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Il fallimento di Obamacare (e della Sanità all’italiana)

23 Gen

Obamacare è il progetto di riforma sanitaria che Donald Trump intende riformare in tutta fretta.

Perchè?  Perchè il tentativo di Barak Obama ed i suoi fallimenti dovrebbero e potrebbero far rifletterTe le pubbliche amministrazioni di mezzo mondo.

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Innanzitutto, per buona parte degli statunitensi il sistema assicurativo privatistico regge, va bene, vogliono continuare così, è migliore e più tutelato di quello pubblico. Obiezioni che arrivano sia dai ‘soliti’ Repubblicani sia da non pochi Democratas e soprattutto da sindacati e associazioni, come è ben sintetizzato in un articolo di “L’indipendensa – Quotidiano Online’.

“Come molte cose che sembrano nuove, l’Obamacare è per molti versi vino vecchio in bottiglie nuove. Ad esempio, quando si confronta con il fatto che a seguito dell’ Obamacare milioni di americani rischiano di perdere la loro assicurazione medica esistente, i difensori dell’Obamacare affermano che questo è vero solo quando queste persone hanno una “scadente” assicurazione.
Chi decide cosa è “scadente”? Cosa c’è di più vecchio dell’idea che alcune élite esaltate sappiano cosa è bene e meglio per noi stessi più di noi medesimi?
Persone diverse hanno rischi diversi e diversa propensione nel prendersi cura dei loro rischi, invece di pagare per trasferirli ad una compagnia di assicurazioni. Ma i politici di turno nello Stato ad ogni tornata hanno definito quello che deve essere coperto da assicurazione, indipendentemente da ciò che gli assicurati e le compagnie di assicurazione potrebbero concordare se lasciati liberi di fare le proprie scelte.”

Inoltre, come stanno denunciando da anni – con scioperi e sit in contro Obama – gli operatori del sistema sanitario ‘pubblico’ statunitense (Medicare e Medicaid), gli interventi degli spin doctors di Obama per ‘migliorare la qualità’ consistevano nella minore spesa governativa per la sanità di circa 500 miliardi di Euro. Oggi sono stati chiusi tanti centri di cura, ma la spesa è aumentata.

Quanto alle cure essenziali, nel 2003 con G.W. Bush alla Casa Bianca, il servizio sanitario nazionale copriva in media il 17,7% delle spese totali, mentre il Medicare era già finanziato con un  contributo federale del 60% e la restante parte in capo ai singoli stati.
Il sospetto diffuso tra molti statunitensi è che la lobby dei sanitari (e dei loro amministratori ‘pubblici’) non offra più sufficienti garanzie di trasparenza o deontologia e, dunque, preferisca operare autonomamente, piuttosto che sottoporsi ai controlli di qualità richiesti dalle compagnie asscuratrici.

Ne parlava l’editoriale di Ezra Klein, columnist del “Washington Post”, ex blogger ‘radicale’, segnalando la “perdita di credibilità con i democratici al Congresso e con chiunque altro” riguardo l’approvazione di una “legge basandosi su promesse che non potevano mantenere. Hanno clamorosamente pasticciato nell’implementazione. E ora sembra che persino le modifiche al sito Healthcare.gov non saranno effettuati entro la deadline che loro stessi avevano predeterminato. I democratici al Congresso si sentono ingannati.”

Ma la pecca maggiore dell’Obamacare è che ha tentato di sovrapporsi al Medicaid  amministrato dai singoli stati (e garantito anche agli immigrati con regolare permesso), così evitando di intervenire politicamente riguardo i diversi criteri di reddito, età, invalidità per accedere al servizio d’assistenza,  senza sufficienti standard e controlli, che esistono tra i vari stati dell’Unione. Cioè, proprio quello che Donald Trump afferma di voler fare.
Senza parlare del fatto che gran parte delle persone coperte dall’Obamacare sono giovani, spesso con un lavoro autonomo, che preferiscono non pagarsi la previdenza e l’assistenza … poi, si vedrà …

Tutto questo spiega ampiamente l’insuccesso della riforma e la diffidenza dei cittadini statunitensi visto che staremmo parlando di assistenzialismo puro, oltre che di calo qualitativo della sanità in generale e di strapotere della Sanità pubblica nella scala del consenso politico.

Non dimentichiamo che, già prima di Obama, solo il Governo Federale USA spendeva circa il 4% del Prodotto Interno Lordo e un ulteriore 2% arrivava da singoli stati e contee. Un 6% totale del PIL non lontano da quel 7% che l’Italia spende in assistenza sanitaria per i suoi cittadini.

Con una sola differenza: gli USA – già prima di Obama – spendevano il 6% del PIL per curare il 15-20% dei propri cittadini, privi di assicurazione, l’Italia spende praticamente lo stesso, in percentuale, ma per tutti gli italiani, che assommano più o meno al 20% degli statunitensi.

E con la differenza che con quel che gli italiani spendono di tasca propria per la salute – tra ticket, diagnostica, specialisti e ricoveri privati, maggiore carico fiscale di accise, Irpef e Iva senza contare le assicurazioni – avremmo (quasi) tutti un’assistenza a quattro stelle.

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Obamacare decolla con 7 milioni di iscritti. Se la Sanità è un diritto inalienabile, ne mancano ancora 25 alla conta …

2 Apr

La Repubblica di oggi titola: “Vittoria di Obama, oltre sette milioni di iscritti alla sua riforma sanitaria”.
La sanità è un diritto inalienabile di tutti, senza distinzioni di reddito, questo il principio su cui, secondo i suoi promotori, su cui si fonda il Patient Protection and Affordable Care Act (PPACA), comunemente detto Affordable Care Act (ACA) od “Obamacare”.

In realtà, lo scopo della normativa è quello di ridurre il numero dei residenti non assicurati da 32 milioni a 23 milioni entro il 2019.
Resteranno senza assicurazione :

  1. circa 8 milioni di immigrati lavoratori e ‘residenti’, ma clandestini in vece che frontalieri;
  2. circa 7 milioni di residenti ineleggibili per le sovvenzioni di assicurazione o il Medicaid e quelli non iscritti a Medicaid , pur essendo ammissibili;
  3. quelli che preferiranno pagare una sanzione annuale (sic!), piuttosto che versare il contributo richiesto per l’Obamacare e quelli a cui la copertura assicurativa costerebbe oltre l’8 % del reddito familiare e sono esentati dal pagamento della sanzione annuale;
  4. i cittadini che vivono in stati che scelgono di non applicare l’espansione di Medicaid e che non si qualificano per la copertura di Medicaid esistente né la copertura sovvenzionata attraverso nuovi scambi di assicurazione degli Stati.

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Dunque, all’obiettivo dei nove milioni entro il 2019 mancano ancora 2 milioni di assicurati e 3 anni di lavoro, durante i quali potrebbe sia aumentare il numero di coloro che preferiscono pagare una sanzione sia, come probabile, non realizzarsi un network di scambi, di accreditamenti e di sovvenzioni tra i tanti Stati che compongono gli USA.
In effetti, lo scopo dell’Obamacare non è solo quello di migliorare la qualità della vita – cosa possibile anche estendendo i sistemi pubblici di Medicare e Medicaid, ssenza scomodare Congresso ed opinione pubblica per cinque anni – ma soprattutto di porre fine alla interminabile sequel di bancarotte nel sistema sanitario, che sono la principale causa di fallimento in America, come confermava nel 2009 The American Journal of Medicine.
L’ipotesi dei redattori del Affordable Care Act è che l’espansione della copertura aiuterebbe a garantire i controlli sui costi sanitari e sui rischi assicurativi.

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Estendere i ‘diritti’ in modo che diventi una ‘tassa fissa’ per ogni contribuente, da elevare di anno in anno a seconda dai costi sanitari e dei rischi assicurativi … fuori controllo come in Italia, dove la metà del paese paga un’Irperf addirittura magggiorata per avere servizi molto al di sotto delle altre regioni?
E lasciando comunque il 10% dei residenti in USA senza alcuna copertura sanitaria, neanche il pronto soccorso.

Forse, i nostri quotidiani dovrebbero informarci anche del punto di vista dei tanti che, in USA, sono critici, scettici se non preoccupati per una riforma sanitaria che istituisce un sistema sanitario ‘basic’ davvero molto simile al Servizio Sanitario Nazionale e Regionale italiano, specie se l’Obamacare dovesse fagocitare, prima o poi, i servizi preesistenti di Medicare (anziani) e Medicaid (fasce svantaggiate), che servono da decenni circa un terzo dei residenti.

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Non a caso il timore principale di chi già oggi ha una copertura assicurativa correlata ad un lavoro di livello medio basso è che i tempi di attesa per visite e controlli e le tasse aumenteranno, mentre i bilanci delle aziende sanitarie e la qualità professionale dei medici andanno a picco …

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Crimea, Ucraina, Kazakistan, Siria, petrolio, gas, Heimat, dominio dei mari e altro ancora

31 Mar

Se qualcuno volesse scrivere la sceneggiatura o delineare uno scenario internazionale di quanto sta accadendo tra Stati Uniti, Germania e Russia via Ucraina-Siria-Crimea, ce ne sarebbe abbastanza per un ottimo polpettone cinematografico stile Spy Stories ambientate durante la Guerra Fredda.

Iniziamo dalla scacchiera.

Il progressivo incremento dei trasporti via mare va di pari passo con le piraterie, i porti franchi e le micronazioni dalle tante pretese. La flotta russa, oltre ad essere più moderna di quella USA in fatto di portaerei, è pressochè inutilizzata e confinata nei mari freddi del Baltico e dell’Artico. La superiorità della tecnologia militare russa è notoria anche a livello di aviazione (Sukoi – Mig), di ‘artiglieria’ leggera (sistemi razzo russi e iraniani) e di armi leggere (Kalashnikov). E, quanto alle guerre in Afganistan, possiamo prendere atto che i soldati russi si dimostrarono ben più coriacei dei cow boys yankees odierni.

Il Climate Change prefigura un notevole incremento delle terre coltivabili a disposizione delle repubbliche ex sovietiche, Russia inclusa. Niente di fantascientifico. E’ già accaduto 3-4.000 anni prima di Cristo e dal 600 d.C a seguire che le popolazioni scandinave, grazie al disgelo, siano cresciute demograficamente ed abbiano dovuto espandere i propri territori. Inoltre, il dopo Fukushima rende ancor più interessante l’uso del gas naturale come fonte energetica. Questo gas, per motivi geografici, deve passare attraverso l’Ucraina o il mare al largo della Polonia, che sono ambedue, ormai, delle colonie della Deutsche Bank e della Goldman&Sachs. Una discreta quantità del gas ‘russo’ proviene dalla repubblica kazaka, dove vivono e governano gli ultimi discendenti di quella che alcuni considerano la ‘dodicesima tribù di Israele’, i Cazàri.

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Israele, a sua volta, non sembra essere per nulla infastidito nè dalle guerre – prima irakena, oggi siriana, per non parlare della caotica rivoluzione egiziana – nè dall’iperattivismo saudita in Medio Oriente. E, d’altra parte, mandare in tilt Damasco è il mezzo migliore per evitare che si ricomponga l’ultimo califfato mancante al mosaico, ovvero la riunione di Libano, Siria, Giordania e Iraq. Qualcosa di inimmaginabile negli anni ruggenti del sionismo, ma altrettanto realistica se Erdogan (ri)vince alla grande le elezioni.
E i ‘nemici’ di Israele sono noti da decenni: Russia, Iran e, guarda caso, Siria. Come lo sono gli ‘amici’: Stati Uniti e, guarda caso, Germania e Arabia Saudita.

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Dunque, esiste la probabilità che qualche potente kazako e qualche suo lontano cugino di New York o di Tel Aviv non vedano di buon occhio l’aggiramento dell’Ucraina e della Germania con gli oleodotti e i gasdotti del South Stream attraverso il Mar Nero. Tutto legittimo, come potrebbe esserlo, viceversa, l’idea russa di risolvere a pie’ pari il ‘problema ceceno’, che ha finora bloccato la realizzazione dell’autostrada energetica, riprendendosi la Repubblica di Crimea, regalata da Krushev all’Ucraina e da questa inglobata, che si trova abbastanza a nord per poter abbandonare la Cecenia al proprio destino di area tribale.

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Per completare la scacchiera, ricordiamo che l’Italia si  approvvigiona di gas tramite la Tunisia e potrebbe infischiarsene, come gli stati europei del Nord Europa che utilizzano il North Stream, come anche ha forti interessi (tramite ENI) in Kazakistan e, dunque, la ‘cresta’ che gli ucraini fanno sul gasodotto  principale non può farci gioire. Come non gioiscono – di sicuro – nè i bulgari, nè i serbi, nè i turchi, nè gli albanesi e neanche i molisani, che dalla messa in opera del South Stream potrebbero ottenere l’energia e l’upgrade necessari per lo sviluppo.
L’Italia è anche il paese al quale fu demandato di provvedere alla costruzione di caccia F35, in quantità non inferiore a 100 come sembra, che prima o poi saranno usati per fare la guerra da qualche parte.
E, se il Kazakistan vi ha portato alla mente il caso Shalabayeva-Bonino, mettiamo anche in conto che neanche 12 ore dopo le rassicurazioni di Obama a Renzi sul caso dei marò in India, il governo indiano ha dichiarato illegittimo l’uso delle leggi antiterrorismo a carico dei nostri militari, aprendo un’inchiesta.
Meglio incassare, si sarà detto Matteo Renzi, piuttosto che un nuovo caso Mattei … tanto sarà difficile scalzare ENI dalle repubbliche ex sovietiche e … dalla Turchia.

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Il tutto mentre, prima o poi, la Gran Bretagna si troverà – per la prima volta in 200 anni con un re giovane e, dopo tanti secoli, con un principe cadetto scalpitante. E mentre la Scozia potrebbe diventare una repubblica, incassando molto del petrolio del Mare del Nord, Londra sta cercando in ogni modo di ottenere il controllo dei ricchi pozzi delle Falkland – Malvinas, al largo dell’Argentina.
I francesi hanno i loro problemi, con una sinistra che ormai è andata ad aggiungersi ai lauti banchetti (e qualche scampagnata extraconiugale) dell’alta borghesia affermatasi nell’Ottocento.
Quanto alla Germania, c’è poco da dire: nel momento in cui è arrivata (anni fa) a dotarsi di una corolla di stati satellite (Olanda, Lussemburgo, Polonia, Ucraina, Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Triveneto …), grazie al potere delle proprie banche e alla forza delle proprie istituzioni, i suoi confini coincidono con quelli della Heimat.

Obama?
Possibile che gli USA siano talmente alla canna del gas – tra complesso industrial-militar-finanziario e un melting pot che funziona in parte – da dover trasformarsi nel braccio (armato) degli interessi di Germania e Israele?
Dov’è l’afflato di Carter e di Clinton che riuscirono a costruire e sugellare l’armistizio ancora corrente, seppur instabile, tra Israele e Palestina? Dov’è la competenza di George Bush senior che preferì non invadere l’Irak? E dove sono gli staff di quei presidenti americani?

Perchè, da quando Barak Obama è subentrato a G. W. Bush come presidente agli inizi del 2009, della ‘Road map for peace‘ non se ne è più parlato?
E come spiegarsi il perchè, se Hillary Clinton – che pure ci aveva provato – ha lasciato la carica di Segretario di Stato a John Kerry, nipote di James Grant Forbes II e pronipote di Robert Charles Winthrop per parte di madre, ma anche nipote di ebrei austroungarici, immigrati ai primi del ‘900 in USA,  e con due zii  – Otto e Jenni  – sterminati dai nazisti con tutte le loro famiglie.

Timori dovuti, dato che Mr. President ha già dimostrato – in occasione delle rivolte arabe contro i regimi corrotti – di non cavarsela molto bene fuori dai confini delle metropoli wasp statunitensi. Come anche, ha lanciato promesse al vento, vedi il ritiro dall’Afganistan o la guerra lampo in Siria, per non parlare dell’Obamacare o dell’assimilazione degli ispanici o, peggio, del grande piano infrastrutturale che annunciò cinque anni fa.
Questa è la chiave di volta.

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Per il resto, va tutto bene. La Germania – grazie al distacco della Crimea dall’Ucraina – ormai arriva a Kiev e controlla i rubinetti di francesi e olandesi. L’Italia incassa sconti e commesse più due marò liberi, tanto tra tre mesi la banderuola gira. Israele ha un rapporto con i Sauditi ormai ben consolidato e, se l’Imperatore americano facesse il suo mestiere, si dedicherebbero ambedue al business as usual piuttosto che trovarsi prima o poi la casa in fiamme.
Russia e Kazakistan hanno indietro la loro Crimea e potranno avere un South Stream che fa capo all’attuale hub di Odessa, senza dover dipendere – come accade a noi italiani – dai voleri (e dagli affarucci) dei Graf di Berlino (e Monaco di Baviera), che – come Machiavelli e la storia medievale insegnano – abitano troppo vicino alle nostre amate coste.

Un grande presidente americano avrebbe rilanciato la Road Map per il Medio Oriente, prima che i turchi stacchino gli acquedotti che alimentano Israele. Un segretario degli esteri, con una carrriera da pacifista e da procuratore integerrimo del caso Contras, avrebbe rilanciato la Road Map per il Medio Oriente, prima che le masse arabe (egiziane e non solo) rivolgano all’esterno piuttosto che all’interno le loro tensioni.
Ma Obama e Kerry di politica estera ne masticano poca e di storia e dottrina politica ancor meno, basta leggere i curricula da avvocati per saperlo, e così andando le cose a festeggiare saranno Putin e Merkel …

Non a caso i repubblicani di Romney sono partiti alla carica, poichè proprio in campagna elettorale Obama accusò il suo contendente di ‘ricadere nella Guerra Fredda’, mentre i democratici – temendo che la debolezza finora dimostrata dal ‘loro’ presidente possa rivelarsi  un boomerang – ormai si sono  aggregati al coro bipartisan che al Congresso chiede di inviare aiuti militari in Ucraina ‘per supportare il nascente governo’.
La Crimea? E’ russa, come avranno avuto modo di spiegare le diplomazie francesi e inglesi …

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Obamacare: cosa proprio non funziona? Un monito per l’Italia

19 Nov

In USA lo chiamano Obamacare, è il progetto di riforma sanitaria che la Casa Bianca sta cercando in ogni modo di introdurre da sei anni a questa parte. Probabilmente non se ne verrà a capo, ma il tentativo di Barak Obama ed i suoi fallimenti dovrebbero e potrebbero far riflettere le pubbliche amministrazioni di mezzo mondo.


Innanzitutto, per buona parte degli statunitensi il sistema assicurativo privatistico regge, va bene, vogliono continuare così, è migliore e più tutelato di quello pubblico. Obiezioni che arrivano sia dai ‘soliti’ Repubblicani sia da non pochi Democratas e soprattutto da sindacati e associazioni è ben sintetizzato in un articolo di “L’indipendensa – Quotidiano Online’.

Come molte cose che sembrano nuove, l’Obamacare è per molti versi vino vecchio in bottiglie nuove. Ad esempio, quando si confronta con il fatto che a seguito dell’ Obamacare milioni di americani rischiano di perdere la loro assicurazione medica esistente, i difensori dell’Obamacare affermano che questo è vero solo quando queste persone hanno una “scadente” assicurazione.

Chi decide cosa è “scadente”? Cosa c’è di più vecchio dell’idea che alcune élite esaltate sappiano cosa è bene e meglio per noi stessi più di noi medesimi?

Persone diverse hanno rischi diversi e diversa propensione nel prendersi cura dei loro rischi, invece di pagare per trasferirli ad una compagnia di assicurazioni. Ma i politici di turno nello Stato ad ogni tornata hanno definito quello che deve essere coperto da assicurazione, indipendentemente da ciò che gli assicurati e le compagnie di assicurazione potrebbero concordare se lasciati liberi di fare le proprie scelte.”
E, tra l’altro, come stanno denunciando da anni – con scioperi e sit in – gli operatori del sistema sanitario ‘pubblico’ statunitense (Medicare e Medicaid), gli interventi degli spin doctors di Obama per ‘migliorare la qualità’ sono sostanzialmente consistiti nella chiusura di centri di cura.
Non a caso uno dei ‘goal’ promessi dall’Obamacare c’è la diminuzione della spesa governativa per la sanità di circa 500 miliardi di Euro.

Se per gli assicurati il sistema attuale è quello giusto, le cose cambiano per chi l’assicurazione non ce l’ha e deve ricorrere al sistema pubblico, che non dovrebbe aver motivo di negare a tutti le cure essenziali, se, nel 2003 il servizio sanitario nazionale copriva in media il 17,7% delle spese totali, senza contare circa 30 milioni di cittadini privi di assistenza sanitaria.

Ricordiamo che Medicare è il programma nazionale universalistico di assistenza agli anziani e che Medicaid è gestito dai singoli Stati (contributo federale del 60%) per le famiglie con bambini, donne in gravidanza, anziani e disabili.
Purtroppo, come sono venuto a sapere per fonte diretta, accade che – Medicaid od Obamacare che sia –  ad una donna incinta priva di assicurazione sanitaria ma ‘coperta’ dal Medicaid venga diagnosticata una malattia rara trasmessa anche al nascituro, ma, dopo tre mesi dal parto, madre e figlio non abbiano più neanche uno specialista a cui rivolgersi via Email.

Dunque, la diffidenza degli statunitensi deriva dal fatto che non è ben chiaro come funzioni sia il ‘vecchio’ Medicare sia il ‘nuovo’ Obamacare.
Il sospetto è che la lobby dei sanitari (e dei loro amministratori ‘pubblici’) non offra più sufficienti garanzie di trasparenza e deontologia è forte, se giorni fa persino l’editoriale di Ezra Klein, columnist del “Washington Post”, ex blogger ‘radicale’, parla di “perdita di credibilità con i democratici al Congresso e con chiunque altro” riguardo l’approvazione di una “legge basandosi su promesse che non potevano mantenere. Hanno clamorosamente pasticciato nell’implementazione. E ora sembra che persino le modifiche al sito Healthcare.gov non saranno effettuati entro la deadline che loro stessi avevano predeterminato. I democratici al Congresso si sentono ingannati.”

In effetti, sarebbe innanzitutto da capire se più che di riforma sanitaria, il problema non sia che Obamacare non sia un progetto troppo ambizioso.

Da un lato  il desiderio inconfessato di introdurre il Welfare State anche in USA non tanto per sostenere le persone affette da malattie croniche, che avrebbero equo diritto alle cure, ma soprattutto per tutelare una trentina di milioni di americani che, prima che di necessitare di cure e terapie, hanno il problema di non arrivare a fine mese pur vivendo in un paese ha talmente tanto lavoro da offrire da assorbire ancora oggi tanti e tanti immigrati.
Dall’altro, è molto difficile mettere ordine al Medicaid  (garantito anche agli immigrati con regolare permesso) perchè è un programma amministrato dai singoli stati, e non dal governo federale, con diversi criteri di reddito, età, invalidità per accedere al servizio d’assistenza. che evidentemente i sistemi sanitari dei diversi stati amministrano senza sufficienti standard e controlli.

E questo spiegherebbe ampiamente l’insuccesso della riforma e la diffidenza dei cittadini, visto che staremmo parlando di assistenzialismo puro, oltre che di calo qualitativo della sanità in generale. Non a caso Bill Clinton, ex presidente e probabile primo “first-husband” degli USA, ha sollecitato invitato Obama a tenere fede alle proprie promesse, tra cui quella ai cittadini americani che già possedevano un’assicurazione sanitaria, che avrebbero potuto mantenerla in ogni caso.

Non dimentichiamo che già oggi il Governo Federale USA spende circa il 4% del Prodotto Interno Lordo e un ulteriore 2% arriva da singoli stati e contee. Un 6% totale del PIL non lontano da quel 7% che l’Italia spende per i suoi cittadini.

Con una sola differenza: gli USA – già prima di Obama – spendevano il 6% del PIL per curare il 15-20% dei propri cittadini, privi di assicurazione, l’Italia spende praticamente lo stesso, in percentuale, ma per tutti gli italiani, che assommano più o meno al 20% degli statunitensi.
Con l’unica differenza che tanti e tantissimi italiani versano allo Stato e alle Regioni – ogni mese e in contanti – ‘contributi’ per il sistema sanitario che se fossero premi assicurativi avremmo (quasi) tutti un’assistenza a quattro stelle.

Nel 2003 il servizio sanitario nazionale USA copriva in media il 17,7% delle spese totali, ovvero una percentuale che corrisponde più o meno a quel 15-20% di cittadini invalidi o indigenti.
Se in America 32 milioni di persone (circa il 10% della popolazione) non fruiscono di alcuna assistenza sanitaria è evidente che il problema non è nei finanziamenti, bensì nella malasanità pubblica.
In USA coma altrove.

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Sanità USA: Obama, che vergogna!

13 Dic

Gli ospedali USA potranno negare l’assistenza agli anziani e malati cronici, per evitare le multe che Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Mr. President, promette.

Incredibile, ma vero, la riforma di Barak Obama prevede che gli ospedali che riammettono i pazienti entro 30 giorni dopo che erano stati dimessi dovranno ora, in forza di una disposizione dell’Obamacare, pagare multe, che potrebbero costringere gli ospedali di tagliare i programmi che aiutano gli anziani, i poveri ed i malati cronici, che spesso ritornano in corsia dopo breve tempo.

Secondo uno studio di settore, “circa i due terzi degli ospedali che servono i pazienti Medicare, circa 2.200 strutture, saranno colpiti con sanzioni medie di circa 125 mila dollari per impianto durante il prossimo anno.”

Inutile spiegare a noi europei che questa disposizione è stata inserita in Obamacare come ‘equa’ misura di riduzione dei costi, ma, di fatto, costringerà gli ospedali per dare a poveri, anziani e malati cronici un’assistenza non adeguata.

I più colpiti saranno i grandi policlinici universitari a causa del fatto che questi ospedali sono spesso in prima linea con gli anziani e poveri, oltre ad essere gli unci che accolgono – anche a fini di ricerca medica – le persone con malattie rare o non diagnosticate che hanno costantemente bisogno di essere riammessi in ospedale per cure urgenti.

Come osserva Examiner, ” la nuova disposizione aggraverà lo stress che queste persone malate, dato che questi pazienti non possono essere certi che il loro trattamento sarà adeguato in caso di necessità di riammissione in ospedale dopo la dimissione. E gli ospedali che stanno subiscono la stretta finanziaria – a causa di tagli ai rimborsi da parte del governo federale – potrebbero essere costretti a limitare il livello di cure fornite durante la riammissione e dismettere pazienti molto prima che siano guariti”.

Inutile ricordare che i malati cronici sono i malati per antonomasia, malati per la vita, e che è davvero vergognoso proclamare l’assistenza sanitaria per tutti, come ha fatto Barak Obama, e poi tagliarla proprio ai cronici ed agli anziani.

Era difficile far di peggio dopo la riforma previdenza di Elsa Fornero che, in nome dell’equità, innalza l’Italia a record mondiale dell’età pensionabile per i lavoratori odierni, mentre i giovani non hanno lavoro e mentre 700.000 pensionati assorbono – senza aver contribuito a sufficienza –  quanto percepiscono altri 20 milioni di loro.
Ecco che arriva un nuovo primato dell’iniquità umana, quello di Barak Obama, che, in nome delle pari opportunità, vessa tutti i malati che abbiano ricorrenti necessità di ricovero o situazioni instabili e critiche, multando gli ospedali che li accolgono troppo spesso.

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