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Omosessuali, religioni, leggi: quale Storia e quali Diritti?

25 Gen

Per le principali religioni moderne l’omosessualità è un atto ‘impuro’, ‘contro natura’, perchè l’hanno detto Yahvè, Dio e Allah,  promettendo i peggiori supplizi in vita e dopo la morte. Anche il Buddismo la ‘sconsiglia’, alla pari di qualsiasi altra condotta derivante dal ‘desiderio’.

Precedentemente, Confucio e Krisna non ne fanno una particolare mezione o ‘problema e, ancor prima, tra gli Indoeuropei come tra i nomadi dell’Asia o del Nordamerica, i ‘pagani’ non si ponevano particolari problemi verso i fuðflogi e le flannfluga (uomini e donne che rifiutano il rapporto eterosessuale e il matrimonio), ma – come per il sopraggiungere dell’impotenza senile – escludevano dal contesto ‘maschile’ gli ‘effemminati’, cioè quelli che decidevano di non partecipare alle prove di iniziazione ‘virili’ e sceglievano di adottare uno stile di vita ‘femminile’.
La maggioranza degli dei della vegetazione (Attis, Adone, Dioniso, Tuisto) erano androgini

Tra i mediorientali gli omosessuali erano una casta, come, ad esempio, i sacerdoti travestiti o gli eunuchi che costituivano il clero di Inanna / Ishtar, venerata nel Tempio di Gerusalemme come “Regina del Cielo” (Secondo Libro dei Re 23,7).
E, ancora oggi, nell’India colonizzata dagli Arya, gli ermafroditi sono dei fuori casta e la benedizione degli eunuchi è considerata quasi indispensabile ed eccezionalmente efficace in ogni cerimonia.

Una questione di fede, dunque, e non di pericolosità sociale, in un mondo dove la ‘famiglia’ e la capacità di ‘procreazione’ era tutt’una cosa, ma dove l’omosessualità non dava scandalo.

Infatti, in Europa occidentale, fino a Carlo Magno, la legislazione civile che il diritto canonico non fanno particolare menzione dell’omosessualità; solo nei Paesi Baschi le Leges Visigothorum prevedevano la castrazione, ma con scarso esito visto che il clero rifiutò di applicare la norma.
Ad Oriente, viceversa, l’Impero bizantino continuò ad applicare il codice teodosiano che prevedeva la pena di morte per gli omosessuali passivi e gli effemminati, estesa anche gli omosessuali attivi (Giustiniano – 533 d.C.) e agli adulteri. L’omosessualità in Russia, però, fu tollerata fino all’epoca di Pietro il Grande e sanzionata dalla Chiesa ortodossa con penitenze.

Le cose andarono a cambiare, in Europa, dopo l’Anno Mille, ‘grazie’ al monaco Pier Damiani (Liber Gomorrhianus – 1049 d.C.) in cui si condanna violentemente l’omosessualità e la sodomia, e, soprattutto, a Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae), in cui l’omosessualità viene descritta come un peccato orribile, ben peggiore dell’adulterio e dello stupro, anche se non assimilabile alla bestialità vera e propria.

Nell’arco di 200 anni, la nuova morale venne fatta propria dall’emergente classe borghese dei mercanti (Paolo da Certaldo -“Il Libro dei buoni costumi”) con l’introduzione di statuti che prevedevano – nella sostanza – le stesse pene dello Stato Pontificio e del Codice Teodosiano.

La Riforma (in particolare il Calvinismo) e l’Illuminismo fecero il resto, se la prima legge contro gli omosessuali in Cina venne introdotta nel 1740 e in Russia  solo nel 1706 venne introdotto il rogo.

A casa nostra, andò a finire che, al sorgere dell’unità italiana, nei codici delle Due Sicilie non v’era neanche la menzione dell’omosessualità, mentre nel resto d’Italia la ‘sodomia’ era punita ‘da sempre’ con l’impiccagione ed il rogo. Solo nel 1787, in Lombardia e Triveneto, si passò alle pene corporali e al carcere per ‘bontà’ dell’imperatore d’Austria e solo nel 1832 a Roma venne abrogata la pena di morte, convertendola in ergastolo. Nel 1859, i Savoia  (art. 425 del C.P.) introdussero la pena del carcere per gli omosessuali, estesa poi a tutta la penisola.

E se tanto era tra i cattolici, non è che andasse molto meglio negli ‘ambienti laici’, figli del Calvinismo, che – in sintesi – la pensavano come Cesare Beccaria, secondo il quale l’omosessualità “prende la sua forza non tanto dalla sazietà dei piaceri, quanto da quella educazione che comincia per render gli uomini inutili a se stessi per fargli utili ad altri” e che “non si può chiamare precisamente giusta (il che vuol dire necessaria) una pena di un delitto, finché la legge non ha adoperato il miglior mezzo possibile nelle date circostanze d’una nazione per prevenirlo”.
Non a caso i laici totalitarismi comunisti della Russia e della Cina previdero la ‘rieducazione’ per gli omosessuali e , come detto, nel Meridione d’Italia borbonico dovette essere lo Stato unitario ‘liberale’ ad imporre sanzioni e pene per gli omosessuali.

Fatto sta che la medicina  ha cancellato solo da 25 anni (17 maggio 1990) l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola “una variante naturale del comportamento umano”, e da allora sta a noi decidere se credere nella Scienza o nei Profeti, ovvero se discriminare gli omosessuali o non farlo.

Altra questione, però, è la famiglia, cosa molto diversa dall’estendere giustamente lo status di parentela al partner omosessuale di qualcuno.

Infatti, per ‘famiglia’ non esiste una definizione: l’Uomo – dagli albori della Preistoria – non ne ha sentito il bisogno, dando per scontato che fosse l’elemento base della ‘riproduzione della specie’.
Oggi – con la demografia in eccesso e con la clonazione alle porte, mentre tanti non hanno più famiglia – le cose sono cambiate e, se un single può adottare bambini, non dovrebbe esservi motivo per cui non possano farlo gli omosessuali.

Ma, se gli omosessuali hanno diritto a farsi una ‘famiglia’, che dire dei bambini orfani o che vivono nell’abbandono come degli homeless e degli invalidi o degli anziani esodati con rinvio perpetuo della pensione oppure delle donne istruite e senza lavoro o, ancora, dei giovani che – una volta – a 30 anni non erano ‘ragazzi’ bensì padri e madri?

Negli USA le norme sui diritti degli omosessuali sono andate di pari passo con le altre tutele dei comportamenti ‘privati’ e dei ‘diritti civili’ (es. legalizzazione cannabis, diritti afroamericani e indiani, etc) ma sono state affiancate da importanti interventi sul Welfare, sulla Sanità e per le famiglie.
“Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”. (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – art. 22)

Demata

Unioni gay: norme e soluzioni

24 Ago

Riguardo l’omosessualità e le unioni tra omosessuali, c’è davvero molta confusione. Vediamo qual’è effettivamente lo stato dell’arte.

Riguardo la Costituzione Italiana, la Corte Costituzionale (sentenza 170-2014) ha ribadito che «La nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela il citato art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che «stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso».
E che … «nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette».
L’art. 2 della nostra Costituzione prevede che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Riguardo l’omosessualità, i  diritti inviolabili sono definiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948): l’omosessualità non deve essere causa di discriminazione o sanzione
Bene chiarire anche che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (1990) ritiene che l’omosessualità sia “una variante naturale del comportamento umano” e non una malattia mentale, categoria nella quale però permangono il crossdressing e il feticismo.
Inoltre, la  Risoluzione di Strasburgo sui diritti e la dignità degli omosessuali (2006) “sollecita gli Stati membri ad adottare disposizioni legislative volte a porre fine alle discriminazioni subite dalle coppie dello stesso sesso in materia di successione, proprietà, locazione, pensioni, fiscalità, sicurezza sociale ecc.”.

Ed è per questo motivo che recentemente la Corte europea dei diritti umani (Cedu) di Strasburgo che ha condannato l’Italia, ritenendo che “la tutela legale attualmente disponibile” nel nostro Paese “per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di due persone impegnate in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”.

unioni civili

Quello che, dunque, andrebbe urgentemente riformato (e son trascorsi dieci anni dieci) è il diritto di famiglia italiano per quanto inerente “successione, proprietà, locazione, pensioni, fiscalità, sicurezza sociale”.
Un’impresa ardua visto che c’è di mezzo una norma secondo la quale nessuno può diseredare o realmente disporre riguardo le proprie sostanze, che ha prodotto un’enorme quantità di case e terreni condivisi, contesi e semiabbandonati, per non parlare dell’eccessiva parcellizzazione delle imprese italiane, che spesso scompaiono alla morte del fondatore.
Così andando le cose, si preferì (e c’è chi preferisce ancora oggi) risolvere il problema della discrimazione degli omosessuali riguardo “successione, proprietà, locazione, pensioni, fiscalità, sicurezza sociale” introducendo non le unioni civili ma il matrimonio civile, da cui anche la definizione di famiglia (anzichè coppia) e il diritto all’adozione.

Bene sapere riguardo i ‘matrimoni gay’ che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, ratificata dal Trattato di Lisbona, dispone che (art. 12) «Uomini e donne in età maritale hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto» e che (art. 9) «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».
Tra le note è anche precisato che «L’articolo non vieta né impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso».
Infatti, la Corte Costituzionale (Sentenza 138-2010) ha chiarito che “è comunque decisivo il rilievo che anche la citata normativa non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna.”

Ovvio che solo riconoscendo civilmente le coppie omosessuali si possano garantire i diritti a “successione, proprietà, locazione, pensioni, fiscalità, sicurezza sociale”, ma non sembra che sussistano legittimazioni giuridiche all’iniziativa di alcuni sindaci che hanno celebrato dei matrimoni civili tra omosessuali, salvo che in tempi brevissimi il Parlamento non approvi una legge sulle ‘unioni gay’ che li preveda.

Dunque – tra violazioni, condanne, iniziative solitarie e strilla dei media – c’è fretta e le opzioni che hanno il nostro Parlamento e Governo sono poche e tutte con controindicazioni:

  • estendere agli omosessuali il matrimonio civile, ovvero consentendo loro anche l’adozione e ‘salvando’ i sindaci avanguardisti, ma affrontando le conseguenze di un importante strappo al Concordato e al sentire comune dei Cattolici
  • introdurre delle unioni civili come ‘mera presa d’atto’ (vedi proposta Bindi), risolvendo gran parte delle questioni giuridiche e religiose, ma negando alle coppie gay di essere ‘famiglia’.

Demata

Roma, la prostituzione, i dati, l’Europa e le soluzioni che … esistono già

23 Mag

anti-prostitutionIl sindaco di Roma, Ignazio Marino si dice favorevole «alla zonizzazione della prostituzione», all’istituzione di quartieri a luci rosse: «Sarei favorevole a che ci siano zone dove è consentita e zone dove non lo è. Questo dilagare della prostituzione non solo arreca un danno al decoro della città, ma crea situazioni di disagio gravissimo ad alcuni quartieri».

Nel luglio 2012, Romatoday raccontava Prostituzione a Roma: i quartieri a “luci rosse”
„che “”
“dalla Salaria alla Tiburtina, dalla Cassia alla Prenestina, passando per Viale Marconi e non dimenticandosi i vicoli del centro, le strade della capitale pullulano di lucciole”, sottolineando che “a poco è valso il provvedimento del primo cittadino varato a pochi mesi dall’insediamento in Campidoglio nel 2008. Multe salate per la lucciola che si atteggia a tale e per il cliente “adescato”, o “distratto”, che dir si voglia”.

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Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.

Infatti, i dati raccontano di quasi 9 milioni di italiani (il 40% è sotto i 25 anni) che frequentano prostitute, che a loro volta sarebbero 70.000 (dati  2010 Commissione Affari Sociali della Camera), di cui il 65% esercita in strada e le minorenni sarebbero addirittura tra il 10 e il 20% (dati Gruppo Abele).

Questo si trasforma in un enorme via vai di persone, se a Roma, come ovunque, un uomo su due ricorre al sesso a pagamento. Prostituzione a Roma: i quartieri a “luci rosse”
Un dossier del sindacato di polizia Silp-Cgil Roma indicherebbe che nel 2012 a Roma le prostitute su strada erano “in tutto seicento, almeno centocinquanta in più rispetto a due anni fa”.

Se fossimo al supermarket, parleremmo di seicento ‘postazioni’ accertate per 250 giorni di lavoro medio all’anno per 15 ‘clienti’ al giorno fanno 2,5 milioni di ‘utenze annue’, più almeno un altro milione che si svolge ‘al chiuso’: una media di 10.000  ‘passaggi’ al giorno.
Fossero anche solo la metà – ma potrebbero anche essere dieci volte tanto, se in Italia sono 70.000 – i soliti conti della serva ci dicono che per alloggiare 1.000 prostitute, a Roma come ovunque, servono almeno la metà di appartamenti ed, in caso di bordelli, almeno una cinquantina di piccoli edifici.

Dove metterli, in una città come Roma, è un mistero e più che zonizzarli, varrebbe la pena di disperderli: invece di aree ‘rosse’ periferiche e semiperiferiche, tanti piccoli e discreti appartamenti come già è nei quartieri centrali, dove la prostituzione certamente c’è, ma  invisibile. E per fare questo non servono leggi nazionali: basta che il sindaco inizi a contrastare seriamente la prostituzione per strada e la ‘dinamica richiesta-offerta’ si trasferirebbe in appartamentini discreti.
Il resto non si chiama più sfruttamento della prostituzione, ma di crimine organizzato e di tratta di esseri umani.

prostitution-7-20-11-color-640x486Questo, ovviamente, se la sola preoccupazione del sindaco fosse il ‘danno al decoro della città’ e il ‘ disagio gravissimo ad alcuni quartieri’, senza tenere conto della tutela della donna, degli omosessuali e, soprattutto, dei minori. E della salute, visto che Ignazio Marino di professione fa il medico e come politico presiedeva la commissione parlamentare sulla Sanità.
Infatti, la prostituzione ‘fuori controllo’ comporta che un quarto delle persone Hiv-sieropositive non sappia di essere infetto: secondo i dati pubblicati dal Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2008 gli “inconsapevoli” erano il 60% dei contagiati totali, con quasi l’80% dei contagi avvenuti per via sessuale.

Dunque, qualcosa va fatto.
Lo riconosce persino Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII: «La zonizzazione è una proposta vecchia e inaccettabile, che non risolve il problema della prostituzione e rende le istituzioni pubbliche conniventi con gli sfruttatori. L’unica soluzione veramente efficace e rispettosa della dignità umana, della donna in particolare, è l’introduzione anche in Italia del modello nordico».

Di cosa si tratta?

Il modello neo-proibizionista – o “modello svedese”, adottato in Svezia dal 1999 e successivamente in Islanda e dal gennaio 2009 in Norvegia – si fonda sulla criminalizzazione del cliente, con la punizione dell’acquisto di prestazioni sessuali, partendo dall’assunto che la prostituzione è una violenza del ‘cliente’ contro il/la prostituto/a, anche quando afferma di svolgere l’attività per scelta  consapevole.

sex-prostitute-prostitution-special_offers-offers-price-hbrn467lIn Italia, vige una forma di Modello abolizionista, che si fonda sull’idea di non punire la prostituzione né l’acquisto di prestazioni sessuali, ma al tempo stesso nel non regolamentarli, mentre si puniscono tutta una serie di condotte collaterali alla prostituzione (favoreggiamento, induzione, reclutamento, sfruttamento, gestione di case chiuse, etc.).
In pratica, lo Stato si chiama fuori dalla disputa, senza proibire o regolamentare l’esercizio della prostituzione. Questo modello è seguito dalla gran parte dei Paesi dell’Europa occidentale: Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Andorra, Armenia, Belgio, Bulgaria, Città del Vaticano, Danimarca, Estonia, Finlandia,  Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Monaco, Repubblica Ceca, San Marino, Slovacchia. In alcuni di questi paesi, però, la vacatio legis ha consentito al diverse autonomie locali di adottare un modello regolamentista, come ad esempio in Spagna.

Prima dell’introduzione della legge Merlin, anche l’Italia seguiva il modello regolamentarista, che è nasce da esigenze di ordine sanitario e di ordine publico, ma anche di tutela delle prostitute e vige solo in otto Paesi europei (Paesi Bassi, Germania, Turchia, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia), ai quali andrebbe aggiunta la Spagna, dove molte autonomie locali hanno provveduto a regolamentare lo svolgimento dell’attività al chiuso.
Il modello regolamentista include l’imposizione di tasse e restrizioni, più o meno ampie, nell’esercizio della prostituzione, l’individuazione di luoghi preposti all’esercizio e la prescrizione di controlli sanitari obbligatori per prostitute e prostituti per la prevenzione delle malattie.

aids-hiv_o_dmaoCome per tante altre innovazioni sociali, fu il Regno delle Due Sicilie, nel 1432, ad emettere le prime norme a tutela di chi si prostituiva (donne e uomini), tramite il rilascio della reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico. Successivamente, anche nella Serenissima Repubblica di Venezia e nello Stato pontificio venne regolato il sistema delle ‘case di prostituzione’, che spesso erano tenute dalle stesse donne.
Norme di tutela delle donne, di prevenzione sanitaria e di ordine pubblico, non di sfruttamento con l’imposizione di tasse e gabelle.
Le cose cambiarono nel 1860, quando il Regno sabaudo introdusse una regolamentazione in cui addirittura andava a fissare i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione …
Con l’Unità d’Italia, questa pratica questa pratica fu estesa a tutto il paese (come la persecuzione degli omosessuali che, viceversa, le Due Sicilie non discriminavano) e solo con l’avvento del regime fascista furono imposte serie misure sanitarie per le prostitute  donne, iscritte ad uno ‘schedario’ e sottoposte ad esami medici periodici.

Ovvio che, alla prima buona occasione, questa centenaria mercificazione della donna per la ‘pubbblica utilità’ doveva finire: l’Italia fece  una legge frutto della tenacia della senatrice socialista Lina Merlin e di grandi compromessi.
Il risultato fu il solito pasticcio, dato che lo Stato italiano smise di sfruttare la prostituzione, ma tante donne che si prostituivano passarono dalle ‘case chiuse’ (ndr. chiamate così per via delle finestre sbarrate anche di giorno) ai marciapiedi delle strade provinciali, vennero eliminate tutte le tutele sanitarie per le prostitute, le ‘occasionali’ ebbero un notevole incremento ed i ‘papponi’ divennero invisibili e potenti, come ricorderà chi leggeva le cronache degli Anni ’60-70  …

prostitution-a-smart-career-choiceRitornando a Roma ed alle idee del sindaco Marino, è davvero imbarazzante la preoccupazione per il decoro urbano, per il disagio dei cittadini (ma non le donne, i minori e la salute di tutti), specialmente se confluisce nell’idea di ripristinare uno sfruttamento della prostituzione di Stato, che de facto facilita ed incrementa il fenomeno.

Il paese con il maggior numero di prostitute in Europa, secondo le stime, è la Germania dove ne sono registrate circa 400.000. In Spagna, a Valencia, una scuola per prostitute (Academia del placer) ha lanciato lo slogan anticrisi “Se sei giovane e non trovi lavoro, diventa prostituta” …

Intanto, in Italia, andando a scartabellare tra le leggi, semre che il vero prolema sia solo uno.
Tutti sanno che l’articolo 3 della Legge Merlini del 1958 prevede pene e sanzioni per “chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione”.

Pochi sanno che, con la pronuncia n. 33160/2013, la Corte di Cassazione chiarito che se si concede in affitto un appartamento a prezzo di mercato non si viola la Legge Merlin, poiché per ‘casa di prostituzione’ si deve intendere un qualsiasi luogo chiuso dove più persone esercitano il meretricio e sia presente in tale posto anche un gestore della prostituzione delle relative persone, mentre non si può procedere per favoreggiamento e/o sfruttamento semplice in merito, se l’appartamento viene affittato ad un prezzo di mercato al solo scopo abitativo, senza alcun supplemento ulteriore, che possa far favorire concretamente il sesso a pagamento.sexwork

Dunque, tenuto conto che la Legge Merlin persegue la prostituzione come fenomeno organizzato/associativo, che la lectio attuale è a riguardo più tollerante di quella vigente nel secolo passato, e considerato comunque che la tollera come attività individuale, la prima cosa che bisognerebbe fare per il decoro di  Roma è quella di contrastare seriamente la prostituzione per strada – anche solo multando i clienti per sosta – e questo tocca in primis al Campidoglio.
Fermo restante che chiunque è libero di prostituirsi a casa propria, di proprietà o in affitto che sia.

Se, poi, tra Stato e Regioni, in Italia, volessimo (ri)attivare un servizio sanitario apposito e ‘nazionale’ per tutelare la salute di chi si prostituisce e dei cittadini, non sarebbe davvero una cattiva idea. Specialmente se, tramite l’accesso a questo servizio, chi si prostituisce potesse ottenere una registrazione nel sistema di welfare, atta ad accedere al sistema pensionistico versando tributi e contributi, con lo Stato che fa da tutore e non da sfruttatore.
Forse, anche a Lisa Merlin sarebbe piaciuto qualcosa del genere.

E certamente piacerebbe a tutti, specialmente alle mogli, fidanzate e compagne inconsapevoli dei ‘clienti’, che si impedisse di prostituirsi a chi ha contratto l’Aids e questo può avvenire solo tramite la registrazione delle/dei prostitute/i. Non, altrettanto di sicuro, ignorando la questione ed affidandosi alla provvidenza.

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Chi ha paura degli omosessuali?

14 Giu

Come se agli Europei di Calcio 2012  non bastasse la vergogna del massacro dei cani randagi e dell’afflusso di prostitute in Ucraina, ci si mette anche l’Italia, prima con le frasi di uno dei suoi calciatori più ‘rappresentativi’ e, poi, con la decisione di mantenerlo in squadra.

«Ci sono froci in squadra? Se penso a quello che dico, chissà che cosa vien fuori. Sono froci? Problemi loro, me la sbrigo così, sennò mi attaccano da tutte le parti. Son froci, se la vedessero loro. Mi auguro che non ci siano veramente in Nazionale» (Antonio Cassano, calciatore)

«Onestamente credo che tra i calciatori di gay non ce ne siano. In quarant’anni non ne ho mai conosciuti, né nessuno che ha lavorato con me in tutto questo tempo e in tante squadre me ne ha mai raccontato. Non escluderei un gay, come un nero, dalla Nazionale. Penso che sarebbe difficile, per come siamo fatti noi calciatori, che un giocatore omosessuale possa vivere la sua professione in maniera naturale» (Marcello Lippi, ex allenatore della Nazionale di calcio)

«I gay nel calcio non ci sono. Se ne avessi scoperto uno quando ero direttore generale l’avrei venduto». (Luciano Moggi, ex dirigente Juventus)

«Il calcio e’ un gioco troppo maschio per i gay» (Gianni Rivera ex calciatore, deputato)

«Un bacio tra omosessuali è come fare pipì in strada» (Carlo Giovanardi, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio)

«Matrimoni gay? Allora perché non anche con gli animali, oppure con più di una persona?» (Francesco Perra, Movimento 5 Stelle)

Un problema di omofobia, certamente, di ‘paura dell’omosessualità’ e cos’altro che l’umana compassione può addirsi a chi vive nella paura.

Si potrebbe pensare che la causa (o concausa) di un atteggiamento  – l’omofobia che nulla ha ache vedere cone tica o morale – possa essere la fede cattolica di gran parte degli italiani e/o la presenza della Santa Sede nella penisola italica.

Questo è probabilmente vero, ma non tanto per il catticesimo in se, quanto a causa delle lobby interne al clero italiano ed alla ‘pessima’ politica (Trasformismo, Giolitti, Mussolini, Democrazia Cristiana, duopolio Berlusconi-Prodi) alla quale storicamente si sono affidati.

Una arretratezza culturale – un fattore (atavico) di de-civilizzazione ben alimentato dall’informazione nazionale – che fa della lotta contro i gay o contro le conquiste delle donne un cavallo di troia, indispensabile per aggregare un corpus elettorale intorno a ‘probi homines’ in tanti (altri) affari affacendati.

Quanto andrebbero meglio le cose in Italia è inutile dirlo, se l’Opera di Dio desse priorità ed attenzione a politici ed amministratori meno ‘votati’ alla cleptocrazia e meno sensibili alle grazie delle ‘cortigiane’, piuttosto che strenuamente omofobi o misogini.

E chissà cosa ne sarebbe della ‘pubblica opinione’ italiana, se i nostri media, oltre a pubblicare gli outing di personaggi famosi, pubblicassero anche le dichiarazioni di augusti prelati cattolici?

«La sessualità è un argomento molto complesso, sul quale esiste anche un “conflitto di interpretazioni”. Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili» (Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano)

«Credo che noi dovremmo essere d’accordo e di fatto siamo d’accordo che nel giudizio su una tale relazione o un tale rapporto c’è una grande differenza di giudizio quando le persone si assumono la responsabilità l’uno per l’altro, quando vivono e si relazionano in un rapporto omosessuale durevole, come similmente avviene in un rapporto eterosessuale» (Cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Berlino)

«Sono come gli altri e meritano la dignità. Secondo la nostra fede, sono le azioni che rendono buone o meno le persone. La Chiesa Cattolica deve essere aperta a tutte le persone con sentimento religioso» (Cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona)

Anche le squadre di calcio e le tifoserie dovrebbero ‘essere aperte’ a tutte le persone con sentimento sportivo. Ma questo, a quanto pare, la Federcalcio non lo sa.

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Silvio fino a gennaio … No, grazie.

22 Set

Umberto Bossi propone che Silvio Berlusconi resti premier fino a gennaio.

Perchè?

Per portare, con questo escamotage, la legislatura fino al termine, ribaltando, magari, lo stato del consenso fortemente compromesso?

Per avere tempo di emanare qualche decreto federalista, ovvero “democraticamente secessionista”?

Per poter condizionare pesantemente la nuova legge elettorale, dopo la sconcezza del Porcellum di Calderoli & altri, che consegnò e consegnerà alla Lega ed alla Sinistra estreme (Rifondazione ieri, SEL oggi) l’ago della bilancia, oltre che alle lobbies affaristiche?

Per affardellare l’ultima razzia di risorse a danno del Sud, ovviamente con il placet di Roma che incassa anche lei?

Per prendere il tempo necessario a strutturare qualche accordo sotto banco con il Partito Democratico “del nord”?

Per trattenere, un anno di più ed in posizioni apicali presso altri ministeri, le migliaia di semplici impiegati del MEF di Tremonti, frequentemente settentrionali e che nessuno sa come smaltire sia se dovessero tornare al mittente sia se dovessero rimanere al loro posto senza un concorso?

Governo Berlusconi? Staccare la spina

21 Set

Era quasi un anno fa che, mentre stava per arrivare lo scandalo del Bunga Bunga ed era già emerso quello delle escort, il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, dovette preder atto che Gianfranco Fini e FLi avevano abbandonato il PdL e che c’era da verificare la maggioranza.

Così accadde che, tra veementi proteste dell’opposizione (escluso il PD naturalmente), a Berlusconi e sodali venne concesso un lasso di tempo enorme per ricostituire maggioranza e governo, cosa che avvenne puntualmente. Ricordate Scilipoti ed i Responsabili? Ecco di questo stiamo parlando.

Passa un anno, il Governo continua a negare la crisi economica finchè l’UE non ci “commissaria” ed i mercati non iniziano la picchiata.

Un anno durante il quale gli scandali, a luci rosse e non, aumentano, mica diminuiscono, delegittimando definitivamente il Premeir Berlusconi, ormai raffigurato dalla stampa nazionale ed estera come una sorta di satiro in balia di donne che hanno l’età per essergli nipoti.

Un anno parlamentare che ha visto la Commissione bicamerale non approvare la proposta di federalismo fiscale perchè i conti non erano attendibili.

Un anno sprecato? Sembrerebbe proprio di si.

Così accade che, oggi, leggendo con occhio distratto i primi strilli giornalistici on line, m’è parso di vedere un “Giorgio Napolitano: ditemi che la maggioranza tiene”, mentre, come pochi secondi dopo ho realizzato,  il testo corretto era “ditemi se la maggioranza tiene”.

Caro Presidente Napolitano, capisco che esiste una ragion di Stato, che l’instabilità dei mercati impone cautela, che sono da evitare delle elezioni al buio, ma guardi che, da un anno a questa parte, Lei è uno dei pochi ad esser convinto che possa ancora esistere una maggioranza atta a governare ed una opposizione che sappia contrapporsi e far proposte.

Non c’è molto da fare, ormai: se si fosse staccata la spina un anno fa, forse potevamo permetterci un governo di transizione (o di unità nazionale), ma, oggi, non resta altro spazio che il governo tecnico istituzionale che vari una legge elettorale.

L’alternativa, ovvero il proseguimento dell’agonia, comporterebbe dei rischi gravissimi per la Repubblica, vista la secessione popolare riaffermata dalla Lega, visti i pesanti coinvolgimenti del PD in fatti di corruzione su scala nazionale e la promessa, impossibile da mantenere, di “meno tagli più diritti” che la Sinistra propone.

Bisogna staccare la spina.

Vasto: Bersani ricomincia da tre

17 Set

A Vasto, un’amena località marittima ad un tiro di schioppo da Montenero di Bisaccia, il paese natale di Antonio Di Pietro, si tiene la Festa nazionale dell’ Idv, alla quale quest’anno hanno partecipato anche Bersani e Vendola.

Il segretario del Pd, nella speranza che si ritorni al Mattarellum, rilancia la rinascita dell’Ulivo di Romano Prodi, che, con quella legge elettorale, potrebbe risultare egemone anche se non dovesse superare il 40% dei voti.

“Il Paese è nei guai, dice Bersani, dobbiamo essere il motore della speranza italiana. Ma le alleanze non si fanno ad ogni costo”.

Il messaggio è per Casini e per l’UdC, che non vogliono associarsi in un’alleanza suicida con Sinistra e Libertà, ormai di nuovo affratellata con il Partito Democratico, e serva a rassicurare l’Italia dei Valori che vuole essere l’elemento centrista (sic!) della cordata.

Anzi, a dire il vero, se Di Pietro attacca con il solito stile politically scorrect, definendoli “Escort della politica”, anche il segretario del PD ci va pesante: “Loro vogliono andare con chi vince, abbiamo a che fare con un partito che dice ‘siccome riesco ad andare a letto anche con la bionda, li’ vado con la bionda mentre altrove vado con la mora”.

E del resto, meglio rompere i ponti sul nascere, se Sinistra e Libertà punta a raccogliere il voto degli omosessuali (il primo partito sessista?) con Vendola che spiega: “come facciamo ad allearci con forze politiche che sono contrarie alla legge contro l’omofobia? Come facciamo ad allearci con coloro che sono contrari al riconoscimento delle coppie di fatto?”

Non si fa strategia sul default che incombe, non si parla di riforme mai attuate, non si riflette sugli errori sicuramente commessi, non si rammentano gli accordi voltagabbana con la Lega: il declino dell’Italia è dovuto al fatto che non si è affidata alla “superiore” cultura di sinistra e che non spendiamo molti più soldi (che non abbiamo) per il welfare.

Tra l’altro, proprio non si cvapisce perchè  IdV, PD e SEL pensino di poter essere il “motore della speranza italiana” se poi dobbiamo ricordare che, in 18 anni di Seconda Repubblica, le due coalizioni (Centrodestra e Centrosinistra) hanno vinto due elezioni a testa ed, evidentemente, hanno pari responsabilità nel disastro generale.

Come al solito, siamo alle solite: solita Sinistra, solite facce, solite (e scarsissime) idee.