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Marchionne presenta la Fiat del futuro, ma Piazza Affari non guarda così lontano

7 Mag

Marchionne: “A Melfi 200mila jeep, 5 miliardi su Alfa. Ferrari non è in vendita. Nessun lavoratore italiano sarà mandato a casa”, ma il mercato italiano boccia il piano. Fiat apre sotto quota 7,9 euro in forte calo a Piazza Affari.

Perchè?

Certamente, Fiat paga perdita netta di 319 milioni di euro sul il primo trimestre del 2014 rispetto all’utile netto di 31 milioni nel 2013.
In realtà, la situazione è solida, visto che il risultato netto sarebbe stato positivo per 71 milioni, se non si fosse considerato il costo esoso dell’accordo con la Union of American Workers ( il sindacato che attraverso il fondo Veba deteneva una quota Chrysler.

Allo stesso modo, gli investitori non vedono prospettive esaltanti per un marchio che ha visto crollare le vendite Alfa Romeo, per non parlare della Lancia, mentre la Fiat ‘esiste’ ormai solo nel settore delle piccole utilitarie con 500 e Panda, mentre il Lingotto è Jeep.

Si può immaginare, dunque, la doccia fredda causata dall’annuncio che Alfa andrà a coprire il settore delle utilitarie sportive medio-alte, in modo da affiancare alle 500 – sul mercato Chrysler – delle altre autovetture italiane dai 90 Cv di potenza a salire.

 

Alfa Romeo 8C

Addio Lancia, diranno quelli che dimenticano come da decenni, forse da sempre, la gloriosa ditta non ha prodotto altro che autovetture Fiat di classe e rifiniture superiori.

Come se non bastasse, non viene annunciata una qualche ‘reitalianizzazione’ del Lingotto, mentre le commesse per gli F35 piemontesi potrebbero dimezzarsi, bensì si promette il potenziamento delle linee di produzione di Melfi, in Basilicata, al confine con Puglia e Campania.

Addio Fiat, diranno coloro che hanno nostalgia del fumo delle ciminiere a Torino e dintorni, dimenticando che quelle fabbriche erano fatte da persone arrivate dal Sud e  che già all’epoca potevano funzionare benissimo lì.

pianale panda 4×4 carrozzeria 500 frontale jeep

In realtà, le prospettive sono interessanti per la Fiat:

  1. la definitiva entrata di Fiat nel mercato mondiale dei fuoristrada, quelli ‘duri e puri’ a quanto pare, è un successo enorme, specialmente se si tiene conto di cosa poteva diventare la ‘vecchia’ Panda e cosa è ancora oggi la Lada Niva;
  2. la possibile evoluzione di Lancia come marchio ‘extralusso’ di Chrysler, come lo era già per Fiat, che potrebbe rivelarsi un settore ad ‘alto ricavo’ nel merchandising della multinazionale;
  3. la veste ‘definitiva’ data ad Alfa, collocata nel sistema vendite di Chrysler, come utilitaria di classe superiore alla 500, ma sviluppata anche come ‘supersport’ del Ferrari system.

Prototipo del SUV Fiat 500L-X

Da queste miopie e nostalgie deriva gran parte della disaffezione mostrata dal mercato azionario italiano verso il piano presentato dall’ad FCA Sergio Marchionne negli Usa ieri.

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La vittoria di Marchionne

3 Gen

Sergio Marchionne ha vinto. E’ riuscito a salvare il marchio FIAT, internazionalizzandolo, ed è di questi giorni l’apertura ad un superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, da parte del suo fiero oppositore Maurizio Landini, leader sindacale della FIOM.

Intanto, a Torino esiste ancora una fabbrica di automobili, ‘garantita’ da un marchio vintage come quello Jeep, e in Campania le fabbriche FIAT funzionano ancora tutte, anche se la crisi dell’automotive in Europa imperversa ancora.

Susanna Camusso e tanti altri si chiedono se FIAT sia ancora italiana e quanto lo sia.
Potremmo chiedercelo – e faremmo bene a chiedercelo – anche riguardo Alitalia, Autostrade spa, Unicredit e Monte Paschi, Parmalat eccetera eccetera …

E prendiamo atto che ‘il valore aggiunto’ di FIAT era nella genialità di un ingegnere abruzzese naturalizzato canadese e dei suoi colleghi del Centro ricerche Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco.
Le perdite, oggi come ieri, derivano dall’eccessivo costo d’impresa e del lavoro che c’è in Italia.

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Perchè la Fiat può disdire i contratti

21 Nov

Secondo fonti sindacali, che annunciano azioni legali e denunce, la FIAT ha disdetto, a partire dal primo gennaio 2012, “ogni altro impegno derivante da prassi collettive in atto” e si rende disponibile a “promuovere incontri finalizzati a realizzare accordi uguali e migliorativi rispetto a quelli attualmente vigenti”.

Non esiste uno Statuto dei lavoratori?  Perchè la FIAT può regolarsi in questo modo? Ed i Sindacati sanciti e tutelati dalla Costituzione?

Appunto …

La Costituzione Italiana ordina, all’art 39, che “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.”

I nostri sindacati non hanno ordinamento interno a base democratica, almeno per quello che si intende comunemente, e non sono registrati, dato che in trent’anni nessuno è riuscito ad emanare il decreto attuativo.

Dunque, i contratti collettivi di lavoro non hanno necessariamente efficacia obbligatoria.

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Landini contro tutti

28 Gen

Oggi, i sostenitori della FIOM hanno organizzato cortei e presidi dinanzi alle fabbriche per protestare contro gli accordi siglati dagli altri sindacati ed accettati dai lavoratori degli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori.

Il segretario generale della FIOM Maurizio Landini annuncia: «Federmeccanica e Confindustria devono sapere che, se fanno quello che fa la Fiat, ci sarà un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese».

Eh già, con la situazione politica, finanziaria e produttiva che abbiamo ci manca solo il “conflitto” di Landini, in modo che, dopo la Tunisia e l’Egitto, anche l’Italia abbia le sue giornate di morte e di sangue.

Cos’altro mai, visto che si annuncia un conflitto?

 

I comunisti e la logica del conflitto

28 Gen

Il principale problema insito nel confrontarsi con dei comunisti è l’idea che la società sia divisa in classi e che queste siano in conflitto tra di loro.

E’ una questione che puntualmente riemerge, inficiando profondamente sia la credibilità democratica dei comunisti stessi sia, soprattutto, il perseguimento di soluzioni pienamente condivise.

Oggi, il segretario generale della FIOM ha prefigurato un conflitto sociale prossimo venturo “che non ha precedenti nel nostro Paese”, che, ricordiamolo, ha già vissuto, in 150 anni, le insurrezioni del primo dopoguerra, il Fascismo e gli Anni di Piombo.

Un conflitto probabile, se c’è chi soffia sul fuoco ed indottrina giovani; un conflitto sterile, dato che impoverirebbe il paese come accadde negli Anni ’70; un conflitto inutile, perchè i comunisti farebbero bene a capire che il “nemico è anche tra di loro”.

Un esempio banale può chiarire facilmente l’assurdità di quello che accade. Giorni fa, infatti, si annunciavano gli utili azionari della Fiat a fronte del nuovo contratto di lavoro peggiorativo. Non pochi hanno associato i dividendi a squallidi personaggi di grotziana figura ed i contratti a schiere di lavoratori Fiat schiavizzati come solo Fritz Lang seppe fare.

A nessuno è venuta l’idea che tanti di quegli azionisti siano normali lavoratori dipendenti che hanno puntato i loro risparmi, poche migliaia di euro, sulla ripresa di un’azienda italiana che da lavoro agli italiani.

Nessuno ha pensato che tra i “fortunati” azionisti Fiat ci possano essere anche non pochi lavoratori della stessa azienda.

Quanti sono gli “schiavi” che sono anche “padroni” di se stessi?

Anche questo è il Terzo Millennio.

FIOM, tanto rumore per cosa?

11 Gen

La FIOM, nel 2009, totalizzava 363.507 iscritti tra i lavoratori attivi del settore metalmeccanico ed informatico. La confederazione “rossa” dei metalmeccanici non rappresenta, dunque, le “masse”, i “lavoratori”, il “proletariato”, ma è solo un’associazione di una categoria.
Del resto, sono trascorsi almeno 40 anni da quando il mondo del lavoro ha iniziato a mutare dalla “grande fabbrica” al “terziario flessibile”: gli operai sono diventati una ristretta minoranza della popolazione.

Oggi, ad esempio, va registrato che la CGIL è il sindacato del pubblico impiego e dei servizi, se annoverava (nel 2009) 407.716 iscritti nella Pubblica Amministrazione, 372.268 nel commercio, turismo e servizi, 367.768 tra gli edili, 188.127 nella scuola e 152.953 nei trasporti.

In assoluto, i lavoratori attivi iscritti alla CGIL sono solo 2.751.964 a fronte di 2.994.203 pensionati, spesso provenienti dalla FIOM e dalla FILT.

Cosa significa tutto questo?
Molte e poche cose allo stesso tempo.

La CGIL ha 5.746.167 iscritti, ovvero i suoi iscritti rappresentano un terzo di tutto l’elettorato di centrosinistra, e, anche se la relazione non è così diretta, sono pari alla metà degli elettori del Partito Democratico.
Considerato che è un “sindacato di sinistra” e non un “sindacato e basta”, questo rappresenta un vincolo (ed un limite) politico per il nostro Parlamento ed il nostro sistema elettorale, oltre che per i partiti e per l’editoria di sinistra. Tra l’altro, se ragionassimo in termini sessisti, considerato che la gran parte degli iscritti sono maschi, potremmo azzardare che buona parte degli elettori di sinistra di questo sesso sono anche aderenti alla CGIL.

C’è, poi, la FIOM che raccoglie circa il 10% degli iscritti attivi di tutta la CGIL, meno del 2% dei lavoratori italiani attivi (24 milioni) e meno dell’1% dell’elettorato (~ 45 milioni).
Come dire che poche noci nel sacco riescono sempre a fare tanto rumore? Probabilmente si, ma a condizione che i media scambino le lucciole per lanterne …