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Alba Dorata: rischi per l’Italia?

4 Nov

In Grecia sale la tensione, dopo l’attentato alla sede di Alba Dorata, con due morti e diversi feriti, che fa seguito ad attentati a giornalisti e uffici avvenuti nel 2013. Una tentata strage attuata proprio mentre la Grecia cercava di fare piazza pulita dei suoi neonazisti e con il solo scopo di gettare in paese nel caos e non per ‘vendetta’, visto che l’omicidio del rapper antifascista era scaturito da una lite da bar e non da un complotto.

In una sua lunga disanima, Harry van Versendaal – noto editorialista della versione inglese del quotidiano greco I Kathimerini – invita non solo la Destra neonazista, ma anche la Sinistra antagonista a “sviluppare una comprensione più inclusiva della violenza, condannandola in ogni sua forma: sia essa razziale, sessuale o politica“.

Un invito che andrebbe esteso anche all’Italia, dove i nostri media in questi anni ci hanno poco o punto informati sull’escalation anarco-insurrezionalista e della sinistra radicale, cui fanno da contraltare (come a Weimar) i neonazisti di Alba Dorata.

Intanto, in Italia non possiamo di certo dire che stiamo al sicuro da rischi simili, ma, nel nostro caso,  di neonazisti o neofascisti non è che se ne vedano tanti come in Grecia. Anzi, all’ennesimo anniversario mussoliniano c’erano forse 5.000 nostalgici.

E’ la minaccia anarco-insurrezionalista che rimane «estesa e multiforme», in grado di tradursi in una «gamma di interventi» che può comprendere anche «attentati spettacolari», questo il report dei servizi segreti nella Relazione annuale consegnata al Parlamento nel marzo 2013.
La sola nDrangheta, secondo il rapporto Eurispes 2008, avrebbe un giro d’affari di 44 miliardi di euro annui e potremmo stimare in almeno 150 miliardi annui il PIL (ndr. attivo o passivo?) derivante da attività crimine organizzato. Il disastro ambientale campano, le fabbrichette della moda o le rivolte degli immigrati schiavizzati comprovano una dimensione ‘messicana’ dei rapporti tra governance nazionale, sistema produttivo e cartelli locali.

La nostra governance – a differenza di quella spagnola – non è riuscita a far altro che congelare il debito interno e quello estero, mentre il Parlamento è in ostaggio di una legge elettorale indecente e di un’informazione pubblica che Freedom House nel suo report annuale considera ‘semilibera’, collocandoci alla stregua degli stati ex-satellite dell’URSS (Ungheria, Romania, Bulgaria, Serbia eccetera) o delle traballanti repubbliche africane (Egitto, Tunisia, Benin, Namibia eccetera).

Indice di Competitività UE 2013

Aggiungiamo che un malgoverno durato 150 anni ha ormai creato e sigillato tre aree geografiche ben distinte: un Settentrione con una produttività paragonabile a quella tedesca, un Meridione ormai ridotto a vicereame ispanico (come il Messico, Columbia e quant’altri), un Centro che sopravvive – oggi come ieri – di speculazioni finanziarie e immobiliari in nome del ‘paesaggio italiano’ e della ‘bona fidae’.

PIL pro capite UE 2009
Tenuto conto dell’irriducibilità di Silvio Berlusconi e di Matteo Renzi nell’anteporre una visione personale all’interesse generale, oggi, come durante la Guerra Fredda, l’Italia sta andando a porsi al centro di una serie di ‘affari internazionali’, di cui un ‘assaggio’ sono state le montagne russe dello spread del 2011.

Dunque, se la Grecia prendesse fuoco, l’Italia potrebbe non esserne esente.

In assenza di un sufficiente numero di ‘fascisti’, per ora, la furia del ‘tanto peggio tanto meglio’ non avrebbe che prendersela con le istituzioni – che non sono nè i partiti nè gli speculatori – e con chi le difende, a danno di gran parte della popolazione, che è ‘moderata’, ‘conformista’, ‘populista’ …

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La Grecia (di nuovo) sull’orlo del caos

4 Nov

Due morti e un ferito in condizioni gravissime: questo il bilancio di una sparatoria avvenuta questa sera ad Atene, nel quartiere periferico di Neo Eraklio, davanti alla sede del partito Chrysi Avgì (Alba Dorata) due uomini su una moto di grossa cilindrata hanno aperto il fuoco sulle persone presenti: due, per ora, le vittime, due ragazzi di 20 anni, più i feriti di cui uno in sala di rianimazione.

L’attentato terroristico arriva dopo l’omicidio di Pavlos Fyssas, un rapper antifascista ucciso il 18 settembre da Georgos Roupakias, simpatizzante di Alba Dorata, che ha confessato di aver accoltellato il musicista. Dalle intercettazioni telefoniche era emerso che Yannis Lagos, uno dei 18 deputati del partito neonazista, la notte del 18 settembre era stato informato dell’imminente omicidio del rapper Pavlos Fyssas.

Squadristi di Alba Dorata – Greekreporter.com

A tal punto, il governo del primo ministro Antonis Samaras si è deciso finalmente ad agire contro Alba Dorata, partito esplicitamente neonazista. Non sorprende nessuno che durante una perquisizione a casa di Christos Pappas, deputato e numero due di Alba dorata, sarebbero state trovate nella casa una bandiera con la svastica e foto di Adolf Hitler, assieme ad alcuni cimeli nazisti.

Le indagini hanno portato all’arresto di quattro deputati di Alba Dorata, per “costituzione e appartenenza ad una organizzazione criminale” – tra cui Nikos Michaloliakos, “Führer” del partito – ma solo Yannis Lagos è rimasto in carcere con accuse di riciclaggio di denaro, ricatto e possesso illegale di armi.
Inoltre, due membri di Alba dorata hanno ottenuto la libertà condizionale con l’accusa di appartenenza a gruppo criminale, omicidio e riciclaggio, (fonte I Kathimerini), ma uno dei due, Dimitris Frangakis, ha negato di avere qualsiasi “legame politico o ideologico” con Alba Dorata, come Georgos Roupakias, l’assassino reo confesso, aveva negato di avere dei complici, mentre gli atti comprovano che l’accoltellamento avvenne in conseguenza di un alterco tra i due in una taverna dove la gente stava guardando una partita una partita di calcio di una squadra greca in Europa League.

Quel che sembra è che l’establishment e la società greci abbiano deciso che metter fine ad una lunga serie di azioni criminali, perpetuate da aderenti di Alba Dorata, sull’onda dell’omicidio del rapper Pavlos F, che, però, sembra essersi originato in quel sottobosco di criminalità comune ed antagonismo sociale tipico, ormai, di ogni grande città.

Scontri ad Atene – Voanews.com

Una mossa ‘a metà’ – essendo i consensi per Alba Dorata al 10% circa e nel timore che la situazione degeneri – come reso evidente dal fatto che a dieci suoi deputati non sia stato contestato il reato di ‘organizzazione criminale’, nè le perquisizioni a tappeto hanno trovato il presunto arsenale segreto del partito. Non ci sono altri arresti, salvo quelli dei quattro deputati. Allo stesso modo, Chrysi Avgì non è stata dichiarata fuorilegge nè è stato sciolto il suo gruppo parlamentare. Anzi, Il vice premier greco Evangelos Venizelos ha escluso la possibilità di elezioni anticipate e ha attaccato il partito di sinistra Syriza, che aveva chiesto di tornare al voto dopo l’arresto dei militanti di Alba dorata. Secondo Venizelos, il governo vorrebbe convincerli a lasciare il loro incarico al parlamento greco, nel rispetto della costituzione.

Ricordiamo che la Grecia aveva trovato un po’ di pace sono nel maggio 2012, dopo due anni di crisi e di ‘stato d’assedio’ a causa dei disordini, quando i conservatori di Nuova democrazia, i socialisti del Pasok e il centrosinistra filoeuropeo del partito Dimar trovarono un’intesa su un governo della durata di due anni, con all’opposizione la destra neonazista di Alba Dorata e la sinistra radicale di Syriza.

Dal 2008, la Grecia ha subito un intensificarsi di azioni anarco-insurrezionaliste, sia spontanee per effetto di una crisi economica di portata mondiale, con aggressioni nei confronti delle forze di polizia e di cittadini comuni, sia su base internazionale con incendi dolosi, atti di vandalismo e guerriglia urbana, durati molti mesi con morti e feriti tra passanti e residenti.
Da anni le indagini della polizia greca si imbattono in un’organizzazione anarchica che agisce come cellula locale di una rete anarco-terroristica internazionale, che, di recente, ha attuato tre attentati incendiari ad Atene.

Arriva, dunque, come un fulmine a ciel sereno l’attentato di Neo Eraklio, che ha il palese scopo di fomentare tensioni e reazioni nel già instabile contesto greco. Tra l’altro, il commando ha operato con notevole freddezza utilizzando un’arma, l’AKM versione Zastava, che richiede un certo addestramento.

Zastava M77

Chi ha organizzato l’attentato?

La solita CIA, puntualmente quanto inspiegabilmente impegnata a destabilizzare i paesi amici? Un’improbabile ex Unione Sovietica, con la sua ricerca di uno sbocco nel Mediterraneo (leggasi Siria), mentre il Pireo parla ormai cinese? Una Jihad islamica che agli attentati di massa e alle operazioni finanziarie sta affiancando azioni di destabilizzazione politica e valutaria?
Sempre possibile, ma difficile da credersi.

I Cartelli del narcotraffico che vedono nelle aree ‘Euro sofferenti’ (Grecia, Italia e Spagna meridionali) un potenziale ‘arcipelago pirata’ da consolidare, usando – come da tradizione consolidata – l’antagonismo sociale come arma di ricatto verso i Palazzi del Potere?
Una fazione anarchica mondiale che ‘vuole fare a pezzi questa società, perchè non ne teme le rovine’ – come Buenaventura Durrutti ebbe a dire quasi ottanta anni fa – e non si rende conto che siamo già dinanzi alle rovine e non c’è bisogno di peggiorarle?
O ambedue?

Pochi mesi fa, sono stati deposti ordini esplosivi sulle porte di casa di cinque noti giornalisti (Giorgos Oikonomeas, Antonis Liaros, Antonis Skyllakos, Christos Konstas e Petros Karsiotis) e l’azione è stata rivendicata dalla ‘Cellula degli Amanti di un Mondo senza leggi’.

In una sua lunga disanima, Harry van Versendaal – noto editorialista della versione inglese del quotidiano greco I Kathimerini – ha invitato non solo la Destra neonazista, ma anche la Sinistra antagonista a “sviluppare una comprensione più inclusiva della violenza, condannandola in ogni sua forma: sia essa razziale, sessuale o politica“.

Chi vuole che il Sud Europa s’infiammi come il Nord Africa o il Medio Oriente?

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G20: Merkel e Monti all’angolo

19 Giu

Obama e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, avevano avuto un incontro sulla crisi dell’Eurozona prima dell’inizio ufficiale del vertice G20 in Messico.

E, proprio stamane, Corrado Passera dichiarava –  intervenendo a ‘Radio anch’io’ su Radio1 Rai – che ”gli incontri devono aiutare a consolidare il fronte di tutti coloro che credono in politiche più attive per la crescita“, sottolineando la necessità che l’Europa possa ”garantire per se stessa” perché ”è chiaro che se questo non avviene può permanere l’incertezza per l’euro”. ”Il portabandiera di questa posizione è la Germania”. Infatti che ci sono ”paesi che danno importanza esclusiva ai conti, il che è giusto, ma è chiaro che il disagio che cresce, soprattutto occupazionale, deve essere fronteggiato con politiche più attive”.  (fonte ADN-Kronos)

Il vento è contrario, l’Europa può fare di più“. Monti e’ il portabandiera della posizione che vuole ”conti in ordine e l’Italia lo sta facendo ma al tempo stesso piu’ attenzione alla crescita e allo sviluppo con politiche piu’ attive”. (fonte ASCA)

Sappiamo anche che questi mesi sono i più difficili – ha anche dichiarato Corrado Passera – perché c’è tutto l’effetto di dieci anni di non crescita, l’effetto delle misure che abbiamo preso per i conti e che adesso mordono nella carne viva, c’è l’effetto di un’Europa che tarda a dare risposte unitarie“. (fonte ADN-Kronos)

Purtroppo, le certezze e gli ottimismi del ministro italiano per le infrastrutture si infrangono dinanzi all’annullamento dell’incontro tra il presidente americano Barack Obama e i leader di Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Spagna al termine della cena dei leader del G20. Un funzionario della Casa Bianca ha riferito che in giornata vi potrebbe essere spazio per questo appuntamento.

Dunque, prendiamo atto che la cura Merkel-Monti non piace al G20, come prendiamo atto che è troppo tardi – per Mario Monti e Corrado Passera – prendere le distanze da Angela Merkel, dopo essere ‘unti’ come ‘salvatori dell’Europa’ per aver (e)seguito con palese piaggieria le pretese germaniche.

Infatti, la bozza del documento finale del G20 è piuttosto insoddisfacente e si legge che “di fronte alla ripresa delle tensioni di mercato, i membri del G20 dell’area dell’euro adotteranno tutte le misure necessarie per salvaguardare l’integrità e la stabilità dell’area, migliorare il funzionamento dei mercati finanziari e rompere il circolo vizioso fra fondi sovrani e banche”.

E, non a caso, il G20 aveva accolto positivamente il piano spagnolo di ricapitalizzazione delle banche, grazie ad un prestito di 100 miliardi di euro finanziato dall’Eurozona, ed espresso sostegno ad ulteriori sforzi d’integrazione politica dell’Europa.

Cosa dire, allora, se – pur di salvare l’Unicredit  creata proprio da Corrado Passera e di (ri)creare un polo industriale a Novara – all’Italia è toccata una cura da (ammazzare un) cavallo, mentre alla Spagna – che ha tenuto duro – vengono prestati 100 miliardi per i fallimenti bancari e le borse ‘volano’?

E come non prendere atto anche, dopo questo G20, che questa non è una crisi derivante dall’effettiva situazione patrimoniale degli Stati o dei cittadini: il problema sono solo alcune banche ed i pasticci che hanno combinato.

Basta frottole a reti unificate, please.

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Mexican Narco Insurgency: una mattanza da capire

11 Mag

Due anni fa, pubblicavo “Narcoguerra: chi e come“, riportando che in un paio di anni v’erano stati più di 20.000 morti senza ottenere particolari attenzioni. Oggi, lo fa Saviano e la cosa richiama attenzione.

Non so se Roberto Saviano sia riuscito anche a parlare di Mexican Narco War o della Mexican Narco Insurgency oppure delle gravissime responsabilità del Partito Democratico Rivoluzionario nella crescita del potere dei Narcotrafficanti o di altri coinvolgimenti ben più imbarazzanti.

Un report del 2010 valutava che dai 19 ai 29 miliardi dollari vengono trasferiti dagli Stati Uniti al Messico, per essere riciclati attraverso gli acquisti in contanti di terreni, alberghi di lusso, automobili e altri beni di fascia alta.

Denaro che arriva nei modi più svariati, dal corriere individuale al container pieno zeppo, come racconta il servizio di Reuters.USA di qualche tempo fa. Denaro che è usato anche per corrompere politici e forze di polizia statunitensi.

 La maggiore difficoltà è data dal fatto che, in Messico, il 75% dell’economia formale e informale opera attraverso operazioni in contante e questo, nonostante le restrizioni nelle compravendite e negli atti notarili, facilita enormemente il lavoro dei contabili dei Narcos.
Joaquim “Chapo” Guzman, capo del Cartel de Sinaloa con una taglia da 1,5 milioni di dollari sulla testa, era stato inserito prima della cattura al 41esimo posto della classifica degli uomini più ricchi del pianeta stilata  da Forbes.

Guzman, che si ritiene avesse un “fatturato” di 19 miliardi di dollari solo per quanto riguarda le spedizioni di cocaina, importata dalla Colombia, verso gli Stati Uniti negli ultimi otto anni, si è reso responsabile o istigatore di  traffico di esseri umani e di organi, tonnellate di mariuana prodotta in loco, corruzione e terrore, rapimenti, riscatti ed estorsioni, migliaia di morti. Gli analisti stimano, inoltre, che Chapo Guzman avesse il controllo di almeno 3500 società operanti fuori dal territorio messicano, in USA come in Europa o Sudamerica.

 Anche se non così ricchi, anche gli altri boss (suoi “eredi” o rivali) godono di un potere enorme, che travalica i confini dello stato messicano. Come Nazario Moreno González “El Más Loco”, capo del cartello La Familia, che si professa “filosofo New Age” ed ha scritto il “manuale spirituale” del culto de La Santa Muerte.

Oppure come  Heriberto Lazcano Lazcano, “mitico” leader degli Zetas,  veri e propri paramilitari che – dopo essere cresciuti al soldo del Cartel del Golfo – hanno dichiarato guerra a tutti, quando,  dopo la morte di Arellano Félix, boss del cartello, Guzman provocò la scissione tra Tijuana e Sinaloa, approfittando dello sfaldamento de La Familia, indebolita dal trasferimento di Osiel Cárdenas Guillen in un carcere federale USA.

Una guerra, la Mexican Narco War, che vide le bande l’un l’altra antagoniste e che ha già provocato (dal 2007 al 2009) più di 23mila morti.

Una guerra feroce, quella dei signori della droga messicani, dopo l’indebolimento dei cartelli “storici”, dunque, che da anni preoccupa Stati Uniti ed Europa, vista anche l’infiltrazione, specialmente degli Zetas, nei nostri paesi.

Adesso, a contrasto del duro ed incisivo intervento voluto dal Presidente Calderon, siamo alla Mexican Narco Insurgency,  alla Narcorivoluzione.

Una battaglia che coinvolge ormai territori vastissimi e con continue rappresaglie da parte dei Narcos contro giornalisti, donne, persone prese a caso, interi villaggi.

I morti, dal 2007, si sono praticamente raddoppiati e, oggi, siamo ad una media di circa 25.000 morti l’anno, di cui molti torturati, straziati ed esposti.

Una mattanza cui si oppne con notevole coraggio il Partito d’Azione (liberali), che ha posto fine al monopolio politico, iniziato nel 1929, da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e poi, a partire dal 1980, della sua “costola”, il Partito Democratico Rivoluzionario, che è il principale responsabile della libertà d’azione con cui si sono affermati i Narcos, nel corso dell’ultimo decennio.

Storie terribili (link esterno) come quella di Jessica Leticia Peña Garcia, una ragazza di 15 anni desaparecida un anno fa e riconosciuta dalla madre dai resti di abbigliamento trovati in un cimitero clandestino nella Valle di Juarez nella Sierra de San Agustin in Praxedis. Con sua madre ce ne sono altre, che aspettano di identificare le figlie da quell’ammasso di crani ed ossa.

Storie infami, come quella della strage di ragazzi delle superiori (13 morti) ad opera di una dozzina di narcotrafficanti che aprirono il fuoco all’impazzata contro una abitazione dove si svolgeva una festa studentesca. Era il 31 gennaio del 2010, a Ciudad Juarez, e le forze dell’ordine, seppur allertate in tempo, giunsero a strage conclusa e le famiglie dovettero trasportare da sole i feriti perchè le ambulanze non arrivavano. Poco tempo prima una strage di 18 giovani e numerosi feriti in un attacco ad un centro di riabilitazione per tossicodipendenti.
Come anche, Ciudad Juarez è tristemente famosa per le centinaia di omicidi di donne che si contano ogni anno nel suo territorio.


Detto questo, c’è solo un’altra cosa da dirsi: perchè solo ora i media italiani ed il buon Saviano si accorgono della Narco Insurgency messicana e decidono che è il caso che la si conosca anche in Italia? Perchè non farlo due anni fa?

Forse perchè, come riportava Vatican Insider di La Stampa il 26 aprile scorso, durante i Vespri, “Benedetto XVI ha strigliato l’episcopato connivente con i Narcos” e “lanciato un messaggio di speranza: La malvagità e l’ignoranza degli uomini non frenano il piano divino della salvezza, il male non può fare tanto”. Il monito è rivolto sia all’interno della Chiesa, sia all’esterno, cioè ai leader di terre che “soffrono a causa della povertà, della corruzione, della violenza domestica, del narcotraffico, della crisi di valori, della criminalità, della emigrazione che divide le famiglie”.

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Narco guerra in Messico: chi e come

13 Giu

Un recente report valuta che dai 19 ai 29 miliardi dollari vengono trasferiti dagli Stati Uniti al Messico, per essere riciclati attraverso gli acquisti in contanti di terreni, alberghi di lusso, automobili e altri beni di fascia alta.

L’incapacità del governo messicano di intercettare le complesse operazioni di riciclaggio è spesso citata come il maggiore insuccesso dell’offensiva contro i cartelli, lanciata dal presidente Felipe Calderon quando ha assunto l’incarico nel dicembre 2006.
Una guerra, la Mexican Narco War, che ha già provocato (dal 2007 al 2009) più di 23mila morti.

 John Morton, funzionario dell’U.S. Immigration and Customs Enforcement, presentando lo studio frutto dell’impegno congiunto dei governi di USA e Messico, ha precisato che il governo statunitense e messicano non hanno fatto abbastanza per rallentare il flusso di denaro.

Denaro che arriva nei modi più svariati, dal corriere individuale al container pieno zeppo, come racconta il servizio di Reuters.USA di qualche tempo fa. Denaro che è usato per corrompere politici e forze di polizia, i cartelli di fornitura con le armi, pagare i fornitori in Sud America, e nutrire gli stili di vita sontuosi di molti signori della droga.

“Dobbiamo minare completamente le organizzazioni come le imprese, e per fare questo dobbiamo individuare, limitare e sequestrare i loro profitti”, promette il gruppo di lavoro intergovernativo, ma la maggiore difficoltà è data dal fatto che, in Messico, il 75% dell’economia formale e informale opera attraverso operazioni in contante e questo, nonostante le restrizioni nelle compravendite e negli atti notarili, facilita enormemente il lavoro dei contabili dei Narcos.

Joaquim “Chapo” Guzman, capo del Cartel de Sinaloa con una taglia da 1,5 milioni di dollari sulla testa, è stato inserito al 41esimo posto della classifica degli uomini più ricchi del pianeta stilata  da Forbes.

Guzman, che, ricordiamolo, è solo uno dei tre o quattro “protagonisti” della Mexican Narco Insurgency,  avrebbe, secondo Forbes, un “potere” paragonabile a quello del Dalai Lama e di Alì Khamaeni, rispettivamente 39esimo e 40 esimo. Si ritiene che sia da addebbitargli un “fatturato” di 19 miliardi di dollari solo per quanto riguarda le spedizioni di cocaina, importata dalla Colombia, verso gli Stati Uniti negli ultimi otto anni.

Poi, c’è il resto:  traffico di esseri umani e di organi, tonnellate di mariuana prodotta in loco, corruzione e terrore, rapimenti, riscatti ed estorsioni, migliaia di morti.

Gli analisti stimano, inoltre, che Chapo Guzman abbia il controllo di almeno 3500 società operanti fuori dal territorio messicano, in USA come in Europa o Sudamerica.

 Anche se non così ricchi, anche gli altri boss godono di un potere enorme, che travalica i confini dello stato messicano. Come Nazario Moreno González “El Más Loco”, capo del cartello La Familia, che si professa “filosofo New Age” ed ha scritto il “manuale spirituale” del culto de La Santa Muerte.

Oppure come  Heriberto Lazcano Lazcano leader degli Zetas,  veri e propri paramilitari che, dopo essere cresciuti al soldo del Cartel del Golfo, hanno dichiarato guerra a tutti, quando Guzman ha provocato la scissione tra Tijuana e Sinaloa.
Los Zetas, l’ala “militare”, divenuta potentissima dopo la morte di Arellano Félix, boss del cartello, e lo sfaldamento de La Familia, dopo il trasferimento del capo, Osiel Cárdenas Guillen, in un carcere federale USA.

Una guerra feroce, quella dei signori della droga messicani, dopo l’indebolimento dei cartelli “storici”, dunque, che da anni preoccupa Stati Uniti ed Europa, vista anche l’infiltrazione, specialmente degli Zetas, nei nostri paesi.

Un amaro successo per il presidente Calderon, che ha avviato una decisa politica di contrasto della criminalità, dopo aver vinto di misura le elezioni presidenziali nel 2006, che sancivano definitivamente l’affermazione del Partito d’Azione e ponevano fine al monopolio politico, che durava dal 1929, da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e poi, a partire dal 1980, della sua “costola”, il Partito Democratico Rivoluzionario, che è il principale responsabile della libertà d’azione con cui si sono affermati i Narcos, nel corso dell’ultimo decennio.

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