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FIOM, tanto rumore per cosa?

11 Gen

La FIOM, nel 2009, totalizzava 363.507 iscritti tra i lavoratori attivi del settore metalmeccanico ed informatico. La confederazione “rossa” dei metalmeccanici non rappresenta, dunque, le “masse”, i “lavoratori”, il “proletariato”, ma è solo un’associazione di una categoria.
Del resto, sono trascorsi almeno 40 anni da quando il mondo del lavoro ha iniziato a mutare dalla “grande fabbrica” al “terziario flessibile”: gli operai sono diventati una ristretta minoranza della popolazione.

Oggi, ad esempio, va registrato che la CGIL è il sindacato del pubblico impiego e dei servizi, se annoverava (nel 2009) 407.716 iscritti nella Pubblica Amministrazione, 372.268 nel commercio, turismo e servizi, 367.768 tra gli edili, 188.127 nella scuola e 152.953 nei trasporti.

In assoluto, i lavoratori attivi iscritti alla CGIL sono solo 2.751.964 a fronte di 2.994.203 pensionati, spesso provenienti dalla FIOM e dalla FILT.

Cosa significa tutto questo?
Molte e poche cose allo stesso tempo.

La CGIL ha 5.746.167 iscritti, ovvero i suoi iscritti rappresentano un terzo di tutto l’elettorato di centrosinistra, e, anche se la relazione non è così diretta, sono pari alla metà degli elettori del Partito Democratico.
Considerato che è un “sindacato di sinistra” e non un “sindacato e basta”, questo rappresenta un vincolo (ed un limite) politico per il nostro Parlamento ed il nostro sistema elettorale, oltre che per i partiti e per l’editoria di sinistra. Tra l’altro, se ragionassimo in termini sessisti, considerato che la gran parte degli iscritti sono maschi, potremmo azzardare che buona parte degli elettori di sinistra di questo sesso sono anche aderenti alla CGIL.

C’è, poi, la FIOM che raccoglie circa il 10% degli iscritti attivi di tutta la CGIL, meno del 2% dei lavoratori italiani attivi (24 milioni) e meno dell’1% dell’elettorato (~ 45 milioni).
Come dire che poche noci nel sacco riescono sempre a fare tanto rumore? Probabilmente si, ma a condizione che i media scambino le lucciole per lanterne …

Scalfari ed il padrone di Marchionne

2 Gen

Eugenio Scalfari è nato nel 1924, ha oltre 85 anni ormai ed, a tale età, chiunque può scrivere quello che vuole senza doversi preoccupare di esser preso sul serio.    Il Deus della stampa e della sinistra italiana ci spiega, oggi dalle pagine di La Repubblica, che il vero padrone di FIAT sarebbe il sindacato statunitense, che a sua volta controlla la Chrysler attraverso i fondi pensione. (leggi qui)

Cosa forse vera, probabilmente verosimile, ma discutibilmente veritiera, dato che sono le finanziarie e non i sindacati stessi a gestire i soldi dei lavoratori, ma non solo.
Un’idea sopraffina, socialista, quella che i lavoratori reinvestano il proprio futuro nella stessa fabbrica e nel suo successo.
E d’altra parte, cosa meglio, per il capitale, che i quattrini delle pensioni restino in cassa a sostenere investimenti e rattoppare perdite?

Un bengondi, la Chrysler vista con gli occhi di Eugenio Scalfari, peccato fosse praticamente fallita anche per l’incapacità di ammodernarsi.
Una incapacità a rinnovarsi e ad abbattere i costi che sta connotando anche Volkswagen, esemplare secondo Scalfari, e Renault che sono delle public companies e che non riescono a scendere al di sotto di determiati prezzi.

Non a caso, il lungo editoriale di La Repubblica lascia spazio a qualche ammissione: “l’industria dell’automobile è in crisi nei paesi opulenti. Se ne producono troppe. La domanda ristagna.”
Vuoi vedere che teniamo le fabbriche aperte non perchè convenga a qualcuno, ma solo per mantenere occupazione e consumi? Sembra proprio di si.

Cosa propone allora Scalfari? Di trasferire dai Sindacati i fondi attualmente all’INPS, i quali potrebbero utilizzarli per “entrare” nelle aziende e nei consigli di amministrazione.
Il tutto, senza tener conto che almeno 2/3 degli attuali lavoratori italiani non sono sindacalizzati e che negli USA le leggi prevedono che i sindacati rispettino limiti, obblighi e trasparenze.

Un’idea accattivante?

… oltre 4.000 dei cosiddetti “fondi aziendali a benefici definiti”, quelli di cui scrive Scalfari, sono saltati negli ultimi 10 anni, tra cui United Airlines, US Airways, TWA, Bethlehem Steel, LTV Steel, National Steel, Weirton Steel, Kaiser Aluminium. Ford e General Motors hanno chiesto aiuti di Stato per sostenere i fondi pensionistici e sanitari aziendali.

Il deficit dei principali fondi pensione statunitensi si è impennato dai 108 miliardi di dollari in luglio ai 459,8 di agosto, come riferito dalla società attuariale e di consulenza Miliman. (fonte Sole24ore)

In parole povere, sembra che l’idea funzioni solo se … il mercato tira. Altrimenti, i lavoratori rischiano di perdere ditta e pensione in un colpo solo … che bella idea, dottor Scalfari.