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Governo Monti: prime riflessioni sul Programma

18 Nov

«Una riduzione delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e l’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico», ha dichiarato Mario Monti.

Ma cosa significa nell’immediato?

Innanzitutto, meno tasse e meno contributi a carico delle aziende e qualche soldo in più in busta paga, ma a condizione che ci sia un aumento dei prezzi al consumo e della leva fiscale indiretta, oltre che dell’inflazione.
Una misura che, per quanto riguarda la finanza, farà sentire subito i propri effetti, ma che potrebbe impiegare anni per ottenere un effettivo miglioramento dello status dei ceti più bassi e del Meridone tutto.

Non si parla di patrimoniale (Berlusconi non vuole), ma da gennaio arriverà la nuova Imu, Imposta Municipale Unica, che incoporerà anche un’imposta sulla prima casa.
Praticamente, sarà lo stesso salasso, con la sola differenza che l’incasso andrà ai Comuni anzichè allo Stato e, soprattutto, che il prelievo sarà “equamente” diviso tra tutti i cittadini proprietari di immobili, inclusi quelli rimasti disoccupati e quelli che non riescono a pagare il mutuo.

A proposito di pensioni, essendo l’Italia il paese con l’età per il pensionamento di vecchiaia più alta della Germania e della Francia, introdurremo l’età flessibile di pensionamento a scelta del lavoratore fino a 68-70 anni, premiando chi prolunga (sic!), a condizione che il Parlamento voti la rimozione dei privilegi d’annata.
Apparentemente una bella idea, ne riparleremo tra qualche anno quando un esercito di ultrasessantacinquenni (con meno di 40 anni di contribuzione) eserciterà il diritto di restare al lavoro per ulteriori cinque anni, bloccando i pochi spazi che ci sono per i giovani e, soprattutto, il ricambio nel pubblico impiego.

Per il resto, le promesse sono le solite: liberalizzazioni per rendere meno ingessata l’economia, facilitare la nascita e lo sviluppo delle imprese, migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, favorire l’inserimento dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro. In aggiunta, l’ardua speranza di riformare il mercato del lavoro, ovvero l’Articolo 18, con CGIL e PD contro.

Ad averci una buona memoria, il programma di Mario Monti sembra, per ora, sovrapponibilissimo a quello del Governo Prodi, insediatosi nel 2006, con l’unica differenza che, forse, non ci sarà opposizione in Parlamento.

Sarà che noi italiani non abbiamo mantenuto le nostre promesse e che ci sono norme e misure cha attendono da anni, sarà per questo che i Poteri Forti ci hanno commissariato, ma la prima impressione non riguarda tanto “lacrime, sangue e sacrifici”, quanto il solito problema italiota che “se non è pan cotto è pan bagnato”.

Ci aspettavamo qualcosa di più, dal superamento di un sistema di bilancio, che è un colabrodo, all’urgente rimozione dell’attuale classe dirigente pubblica, un esercito di “Yes Men” affermatisi per cooptazione. Ma non se ne parla, se non richiamando tutti al “senso dello Stato”.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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Il rebirth italiano parte da Tocqueville

15 Nov

Per salvare l’Italia dalla finanza trasformista e cleptocrate non c’è altro da fare che affrontare la mission impossible di superare, o quantomeno aggiornare, i Regi Decreti in materia contabile (1886, 1924), ancora in parte vigenti o riassorbiti. Vennero strutturati per contrastare il trasformismo e la corruzione, sono una infrastruttura obsoleta, inefficiente e facilmente “hackerabile”.

In realtà, pur imitando il modello francese, sono una grande ingessatura che dilaziona impegni e spese, funzionalmente alla cassa disponibile (grandi opere sabaude) ed alle esigenze del consenso (fascismo).
Cose che nei nostri tempi, oltre a produrre sprechi e desviluppo, causano anche un bel po’ di interessi passivi. Inoltre, le ripartizioni determinate dai Regi Decreti non coincidono con le categorie (UPS) determinate dall’Unione, trasformando il nostro bilancio in un’enorme matrioska.

Basti dire che un decreto di spesa del MIUR (che è uno dei ministeri più “trasparenti”) impiega dai 2,5 ai 5-6 anni per essere speso (pervenuto come servizio al cittadino), rendicontato, monitorato.
E’ un sistema che crea debito “di per se” che la Francia, democratica e di sinistra, riesce a contenere solo a prezzo di una diffusa tecnocrazia e di un mastodontico corpo ispettivo.

Mi chiedo perchè un tecnico della levatura di Mario Monti, noto per il suo pragmatismo e per la sua indipendenza da dogmi e scuole di pensiero, non  abbia già annunciato l’esigenza di un limitato staff tecnico, proveniente dai servizi e non solo dalle accademie, che produca i testi delle riforme, mentre i ministeri amministrano ed il parlamento vaglia ed emenda (si spera poco).

Una governance da manuale, “tale e quale” a quella che uscì dalla prima riunione nella Sala della Pallacorda, come riporta Tocqueville. In gergo ingegneristico, un “rebirth”, invece che un “default”.
Bella parola vero?

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Lacrime e sangue? Si, grazie

15 Nov

A 48 ore circa dall’investitura di Mario Monti, ancora non si vedono risultati e neanche promesse, proposte e prospettive.

Anzi, dai nomi circolati per il Totoministri alla Roadmap delle riforme da farsi, regna l’incertezza più assoluta.

Eppure, era ben prevedibile che i cittadini avrebbero diffidato di una geronto-tecnocrazia, che il Parlamento fosse lo stesso di quelo che ci ha rovinati a tal modo, che i Sindacati non volessero sentir parlare di almeno un terzo delle cose che sarebbero da farsi, che l’attuale classe dirigente sarebbe capace di mandare in malora anche un rigo di leggina.

Come anche, ci si aspettava che, con una situazione così sedimentata, i “salvatori dell’Italia” avessero non solo le idee chiare, ma anche un piano, un progetto, un programma.

Per ora nulla e non a caso mercati e cancellerie dubitano e traballano.

Intanto, Mario Monti continua a “parlare chiaro” senza soddisfare nessuno: «Appoggio dei partiti o rinuncio. L’orizzonte è il 2013: sacrifici sì, mai parlato di lacrime e sangue».

Che senza l’appoggio delle segreterie di partito non si andasse da nessuna parte era scritto nelle cose e nei fatti: forse andava precisato subito, cercando nel popolo esausto l’unica garanzia che possa arrivare ad un governo tecnico.
Quanto alle “lacrime e sangue”, è davvero sicuro il Presidente del Consiglio in fieri che non sia proprio questo che vogliono sentire i cittadini “indignati”?

Dunque, c’è un solo dubbio che attanaglia mercati e cancellerie: Mario Monti, galantuomo e finissimo manager, ha anche le qualità che servono per governare “a furor di popolo” e “nonostante la Casta”?
Probabilmente si, ma faccia presto a dimostrarlo.

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Monti: le anticipazioni sul programma

13 Nov

Chi segue da tempo il Presidente Giorgio Napolitano si è già accorto del suo mettere le mani avanti, appellandosi alla “coesione sociale”, vista la piega che sta prendendo la nomination dell’esecutivo Monti fino al 2013. Coesione sociale sta per “coesione generazionale”, naturalmente, non c’è bisogno di dircelo.

Del resto, l’esordio di Mario Monti non è stato certamente dei migliori: “La crescita necessita di riforme strutturali per togliere i privilegi di quasi tutte le categorie sociali”. Privilegi di quasi tutte le categorie sociali? Si provi a chiederlo ai milioni di lavoratori dipendenti italiani nati dopo il 1950 …

Ed a conferma di cosa stia per capitarci tra capo e collo, ecco le anticipazioni dell’ANSA.

“Quanto alle pensioni, l’approccio potrà essere ‘laico’. Perché se l’innalzamento dell’età è un processo in corso, e forse potrà essere accelerato andando a toccare soprattutto l’anzianità.” Bella equità, quella di costringere la “solita” generazione degli Anni ’80 a lavorare per 45 o 50 anni, solo perchè le pensioni d’annata non si toccano e per i giovani non si vogliono certezze.

“Avanti tutta su liberalizzazioni, privatizzazioni e piano di dismissioni.” Una bella svendita di Finmeccanica ed Eni, proprio quello che ci serve.

“Bandita qualsiasi idea di condono o sanatoria, l’obiettivo sul piano fiscale potrebbe essere un alleggerimento della pressione su lavoratori e imprese, compensata da un intervento sui grandi patrimoni, da una reintroduzione dell’Ici, come più volte suggerito dalla Banca d’Italia, e da una stretta sull’evasione.” Reintrodurre l’Ici sulle prime case significa prelevare soldi, e relaltivamente tanti, dalle tasche dei lavoratori, magari mentre stanno ancora pagando un mutuo lievitato d’interessi … che alleggerimento, perdinci! E che dire della “stretta sull’evasione”, ovvero lotta alla corruzione, alla falsa fatturazione ed al riciclaggio delle mafie … ci credete voi?

“Una squadra che avrà scelto personalmente, nome per nome, andando a pescare nelle eccellenze accademiche e fra le personalità autorevoli che il Paese, da sempre, è capace di esprimere.”  Tecnocrati e “da sempre” …

“E’ prevedibile che i licenziamenti facili, intesi come attacco all’articolo 18, escano dal menu delle priorità, è altrettanto probabile che comunque si cerchi una soluzione.” Probabile, comunque, si cerchi, soluzione … traduzione: non faranno nulla, i diktat dei sindacati non sono discutibili …

Ricordate quei disastrosissimi programmi del WTO, attenti solo a non mutare gli equilibri ed a mantenere parametri fissati altrove? Non vorrei che dalla padella fossimo caduti nella brace.

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Monti: un governo che nasce vecchio

13 Nov

Arriva il Governo Monti e, se queste sono le premesse, difficilmente potrà andare bene, trascorse le prime “risistemazioni” che logica, mercati ed Europa ci chiedono.
Tecnocrati e, per giunta, in larga parte nati prima del 1950: non è da questo fronte che potranno arrivare le riforme di cui ha bisogno l’Italia.

Una geronto-tecno-crazia, speriamo non siano anche “clepto” come quelli di prima …

Si achiaro che questo blog è da oltre un anno favorevole alla soluzione tecnica e la fiducia in Monti è di vecchia data, ma, certamente, non ne verremo fuori con gli arzilli vecchietti che non hanno permesso, in 30 e passa anni, che uno solo dei loro allievi di un tempo potesse emergere e dire la sua.

Obama ha fiducia nella “nuova Italia”, ma, come sanno tutti, Mr President non ne sa granchè di esteri e di politica internazionale.

Per dubitare, basterebbe far caso all’età anagrafica del nascente Governo Monti, che conferma come in Italia i nati dopo il 1950 non debbano mai avere voce in capitolo.

Forse perchè avulsi dallo spirito di fazione che, da sempre, ha animato i nostri arzilli vecchietti. O, forse, semplicemente perchè eravamo portatori di un mondo più semplice e più equo. Oppure, semplicemente perchè, con la gerontocrazia che domina questo paese, i migliori cinquantenni italiani vivano all’estero oppure si siano ritirati in buon ordine.

Non convince proprio questa scelta geronto-tecnocratica anche per il motivo che, per manovrare l’Italia in questo cul de sac, servirebbero meno guru internazionali e più tenici provenienti dai servizi al cittadino, che hanno il polso dela situazione a prescindere dai numeri e dalla bontà dei monitoraggi.

Al di là della faciloneria con cui gli USA e media stanno affrontando la questione, è, però, un altro il motivo che dovrebbe renderci cauti verso la “disinstallazione” di Berlusconi e “l’implementazione” di Monti: non ci sarà il tempo per rimuovere gli attuali e disastrosissimi direttori generali e dirigenti apicali (non tanti, 2-3.000 persone al massimo), frutto di una selezione ventennale fondata sul populismo e sul pressapochismo, oltre che sulla cooptazione.

Infatti, Mario Monti, anche a causa dell’età del suo governo, arriva senza una squadra di dirigenti tecnici (ne basterebbero poco più di un centinaio) e, prevedibilmente, dovrà surrogarli con esperti provenienti dalle Università o dagli apparati europei.

Facile immaginarne il successo …

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Il crollo

9 Nov

Ormai è fatta: Berlusconi è sfiduciato, mentre BTP e Borsa crollano.
Fatta? No, è solo l’inizio che arriva dopo una fine.

Si conclude l’esperienza repubblicana italiana per quello che è stata dal Dopoguerra ad oggi: un’Italia che ha sempre rinnovato il “vecchio” e mai innovato per il “nuovo”.
Un paese che non ha ancora superato le Guarentigie e la Questione Meridionale, nè mai ha rinuciato all’architettura mussoliniana dello Stato, delle Regioni, dei Sindacati, degli Enti.

Una nazione che mai ha superato il duopolio democristiano e comunista, rinominandolo “bipolarismo”, nè ha mai rinunciato alla propria elefantiaca pubblica amministrazione.

Un mondo a parte, dove le sentenze son sempre tardive e dove non ci sono premi od incentivi, ma solo sussidi. Tanto altro ancora se ne potrebbe dire, in fatto di vetustità e furbizia; basti sapere che è così che ci vedono nel mondo e che, per questi misfatti, Berlusconi ha poco a che vedere.

Una delle domande che, da oggi, possiamo, finalmente e doverosamente, porci è se questa situazione poteva essere prevista.

Possiamo iniziare a chiederci non solo se Berlusconi, Tremonti e Bossi (nel 2009), ma anche Prodi, Padoa Schioppa e Visco (nel 2007) avrebbero potuto prevedere questa situazione.
La risposta, terribile, è che avrebbero potuto farlo e che enormi sono le responsabilità di chi ha guidato l’Italia negli ultimi cinque anni.

Infatti, già nel 2006 sapevamo che quest’anno sarebbero andati in scadenza buoni per un valore assai prossimo alla metà del nostro PIL , già sapevamo che i subPrime traballavano, che la Crisi era iniziata e che la Cina era ormai dominante su tutti i mercati.

Cosa fece il Governo Prodi? Incrementò la stretta fiscale, contrasse nuovi debiti, si impegnò in maggiori spese, come se il futuro fosse, non dico roseo, ma almeno alla pari del passato.
E cosa ha fatto il Governo Berlusconi? Ha incrementato la stretta fiscale, ha contratto nuovi debiti, impegnandosi in maggiori spese, negando addirittura che la crisi esistesse e confidando nella tecnocrazia all’amatriciana e nel federalismo in salsa padana.

I primi promisero un tesoretto che era pura follia ed aumentarono le spese della PA (che era pura follia), i secondi ancor di più: il Paese del Bengodi, più lavoro, meno tasse, più sicurezza, più tutto … sappiamo come è andata.

Un problema non tanto di latrocinio, quanto di approccio ideologico: nel primo caso “perchè anche i ricchi devono piangere”, nel secondo “perchè la colpa è tutta dei romani e dei meridionali”. Non è un caso che proprio Lega e Partito Democratico siano i due partiti meno disponibili (oltre ai Berluscones ovviamente) a sostenere un governo di unità nazionale, che intervenga con la rapidità che il mondo ci chiede.

Due partiti, Lega e Partito Democratico, che adesso vorrebbero sopperire alla mancanza di idee il dar la colpa “alle banche” od “all’Europa”, come se gli sprechi ed il conseguente deficit avessero cause esterne all’Italia.

L’Italia è un paese ricco e gli italiani sono famosi anche per la loro operosità: se oggi siamo al crollo, nessuno tra chi ha governato negli ultimi 5-10 anni può dirsi esente, ma, soprattutto, dovrebbero essere proprio i tre partiti egemoni (PdL, Lega e PD) a rinnovare le proprie dirigenze con immediatezza.

Questo sarebbe il segnale che dovremmo dare, prima ancora che votare un Patto di Stabilità, “licenziare” Berlusconi, mettere in campo un governo di unità nazionale od andare alle elezioni anticipate.
Senza tutto questo le nostre promesse valgono quanto valgono: meno di un soldo bucato secondo i mercati.

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La manovra aggiuntiva e le bugie dei giornali

9 Nov

I giornali di stamane esordiscono tutti (o quasi) annunciando che l’Unione Europea chiede “misure aggiuntive”, pubblicando sia la lettera del Commissario Olli Rehn (link) sia il questionario allegato (link).

A ben leggere, nella lettera troviamo una “richiesta di ulteriori chiarimenti”, in particolare riguardo “un piano di azione concreta”, fissando il termine della richiesta per il prossimo 11 novembre. Nulla di più.

Inoltre, il questionario allegato non chiede altro che indicare, per ciascun provvedimento “promesso” dall’Italia, se sia già stato varato e se ci sono stati progressi e/o quali saranno i tempi necessari, se è un nuovo provvedimento e quale sarà il piano d’azione concreto. A seguire, una lista delle tante riforme e dei molti interventi che sottintendono alle lettera d’intenti e che, comunque, sono stati ventilati dal Governo nel corso di questi ultimi tre mesi.

L’unico accenno a “nuove misure” è in relazione  alla Legge di Stabilità ed agli emendamenti che il Parlamento italiano stesso introdurrà nel corso dell’approvazione.

Andando a leggere i quesiti, infine, si può notare come essi siano rivolti al governo italiano, certamente, ma le problematiche che chiedono di dettagliare sono dell’Italia e non solo questo governo o parlamento, ma anche altri a venire, dovranno porre rimedio ad un disastro accumulatosi nell’arco di questo ventennio.

Si va dalle aziende di Stato al sistema previdenziale, dal rilancio dell’istruzione alla semplificazione dei contratti di lavoro, dall’efficienza della Giustizia alla mobilità per il Pubblico Impiego, dalle politiche aereoportuali al pareggio di bilancio, dalla riduzione del numero dei membri del Parlamento al miglioramento dell’intero iter decisionale, dalle class action contro la PA alle misure concrete per promuovere l’occupazione dei giovani e l’occupazione femminile.

Non sono misure aggiuntive: sono le riforme che ci avevano promesso nel 1996, quando nacque la Seconda Repubblica, e che sono ancora da farsi. Riforme che non si risolvono con “più innovazione tecnologica” o “più equità sociale”, ma che richiedono grandi cambiamenti, tagli incisivi, premialità assicurate, snellimento generalizzato, rilancio ed investimenti. E la “sfida”, ricordiamolo ancora, non è per questo governo, ma per quello che verrà.

Di cosa parlino gli “esperti” nei talk show è davvero tutto da capire …

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Bossi lascia Silvio: gatta ci cova

8 Nov

Piove, anzi diluvia, e la colpa è, come dovuto, del “governo ladro”. Su questo non c’è dubbio alcuno, anche se, come ci hanno dimostrato gli ultimi eventi, l’opposizione di centrosinistra ha le sue non infime responsabilità.

Quello che, però, non è chiaro, mentre Bossi si aggrappa all’attuale maggioranza “nel nome di Angelino Alfano”, è se le responsabilità di questo disastro siano da ascrivere al PdL od alla Lega od a tutti e due.

Certamente va attribuito a Berlusconi ed ai Berluscones, tra cui Alfano, il tempo sprecato per approvare leggi ad personam, non di rado incostituzionali, ma, per la restante parte del disastro, gli attori “protagonisti” sono Tremonti, Bossi e Calderoli.

Il primo, il ministro dell’economie e delle finanze, ha tartassato il paese di tasse, imponendo tagli lineari ai servizi pubblici e bloccando i fondi degli Enti Locali: economie troppe, finanza zero, potere assoluto.

Nessuna progettualità “in avanti” da parte di Giulio Tremonti, ma non solo per colpe sue: la “propositività”, in materia di finanza e riforme, doveva consistere nel mirabolante “federalismo fiscale” di Umberto Bossi e del fido Calderoli, floppato come ben sappiamo per l’inattendibilità di conti e scenari, oltre che potenzialmente dannoso al paese ed agli italiani.

Dunque, se non è proponibile un governo di unità nazionale guidato da Berlusconi (od Alfano), non può esserlo neanche uno con la Lega: sarebbe un ribaltone.

Ecco perchè Umberto Bossi, dopo aver tuonato, per mesi ed anni, sulla “amicizia con Silvio” e la “imprescinbilità dalla Lega”, si ritrova oggi a tentare il salvataggio in extremis di un governo che non c’è, piuttosto che annunciare il sostegno esterno al governo di unità nazionale.

Perchè Bossi imbocca questa strada senza uscite?

Perchè non ha alternative, ma soprattutto perchè la Lega non può altro che puntare sulle elezioni anticipate, nella speranza di avvantaggiarsi nei consensi puntando sul malcontento e sull’instabilità.

Elezioni anticipate e, forse inutili o perniciose, visto che, con questa legge elettorale, potrebbero finire con una maggioranza senza programma, mentre i mercati ed il mondo ci chiedono stabilità.

Un partito responsabile e, soprattutto, “italiano” farebbe altrimenti.

Non è solo Berlusconi che deve farsi da parte, ma anche chi, come Bossi (o Tremonti, Brunetta, Gelmini, ecc.) ha messo il proprio sugello su queste brutte ed indimenticabili pagine di Storia italiana.

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The Italian Countdown

7 Nov

Un conto alla rovescia spasmodico, quello che sta travagliando l’Italia, questa la principale causa delle speculazioni e delle turbolenze che stanno colpendo le Borse.

Un conto che si è protratto e si protrae a causa del fatto che non c’è una maggioranza alternativa al PdL, visto che Partito Democratico e Italia dei Valori non intendevano (e forse non intendono) allearsi con Fini e Casini.

Un countdown, iniziato quasi 20 anni fa, che avrebbe dovuto fermarsi da un anno almeno, quando Fini e FLi uscirono dalla maggioranza, proprio a causa dell’assenza di misure coerenti ed efficaci contro la Crisi da parte di Tremonti, Berlusconi e Bossi.

Un rovescio, come fosse una disfatta, che continuerà anche oltre la caduta di Berlusconi, se il Partito Democratico non abbandonerà i “compagni di lotta” e non cercherà “i colleghi di governo”, con l’intenzione, per l’appunto, di governare.

Infatti, non sembra che la Sinistra (italiana ed europea) abbia capito quali siano le cause dell’instabilità dell’Euro e dell’inaffidabilità italiana.

L’Euro non può più continuare ad esistere come mera “valuta di mercato”, deve necessariamente iniziare ad avere una propria “riserva” (lingotti o fondi fa lo stesso), che lo tenga al riparo da speculazioni e che permetta di avere maggior forza e peso nelle dinamiche tra yuan e dollaro.
Tra i motivi che intervengono a determinare questa contingenza, c’è il rapporto tra debito, PIL e deficit dei singoli stati, che per l’Italia è strabordante rispetto a 10 anni fa e che è cosa molto diversa dall’indebitamento delle famiglie o dell’intero paese, visto che parliamo di valuta.

Venendo all’Italia, ricordiamo tutti che è tra i paesi che maggiormente hanno superato il “livello di guardia” e, soprattutto, è quello che da anni presenta conti e scenari diversi che puntualmente non vengono confermati nei rendiconti e nelle previsioni dell’anno successivo.

Dunque, se c’è sfiducia, le responsabilità non sono del solo Silvio Berlusconi, anche se enormi, ma di un intero apparato pubblico di monitoraggio e governance di cui il MEF è il terminale.

I motivi per cui si sia andati “oltre il limite” sono anch’essi evidenti, almeno agli occhi degli stranieri:

  • l’incapacità di valorizzare l’agricoltura, rendendola competitiva e produttiva, mentre oggi, tra un sussidio ed uno sgravio, rappresenta meno del 4% del PIL italiano e non riusciamo nè a consolidare i marchi esistenti nè a lanciarne di nuovi;
  • una frammentazione ed una cristallizzazione delle imprese, spesos cooperative od a conduzione familiare, che ostacola l’abbattimento dei costi al consumo e la crescita dei marchi;
  • l’assenza di strumenti contrattuali atti a ridurre la rigidità del mercato del lavoro, specie in termini di occupazione, visto che dopo 30 anni siamo ancora come negli Anni ’70, con gli “occupati”, i “cassaintegrati”, i “disoccupati”, i “giovani in cerca di primo lavoro”, le “donne”;
  • l’inadeguatezza del “sistema giustizia”, che, grazie alla propria lentezza, è riuscito a mandare in prescrizione le colpe di quasi due generazioni politiche italiane;
  • la corruzione (intesa come degrado) delle norme diffusa e generalizzata – e come mai potrebbe non essere se abbiamo quasi 50.000 leggi – mentre la comunicazione pubblica è semplificata a par conditio, talk show e “30 secondi per”;
  • un sistema previdenziale che avvantaggia, disastrosamente e smaccatamente, le generazioni nate prima degli Anni ’50 e che non consente alcuna flessibilità
  • la superfetazione di enti pubblici, spesso consistenti in un ben foraggiato CdA, qualche ufficio di lusso in affitto e pochi soldi “veri” da spendere;
  • l’onnipresenza nelle imprese del MEF, come proprietario, come gestore, come azionista, come controllore, come esattore, eccetera.

Questi sono i nodi da sciogliere, noi italiani abbiamo più di un problema da risolvere al di là della caduta di Silvio Berlusconi e non è dai banchi del PdL che dovranno arrivare i voti necessari a fermare il countdown italiano.

Le prospettive? Difficile a dirsi.

E’ possibile che il Partito Democratico si ritrovi a non voler scegliere se essere leale verso “i compagni di lotta” o verso “i colleghi di governo” , pur di salvaguardare il proprio patrimonio immobiliare, l’appoggio della CGIL, la propria presenza nei CdA ed il consenso di tanti pensionati.

E’ altrettanto probabile, però, che il PD, in queste condizioni, non potrà altro che danneggiare se stesso e l’Italia, specialmente se tenterà, come sembra, di giocare la carta delle elezioni anticipate, magari vincendole senza un programma di riforme e sotto ricatto degli alleati.

L’unica cosa certa è che un altro anno di countdown non possiamo permettercelo e che sono ormai superati i tempi del governo tecnico e del “voto subito”.

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PD e la Crisi: niente proposte, niente programma?

6 Nov

C’era una certa attesa per la manifestazione del PD a Roma, tenutasi ieri. L’attesa era dovuta al fatto che, seppur convocata tempo addietro, la convention va a cadere proprio nel fine settimana in cui poteri forti e meno forti stanno verificando quali margini di “ragionevolezza” ci siano tra noi italiani.

Sicuramente, è rimasto deluso chi si aspettava che Bersani portasse delle proposte, non dico un programma, per attuare gli interventi che l’Europa ha recepito nella “lettera d’intenti”.

Troppe frasi di giornata. Dal “situazione drammatica, Berlusconi deve andare a casa” al “riportare l’Italia alla sua dignità, al suo buon nome”: un po’ come dire che “dopo l’autunno c’è l’inverno e dopo l’inverno c’è la primavera e che dovrà ritornare l’estate”.
Un palco che Bersani condivide con le “grandi forze del progressismo europeo” (i socialisti francesi e tedeschi, ad oggi fortemente calanti), per “rilanciare il sogno di un’Europa sovrana”, non affrancandosi dalla Cina Popolare o dalla Russia postcomunista, per non parlare degli Stati Uniti d’America, bensì radicalizzando un conflitto interno, perchè “la malattia è l’Europa delle Destre, l’Europa della Merkel e Sarkozy” e “se ognuno si occupa solo di casa sua vincono le destre”.

Peccato che il problema corrente consista nel fatto che, grazie alla corruzione dilagante, non in tutti gli stati accada che “ognuno si occupi almeno di casa sua”, come Italia e Grecia dimostrano.

La ricetta di Bersani? “Un solo modo per evitare le Crisi: crescere un po’ tutti”. Bella idea, infatti, visto come sono andate per 60 anni le cose da noi, adesso vogliono crescere … gli altri.

Se il discorso di Bersani è stato deludente, visto che era quello il momento in cui un’Opposizione forte e consapevole va a sottoporre al Paese ed al Mondo una visione diversa ma concreta di come uscire dall’empasse, è andata peggio con gli altri leader italiani presenti.

Franceschini: “La spallata la stanno dando gli italiani”, mica le opposizioni.
Camusso: “La Cgil è da tre anni in piazza per un’altra politica perciò guarda con attenzione a chi propone un’altra politica”, che sappiamo tutti consistere in più tasse, più aumenti salariali, più cassa integrazione.
Di Pietro: “Dare una risposta per la quadratura dei bilanci, ma non ad intervenire sui punti che ci chiedono le banche europee, a cominciare dalla BCE, ma intervenendo su quel 10% che pur possedendo il 60% della ricchezza italiana finora non hanno pagato il dovuto”, come se bastasse una patrimoniale per evitare le riforme del lavoro e della sistema pubblico (aziende, sindacati e partiti inclusi), che attendono ormai dagli Anni ’70, se non, addirittura, dalla fine del Fascismo.

Eppure, Bersani ci dice che sono “pronti a fare la propria parte”, “pronti a governare”.

E il Programma?

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