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Bilanci di previsione pubblici: le proroghe sono incostituzionali?

7 Giu

Il 29 aprile scorso, un decreto a firma del ministro Alfano differiva ulteriormente io termine di deliberazione del bilancio di previsione 2014 per gli Enti Locali, prorogandolo fino al 31 luglio.
Di norma la delibera va posta entro il 31 dicembre dell’anno precedente (in questo caso il 2013), ma era stata già prorogata due volte, prima al 28 febbraio e poi al 30 aprile.
Nel 2012, le proroghe per la delibera del bilancio di previsione del 2013 erano arrivate fino al 30 novembre, ovvero fino al giorno in cui Bankitalia conclude le assegnazioni di fondi e avvia la revisione di fine anno. Niente paura, nel 2011 s’era arrivati praticamente a Natale del 2012 …

Scrive Lio Sambucci su Contabilitàpubblica.it:da sempre, e in modo sistematico da una ventina d’anni, è invalsa la prassi di spostare in avanti il momento approvativo dei documenti di programmazione finanziaria degli enti locali: in origine, il differimento era di un paio di mesi (a febbraio, qualche volta a marzo); poi, negli ultimi dieci anni, la proroga si è spinta anche fino a giugno; ed ora addirittura a fine novembre, e, cioè, praticamente a fine esercizio.
Con ciò determinandosi una situazione surreale: con un bilancio che contiene previsioni finanziarie, che definisce la programmazione per l’anno successivo, che costituisce il documento sulla base del quale solo può avvenire la gestione nel periodo considerato, e che viene approvato praticamente alla fine dell’esercizio cui si riferisce.”

In effetti, l’idea di programmare PRIMA di iniziare un anno di lavoro, non è una norma di buon senso insita nell’indole dei nostri amministratori. Infatti, il nostro Stato – dopo un tentativo di obbligare (legge n. 142/1990) gli enti locali ad approvare il bilancio di previsione entro un termine ragionevole, il 31 ottobre dell’anno precedente, dovette abdicare portando il termine (Legge 3 agosto 1999, n. 265) al 31 dicembre dell’anno precedente, prorogabile ulteriomente, tramite la gestione commissariata, fino al 31 marzo dell’anno in questione.

Ovviamente, se il pesce puzza, inizia dalla testa ed, a corrispettivo di troppe amministrazioni locali palesemente approssimative e strafalcione, dobbiamo prendere atto che non è affatto normale che lo Stato non abbia messo a bilancio nel 2013 quello che (per esempio) doveva assegnare ai comuni nel 2011 per consentirgli di deliberare il bilancio di previsone 2012 in anticipo e non postumo.

E qui si pone un’altra questione, tanto semplice ed evidente quanto dimenticata e tralasciata: quale lavoro svolgono gli strapagati dirigenti (ministeriali e locali) se tutta una serie di conti e previsioni di spesa, derivanti da leggi o unità previsionali europee e indispensabili al funzionamento del Paese, non ce le ritroviamo nei conti pubblici quando c’è da deliberare i bilanci dei ‘terminali di spesa’: comuni, scuole, caserme, ospedali.

Nel caso dell’istruzione, ricordiamo che per anni non sono state poste in bilancio le somme, ampiamente prevedibili dal pregresso, per le supplenze nelle scuole, come anche che il bilancio di previsione – normato al 31 ottobre, è stato de facto prorogato fino alla primavara, cioè a scuola finita, a partire dal 2007 con il ministro Fioroni.
Per le forze dell’ordine, c’è l’emblematico caso delle divise e della benzina insufficienti anno per anno; andando alla Sanità – tra le tante – sembra sia inutile immaginare un bilancio di previsione per il Servizio Sanitario Nazionale /Regionale, che sembra essere un vaso di Pandora con pozzo di San Patrizio annesso, mentre non spende abbastanza e dove serve, stando alle univoche statistiche di settore.

Un sistema di bilancio, quello dello Stato, che evidentemente è disallineato, nella milgiore delle ipotesi, da quello degli enti locali, pur avendo il legislatore costituzionale individuato (art. 119 Cost. ) TUTTE le diverse tipologie di entrate di cui  le regioni e gli enti locali possono disporre /riportare nei loro bilanci, eliminando ogni possibilità di fraintendimento nella programmazione economico-finanziaria dello Stato, che esercita la leva fiscale e assegna finanziamenti.
Anche per scuole, caserme ed ospedali – a voler cercare una riprova – è lo stesso: da un lato le unità previsionali UE e le voci di bilancio dei punti di erogazione del servizio, dall’altro i parametri tabellari che costituiscono la struttura di bilancio dello Stato e che, come metodo, risalgono al lontano 1886, al Trasformismo e ai primi scandali di lobbing mafiosa nella politica e nella finanza.

Acclarato che queste proroghe sono l’espressione di un sistema ‘fuori di testa’ – oltre che concausa di inerzie, defaillances, sprechi, ruberie eccetera – c’è da chiedersi se siano ammissibili dalla nostra Costituzione e se lo siano non in ‘casi eccezionali’, bensì come dato sistemico.

Lio Sambucci – ricercatore confermato presso il Dipartimento di Economia e diritto (Sezione di Diritto dell’economia)  della Sapienza di Roma – pone l’accento su un principio costituzionale prevalente quale la «buona opportunità dei pubblici uffici» rispetto alla «armonizzazione dei bilanci pubblici» e al «coordinamento della finanza pubblica», che riguardano un aspetto specifico e, in teoria, occasionale ed emergenziale

Inoltre, se “si ritenesse quello della coincidenza di anno finanziario e anno solare a tutti i livelli istituzionali un principio assolutamente insostituibile dell’ordinamento contabile pubblico, deve essere segnalato come il costante, sistematico differimento del termine approvativo del bilancio di previsione degli enti locali, oltre a presentare, come si dirà, dubbi di costituzionalità, sia in netto contrasto proprio con il suddetto principio. In proposito, è sufficiente evidenziare che, in disparte di ogni altra considerazione, per effetto della ripetuta proroga, negli enti locali la coincidenza tra anno finanziario e anno solare e lo stesso carattere annuale del bilancio di previsione sono divenuti solo una finzione contabile: le amministrazioni locali, infatti, sanno bene di poter contare sul differimento del termine approvativo e predispongono le proprie attività (funzionali alla programmazione economico-finanziaria) e i propri adempimenti tecnico-contabili in funzione dell’approvazione del bilancio entro i primi mesi dell’anno finanziario considerato”.

“Negli ultimi dieci anni, moltissimi enti locali hanno gestito in esercizio provvisorio praticamente fino a metà anno finanziario (e , in molti casi, anche oltre), con totale svuotamento delle prerogative funzionali (a carattere programmatorio e gestionale) del bilancio di previsione, ridotto a mero adempimento formale”.
Non solo enti locali e servizi essenziali come polizia municipale e sanità, ma anche tante amministrazioni e istituzioni statali, in primis scuole e università, più pressochè tutte le ex aziende municipalizzate …

Dunque, i primi dubbi di costituzionalità riguardano il contrasto tra la possibilità di differimento  dell’approvazione del bilancio da parte di pubblicche amministrazioni ed uffici con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione che trova definizione all’art. 97 della Costituzione.

Ammessa la possibilità di differire, resta comunque un altro profilo di dubbia costituzionalità – come afferma molto condivisibilmente il prof. Sambucci – che “può essere rilevato in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 81, comma quinto, Cost. (come sostituito dall’art. 1 legge cost. 20 aprile 2012, n. 1: in precedenza, il principio era stabilito al secondo comma del citato art. 81), ove è stabilito, tra l’altro, che l’esercizio provvisorio del bilancio non può avere una durata superiore, complessivamente, a quattro mesi”.

Inoltre, “il costante, ripetuto, differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali appare, inoltre, difficilmente compatibile, da un lato, con le disposizioni di cui all’art. 81, comma quarto, Cost., ove si stabilisce, tra l’altro, il principio di annualità del bilancio: si stabilisce, cioè, in Costituzione, quale principio generale della contabilità pubblica – peraltro, ribadito dalle disposizioni ordinamentali con riguardo a tutti i livelli istituzionali, e, come visto, dai principi di armonizzazione dei bilanci pubblici – che il bilancio di previsione deve essere approvato ogni anno e (quindi) deve avere una durata annuale“.

Ma non solo, dato che è evidente a chiunque che “il sistematico differimento del termine approvativo del bilancio degli enti locali risulta difficilmente compatibile con il principio di armonizzazione dei bilanci pubblici, il quale, come detto, ha trovato riconoscimento costituzionale” e regolativo nel d.lgs. n. 118/2011, che – infatti – stabilisce esattamente il contrario di quanto facciamo da quell’anno, ovvero che le amministrazioni pubbliche devono approvare il rispettivo bilancio di previsione entro il 31 dicembre, e lo richiede proprio quale principio generale di armonizzazione dei bilanci pubblici.

Intanto – mentre le proroghe sembrano essere del tutto incostituzionali e mentre dovremmo chiederci come facciano i conti al MEF e a quanto ammonterebbe ‘per davvero’ la spesa pubblica ‘a regime, se la situazione è questa da anni e anni – il Comune di Roma ha deliberato il Bilancio previsione annuale 2013 durante le Assemblea Capitolina n. 88 del 2/3/4/5/6 dicembre 2013, con 29 voti favorevoli, 16 contrari e un’astensione, citando nel testo proprio l ’art. 151 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 che dispone che il Bilancio deve essere deliberato osservando i principi dell’unità e annualità …

Bilancio 2013 ‘postumo’, ma anche Bilancio pluriennale e Piano degli investimenti 2013-2015, dove, ad esempio si prevede che la spesa per ‘studi e incarichi di consulenza’ sia di 261.698 euro nel 2014, come si prevedono 9.900 euro per spese di rappresentanza e 1.000 di pubblicità. Per il patrocinio di mostre, cinquantamila euro in tutto.
Un po’ poche per Roma Capitale che vuole cultura e turismo … specialmente se per l’acquisto, manutenzione e noleggio autovetture la spesa resta sostanzialmente invariata, oltre 1,1 milioni di euro. Per non parlare dei quasi 4 milioni annui, riconfermati per il 2014 e 2015, per editoria e rilegature, mentre siamo dell’era di internet ed esistono leggi apposite sulla digitalizzazione di atti e albi pubblici.

Speriamo che almeno per Natale venturo, Santa Klaus ci faccia trovare sotto l’albero non solo dei consutivi 2014 che dimostrino la ‘buona opportunità’ delle pubbliche amministrazioni, ma soprattutto i bilanci di previsione per il 2015, che ci diano contezza e speranza per il futuro.
In alternativa, sarà inutile chiedersi perchè l’Italia non riparte … se le previsioni si fanno puntualmente a consuntivo.

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Buoni pasto: statali a digiuno

27 Giu

Enrico Bondi, superconsulente del governo sulla spesa pubblica ha individuato uno spreco: i buoni pasto dei dipendenti dello Stato. La spending review taglia il valore dei ticket ristorante per gli statali dagli attuali 7 a 5, 20 euro.

Sono colpiti dal taglio quasi di mezzo milione di lavoratori, tra ministeri ed enti romani più le amministrazioni periferiche provinciali, che – nei due giorni di orario prolungato al pomeriggio – consumano circa 100 buoni pasto annui.

Parliamo, dunque, di un’economia nell’ordine dei 100 milioni annui, per lo Stato, e di una ‘perdita’ per i lavoratori di una trentina di euro al mese, se non vorranno davvero tirare la cinghia o, meglio, portarsi ‘pane e companatico’ da casa.

E qui viene il bello, dato che le aziende hanno il dovere di rendere disponibili dei locali consoni per il consumo dei pasti (anche quelli da casa) da parte dei lavoratori. Tra le ‘aziende’ annoveriamo anche il nostro apparato statale, se lo si considera come datore di lavoro.

Tagliare il buono pasto agli statali comporta un’economia di 100 milioni. Quanto costa, piuttosto, fornire locali consoni ed inventarsi una politica di gestione del personale che a Roma non è di casa oppure, peggio ancora, dover far funzionare lo Stato con tutti gli ingranaggi che brontolano e cigolano più di prima?

E come non chiedersi cosa accadrà nella Capitale, dove una buona parte di questi ticket restaurant vengono spesi in baretti, rosticcerie e ristorantini, che da settembre dovranno fronteggiare minori introiti generali per decine e decine di milioni annui?

originale postato su demata

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Napoli, l’immondizia e le best practices

24 Giu

L’aspetto più scandaloso del disastroso sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti a Napoli è l’aleatorietà e la superficialità con cui è stato, di volta in volta, affrontato il problema.

La questione di fondo, irrisolta, è data dalla densità sia demografica sia criminale della provincia di Napoli: l’affollamento abitativo impedisce la dislocazione “safe” dei centri di raccolta o stoccaggio e la ramificazione camorristica ostacola una attività molto delicata che può essere gestita solo se si rimane nella legalità.

A questo livello, è evidente che le responsabilità, le miopie e le ignavie ricadono solo ed esclusivamente sui diversi  Parlamenti e i Governi, che non hanno voluto e non vogliono tener conto delle peculiarità dell’area partenopea e che, a differenza di molti altri paesi, non sono mai riusciti ad attuare una strategia vincente contro le organizzazioni mafiose o quanto meno di contenimento al loro espandersi al di fuori della Calabria e Sicilia a partire dagli Anni ’70.

Vale anche la pena di prender nota che non c’è anima viva (tra redazioni, ministeri e sedi di partito) che ricordi come  il problema dei siti di raccolta o stoccaggio riguardi la Provincia di Napoli e non semplicemente il Sindaco di Napoli, come anche che lo smaltimento dei rifiuti sia responsabilità della Regione Campania, prima ancora che del Comune di Napoli.

Poi, ci sono Napoli, i napoletani ed i politici che Roma decide di mettergli in lizza.

Riguardo i napoletani, c’è un aspetto che molti ignorano e che delinea tutta la faccenda sotto un’altra luce: percorrono molti metri, anche centinaia per deporre il proprio sacchetto, visto che i siti dove collocare cassonetti sono pochi, in una città millenaria con un reticolo stradale ancora medioevale, se non latino. Siti dove, tra l’altro, spesso non c’è abbastanza spazio per disporre un numero sufficiente di cassonetti.

In tutte le altre città i cittadini protestano se non hanno i cassonetti a 50 metri, mentre a Napoli gli “sporchi e disordinati” partenopei accettano tranquillamente di adattarsi al contingente.

Detto questo, quali best practices possono risolvere la situazione?

Innanzitutto, va evitato in futuro che procedure e protocolli vadano in tilt, come a Napoli, dove le competenze, le responsabilità, le infrastrutture, le burocrazie e, temo, gli intralci sono ormai di tutti: Governo, Regione, Provincia e Comune. E’ anche un problema costituzionale e, forse, la Suprema Corte potrebbe essere proficuamente coinvolta, se solo una delle istituzioni coinvolte volesse.

I sindaci, entro budget prefissati o per motivi di emergenza, devono poter spedire (o vendere) l’immondizia altrove. In Padania, se i gestori dei loro termovalorizzatori vorranno far affari,  o in Europa, dove lo smaltimento è un business come altri ed opera in libero mercato. A contraltare, una giunta comunale che non riuscisse a garantire l’igiene minima nel proprio territorio andrebbe dimissionato e commissariato: il disasrtro Iervolino è un monito per tutti, a Napoli, come a Milano, Roma o Bari.

I siti di raccolta e di stoccaggio vanno posti sotto il controllo diretto dell’autorità pubblica, visti i danni ambientali ed alla salute che possono provocare o le infiltrazioni criminali che ogni tanto emergono, a Napoli come a Roma o Milano.

L’aspetto cruciale, emerso anche nella Parentopoli di Alemanno o in Padania con allarmante frequenza, è che lo smaltimento dei rifiuti genera un enorme business nel settore del  trasporto su gomma. Ogni singolo sacchetto può percorrere anche centinaia di chilometri prima di essere definitivamente smaltito, tra centri di raccolta, stoccaggio, smaltimento eccetera fino al “mitologico” termovalorizzatore. Una riforma del sistema è essenziale se si vuole consentire sia l’emersione e la legalizzazione di un sommerso al momento tutto da comprendere sia una pianificazione finanziaria e gestione credibile.

Alla fine di tutto, c’è Napoli ed i napoletani.

Parlando della città, senza differenziata, non c’è via d’uscita: l’umido deve essere raccolto con quotidianita e nei giusti orari, se si vuole evitare di strabordare dai cassonetti, gli imballi dovrebbero essere accumulati e raccolti in un giorno specifico. Riguardo la plastica, visto anche che parliamodi una città e di una cultura antiche oltre 2500 anni, dovrebbero esserci gli elementi (anche a livello di normativa europea, di Unesco e chi più e ha ne metta), per  regolamentarne l’immissione sul mercato come imballi ed articoli usa e getta.

Quanto ai partenopei, è inutile organizzare una raccolta dei rifiuti umidi senza tener conto delle abitudini alimentari e, soprattutto, degli orari: il sacchetto della sera, ad esempio, è pronto, spesso, a mezzanotte, non alle 19,30, e basta, come nei paesi freddi.

Ma soprattutto è impensabile che, attaccando un sindaco eletto con una forte maggioranza, l’Italia possa venir fuori da una brutta situazione che inizia a degenerare con “roghi”, “blocchi stradali” e “scorte armate”, come riportano un po’ tutti i media.

Purtroppo, nell’Italia del governo della Lega, viene quasi il sospetto che l’ipotesi di una “Napoli insorgente” appaia più come un’opportunità che una tragedia … e su questo De Magistris come Berlusconi dovrebbero davvero meditare.

Napoli, l’assedio

21 Giu

Ero a Napoli la sera che venne perla prima volta acclamato sindaco Bassolino.
La città era invasa dall’immondizia, non come oggi, ma abbastanza per parlare di assedio.
Erano da mesi in agitazione gli “spazzini”, come si chiamavano allora, vuoi per stipendi e diritti, vuoi per l’inconsistenza della gestione, vuoi per le infiltrazioni criminali di cui si lamentava già allora.

La mattina dopo, la città era uno specchio, incredibilmente, tra l’entusiasmo della gente e la diffidenza di pochi verso un tale prodigio.
I fatti dettero ragione ai pochi malfidati, ma non furono presi provvedimenti per evitare il disastro.

Il PD, allora PdS, continuò a candidare Bassolino, prima a sindaco e poi a governatore regionale.
I governi ed i parlamenti fecero leggi sullo smaltimento a base federale, ovvero provinciale, senza tener conto dell’esistenza di una delle aree più densamente abitate del mondo.
Bassolino non venne fermato, anzi fu “riconfermato” da Roma quale Commissario Straordinario, nonostante tutto quello che è scritto negli atti di processi che annunciatamente stanno andando in prescrizione.

Allorchè arrivati sul baratro del disastro ambientale e salutistico, arrivò Berlusconi con le leggi pseciali, l’esercito e le ricette da bar dello sport della Lega.
Risultati pressochè zero, nonostante sia prima che durante che dopo, nell’arco di un ventennio, si siano occupate della “problematica” ditte piemontesi, lombarde e venete. Tutte o quasi puntualmente finite in tribunale.

Oggi, la città ha finalmente un sindaco suo, mentre il disastro si ripresenta e mentre la calura estiva incalza.
Già due anni fa, ONU, Unione Europea ed Organizzazione Mondiale della Sanità incalzarono il governo Berlusconi (ed il suo ministro Maroni) ad intervenire in soccorso della popolazione.

Oggi, siamo punto e accapo, ma la colpa, ovviamente, è dei napoletani, come documenta questo video di una ruspetta che libera un  vistoso blocco stradale spacciato per “così raccolgono la monnezza a Napoli”.

Peccato che Bassolino e Iervolino fossero casertani, che le maggiori aziende chiamate a rispondere sia settentrionale e che è a Roma che operano ancora oggi i principali artefici di questo disastro.

Ovviamente, la colpa è dei napoletani … e del loro spirito di sopportazione.

FOTO serie 1 (da Repubblica)

FOTO serie 2 (da Repubblica)

FOTO serie 4 (da Repubblica)

Foto  serie 3 (da Republica)

Napoli, la capitale morale d’Italia

21 Giu

Ci sono molti luoghi comuni su Napoli ed i napoletani, riassumibili in “ladri, sporchi e sfaticati”.

Pregiudizi antichi, se accadde che la mia bisnonna piemontese fu diseredata per aver sposato un meridionale, pregiudizi montati ad arte, basti leggere di Scarfoglio e Serao e di come fu costruito a tavolino il mito dei “tarallucci e vino” e dell’incocludenza “borbonica”.

Eppure, le cose non stanno affatto così, dato che tanto personale delle forze dell’ordine è campano, che lì la gente insorge perchè lo Stato latita riguardo la gestione dei rifiuti, che il Settentrione è cresciuto e cresce solo grazie alla laboriosità di tanti immigrati dal Sud.

Eppure, nessuno se ne accorge e nessuno vuol parlarne.

Nessuno vede che l’inchiesta Calciopoli è targata Napoli, come lo sono quelle sui cosiddetti “appaltoni” tipici delle città “rosse”, sulle filiere cooperative toscane e non solo, sulla Why Not emiliana ed il clientelismo del Fondo Sociale Europeo, sulla Monnezzopoli bassoliniana che coinvolge ditte venete, sul disastro ambientale causato da ditte lombarde e, proprio oggi, sulla P4 padanocentrica.

Inchieste che coinvolgono tutt’Italia, che a Napoli faticosamente proseguono e che, nel resto del paese, restano bisbisglio e chiacchiericcio.

Come non riconoscere la capitale morale del nostro paese se non nella città di Napoli, nella sua sopportazione  e nella sua fedeltà verso un’Italia che puntualmente la esclude, la dimentica, la misconosce, la danneggia.

Non è un caso che da mesi si discuta dei “ministeri al nord” senza porsi affatto il problema che anche il Sud e le sue antichissime capitali (Napoli e Palermo) possano essere della partita …

leggi anche Napoli, l’assedio