dei codici rossi e gialli sia comunque spesso inferiore al 10%. In tal caso si presume si debba valutare l’appropriatezza dei ricoveri.” Come anche, sempre riguardo la RME, resta un mistero perchè “gli ospedali con maggiore propensione al ricovero presentano bassissimi tassi sia legati all’incapacità ricettiva e sia legati al rifiuto volontario del ricovero, mentre ospedali come il S. Andrea con una bassa propensione al ricovero è costretto ad inviare i propri ricoverabili presso altre strutture” …

Andando alla ASL RMF, dei circa 120 mila pazienti cronici “sembra che solo una piccola quota si rivolge al pronto soccorso” e anche quanti “si rivolgono impropriamente al pronto soccorso preferiscono comunque farlo presso altre ASL”. A Bracciano il 44% dei ricoverabili rifiuta il ricovero, a Civitavecchia il 30% circa.
Idem per la RMG, dove “soltanto il 29% della popolazione residente si rivolge ai pronto soccorso di questa Asl” e dove “il rapporto dei cronici che si rivolgono impropriamente al pronto soccorso è piuttosto alto (62%)”. L’Ospedale Angelucci vede il 45% dei pazienti che rifiuta il ricovero, il S.S. Gonfalone il 40% e, come per la ASL RME, vediamo “ospedali sottodimensionati in termini di posti letto malgrado abbiano una modesta propensione al ricovero. Paradossalmente le strutture private con alta propensione al ricovero non necessitano di posti letto.”

Fanalino di coda la RMH le cui strutture pubbliche “presentano gli indicatori negativi riferiti ad attrattività e accessibilità peggiori di tutta la regione”.

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Se non fosse per qualche zona d’italia ancor più disastrata, disastrosa e declinante, Roma e il Lazio potrebbero meritarsi la ‘maglia nera’ del management sanitario.

Infatti, i Cinque Stelle – alla stregua di tanti malati cronici che si battono da anni per i propri diritti ‘vitali’ – chiedono che anche la Sanità romana preveda la “obbligatorietà di avvio del percorso terapeutico dell’assistito e della relativa presa in carico appena questo si presenta impropriamente al pronto soccorso per patologie legate alla cronicità”.
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A che serve commissariare una Regione per quasi 15 anni ininterrottamente, se questo significa soltanto estraniare la Sanità pubblica dal dibattito politico per buttarla in cavalleria? .
Intanto, una parte di quei su detti malati, ogni tanto, muore.
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La Capitale della malasanità

10 Gen

Martedì sera, una signora romana quasi novantenne veniva prelevata da un’ambulanza per un sospetto ictus e trasportata al policlinico di Tor Vergata, dove rimaneva ben 15 ore in barella, bloccando, tra l’altro l’ambulanza.
Un episodio eclatante, non affatto infrequente a Roma, la Capitale italiana, come documentano le vicende recente di un’altra donna con un’emorragia cerebrale, trasportata in ambulanza prima da Acquapendente a Viterbo e poi al Gemelli di Roma.

Ricordiamo tutti il tragico caso del giornalista RAI Lamberto Sposini, conduttore de “La Vita in diretta”, che, colpito da un ictus al lavoro e soccorso in tempo,  pervenne con enorme ritardo all’ospedale dove venne operato d’urgenza.
O come è drammaticamente comprovato da fatto che ieri, per ben due ore, su 80 ambulanze che Roma dispone per circa 4 milioni di abitanti, ben «25 mezzi erano bloccati nei Dea occupati dai pazienti da ricoverare e tutte le altre 55 ambulanze erano impegnate in servizio per chiamate già ricevute» (fonte 118).

Tutti a prendersela, giustamente, con il Governatore regionale dimissionario, Renata Polverini, visto che un misfatto simile è certamente causato da carenze profonde nella governance sanitaria, anche se la questione dei posti letto ‘chiusi’ di recente è fuorviante.
Infatti, in termini di governance le questioni da porre, se non si volesse fare solo mera demagogia, sono altre e ben più fattuali:

  1. le ambulanze sono sufficienti oppure in una metropoli come Roma ne servirebbero di più? Sono dislocate solo negli ospedali od anche all’altezza di importanti snodi di viabilità, come accade a Milano da trent’anni, per accorciare i tempi di intervento?
  2. i Pronti Soccorsi sono dislocati in modo da garantire il pervenimento del paziente in tempi inferiori alla mezz’ora? Sono strutturati e coordinati con i reparti dell’ospedale cui solitamente afferiscono i casi che richiedono interventi tempestivi, ovvero cardiologia, neurologia, allergologia e malattie rare?
  3. la centrale che invia le ambulanze (il 118) opera in stretto coordinamento con un corrispettivo coordinamento dei siti ospedalieri, in modo da garantire il rapido pervenimento del paziente nell’ospedale giusto? E, nel caso esistesse questa interazione, esiste qualche software gestionale oppure è tutto affidato al caso ed al fattore umano?

Domande semplici, che chiunque abbia vissuto al Nord come in Europa od in USA  non può evitare di porsi, visto che la percezione che si riceve dalla (mala)Sanità romana è quella di un enorme sistema di monadi autoconsistenti che opera in modo autoreferenziale e caotico.
Domande alle quali dovrebbe aggiungersene un’altra, ben più amara e complessa: perchè i Comitati Etici, l’Ordine dei Medici laziale, la magistratura del luogo, i Consigli di Laurea cui afferiscono i policlinici, gli enti religiosi che gestiscono strutture in convenzione non hanno ancora preso posizione dinanzi ad una situazione che dura da decenni e che a Milano come a Bologna sarebbe del tutto inconcepibile, come probabilmente anche a Napoli ed a Palermo?

Domande che, diciamolo, qualunque ‘professionista della politica – od aspirante tale – dovrebbe porsi, visto che i soldi per sostenere un sistema elefantiaco e clientelare non li stampa più nè la Banca Romana d’infame memoria nè la più virtuosa Banca d’Italia di Via de’ Mille.

Ad esempio, come garantire agli abitanti del IV Municipio (ufficialmente almeno 250.000, probabilmente molti di più) dei tempi di pervenimento al Pronto Soccorso, dalla chiamata, inferiori ai 30 minuti, visto quello che ci raccontano sia i navigatori delle autovetture sia Google Maps, in termini di tempi di percorrenza da/per l’ospedale più vicino.

Oppure i malati rari che sono seguiti spesso da esperti collocati in ambulatori mal dislocati e che, in caso di urgenza, vengono, in prima battuta, trasportati in ospedali non immediatamente operativi per quel tipo di patologia, visto che il farmaco salva vita è dato in esclusiva all’ambulatorio, che – ovviamente – chiude alle due del pomeriggio e nel week end (sic!).

Per non parlare dell’enorme ammasso di casette, tra Tiburtina e Casilina, dove vive forse più di un milione di persone con servizi decisamente scarsi, a causa del fatto che quelle periferie crebbero abusivamente, esattamente come quelle delle città sudamericane, e quando le si volle condonare, non si decise di abbatterne almeno un tot per creare viabilità, piazze, ospedali, scuole eccetera.

Il tutto a fronte di un enorme sito ospedaliero, l’ex sanatorio San Camillo Forlanini, pressochè privo di parcheggi e scarsamente raggiungibile dal resto della città, che inspiegabilmente è ‘da salvare’, mentre le sue dimensioni e la sua parcellizzazione in piccoli edifici dimostrano che deve essere destinato ad altro.
Od a fronte del Sant’Andrea, collocato nel nulla, cui si arriva praticamente solo tramite Grande Raccordo Anulare. Come anche per l’enorme IFO San Gallicano, anch’esso poco raggiungibile e che, nonostante la penuria in quel settore della città di pronti soccorsi con reparti alle spalle in grado di gestire casi gravi, è destinato solo alle malattie dermatologiche.

Ovviamente, la campagna elettorale in città verte tutta su ‘chiudere o non chiudere il San Filippo Neri’, un ospedale d’eccellenza, dicono, che ha avuto il grande (de)merito di operare al di fuori delle grandi logiche baronali e che avrebbe dovuto essere trasferito da tempo in una sede più ampia e facilmente raggiungibile di quella attuale.
Anche in questo caso un disastro causato da un deficit di governance regionale, ben più antico della presente gestione, che ha sempre e solo perseguito lo scopo di mantenere l’esistente senza considerare che dalla nascita dei vari Forlanini, San Filippo Neri, Addolorata, Gemelli, eccetera sono trascorsi decenni, che la popolazione è più che raddoppiata ed abita in quartieri distanti ore dai siti ospedalieri dove sono disponibili posti letto e dove sono attivati gli ambulatori per le cure ricorrenti.

Un vero calvario per chiunque abbia necessità di terapie continuative e parenti lungodegenti, specialmente se ricordiamo che è vietata la somministrazione in strutture non pubbliche dei cosiddetti ‘farmaci orfani’, di per se già difficili da trovare in dotazione negli ospedali, con centinaia di migliai di persone nel Lazio che percorrono chilometri ed ore per ottenere un’infusione od una dialisi in centri collocati in luoghi impossibili.

Come andrà a finire? Che la prossima Giunta continuerà a mantenere l’esistente, confidando in qualche decisione politica che appiani i soliti debiti, come ha fatto il governo uscente che, in piena crisi, ha finanziato la sanità laziale con quasi un miliardo di euro.

D’ altra parte, a leggere la storia di Roma, non sembra che in 2500 anni la Caput Mundi abbia scelto organizzazioni e forme di finanziamento differenti.

Intanto, nessuno si chiede quanti possano essere i morti romani causati dalla lentezza di accesso al pronto soccorso ed alle terapie d’urgenza. Non dovrebbero essere così pochi, però.
That’s Rome.

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