Sette morti, tre feriti gravi: ecco l’ennesima strage, questa volta all’interno di una università statunitense, la Oikos University, una piccola università d’ispirazione cristiana ad Oakland, in California.
Come al solito, nelle cronache, troviamo la definizione di “folle”, come in altri casi abbiamo letto le parole “islamico” o “anarchico”. E come al solito, accade che nessuno si interroghi – analisti, politici, militari e giornalisti – sul nuovo corso del terrorismo, iniziatosi nel 1995 con il massacro di Oklahoma City in cui venne demolito, con un “camion bomba”, l’edificio federale Alfred P. Murrah, sede dell’FBI, in cui morirono 168 persone e se ne ferirono oltre 800.
Un attentato avvenuto sei anni prima dell’abbattimento delle Torri Gemelle, che ha visto l’uso di tattiche ed “armi” non convenzionali, che era mirato non alla semlice strage, ma alla disarticolazione di una leadership (FBI), che venne eseguito da due sole persone (Timothy McVeigh e Terry Nichols), politicizzate ma prive di contatti o collegamenti, che aveva come movente la “rivalsa” (in ingl: revenge) e non un mondo migliore.
Un attentato cui fece seguito quello delle Twin Towers, attuato da una cellula jihadista, collegata al network Al Qaeda di cui l’emiro Osama Bin Laden era uno dei fondatori. Anche in questo caso parliamo di tattiche ed “armi” non convenzionali, non di una semlice strage, ma della disarticolazione di una leadership (Wall Street), un attacco eseguito da poche persone, politicizzate ma prive di contatti o collegamenti sul posto, che aveva come movente la “rivalsa” e non un mondo migliore.
Nella confusione e nello shock collettivo seguito all’11 settembre, George Walker Bush ed i suoi consiglieri trovarono utile affermare qualche mezza verità ed un paio di grosse bugie pur di nascondere una realtà ben più complessa, ma anche relativamente semplice.
Nacque il teorema della “guerra asimmetrica” e dei “combattenti non belligeranti”, in cui degli “stati canaglia” finanziavano delle “cellule terroristiche”, motivate da una fede corrotta o da fame di denaro. In realtà, gli “stati canaglia” non c’erano (salvo forse l’Afganistan del Mullah Omar), la “guerra asimmetrica” non esisteva, se non nella quantità di missili e bombardieri in dotazione alla USAF, i “combattenti non belligeranti” erano spesso degli “insorgenti”, le “cellule terroristiche” erano motivate dalla “revenge” e non solo e semplicemente dalla “fede corrotta”.
Così andando le cose, specialmente per colpa di un sistema mediatico che raramente riesce a contraddirre, con propri studi, le informazioni “official”, accadde che iniziasse la “War on Terror” che ancora oggi coinvolge le forze armate di mezzo mondo contro un nemico invisibile e largamente inesistente, come comprovano le statistiche decennali relative a complotti ed attentati attuati o sventati che vedono all’opera singoli o pochi individui, solitamente “pazzi”.
Non a caso le misure “antiterrorismo”, messe finora in atto, poco hanno a che vedere con l’attentato del kamikaze isolato ed a nulla servono se ad agire è un network (islamico o narcomafioso che sia), ma che tanto servono a prevenire il terrorismo interno, quello spontaneo, quello dei cittadini che “impazziscono”.
Ed, infatti, nonostante si sia ingigantito il controllo sulle armi, sui prodotti chimici di base, sulle transazioni di denaro, su determinati ambienti e persone, solo in Europa ci ritroviamo, nel giro di un anno o poco meno, con i roghi di Atene e le persone bruciate vive dai Black Blocks, il massacro di Utoya attuato da Brevik, la mattanza di Tolosa, attuata da Mohammed Merah, la ripresa del terrorismo “endemico” in Italia, tra pacchi bomba, sabotaggi e pistolettate, l’eccidio (ormai trimestrale o quasi) in un campus universitario.
Tutti attentati condotti con tattiche ed “armi” modeste o non convenzionali, finalizzati alla disarticolazione di una leadership o di un gruppo preciso, eseguiti da singoli individui, politicizzati ma aventi come movente la “rivalsa”.
Dunque, si sbaglia chiunque pensi che la fine delle ideologie coincida con una periodo di “pace” sociale, come si sbaglia chi pensa che per far risorgere il terrorismo serva una “organizzazione”.
Analizzando i tanti atti di “terrore” avvenuti nella Storia, raramente ci troviamo dinanzi ad individui ben collegati o parte di una organizzazione, un aspetto che prende forma solo nel Novecento con le organizzazioni paramilitari marxiste-leniniste o con i movimenti nazionalistici come l’IRA irlandese, l’ETA basca, la Banda Stern israeliana, Al Hamas palestinese.
Gli atti terroristici sono azioni condotte da pochi, se non singoli, individui o da organizzazioni o network con forti connotazioni settarie, un po’ come la Congrega degli Hashassin di un migliaio di anni fa, ai quali vanno ad aggiungersi gli attentati condotti da o per conto di uno dei tanti cartelli narcomafiosi operanti nel mondo.
D’altra parte cosa aspettarsi dal Liberismo, se, finite le ideologie e trasformati i partiti in grosse ammucchiate, non resta solo l’antipolitica, così “utile” per chi, come i poteri finanziari, necessita del “divide et impera” per condurre i propri giochi.
Riemerge con imperio il “prepolitico”, come i Communards antropofagi del 1848 parigino, le bande armate come quella di Bonnot o di Pancho Villa, gli atti isolati come quello di Apple ad Odessa, i regicidi come quello di Umberto I di Savoia ucciso dal meridionale Gaetano Bresci, quarante anni dopo l’annessione delle Due Sicilie.
La sete di “rivalsa”, figlia dell’esasperazione e nipote dell’esclusione, è la “dea” che guida la mano di un attentatore, non le “ideologie”, come tanti, molto speranzosamente, vorrebbero credere.
originale postato su demata
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