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F35, un flop annunciato: miliardi sprecati mentre si tagliavano pensioni e welfare

4 Lug

Era il 3 gennaio 2012 quando questo blog spiegava (link) perchè gli F35 erano un flop annunciato e perchè si ‘dovevano’ fare.

Tutta la storia inizia nel 1996, quando gli USA (e la NATO) avviarono il progetto di un caccia a lungo raggio con complete caratteristiche Stealth, tra cui la capacità di trasportare l’armamento in stive interne e sistemi elettronici capaci di inibire la difesa a terra: un nuovo velivolo “invisibile” da usare nella fase del “first strike”, quando le difese nemiche sono complete ed attive.
Nel 2001, il progetto Lockheed X-35 fu dichiarato vincitore e veniva avviato il programma definitivo con la sigla F-35 JSF (Joint Strike Fighter), con un costo di produzione per ciascun esemplare inizialmente valutato intorno ai 40 milioni di dollari.

Inizialmente, era prevista una produzione di circa 3.000 velivoli per USAF/US Navy/USMC e di altri 2.000 per i vari partner internazionali (fonte http://www.aereimilitari.org) tra cui l’Italia che doveva partecipare come “partner di secondo livello”, allestendo una linea di costruzione e assemblaggio, da cui sarebbe uscita buona parte degli F-35 destinati all’Europa e ad altre nazioni, come Turchia ed Israele, tra cui solo venti F35 destinati all’Italia.

Un piatto ricco e, così, accade che il 28 maggio 2007, presso il ministero della Difesa a Roma, con l’incontro tra il presidente della Provincia di Novara, Sergio Vedovato, e il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri, per determinare l’insediamento presso l’aeroporto militare di Cameri (NO) della linea di assemblaggio degli aerei F35 Joint Strike Fighter.

C’era il Governo Prodi, con i piemontesi Damiano, Livia Turco, Bertinotti e Ferrero ai massimi vertici del potere, e, dunque, non c’è davvero da chiedersi perchè andò a Novara quel progetto industriale in cui si investì un milione di euro di denari pubblici, poi lievitati, sembra, ad oltre cinque.
Una marea di soldi e di lavoro che deve andare a beneficare l’indotto piemontese, azzerato dalla crisi dell’auto e del tessile. Non a caso, Maria Luisa Crespi, il sindaco di Cameri, dichiarò «grazie all’iniziativa della Provincia, da oggi saremo in grado di dare risposte ai nostri cittadini» e, come confermò il sindaco di Bellinzago, Mariella Bovio, «sono importanti le garanzie occupazionali per un territorio come il nostro che vive una grave crisi nel settore tessile».

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I primi dubbi sul’aereo e sugli investimenti si palesarono nel 2009, quando i costi da 40 iniziali erano schizzati prima a 62 e poi oltre i 100 milioni di dollari di media per aereo.
Come riportato da Stato-Oggi, “il raddoppio dei costi, dagli originari 65 milioni di dollari ad esemplare, ha indotto alla prudenza il governo italiano” e “il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al salone aerospaziale di Farnborough, riferendosi al programma, ha aggiunto: “Siamo molto cauti, stiamo verificando”.

Cautela massima, se, agli inizi del 2011, il Washingon Post annunciava la necessità di ricapitalizzare del 20% (10 miliardi di dollari) sperimentazione e progettazione, di cui la metà “resasi necessaria per alleggerire l’aereo, dato che volare a pieno carico inficia le performance chiave del velivolo“. Per non parlare, sempre agli inizi del 2011, della conferenza stampa  tenuta dal segretario alla Difesa americano, Robert Gates, che precisava che, “se non riusciremo a mettere a posto questa variante (ndr. la versione a decollo corto e atterraggio verticale – STOVL) in questo arco di tempo e rimetterla in carreggiata in termini di prestazioni, costi e tempi, allora credo che dovrebbe essere cancellata.”

Infatti, le commesse per la fabbrica di Novara vennero progressivamente ritirate, prima quella dei 85 F-35A per la Koninklijke Luchtmacht olandese, poi si defilarono la Flyvevåbnet danese e la la Kongelige Norske Luftforsvaret norvegese,  poi addio a 116 F-35A per la Türk Hava Kuvvetleri ed a 150 F35B per la Royal Air Force britannica che preferì optare per gli F-35C con decollo a catapulta modificando le proprie portaerei.
Intanto, il governo Berlusconi non dava il placet per la sessantina di F35 previsti oltre la prima trance di 22 F-35B per l’Aviazione Navale italiana, già ordinati, e aveva tagliato una commessa di 2 miliardi di Euro per 25 Eurofighter (Aeritalia/Finmeccanica), azzerandone la terza trance.

Subito dopo, per altre congiunture, lo spread dei titoli di Stato salì a dismisura, la colpa venne addebitata al governo in carica e subito dopo Mario Monti – che aveva tagliato qualunque spesa pubblica e anche un tot di aspettativa in vita di qualcuno – trovò decine e decine di milardi per avviare le trance in sospeso degli  F35 per l’Aereonautica Militare e aggiungerne anche una quarantina in più, visto che i costi industriali a Novara sarebbero esplosi senza le commesse nordeuropee.

Fu così che da 22 caccia per la Marina arrivammo ad un programma di aerei da combattimento che trasformava l’Italia nella terza potenza NATO per quanto relativo i caccia d’attacco con copertura Stealth ed il quinto paese del mondo (dopo USA, Gran Bretagna, Russia ed Israele)  per capacità di “first strike”, mentre la Cina Popolare aveva davanti a se almeno altri 15-20 anni dal creare un’aviazione militare temibile.

”Joint Strike Fighter e’ il miglior velivolo areo-tattico in via di sviluppo. Un areo di avanzata tecnologia che e’ nei programmi di ben dieci Paesi. E’ una scelta che permette di ridurre da tre a una le linee aero-tattiche. Consentira’ una straordinaria semplificazione operativa dello strumento militare”. (Ministro della Difesa Amm. Di Paola – fonte Vita.it 28-02-2012)

Una scommessa risicata basata sulla capacità dei progettisti di pervenire ad un aereo affidabile ed efficace, dopo che, non appena realizzato il prototipo industriale nel 2009, ci si era resi conto che qualcosa era andato storto nel concept stesso del velivolo.

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Intanto, mentre in Italia la grande stampa eludeva la querelle, ma saggiamente qualcuno iniziava a sospendere le commesse, il Washington Post raccontava di diversi incidenti tra cui quello di una perdita d’olio in volo, fino al grave incidente dei giorni scorsi, con un aereo che ha preso fuoco e perso pezzi  durante il decollo dalla base di Eglin, in Florida, e il Pentagono che mette a terra tutti gli F-35.

 

E siccome al peggio non c’è mai fine vale la pena di chiarire qualcosa sulle commesse che Mario Monti volle a tutti costi con miliardi che ci avrebbero permesso di pensionare e rilanciare l’occupazione.

L’Italia ha in programma di acquistare fino a 60 esemplari del modello A a decollo da terra e 30 del modello B a decollo verticale, per la portaerei Cavour (fonte La Repubblica), visto che il Trattato di Armistizio – quello della II Guerra Mondiale – ancora oggi non ci consente di avere portaerei a catapulta.

Il ‘peggio’ è che la variante F-35B, quella a decollo verticale, fino all’anno scorso non c’era, non funzionavano i prototipi. Il primo test di decollo con successo è stato effettuato solo il 10 maggio del 2013 al NAS Patuxent River, nel Maryland.

Ebbene, quando nel 2011 e 2012 le Leggi finanziarie andarono a prevedere assegnazioni di miliardi per gli F35-B, i prototipi di quei velivoli neanche si alzavano da terra, pardòn dalla tolda.
Soldi spesi o tenuti fermi  mentre, in nome della lotta agli sprechi, un premier non eletto – Mario Monti – negava spietatamente diritti assistenziali e previdenziali a persone anziane e malate.

Sprechi.

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Si fosse pervenuti ad un investimento teconologico e occupazionale, parleremmo dei danni collaterali della ristrutturazione del capitale – e passi pure – ma non si può transigere su chi ha sprecato denari e angariato i deboli per un aereo che non ci sarà e uno stabilimento di Cameri che rischia di andare in cassa integrazione prima ancora di aver avviato per intero la linea di produzione.

Forse è per questo motivo che i nostri media hanno finora evitato di parlare del flop F35: sarebbero la prova conclusiva di un fallimento generale delle politiche attuate da Mario Monti, oltre che un ulteriore lato oscuro su come si sia pervenuti alla sua nomina a senatore a vita prima e a premier dopo.

Se i soldi impegnati per un aereo che non c’è – frutto della reverenza di Mario Monti verso ‘certa sinistra elettoralmente utile’ e del tutto scollegati sia dal salvataggio delle banche sia dalla questione Finmeccanica – fossero stati destinati al turn over generazionale e alle imprese, avremmo avuto la dura recessione italiana, il crollo del PIL e lo sbilanciamento dell’Eurozona?

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Monti il consociativo?

7 Gen

Iniziato il 2013, iniziata la lunga corsa elettorale italiana, che nell’arco di sei mesi sei dovrà nominare la leadership dello Stato e delle principali regioni e comuni italiani, più una bella quantità di province che non dovrebbero esistere più da tempo. Nominare la leadeship, non sceglierla e non cambiarla: a noi italiani non è dato questo diritto, sia chiaro.

E, dunque, mentre ci accingiamo ad assistere, spettatori amaramente paganti, al solito spettacolino politico al suon di polke e walzer, tra roboanti preannunci di vittoria, arriva il buon Mannheimer a confermarci poche essenziali cose:

  1. la compagine montiana non supererà il 20% dei voti, collocandosi inevitabilmente terza, dopo PdL e PD, con l’UDC che si riconferma un lumicino al 4% fisso;
  2. il Partito Democratico è di nuovo ‘maggioritario’, dopo aver cooptato Vendola alle primarie ed aver riassobito il voto di sinistra, raggiungendo, però, un risicato 30% o poco più;
  3. il ‘ritorno di Berlusconi’ ha riportato all’ovile almeno un 5% degli elettori di centrodestra, nonostante scandali e defezioni;
  4. Italia dei Valori e SEL rischiano di scomparire senza un apparentamento che ne salvi le percentuali e ne garantisca i candidati;
  5. Grillo e M5S sono sempre lì, intorno od oltre il 15% dei consensi.

Pertanto, sarà difficile vedere un governo Monti, come risultato delle prossime elezioni, ed, ammesso che possa accadere, dovrà essere una compagine di ‘ampie convergenze’, meglio ancora se una Grosse Koalition, appoggiata da Alfano, Bersani e Casini come oggi, ma ben più determinanti di oggi.

Non è un caso che Mario Monti, ex salvatore della patria oggi su strade e per obiettivi ben più personali, ha già lasciato trapelare quale sarebbe la sua preferenza: “Io al Quirinale?: Vedremo se verrà chiesto”.

Sarà un caso che, quasi in simultanea, forse di rimando, Corrado Passera, uno dei pochi ministri montiani che non sembra cedere alle lusinghe dellapolitica, abbia a precisare: “lista di Monti, occasione persa Serviva un programma più coraggioso. Alla fine hanno vinto vecchie logiche di corrente.”

Secondo il ministro per le Infrastrutture, avremmo dovuto e dovremmo “incidere più in profondità sul costo vivo dell’apparato politico e amministrativo pubblico. Un esempio: un solo livello istituzionale e politico fra i Comuni e lo Stato centrale. Ripensamento totale di tutte le strutture intermedie, non solo le Province. Bilanci consolidati, certificati e confrontabili per ogni entità pubblica. Commissariamento, vero non finto, di ogni ente che non rispetta le regole; riduzione drastica di tutte le assemblee elettive locali e centrali. Si può fare molto, molto di più di quanto non si creda per migliorare il nostro federalismo. Le resistenze incontrate anche dal nostro governo sono state formidabili, veti a tutti i livelli, spesso eravamo circondati da sguardi divertiti e poco indulgenti dei dirigenti pubblici, ma quando si riusciva ad ottenere qualche risultato, l’effetto positivo era perfino contagioso. Nella pubblica amministrazione ci sono tanti talenti e persone fiere di servire lo Stato. Dobbiamo dare loro fiducia con il buon esempio.”

Intanto, come conferma Corrado Passera, con il nuovo governo Monti-Bersani-Berlusconi saremo ancora alle vecchie logiche di corrente, con l’alta dirigenza pubblica – quella scelta con lo spoil system e affatto inamovibile – che oppone ‘resistenze formidabili, veti a tutti i livelli, sguardi divertiti e poco indulgenti.

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I detrattori stranieri e la libera scelta degli italiani

12 Dic

I detrattori stranieri dell’Italia e della libera scelta degli italiani dovrebbero consultare più spesso l’ISTAT, ma basterebbe anche Wikipedia.

Non sanno che in Italia si spendono più soldi, tanti di più, per i costi della politica di una provincia di 100.000 abitanti, prevalentemente residenti in comuni al limite dei 5.000 abitanti, piuttosto che per una densa municipalità metropolitana con 400.000 abitanti. E non sanno, forse, che in alcune regioni e lungo la fascia appenninica gli abitanti son pochi ma i politici eletti sono, in proporzione, tanti.

Allo stesso modo, i nostri detrattori esteri non sembrano sapere che un sesto degli italiani vive in Lombardia e quasi un quinto ci lavora. Come non sembrano essersi accorti che una parte del PIL che ‘produce’ la Capitale, andrebbe sottratto e non aggiunto al PIL nazionale, visto che è da quello che attinge per servizi che dovrebbe dare (e spesso non da) al resto dell’Italia, che ‘serva di Roma Iddio la creò’. Non a caso Milano e Napoli hanno un basso peso sulle scelte nazionali decise a Roma.

Sempre dai dati, gli stranieri disinnamorati dell’Italia potrebbero accorgersi che il nostro agroalimentare proprio non va, se frutta quasi il 4% del PIL complessivo, specialmente se teniamo conto che le regioni e le province agroproduttive sono anche, spesso, quelle su cui dovrebbe abbattersi la mannaia del taglio dei costi della politica, di cui sopra, e delle ispezioni a contrasto dell’evasione fiscale e del lavoro nero.

Ci spieghino loro come possa funzionare un sistema così e ci spieghino anche perchè Mario Monti non l’abbia immediatamente ristrutturato e rioganizzato, intervenendo su Province, ex-municipalizzate, città metropolitane, leggi elettorali.

Sembrano così spaventati dalla inefficacia italiana, gli investitori esteri, ma, allora,  ci spieghino perchè Mario Monti non abbia messo al sicuro i conti, come aveva promesso, con una patrimoniale ed una riforma fiscale, invece di emettere un’enormità di titoli ad interessi svantaggiosi per l’Italia.

E che dire di Merkel ed Hollande, così afflitti dal ritorno di Berlusconi, ma dovrebbero anche spiegarci anche per quali cause questo accada, se non in conseguenza del flop politico del professor Monti e del flop delle Primarie del PD, che nonostante lo share televisivo RAI e SKY, hanno visto quasi dimezzarsi i partecipanti rispetto alla scorsa tornata.

O della Spagna che vuol convincere i suoi cittadini che la colpa è del ‘maldido Berlusconi’, che ha mandato a casa Mario Monti, ma, anche in questo caso, varrebbe la pena che ci spiegassero sia perchè la loro crisi la dovremmo pagare noi italiani, sia, soprattutto, se si siano mai chiesti se una grande nazione europea come la loro possa vivere di turismo, di movida e poco più, mentre si sorvola sull’invasione narco-camorristica nel sud della penisola iberica.

Qualcuno dice che gli italiani attendono un programma alla Hollande, con quel rigore e quella equità che Mario Monti non ha dimostrato nell’azione del suo governo, del resto formato da persone scelte da lui.
Un programma alla Hollande che il nostro Centrosinistra rifugge dal proporre e che le altre compagini minori non considerano affatto.

E se fosse proprio Silvio Berlusconi a presentarne uno così?

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Basta populismo, basta sprovveduti

12 Dic

Luca Cordero di Montezemolo, oggi leader di Italia Futura attacca il populismo e l’Italia del ’94 (quella di Berlusconi ma anche quella di Prodi) e dichiara: «Monti l’uomo giusto». Purtroppo, in parte si sbaglia, visto che Mario Monti non ha avuto neanche il tempismo politico di riformare le Province a furor di popolo, quando era un gioco da ragazzi.

Intanto, dalla Sinistra che sembrava avesse già vinto le elezioni dell’anno che verrà arrivano Bersani, con un (poco) rassicurante «Avremo numeri al Senato», e Vendola, che lancià la sua enensima fattwa su Casini, giusto per dimostrare che sinistre e governabilità sono due cose ben distinte e che per i cattolici è ancora tempo di diaspora.

Intanto, Le Figaro titola ‘La dipartita di Mario Monti preoccupa gli europei’ – ma affatto gli italiani, sarebbe da aggiungere – ed ABC lancia l’iperbolico strillo ‘La Spagna paga il caos italiano’, ribadito da El Pais che titola ‘La crisi politica italiana scuote i mercati e castiga la Spagna’. Politica, si noti bene, e non finanziaria come si racconta da noi.
Il ben informato Financial Times informa il mondo che ‘Monti è in trattativa per correre come Primo Ministro’ – cosa che i nostri media si affanano a smentire – ed in Sudafrica il deVolkskrant parla chiaro ed annuncia che ‘Il ritorno di Berlusconi spaventa gli investitori’, come altrettanto fa il Buenos Aires Herald che spiega che è ‘l’Europa (che) spinge per le riforme di Monti”. Non gli italiani.

Dunque, quello che apprendiamo dai media di paesi meglio posizionati del nostro nelle classifiche per la qualità dell’informazione è qualcosa di molto semplice:

  1. la crisi italiana è politica e non finanziaria e questo lo sapevamo anche noi italiani, prima che lo spread a reti unificate obnubilasse le nostre coscienze;
  2. il sovraccarico fiscale propinato da Mario Monti agli italiani ha anche lo scopo di sostenere l’Eurozona e la situazione spagnola
  3. gli investitori (potenziali speculatori e non benemeriti mecenati) temono il ritorno di Silvio Berlusconi
  4. i grandi poteri mondiali tifano per Mario Monti quasi che abbiano scopi diversi da quello di aiutare l’Italia a superare una crisi politica di cui Monti è ormai coprotagonista.

Una dimensione delle cose che trova conferma nell’atteggiamento tedesco.

Infatti, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, ha voluto precisare il governo tedesco non intende interferire negli affari interni italiani, essendo dell’opinione che “Né la Germania, né l’Europa sono la causa delle attuali difficoltà che attraversa l’Italia”.
Il problema, però, è che la cancelliera Angela Merkel interferisce, e come, se si dichiara “convinta che gli elettori italiani voteranno in modo tale da garantire che l’Italia resti sul cammino giusto”.
Se esiste un ‘cammino giusto’ quale è quello sbagliato? Restare, un invito a confermare l’attuale?

Dunque, se un uomo qualunque volesse avanzare dei dubbi, a leggere i titoli stranieri, potrebbe sentirsi legittimato. Potrebbe pensare che “lo spread è un imbroglio” ed esser fermamente convinto che “l’economia con Monti è solo peggiorata” o che le elezioni “sono state anticipate solo per colpa delle dimissioni anticipate di Monti”.

Del resto, è piuttosto astruso – sia per i comuni mortali sia per gli addetti ai lavori – focalizzare una crisi nazionale su un unico indicatore consistuito dal mero rapporto degli interessi sui nostri titoli rispetto a quelli sui bund tedeschi, il cosiddetto ‘spread’.

Specialmente, se si viene a sapere che Berlino aveva “ordinato a tutte le banche di vendere i buoni del Tesoro italiani, con 8-9 miliardi di vendita. Gli altri fondi hanno pensato: ‘Se la Germania vende, qualcosa ci sarà…’. E hanno ritenuto di chiedere un premio per un rischio teorico, a noi del 6%. La Germania ha approfittato di tutto questo e ha abbassato i tassi all’1%, mentre a noi importa che i nostri tassi sono aumentati del 2%, che in un anno sono 5 miliardi in più.”

Ragionando a mente fredda, qualcuno potrebbe anche convincersi che “tutto quello che è stato inventato sullo spread è un imbroglio usato per abbattere un governo e fargli perdere la maggioranza”.
Ragionando a mente fredda, si potrebbe anche mettere a fuoco che quel governo ci aveva portato in quella situazione, dopo aver ereditato una pesante situazione dal governo uscente, e che l’opposizione a quel governo per 3 anni e mezzo non s’è fatta sentire granchè.

Basta populismo: gli italiani non sono degli sprovveduti.

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Monti va(i) a casa

7 Dic

Ormai, dopo la presa di posizione del PdL al Senato, il Governo Monti è ufficialmente un governo di minoranza: il dl Sviluppo e il dl enti locali passano con poco più di un terzo dei voti dei senatori. Intanto, Angela Finocchiaro incalza con il “governo non ha più la fiducia delle Aule parlamentari. Monti salga al Quirinale” e Giorgio Napolitano chiede (o forse implora?): “Evitare fine precipitosa legislatura, non mandiamo tutto a picco”.

Al di là di alcuni dettagli – ad esempio, perchè Finocchiaro inviti Monti alle dimissioni mentre il suo partito lo sostiene oppure cosa starebbe mandando a picco il PdL e cosa, invece, hanno mandato già a picco i tecnici del governo – questa è la situazione e che lo spread o salga, con tutte le boutade degli ultimi 12 mesi, non interessa quasi più a nessuno.

Al di là di come andrà a finire, Silvio Berlusconi, con l’ennesima impuntatura, ha reso un prezioso servigio al Paese, dimostrando agli eufemisti del ‘si può fare’ che uno Stato lo si governa quando si ha almeno la metà più uno del Parlamento, quando almeno il 50% degli elettori non diffida profondamente del principale partito al potere ed, ammesso che i milioni di laccioli che la Casta ha superfetato a propria tutela, non possano tornare, questi, utili anche per bloccare la Casta nelle sue stesse pastoie.

Chi si illudeva di governare con il 30% è smentito.

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Lavoro, tasse, pensioni, previdenza: tutto da cambiare

3 Ott

La pressione fiscale in Italia è una delle più alte del mondo ed è una delle più anomale.

A partire dal sistema di accertamento e riscossione di tasse e tributi, che si perde in mille rivoli e che, come scopriamo riguardo ‘Tributi Italia’, vengono saccheggiati dai soliti furbastri della Casta oppure, come accaduto per Equitalia, degenerano in storie di mostruoso accanimento.

Per passare allo status dei lavoratori dipendenti e delle aziende che gli danno lavoro, dove la certezza dell’accertamento e la regolarità del prelievo fiscale non comportano premialità e sgravi, ma solo maggiore penalizzazione in un paese dove l’evasione fiscale si chiama mafia e lavoro nero e dove la falsa fatturazione sembra essere uno dei principali peccatucci della Politica.

Per finire ad una barca che può stare solo ferma in mezzo al guado, se 2/3 del gettito è dato da quel quinto di italiani che vivono nel lusso, nonostante- come detto sopra – i dipendenti siano presi tra l’incudine delle tasse ed il martello del lavoro.

Lavoro che in Italia è eccessivo per chi è occupato e scarso per chi non ce l’ha. Eccessivo negli orari, nelle mansioni e nell’età pensionabile. Scarso nelle opportunità, nei salari in entrata e nelle tutele contrattuali.

Dulcis in fundo, dato che al peggio non c’è mai fine, siamo il paese dove a fronte di elevati contributi previdenziali, la Sanità di alcune regioni, Lazio incluso, è tragicamente pessima e sprecona con centinaia di migliaia di malati cronici – sadicamente definiti ‘rari’ – che rinunciano alle cure per troppa burocrazia.

Tasse e tributi che prendono tante vie, poche utili al Paese e tante inutili, obsolete o sprecone, tra cui alcune fin troppo note. Parliamo della Casta della Pubblica Amministrazione e del Sistema Sanitario, delle pensioni d’annata e dei vitalizi, dei contributi all’agroalimentare che, però, produce solo il 3-4% del PIL, del financial drag superdefiscalizzato da parte delle banche e delle compagnie telefoniche, aeree ed energetiche.

Intanto, il ministro delle Politiche comunitarie, Enzo Moavero Milanesi promette che “nel 2013 già si vedranno importanti segnali di ripresa e che il 2014 e 2015 saranno anni di ripresa economica”.

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, però, è molto scettico: “non vediamo la ripresa. Salvo miglioramenti sarà verso fine 2013, ma per una vera ripresa faccio la firma per il 2015”.  E, non a caso, Susanna Camusso, Segretario Generale della Cgil,  lancia un monito da prendersi sul serio: “Questa riduzione al tema ‘lavorare di piu” che vedo fare da tutti quelli che hanno lanciato il tema della produttività senza porsi il tema dei suoi fattori strutturali, rischia di diventare per molti lavoratori anche offensiva, visto che siamo costretti a misurare le decine di milioni di ore di cig e a contare decine di migliaia di lavoratori in mobilità ai quali piacerebbe tanto poter lavorare e invece sono costretti all’inattività. Basta dunque “ricette facili” e “colpevolizzazione dei lavoratori”: “piuttosto le imprese, pubbliche e private, abbassino le retribuzioni ai grandi dirigenti e taglino le stock option.”

Almeno questa volta – anche i suoi detrattori e gli scettici dovranno ammetterlo – la CGIL ha ragione: da anni si taglia su tutto e da anni le prospettive occupazionali languono, mentre la produttività è aumentata.

E, non a caso, la ‘voce dispari’ del PD, Stefano Fassina, esperto di lavoro ed economia, richiama Mario Monti ai suoi doveri: “Chi ha responsabilità politiche ha il dovere dell’ottimismo. Tuttavia, diventa preoccupante chiudere gli occhi di fronte alla realtà come continua a fare il governo. L’Italia, come e più dell’euro-zona, è stretta in una spirale recessiva che, oltre rendere la disoccupazione e la chiusura di imprese sempre più drammatica, allontana gli obiettivi di finanza pubblica. Il debito pubblico nel 2013 sarà più elevato del 2012 e del 2011”.

Non resta altro che accettare il principio etico dell’equità ed incidere sui redditi di dirigenti e professionisti. Inclusi quelli già in pensione.

Tra l’altro, sono la classe dirigente attuale e quella già in pensione  – con le loro scelte errate od egoistiche – che ci stanno costringendo a raschiare il fondo del barile e non è pensabile che ci siano famiglie con bambini senza reddito, mentre un’orda di ultrasettantenni percepisce pensioni superiori ai 1.500 Euro al mese.

Qualcosa deve cambiare, se non vogliamo che il collante sociale e, soprattutto, generazionale venga del tutto a mancare.

Leggi anche Le colpe di Mario Monti

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Mario Monti candidato Premier?

2 Ott

Mario Monti, per il bene dell’Italia, non deve candidarsi a Premier per le prossime Elezioni Politiche.

Non deve farlo per un essenziale motivo, al quale, incredibilmente, nessuno ha pensato finora.

Se Mario Monti  si candidasse, tutte le riforme attuate da una ‘grande maggioranza parlamentare’ diventerebbero in sol colpo ‘di destra’, ‘ultraliberiste’ ed ‘affamatrici del popolo’.

Nel caso, poi, che vincesse le elezioni nulla potrebbe impedire l’ira di esodati, malati, massaie, studenti, meridionali, disoccupati, precari eccetera. Nel caso le perdesse, sarebbe impossibile per il nuovo governo mantenere la barra del timone senza cassare tanti interventi di spending review e, soprattutto, sulle pensioni eliminando – ope legis – quelle d’annata ed  i vitalizi, che sostengono la Casta e che Elsa Fornero si è ben guardata dall’intaccare.

Altro potrebbe essere se Mario Monti si tenesse in disparte, pronto a sostenere un governo improntato alla sobrietà, alla crescita ed alla solidarietà, abbandonando al loro destino l’esercito di ‘salotti buoni’ che si è portato dietro al governo e che non sembra (salvo Cancellieri) abbiano concluso granchè.

Ma, allora, il Centrodestra non avrebbe un ‘candidato forte’ e rischieremmo di trovarci Renzi o Vendola come premier?

Beh, ci si poteva pensare prima a questo ‘finale’, piuttosto scontato, a fronte di un governo durato un anno che ha voluto salvare ‘tutte le banche a tutti i costi’ e, per non fare una patrimoniale od intaccare prebende acquisite, ha peccato di iniquità e di tecnicismo. A sinistra, ci sono anche Fassina, De Magistris, Tabacci, ma, essendo fuori dal coro, adesso è difficle proporli agli elettori in quattro e quattr’otto.

La frittata è fatta, qualcuno l’aveva detto in tempi non sospetti e non c’è tempo per rimediare, visto che, invece di smantellare la Casta e far emergere nuove leadership e nuovi metodi, questo Governo s’è forse più preoccupato – agenda alla mano – dell’Europa che dell’Italia.

Mario Monti non peggiori la situazione, dunque, dato che non è un politico nè sembra avere le doti necessaria, visti i ‘non risultati’ ottenuti finora.

Leggi anche Mario Monti, un curriculum da conoscere

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Allarme Italia in crescita

17 Lug

Mentre il ‘fantasma’ del Berlusconismo si aggira nelle sale di Montecitorio e nelle redazioni dei nostri media, visto che il PD solo alleandosi con l’UDC può sperare di vincere le prossime elezioni, accadono cose  davvero inquietanti.

A partire dal documento pubblicato da The Guardian, quasi in simultanea con il de-rating di Moody’s, dal quale è possibile evincere – in tutta la sua ‘grandezza e piccineria’ – il disastroso bilancio dello Stato italiano. Nessuna eco dalle nostre parti, come del resto atteso.

Oppure, il Presidente della Repubblica che – mentre si avvicina il semestre bianco preelettorale – tacita per ‘conflitto istituzionale’ l’inchiesta palermitana sulla cospirazione che portò alla morte di Falcone, Borsellino e relative scorte, con il seguito di stragi e trattative mafia-Stato. Cosa di talmente imbarazzante (e lampante) deve esserci in quelle intercettazioni?

E che dire dei tanti e tanti consigli locali che si sono incrementati i vitalizi a pochi mesi dalla fine dei mandati, se non prendere atto che ‘i topi scappano quando la nave affonda”‘? O del Fondo Monetario Internazionale che va ad aggiungersi alla lunga fila di commenti negativi, specie riguardo la situazione sociale/politica e quella che è stata la sua gestione negli ultimi mesi?

Intanto, Eugenio Scalfari da La Repubblica – non quella di Platone, ma quella ‘all’amatriciana’ ed ‘espresso’ – ci invita a rileggere Marx e Keynes per scoprire i limiti dle Capitalismo. L’impressione è che l’invito sia diretto a Mario Monti e ministri vari, oltre che alla segreteria del Partito Democratico, dato che gli italiani questo l’hanno già capito da soli, specialmente da otto mesi a questa parte.

Varrebbe la pena di leggere d’altro e di più recente, sia Lei sia gli altri come Lei, egregio dottor Scalfari. Ad esempio, i brevi stralci che riporto.

Al di sopra dei governi, dei parlamenti, dei giudici, dei giornalisti, dei sindacati, degli intellettuali, delle chiese, degli eserciti, degli scienziati regnano casì i mercati finanziari. Ecco che allora le istituzioni pubbliche si svuotano del loro sangue e la repubblica soffre di anemia. Ben presto sarà ridotta a un fantasma“. (da La privatizzazione del mondo – 2002 – di Jean Ziegler, parlamentare ed economista svizzero)

L’esautoramento della politica da parte del mercato si manifesta così nel fatto che allo stato nazionale viene meno la capacità politica di proteggere la sua base di legittimità rastrellando risorse fiscali e stimolandola crescita economica“. (da La costellazione postnazionale – 1999 -di Jurgen Habermas, sociologo e membro del Partito Social-democratico tedesco)

Per restare concorrenziali sui mercati mondiali sempre più importanti, gli stati sono costretti a prendere iniziative che danneggiano irreparabilmente la coesione della società civile.” (da Quadrare il cerchio – 1995 – di Ralf Dahrendorf, sociologo e membro del Partito Liberale Tedesco)

In Italia, come dicevamo, stiamo ancora a Marx e Keynes, alle classi sociali ed agli stati nazionali – con tanto di codazzo di nostalgici di Giolitti, Mussolini, Togliatti e De Gasperi – mentre la situazione è vistosamente mutata e, soprattutto, ci sono altri autori e nuovi studi che consentono una visione diversa e delle soluzioni differenti.

Una consapevolezza che non attecchisce solo negli ambienti ‘estremi’ o radical, ma che sta coinvolgendo anche i cattolici – almeno per quanto riguarda l’America Latina – e che meriterebbe ben altra attenzione da parte dei ‘guru’ nostrani.

Cos’altro dire ai nostri ‘intellettuali’?
Che, da anni e decenni, in Italia, l’acqua è poca e la papera non riesce a galleggiare?

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J’Accuse …! Lettera al Presidente Mario Monti

14 Lug

Sappiamo da almeno 150 anni che gli italiani sono un popolo pronto ad inseguire lucciole e falene: il Trasformismo ottocentesco e la Cleptocrazia della Seconda Repubblica ne sono la prova.

Sappiamo anche che la qualità delle nostre scuole ed università non è eccelsa, forse non lo è da decenni, come dimostra quel 56% circa di adulti non diplomati e la fuga dei nostri (migliori) cervelli all’estero.

E ci è ampiamente noto che i nostri media non hanno alcuna intenzione di disturbare il conducente di turno: la riprova è nell’enorme quantità di politici indagati, condannati o prescritti di cui non v’è neanche una statistica riassuntiva.

Dunque, qui da noi è ampiamente possibile che venga data fiducia ad un personaggio, Mario Monti, che pur occupandosi di banche e finanza ‘da sempre’ riesca a dire “siamo virtuosi e invece di premiarci ci puniscono“.

E quando mai, egregio dottor Monti, la finanza speculativa (ndr. perchè ce ne sono altre?)  ha premiato la ‘virtuosità’? E, tra l’altro, chi è che può affermare che il programma attuato dal Governo Italiano sia ‘virtuoso’ se non le agenzie di rating che stanno lì apposta?

Dunque, non nascondiamoci dietro un dito, signor Presidente del Consiglio, che a quello ci pensa già Pierluigi Bersani.

Lei, presidente Monti, non sta eseguendo il programma con cui si presentò al Senato. Non ha rilanciato il sistema-Italia e, viceversa, l’ha messo in stallo, pur di dragare denaro privato e salvare banche (Unicredit e Monte Paschi) ed industrie belliche (Finmeccanica). Non ha risanato il sistema di governance e neanche ha spinto per farlo, mentre – a rileggere i giornali di settembre scorso – era questa la prima azione di risanamento da attuare.

Il suo piano ‘salva Italia’ non ha finora tutelato gli anziani, i sottoccupati ed i disoccupati, le famiglie, i giovani e le donne, i malati, gli scolari e gli studenti. Non ha tutelato i cittadini che, tramite il voto, affidano i loro destini al Parlamento ed al Governo.
Eppure, per ‘sistemare le pensioni’ bastava intaccare quelle milionarie e d’annata, che stravolgono persino i conti dell’INPDAP, che pur attinge dai contributi certi e noti del personale pubblico.

Come anche, invece supertassare i cittadini e portare l’Italia in una cupa recessione, potevamo ricorrere ad una Patrimoniale da 40 miliardi di euro, che, a far due conti, sono 670 euro per italiano di media. Una Patrimoniale che avrebbe evitato lo spread, ci avrebbe posto al di fuori dei ‘ricatti’ dei mercati finanziari e, soprattutto, rappresentava denaro cash e non a rate con gli interessi, come accade per i titoli di stato.

Tra l’altro, egregio professore, Lei ha forse ascoltato, ma certamente non ha raccolto consigli e suggerimenti che da più parti sono arrivati in questi otto mesi di delirio. Come anche ha avocato a Lei stesso tutte le decisioni riducendo in poltiglia il già penoso dibattito politico, con il risultato che “the political climate, particularly as the Spring 2013 elections draw near, is also a source of implementation risk“.
Oggi, lo scrive Moody’s, da otto mesi lo sta scrivendo Demata.

Dunque, non resta che prendere atto che Moody’s ha sfiduciato Lei, dottor Mario Monti, per due ben precisi motivi e lo ha fatto proprio mentre Lei andava ad incontrare il Big Business di Silicon Valley.

Il primo dei motivi del declassamento è che Lei ha adottato misure rivelatesi perniciose (recessione, deindustrializzazione generale ed abbandono del Meridione) e destabilizzanti (pensioni, lavoro e BTP). Un brutto flop di cui i media italiani – risvegliandosi dal torpore – iniziano ad sottolineare, come ad esempio LA7 di ieri sera.

Il secondo motivo del declassamento di Moody’s trova origine dal fatto che, come tecnico, Lei non ha avuto l’umiltà di ricorrere alla ‘concertazione’, ovvero al dibattito tra le parti e alla responsabilizzazione delle parti,  viatico unico ed imprescindibile per riformare la Casta, ripristinare un ‘political climate‘ ed abbattere ogni ‘source of implementation risk‘.

Oggi, con un rating in caduta libera, non Le restano molte scelte, egregio presidente Monti, se escludiamo il ricorso ad elezioni anticipate, ovvero il salto nel buio senza una riforma del parlamento e delle autonomie locali.

Dunque, o qui si continua a tirare avanti non si sa come, come da marzo accade, portando a fibrillazione completa il corpo elettorale e creando i presupposti per un ‘problema italiano’ di lunga durata (un Ventennio?), oppure Lei inizia a comportarsi da Clistene o da Cincinnato, come tutti si aspettavano, ricorrendo ad una Patrimoniale, riformando la Casta, semplificando il Paese.

 

Intanto, prenda atto che stavolta ‘l’asso di picche’ del Bel Mondo e della Bella Gente è toccato a Lei, prima, e poi, solo poi, all’Italia ed agli italiani.

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Moody’s declassa Mario Monti (e l’Italia)

13 Lug

Digis srl, con una serie di sondaggi effettuati in questi giorni, offre uno squarcio abbastanza fedele del deterioramento della pubblica opinione italiana, dopo sei mesi di ‘governo tecnico’ e della contestuale sparizione del dissenso dai media.

Innanzitutto, prendiamo atto che, oggi, i contatti rifiutati sono il 70,1% del totale, mentre, in dicembre, le interviste complete  raccolte da Digis srl (per un analogo sondaggio) erano il 73,7% su totale contatti.

In soldoni, le persone che hanno deciso che ‘rispondere ai sondaggi è una perdita di tempo’ sono aumentate più del doppio ed una percentuale così alta dovrebbe suggerire che sono fortemente scontente. Dovrebbe …

Ma il peggio arriva al leggere i dati raccolti: sembrerebbe quasi che tutti siano convinti (o convincibili) di tutto ed il contrario di tutto.

Vendere beni dello Stato è ‘un errore che porterà alla svendita del patrimonio statale’ per il 38%, mentre il 21% degli intervistati vuole che si mettano in vendita ‘soltanto quelli costosi ed improduttivi’, ma ben il 41% pensa che sia ‘un provvedimento non rinviabile’.
Il 43% degli intervistati ritiene che il ministro Fornero dovrebbe dimettersi, ma il 79% degli intervistati ritiene che per gli ‘esodati lo Stato dovrebbe garantire il raggiungimento dei requisiti di pensione solo per coloro che hanno subito chiusura o ristrutturazione dell’azienda”.

Allo stesso modo, il 48% attribuisce all’INPS la responsabilità degli errori sui dati degli esodati, mentre il 52% attribuisce la responsabilità degli errori al ministero diretto da Fornero.
Inoltre, il 49% è convinto che ‘i sacrifici imposti da Mario Monti riusciranno a portare l’Italia fuori dalla crisi’, ma il 60% ritiene che ‘questo governo deve interrompersi in autunno con elezioni anticipate’.

Un dato che viene implicitamente confermato da EMG, con un sondaggio eseguito su un campione di 1.000 persone che mostra un tasso pesantissimo di rifiuti/sostituzioni, pari al 79%, ed un totale sfaldamento della compagine elettorale e, soprattutto, del bipolarismo.

Le intenzioni di voto rilevate, infatti, attribuirebbero il 46.0% ad una coalizione guidata da Monti, composta da PD, Popolo della Libertà, Psi, UDC e FLi, ma, allo stesso tempo, confermano un rilevante astensionismo (35-37%), oltre che a prevedere sia la coalizione SEL-IDV sia il Movimento 5 Stelle al 20%.

Preso atto della situazione e del fatto che non ci voleva molto a prevederla, ricordiamo che il capo di un governo ha come primo compito operare affinchè il Paese sia unito, specie se è tempo di crisi e viene scelto un tecnico. Affinchè questo accada è necessario che i sacrifici siano equi e che gli errori vengano pubblicamente ammessi. Ciò vale, naturalmente, anche per i ministri come Fornero e Passera.

E’ anche indispensabile che – proprio perchè c’è crisi e la nazione ha un ‘manovratore’ e non un ‘capitano di lungo corso’ – i media provvedano ad informare a tutto tondo i cittadini, in modo da renderli consapevoli delle scelte e permettere loro di discernere cause ed effetti, responsabilità e decisioni.

Tutto questo non è accaduto in questi mesi, durante i quali l’Italia ha vissuto in una sorta di limbo della democrazia, senza alternative, senza commenti e senza critiche ad una ‘cura’, che a ben vedere è ignota a tutti, visto che Mario Monti non sta affatto rispettando il programma da lui stesso presentato a suo tempo.

Il Partito Democratico, da anni ormai, non agogna altro che un’alleanza con l’UDC, cosa che finalmente permetterà a buona parte degli ex giovani democristiani di confluire in un solo raggruppamento politico con alla guida Mario Monti, redivivo Cincinnato.

Un’alleanza PD-UDC che, coalizzandosi con il PdL degli esecrati Alfano e Cicchitto (incredibile ma vero) e con Gianfranco Fini ed i suoi (ancor più incredibile), riuscirebbe in due scopi: vincere le elezioni ed aggregare in una solo raggruppamento politico tutto ciò che resta (troppo e tanto) dei partiti della Prima Repubblica.

Una follia che porterebbe l’Italia ad un forte deterioramento della coesione civile, confusa dalla disinformazione ed alimentata dall’iniquità, mentre si andrebbe a creare un definitivo ed irrimediabile ‘strappo’ tra cittadini da un lato e politici e clientes dall’altro.

E’, dunque, evidente che se Moody’s declassa l’Italia, non è a causa di Confindustria o del Sindacato, specialmente se è il ‘quadro politico’ ad allarmare agenzie di rating e mercati.
Un ‘quadro politico’ che non riesce a ridurre di un centesimo le spese della Casta, che esita se deve tagliare qualche CdA o qualche provincia, che non sa stilare una legge elettorale, che non vuole assolutamente intaccare alcun privilegio di una generazione di privilegiati, che non offre un volto nuovo da almeno 20 anni.

Un ‘quadro politico’, ricordiamolo, che vede in Mario Monti la sua massima autorità come capo di un governo di programma sostenuto da una coalizione di partiti.    E chi altri mai?

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