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Il Senato si elegge in Lombardia

22 Gen

Partiti, candidati, candidabilità, stabilità, Senato, allenze, desistenze, sondaggi, ma solo il Corriere della Sera è entrato nel vivo di uno dei due aspetti concreti delle elezioni politiche, la distribuzione dei seggi senatoriali, come da alcuni giorni sta facendo La7, riguardo i cosiddetti ‘temi concreti’, su cui la politica nicchia.

Archiviato il ‘chi vivrà vedrà’ riguardo questioni come Sanità, spesa pubblica, eccetera, abbiamo anche preso atto che avevano ragione le Cassandre – come questo blog – che dubitavano, in tempi non sospetti, del consenso a Mario Monti, visto che, con un forte vento di antipolitica ed astensionismo, accade che ciò che si conta al 39%, se si è al governo, rischia di rappresentare solo il 17%, se si va alle urne.

Dicevamo del Corriere della Sera che pubblicava, ieri, una tabella sui ‘giochi di Palazzo Madama’ su dati ISPO 3G Deal & Research, che dimostra come, a conti fatti, saranno determinanti alcune regioni: Lombardia, Campania, Veneto, Puglia e Sicilia, che eleggeranno ben 148 senatori, praticamente metà dell’Assemblea.

In realtà, sarebbero determinanti anche la Toscana, l’Emilia Romagna, il Piemonte ed il Lazio (le quattro avvantaggiatesi dai ‘trasformismi’ degli ultimi 150 anni), ma la prevedibilità del risultato in queste regioni e/o il minore peso elettorale complessivo (87 senatori) le esclude da un ruolo decisivo, almeno in questa tornata elettorale.

Uno sbilanciamento che è ancora più evidente se consideriamo che lo studio pubblicato dal Corriere della Sera dimostrebbe che se il centrosinistra perdesse in Lombardia, raggiungerebbe la maggioranza assoluta in Senato solo se fosse avanti nelle altre quattro regioni.

Una questione quasi ovvia, se consideriamo che in Lombardia vive quasi un italiano su sei e che quasi l’80% degli italiani vive in una di queste nove regioni ed elegge il 76% del Senato.
Così accade che –  anche se è un po’ antipatico farlo notare –  con il Porcellum gli elettori di Val D’Aosta, Molise, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Marche, Abruzzo, Liguria, Sardegna, Calabria non hanno alcuna possibilità di incidere né sulla stabilità del Paese, né sulle scelte di Governo, né su quant’altro.
Come anche che gli 80 senatori complessivi di Piemonte, Emilia Romagna e Toscana sono di meno degli 89 che Campania e Lombardia mandano a Palazzo Madama.

Aggiungiamo che i premi di maggioranza al Senato sono su base regionale e questo comporta che un partito, che vinca in una grande regione, si trovi a conquistare dagli otto ai dodici senatori ‘extra’, più di quelli che potrebbe conquistare in 2-3 piccole regioni messe insieme.

Dunque, c’è poco da discutere nei talk show, se non di iniziare a parlare delle cinque regioni dove il Partito Democratico non ‘vola’, dove Mario Monti non è un ‘salvatore’ e dove si candidano i Maroni, i Vendola, gli Ingroia, i Miccichè, coloro che saranno le variabili ‘indipendenti’ della prossima legislatura.
Un Senato che verrà determinato a Milano e, forse, anche a Palermo e Napoli: un altro segno della rinuncia di Roma, la madre di tutte le partitocrazie, a trasformarsi in una capitale moderna, trasparente ed efficiente.

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Sicilia, rivoluzione o involuzione?

30 Ott

Alla fine, in Sicilia, andrà che il prossimo governatore sarà Rosario Crocetta con il sostegno del PD e dell’UDC, che hanno dalla loro circa 1 siciliano su 10. In tutto sono circa 35 seggi nell’Assemblea Regionale Siciliana su un totale di 90.

Pochi. Ed anche aggiungendo SEL, Verdi e IdV, scelti da quasi 1 siciliano su 50, difficilmente si arriva alla metà dei consiglieri.

Le alleanze possibili non sono molte: il Movimento Cinque Stelle, il Popolo delle Libertà, il Grande Sud.

Messo da parte il PdL, prendiamo atto che Cancellieri del M5S (18 seggi?) annuncia ‘niente alleanze’, mentre Miccichè del Grande Sud (15 seggi?) spara ‘morti vecchi partiti’, ma precisa, possibilista, che ‘fara’ sentire la sua voce e il suo peso in ogni decisione del governo’.

Dunque, staremo a vedere se l’Assemblea Regionale Siciliana si darà un ‘governissimo’ con PD, UDC, SEL, Verdi, IdV, MPA, FLi, Grande Sud, che potrebbe avere comunque una maggioranza risicata, visto che una quarantina di seggi saranno dell’opposizione.

Le alternative? Una difficile, l’altra spaventosamente possibile.

Difficile che proprio i partiti di Bersani, Casini e D’alema ‘sdoganino’ Beppe Grillo ed i Cinque Stelle, alleandosi con loro in una regione strategica per il voto politico del 2013. Sempre possibile che si inauguri, con una Grosse Koalition PD-UDC-PdL siciliana, la (nuova) stagione di una Terza Repubblica che non c’è.

Intanto, Rosario Crocetta annuncia che ‘è una rivoluzione’. Vai a capire quale.

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Tanti, troppi partiti per il Sud

15 Mar

E’ prevedibile che alle prossime elezioni (amministrative o politiche) assisteremo ad una affermazione, quanto meno in termini locali e regionali, dei diversi partiti che rappresentano le spinte autonomistiche, se non, addirittura, identità etniche e socio-culturali ben radicate. I segnali ci sono tutti, dopo il (poco) sorpendente voto delle Primare del PD a Palermo, con l’affermazione di Fabrizio Ferrandelli, un ex del Partito Umanista molto sostenuto dall’emergente Partito del Sud, e dopo l’avvicinamento di una parte del Movimento dei Forconi ai partiti di estrema destra.

Partiti per il Sud? Quanti ne saranno, tra quelli “originali”, quelli “neonati”, quelli dei “soliti noti” e quelli “non invitati”? Spero non una miriade, ma non promette nulla di buono il fatto che nessuno finora si sia preoccupato di strutturare un programma “nazionale”, oltre che meglio definire l’aspetto “identitario” di una forza politica a base locale o etnica.

Per ora, leggiamo di nostalgie duosiciliane relativamente sacrosante, rievocazioni storiche di eccidi e disgrazie mai narrate o rivelate, rivendicazioni localistiche o comunqu e non strutturali, affratellamenti precoci con partiti “storici” come precoci sono le spaccature tra destra e sinistra.

Non credo che una durevole e rispettata  affermazione meridionale in politica possa prescindere da un “programma”, che a sua volta vada a chiarire cosa sia “essere meridionale”, sia come principio etico e di governance e sia come “sistema meridionale” per sviluppare le cose e per definire “l’interesse comune”.

Non è solo una questione di, seppur necessari, “apparentamenti elettorali o di giunta”: è un problema che riguarda il tipo di sviluppo e di società che si addice al Sud.
Infatti, non è affatto detto che al Meridione d’Italia servano le stesse infrastrutture, gli stessi servizi, gli stessi stipendi, le stesse fabbriche, le stesse tasse, le stesse “alleanze commerciali internazionali”, gli stessi supermercati, le stesse banche che ci sono, ad esempio, nel Nord Italia, per tipologia e numero, sia chiaro, e non per proprietà o nazione d’origine.

Del resto, basta andare in auto dalla Danimarca ad Amburgo per notare che cambia tutto e di tanto, come molto cambia anche andando in auto da Amburgo a Monaco di Baviera od a Friburgo … e sempre tedeschi sono, per non parlare del fatto che con 200 km in più potremmo essere in Croazia, Ungheria od in Svizzera.

D’altra parte, tutto quello che è stato fatto in Africa, Sud America, Asia dimostra che ci sono molte cose che andrebbero ripensate se vogliamo che funzionino nel “sud del mondo”.

Ad esempio la meritocrazia, così efficiente nei paesi anglosassoni, e così “corrompente” nel mondo latino, dove i curriculum sono predestinati. Altro sarebbe se da noi venisse premiato non chi ha più “merito nel raggiungere obiettivi” decisi altrove, ma chi dimostra un maggiore “apporto alla società” in cui opera.
Noi meridionali non sopravviviamo in un sistema etico individualistico, la nostra cultura è “sociale”, “collettiva”, in alcuni casi, anche benemeriti, “tribale”.
Perchè non chiederci, come hanno fatto altri popoli, se a noi del “sud del mondo” “ci funziona” un sistema elettorale partitico, in vece di un sistema per collegi uninominali con ballottaggio, più aderenti alla impellente domanda “chi cumanna accà?” …

Si, ci sono molte cose che dovremmo chiederci.
Ad esempio se un sistema di finanza pubblica “meridionale” consentirebbe l’attuale sistema di tassi di interesse o, viceversa, il “sud del mondo” preferirebbe sistemi ad inflazione controllata ed interessi scalari in favore dei meno abbienti … anche perchè, se andiamo a vedere come funziona nei paesi arabi, in India o Sud America, potremmo restare davvero sorpresi.

La nostra identità, dunque, non può risiedere nel mito del “brigante e basta”, che, tra l’altro, può avere un certo successo nel raccogliere il voto di protesta (antipolitica come la chiamano attualmente) ma non è che costruisca molto in chiave di rappresentatività e di progettualità nazionale. Anzi, …

Il Sud non può “sempre e comunque” riappellarsi ai “miti ottocenteschi”, di “cosa saremmo potuti essere”, dei quali oggi esiste la “copia degradata”, dalla musica neomelodica al cibo “comunque industriale” che mangiamo, al teatro ed al cinema, che sembra abbiano dimenticato che la nostra è una tradizione “drammatica”, seppur sotto forma di commedia, e non guitti e risate di basso conio.

C’è tanto da rivendicare, tanto di più attuale e, forse, ottenibile.
Esiste anche il Sud dei poli industriali napoletani e palermitani, progressivamente depauperati, c’è la tradizione marinara, che il trasposto su gomma (Roma-Bologna-Torino) ha azzerato, c’è la vocazione macchinofatturiera, che è tutta sommersa nonostante le griffe toscano-lombarde fatturino miliardi, c’è l’agro alimentare, che vanta prodotti di antica selezione e lavorazione, mentre l’Emilia deve vendere renette e tavernello …
Ci sono le donne delle metropoli del Sud, storicamente libere, che, dall’illegalità diffusa perchè mai sgominata, ricevono l’onta del rischio personale e la vergogna della limitazione dei propri diritti.

Dunque, ritornando ai “partiti per il sud”, ci vuole altro che un pugno (od un folto gruppo) di consiglieri od assessori, prossimamente eletti negli enti locali ed alla prima esperienza, per ottenere qualcosa di diverso da quattro aiuole in periferia od il prolungamento di un bus metropolitano.
Ci vorrebbe un programma ed una struttura nazionale, delineati prima di andare al voto nel 2013 e non dopo: un partito senza piattaforma su cui aggregare i candidati è come una zattera alla deriva in attesa di uno squalo sufficientemente grande … come la storia di Bossi e della Lega dimostrano.

Bene saperlo da prima.

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