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Europa 2020: nel Lazio c’è tanto da fare

20 Feb

1959842_10152168796154034_2121530092_nArriva Europa 2020 (PSR del Lazio 2014 – 2020), la strategia per la crescita economica e sociale dei Paesi dell’UE lanciata dalla Commissione europea nel 2010, che individua 3 priorità – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva – mira a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e competitività.

La Regione Lazio, nel corso del 2013, aveva avviato le attività finalizzate alla predisposizione degli strumenti operativi, in particolare l’analisi di contesto socio-economico dell’agricoltura regionale e la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PSR 2014-2020.
E, proprio in questi giorni, ha aperto un sito apposito (link) dove si legge “fino al 28 febbraio, grazie ad una pagina web dedicata, raccoglieremo le osservazioni di chi vuole contribuire. Quando aumenta la partecipazione e la condivisione, si prendono decisioni migliori“.

Beh, la pagina web dedicata è questa (link) e di spazio per la ‘consultazione on line’ proprio non ce n’è … ma si precisa che “la consultazione online è aperta sia ai componenti del Tavolo di Partenariato che a tutto il pubblico interessato“. A scartabellare un po’, si scopre un file excel destinato a soggetti che abbiano un “ruolo svolto in relazione allo sviluppo rurale” con tanto di Ente di appartenenza o qualifica professionale.

Peccato che l’agroalimentare sia quello che mangiamo e quello che spendiamo. Forse, tra ‘tutto il pubblico interessato’ ci sono anche i cittadini. O no?

Un disguido, una frase fraintendibile, ma, parlando di ‘crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’ dell’agricoltura nel Lazio, c’è ne sarebbe da discutere anche come cittadini /consumatori e non solo come operatori.

Come, ad esempio, per gli unici olii d’oliva DOP del Lazio, il Sabina e il Canino, noti per il loro pregio e coltivati su un’area equivalente almeno alla provincia di Siena. Prodotti eccellenti che trovano poca traccia come commercializzazione su internet, di sicuro non sono venduti nei supermercati laziali e, con tanti ulivi in bella vista, non sembrano contribuire particolarmente alla leva fiscale regionale …

Sempre in termini di ‘anomalie’ sarebbe da ricordare almeno quella dei tanti (troppi?) vini DOC del Lazio, quasi uno per campanile e di blasone diverso, come raccontano i nomi: Aleatico di Gradoli, Aprilia, Atina , Bianco Capena superiore, Castelli Romani , Cerveteri , Cesanese di Affile DOC , Cesanese di Olevano Romano DOC , Circeo , Colli Albani , Colli della Sabina , Colli Etruschi Viterbesi, Colli Lanuvini superiore, Cori , Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Frascati, Genazzano, Marino, Merlot di Aprilia, Montecompatri Colonna , Nettuno, Orvieto , Roma, Sangiovese di Aprilia, Tarquinia , Moscato di Terracina, Trebbiano di Aprilia, Velletri , Vignanello , Zagarolo superiore‏  

Quale possa essere la loro ascesa ed affermazione sui mercati è presto detto, se c’è da competere con intere province, come il Chianti o il Montalcino, od aree regionali, come per i vini californiani e spagnoli.
Intanto, i contributi (soldi pubblici) per questa bella lista di vini li spendiamo …

Il tutto senza tenere conto che esistono anche i costi sanitari non irrilevanti per le patologie da consumo alcolico, mentre il Ministero per le Politiche Agricole e l’Assessorato regionale del Lazio per  Agricoltura e Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca – sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica – non mancano di patrocinare eventi come “La cultura del vino in Italia” nel Complesso del Vittoriano, in un paese che evita di scrutare il fenomeno alcolismo, ma che nel 1965 vedeva oltre 120 litri di vino come consumo pro capite annuale tra i maschi (bambini inclusi) e che nel 1994 presentava percentuali allarmanti tra le donne di alcune regioni ed oggi conta nel Lazio il 22,1% di bevitori maschi ‘a rischio’  (Rapporto Istisan 2012).

E c’è la questione dei costi dei prodotti sui banchi dei supermercati, con una “filiera del commercio che finisce per avere sempre la stessa conseguenza: a rimetterci è il consumatore che va a comprare. «C’è un ricarico del 200% in media, ma con punte anche del 300%», affermano alla Coldiretti sulla base di un loro studio“, mentre ” il Mercato Ortofrutticolo di Fondi è molto più di un mercato. E’ una città, 335 ettari, 120 aziende, 2 mila produttori locali, 800 milioni di fatturato l’anno. E’ il più grande mercato italiano, il secondo in Europa dopo quello di Parigi.” (Flavia Amabile – La Stampa).

Ce ne sarebbero di cosa da ‘consultare’, visto che lo scopo di un governo regionale dovrebbe essere quello di garantire, innazitutto, che la merce che arriva ai cittadini sia di buona qualità ed a prezzi decenti.

Anche in questo caso, come per il frammentato e opaco mercato dell’olio e del vino laziali, Roma e il Lazio dovrebbero badare alla “competitività” che – guarda caso –  è tra le priorità  di Europa 2020.

Frammentato anche in Regione Lazio, dove la ‘Programmazione Comunitaria’ è affidata ad un ufficio (Dirigente Roberto Aleandri), le ‘Politiche di mercato e l’organizzazione delle filiere con progettazione integrata’ ad un altro ufficio (Dirigente Stefano Sbaffi), la ‘Promozione, comunicazione e servizi per lo sviluppo agricolo’ ad un altro ancora (Dirigente Cristiana Storti) …

Non è in discussione la professionalità dell’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Sonia Ricci, che è stata amministratrice e direttore generale di alcune aziende agricole fino alla nomina di Zingaretti, oltre a essere impegnata politicamente sin da giovanissima.

Ma la sfida di Europa 2020 passa una volta sola e troppi interessi localistici e micragnosi hanno pesantemente influenzato – finora – la nascita di un’immagine e la conseguente affermazione di un ‘prodotto laziale’, come viceversa avviene per tutte le regioni limitrofe. Persino nel piccolo Molise.

Cerchiamo, dunque, di scoprire su quali scaffali e quali tavole finisce l’olio sabino, dopo essere stato venduto (si spera). Proviamo a sviluppare due vini due che abbiano abbastanza ‘forza produttiva’ per sviluppare campagne di marketing massive.
Miglioriamo la filiera e facciamo in modo che i prezzi dell’ortofrutta a Roma siano più bassi per i consumatori e i ricavi più alti per i produttori … forse spenderemmo meno in Welfare e aiuti all’agricoltura, mentre la gente sarebbe più ottimista.

originale postato su demata

Vinitaly, si potrebbe fare di più

8 Apr

Con la rassegna annuale del vino, Vinitaly di Verona, arrivano i primi dati sulla situazione di un settore che rappresenta la maggior voce attiva del comparto agroalimentare nazionale con un lusinhiero +11%.
Non tantissimo, se parliamo di quasi 4 miliardi di euro, ovvero meno dello 0,1% del PIL italiano, ma comunque un raggio di sole in un sistema agroalimentare straziato dal sistema clientelare dei sussidi e dal lavoro nero dei migranti.

REGIONI D.O.C. e D.O.C.G. I.G.T. Da tavola Totale %
ITALIA 14.794.424 12.598.401 19.723.822 47.116.647
NORD 8.294.786 7.314.564 4.272.189 19.881.539 42,20%
CENTRO 3.498.829 2.029.518 1.914.141 7.442.488 15,80%
SUD 3.000.809 3.254.319 13.537.492 19.792.620 42,01%
REGIONI D.O.C. e D.O.C.G. I.G.T. Da tavola Totale %
ITALIA 14794424 12598401 19723822 47116647
NORD 8294786 7314564 4272189 19881539 42,20%
CENTRO 3498829 2029518 1914141 7442488 15,80%
MEZZOGIORNO 3000809 3254319 13537492 19792620 42,01%

 

Le cattive notizie sono diverse.
Nel complesso esportiamo 22 milioni di ettolitri, equivalenti a poco meno di 3 miliardi di bottiglie da 75cl. Il volume di mercato, indotto incluso, è di oltre 13 miliardi di euro con ben 1,2 milioni di addetti.

Questo significa diverse cose:

  • almeno 500mila bottiglie di vetro in circolazione in un paese che non brilla nè per le politiche ambientali nè per quelle energetiche
  • una milionata di lavoratori che “vive” con una decina di miliardi, che fanno solo 10mila euro annui a testa di media
  • un consumo interno di alcolici che, considerato che c’è tanta gente che non beve vino, per tanti altri si attesta ben oltre la bottiglia al giorno.

Aggiungiamo che, oggi, solo 700mila ettari sono coltivati a vigna, rispetto alla milionata del passato recente, e che le aziende iniziano a raggiungere dimensioni mediamente superiori ai 3 ettari.
Un dato apparentemente positivo, visto che la produttività è aumentata, che, però, pone seri imperativi sulla riforma dello status di consorzi e cooperative, visto che ormai sono strutturati come e più delle normali aziende, ma godono di consistenti agevolazioni fiscali e fideiussorie.

La buona notizia è che le esportazioni enologiche verso Brasile, India, Cina e Russia hanno, nel 2010, compensato le perdite del 2009, causate dalla contrazione del mercato italiano, ed è ragionevole credere che ormai assorbano quasi un quarto della nostra produzione.

Ma anche in questo caso, un’Italia declinante e tardiva tralasciare che con soli 700mila ettari tagliati in un rivolo di parcelle rurali non potremo mai essere competitivi con le grandi estensioni australiane, argentine o californiane.

A proposito, perchè fare Vinitaly a Verona, mentre i terreni su cui espandere produzione e produttività sono al Sud, dove Puglia e Sicilia, attualmente alla pari con il Veneto e l’Emilia Romagna nella produzione, tanto potrebbero migliorare nella qualità e redditività?

Non è nel Veneto che possiamo espandere il settore vinicolo, ma proprio questo potrebbe essere il motivo per cui il Governatore Zaia, ex ministro per le politiche agricole, si tiene ben stretto Vinitaly ed i vini DOC di casa sua.

A quando i reclami di Vendola e Lombardo?