Tag Archives: mercato

Azione? A Roma non è Calenda

26 Ott

Carlo Calenda ha iniziato la sua ascesa elettorale a Roma, dove si è proposto sindaco con Azione, alleandosi con Italia Viva. Dopo un anno è ora di fare un bilancio di quanto abbia ‘fatto la differenza’, non lui, ormai leader nazionale, ma Azione a livello locale.
Ed i conti non tornano.

Differenza che non c’è stata almeno per quanto riguarda l’approvazione dei Bilanci comunali e municipali, disposta in tutta fretta dal Sindaco Gualtieri ed immediatamente avallata dai Consiglieri di Azione, anche se erano anni che i conti non tornavano a dire di tutti.

Un assegno in bianco alla Giunta di ‘campo largo’, a cui faceva seguito il voto favorevole per nominare Virginia Raggi a Commissario Expo 2030, come se non fosse stata dileggiata e vituperata fino al giorno prima. Non con il senno di poi, ma per coerenza verso gli elettori.

Dopo di che nessun reclamo nè rimpianto da parte di Azione per il fallimento progressivo di tutte le promesse elettorali (persino quelle del PD che è al potere) sia in termini di miglioramenti, visto che stiamo tale e quale a prima, sia come buon governo, se continua a prevalere la spesa massimalista e redistributiva.

Del resto, l’unica chance per il PD di mantenere il controllo della Regione e del Comune più sussidiati del mondo è quella del Campo Largo con i Cinque Stelle e i Comunisti: qui lo sanno anche i bambini … inclusi gli elettori e gli eletti di Azione.

E Carlo Calenda allora? Sta di fatto che a Roma può contare solo sui renziani di Italia Viva.

Innanzitutto, ce lo mostra il dato elettorale: i consiglieri municipali eletti recentemente non si sono dimostrati dei collettori di voti ‘motu propriu’, allorché candidati nei collegi uninominali. Neanche quelli raccolti a mani basse al seguito del candidato sindaco.

Poi, la presenza sul territorio, dove il divario è eclatante.
E’ di oggi la notizia che lo storico e grande Mercato di Val Melaina è “ospitato” su un terreno dell’Inps dove era stato traslocato dal Comune che però non ha mai acquisito il terreno e che dunque non lo può regolamentare. “A rimetterci gli operatori, costretti a lavorare in ambienti precari senza tutti i servizi che un mercato così, tra i più grandi e apprezzati del quadrante nord della città, fulcro e vanto del quartiere, meriterebbe. Intorno discariche, parcheggiatori abusivi, mercatino del rovistaggio e incuria. “
Dal 1998, ventiquattro anni or sono.

La domanda imbarazzante (per il Campo Largo) perché il III Municipio (guidato dalla Sinistra) e il Comune (guidato dai Cinque Stelle) abbiano impiegato gli ultimi cinque anni anni per (non) regolarizzare questa situazione e solo con Gualtieri (e il PD + Calenda) si è arrivati ad una … mozione per la regolarizzazione della situazione.

Ad attivarsi pensate siano i due consiglieri municipali di Azione candidati di recente come deputati e senatori? No, a sollevare lo scandalo sono i consiglieri comunali di Italia Viva, Valerio Casini e Francesca Leoncini. (LINK)

Sempre di oggi è la notizia che “Roma vuole le Tampon Box“, per contrastare l’impossibilità di fronteggiare economicamente le esigenze igienico sanitarie imposte dal ciclo mestruale, prevedendo in alcuni luoghi della città l’installazione di distributori automatici di assorbenti gratis, a cominciare dalle scuole superiori.

La proposta arriva dal Municipio di Garbatella e verrà estesa agli altri consigli municipali della città. Bella idea ma anche in questo caso c’è una domanda imbarazzante per Azione.

La promotrice dell’iniziativa è la consigliera municipale Caterina Benetti di Azione, ma i Municipi proprio non hanno nè competenza nè potere di spesa nè di autorizzazione/concessione per quanto riguarda le scuole superiori.

Voi, prima di fare proposte, avreste verificato che un assorbente costa circa 15 centesimi Iva esclusa, mentre aggiungendo il costo e il funzionamento del distributore non costa meno di 20 cent, anche a prezzo politico, come alla Statale di Milano dove esistono dal 2020?
Se foste stati degli amministratori pubblici vi sareste preoccupati di individuare innanzitutto un budget e una spesa annua per i contribuenti … prima di votare una proposta?

Dunque, due approcci e due collocazioni molto diversi, da cui la domanda “alle prossime e incombenti elezioni regionali come si schiererà Azione nel Lazio?”
Azione Lazio distruggerà l’alleanza nazionale con Italia Viva per conquistare qualche assessorato insieme a PD, Sinistra e Cinque Stelle oppure si confermerà un partito di chiara identità liberale?
E come reagiranno i grandi agglomerati politici europei se vi sarà defezione?

Demata


Più Europa, ma quale?

2 Nov

“Come spiega lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, una società basata sulla competizione, il dogma liberista per eccellenza, premia i meno sensibili. Questo è il motivo principale per cui sempre più studi confermano che la società è governata da psicopatici, persone manipolatorie e senza scrupoli per definizione”. (Nicolas Micheletti, attivista per i diritti umani e animali)

44541322_1103801113120905_1951516672674234368_n

Paolo Crepet afferma che “la competizione non è per tutti e soprattutto non selezione i migliori, solo i meno sensibili”, con buona pace delle tradizionali espressioni anglofone “life is struggle” o ispaniche “viva la raza” eccetera eccetera.
Possibile che sia sbagliato di per se proprio quello che ci ha fatto evolvere da scimmie a uomini (la Competizione) e proprio quello che contraddistingue la Vita su questo pianeta (la Lotta per la Sopravvivenza) ?
Oppure è il ‘metodo’ (ognuno per se e dio per tutti) e non la ‘via’ (vinca il migliore, tutti partecipano) ad essere errato e deleterio?

Il problema, infatti, non è nella ‘Competizione’, ma nello ‘spirito’, nelle regole con cui si compete: «Un mercato è un sistema giuridico, in assenza del quale l’unica economia possibile è la rapina di strada».Questo probabilmente avrebbe risposto a Paolo Crepet l’economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk.

L’Uomo compete per natura. Il Mercato è il luogo dove l’appropriazione diventa scambio. Una questione non di Negotium, ma di Otium, dunque. 

Otium come la vita (ed una morale) esente da ogni tipo di impegno, vissuta nel Lusso e nel Successo, replica artificiale dei giorni beati che Virgilio descrisse nelle Georgiche. 
‘Successo’ generalmente inviso alla Morale Cattolica e ‘Lusso’, storicamente avversato dalla Etica Protestante.

Fu Adam Smith a ‘sdoganarli’, evitando di chiamarli «vizio» – sostituendoli con un concetto più neutro, l’amore di sé (Selflove) – come viceversa ancora ammetteva Bernard de Mandeville, vero ‘padre’ del liberismo come teoria economica-politica, che visse una generazione prima del filosofo ed economista scozzese.
«Frode lusso e orgoglio devono vivere, finché ne riceviamo i benefici: la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio, ma chi digerisce e prospera senza di essa?» «Per il vostro proprio piacere siate avidi, egoisti, spendaccioni quanto vi pare, così farete il meglio possibile per la prosperità della vostra nazione e il benessere dei vostri concittadini» (La favola delle api – Bernard de Mandeville)

Prima di Mandeville/Smith l’Etica calvinista della predestinazione spingeva ad accumulare ricchezze (ostentazione dell’elezione divina) ma senza gioirne (che si accentuerà con il puritanesimo): Successo senza Avidità. 
E visto come andavano le finanze vaticane o spagnole a quei tempi e del lusso che, però, veniva profuso, potremmo parlare – sul fronte della Morale cattolica – di Avidità senza Successo.  (cfr. Le Monde diplomatique 17/12/2017 La prosperità del vizio” Dany-Robert Dufour)

Un male che arriva da lontano, vecchio di millenni se Cicerone disse (Pro Murena 15): «Odit populus Romanus privatam luxuriam, publicam magnificentiam diligit ; non amat profusas epulas, sordis et inhumanitatem multo minus»
Una ‘orientalizzazione dei costumi’ – come studiammo in latino – che si propaga fino ai nostri giorni anche ‘grazie’ all’eresia di Callisto I, l’antipapa (avversato da Tertulliano e Ippolito Papa) che garantiva la comunione a coloro che avevano commesso peccati gravi persino come incesto, zoofilia e apostasia, in cambio di ‘sostanziose’ penitenze. Si distinse anche nella vendita dei loculi funebri, forse la prima speculazione immobiliare di Roma in assoluto.

Uno stile di vita che, però, non assurge a questione di dibattito se viene posta in una società dove non è importante essere prescelti da un dio o meritevoli di un paradiso/bengodi, bensì conta essere responsabili verso antenati e progenie come è importante “l’equilibrio tra le cose”.

La Terza Via? «Ama la patria, non danneggiarla. Servi il popolo, non tradirlo. Sostieni la scienza, non essere ignorante. Lavora duro, non essere pigro. Siate uniti e aiutatevi, non cercate vantaggi a spese degli altri. Siate onesti, non avidi di profitto. Siate disciplinati e rispettosi delle leggi, non caotici e anarchici. Vivete semplicemente, non nel lusso.»(Otto cose da fare, otto da non fare – Hu Jintao)

Frasi dette da un socialista cinese molto liberale, ma potevano essere pronunciate già 2000 anni fa da un qualunque europeo di quelli che davano ai lupi di Odino il nome di Geri e Freki (dal norreno “avaro” e “ingordo”).
Il monito viene da lontano.

Europa significa anche questo: competere lealmente, decidere insieme, vivere con sobrietà.
L’alternativa è quella di una società dove la rapina di strada e la rendita di posizione sono ‘il Mercato’.

Demata

F35, un flop annunciato: miliardi sprecati mentre si tagliavano pensioni e welfare

4 Lug

Era il 3 gennaio 2012 quando questo blog spiegava (link) perchè gli F35 erano un flop annunciato e perchè si ‘dovevano’ fare.

Tutta la storia inizia nel 1996, quando gli USA (e la NATO) avviarono il progetto di un caccia a lungo raggio con complete caratteristiche Stealth, tra cui la capacità di trasportare l’armamento in stive interne e sistemi elettronici capaci di inibire la difesa a terra: un nuovo velivolo “invisibile” da usare nella fase del “first strike”, quando le difese nemiche sono complete ed attive.
Nel 2001, il progetto Lockheed X-35 fu dichiarato vincitore e veniva avviato il programma definitivo con la sigla F-35 JSF (Joint Strike Fighter), con un costo di produzione per ciascun esemplare inizialmente valutato intorno ai 40 milioni di dollari.

Inizialmente, era prevista una produzione di circa 3.000 velivoli per USAF/US Navy/USMC e di altri 2.000 per i vari partner internazionali (fonte http://www.aereimilitari.org) tra cui l’Italia che doveva partecipare come “partner di secondo livello”, allestendo una linea di costruzione e assemblaggio, da cui sarebbe uscita buona parte degli F-35 destinati all’Europa e ad altre nazioni, come Turchia ed Israele, tra cui solo venti F35 destinati all’Italia.

Un piatto ricco e, così, accade che il 28 maggio 2007, presso il ministero della Difesa a Roma, con l’incontro tra il presidente della Provincia di Novara, Sergio Vedovato, e il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri, per determinare l’insediamento presso l’aeroporto militare di Cameri (NO) della linea di assemblaggio degli aerei F35 Joint Strike Fighter.

C’era il Governo Prodi, con i piemontesi Damiano, Livia Turco, Bertinotti e Ferrero ai massimi vertici del potere, e, dunque, non c’è davvero da chiedersi perchè andò a Novara quel progetto industriale in cui si investì un milione di euro di denari pubblici, poi lievitati, sembra, ad oltre cinque.
Una marea di soldi e di lavoro che deve andare a beneficare l’indotto piemontese, azzerato dalla crisi dell’auto e del tessile. Non a caso, Maria Luisa Crespi, il sindaco di Cameri, dichiarò «grazie all’iniziativa della Provincia, da oggi saremo in grado di dare risposte ai nostri cittadini» e, come confermò il sindaco di Bellinzago, Mariella Bovio, «sono importanti le garanzie occupazionali per un territorio come il nostro che vive una grave crisi nel settore tessile».

f35-cartoon-600px

I primi dubbi sul’aereo e sugli investimenti si palesarono nel 2009, quando i costi da 40 iniziali erano schizzati prima a 62 e poi oltre i 100 milioni di dollari di media per aereo.
Come riportato da Stato-Oggi, “il raddoppio dei costi, dagli originari 65 milioni di dollari ad esemplare, ha indotto alla prudenza il governo italiano” e “il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al salone aerospaziale di Farnborough, riferendosi al programma, ha aggiunto: “Siamo molto cauti, stiamo verificando”.

Cautela massima, se, agli inizi del 2011, il Washingon Post annunciava la necessità di ricapitalizzare del 20% (10 miliardi di dollari) sperimentazione e progettazione, di cui la metà “resasi necessaria per alleggerire l’aereo, dato che volare a pieno carico inficia le performance chiave del velivolo“. Per non parlare, sempre agli inizi del 2011, della conferenza stampa  tenuta dal segretario alla Difesa americano, Robert Gates, che precisava che, “se non riusciremo a mettere a posto questa variante (ndr. la versione a decollo corto e atterraggio verticale – STOVL) in questo arco di tempo e rimetterla in carreggiata in termini di prestazioni, costi e tempi, allora credo che dovrebbe essere cancellata.”

Infatti, le commesse per la fabbrica di Novara vennero progressivamente ritirate, prima quella dei 85 F-35A per la Koninklijke Luchtmacht olandese, poi si defilarono la Flyvevåbnet danese e la la Kongelige Norske Luftforsvaret norvegese,  poi addio a 116 F-35A per la Türk Hava Kuvvetleri ed a 150 F35B per la Royal Air Force britannica che preferì optare per gli F-35C con decollo a catapulta modificando le proprie portaerei.
Intanto, il governo Berlusconi non dava il placet per la sessantina di F35 previsti oltre la prima trance di 22 F-35B per l’Aviazione Navale italiana, già ordinati, e aveva tagliato una commessa di 2 miliardi di Euro per 25 Eurofighter (Aeritalia/Finmeccanica), azzerandone la terza trance.

Subito dopo, per altre congiunture, lo spread dei titoli di Stato salì a dismisura, la colpa venne addebitata al governo in carica e subito dopo Mario Monti – che aveva tagliato qualunque spesa pubblica e anche un tot di aspettativa in vita di qualcuno – trovò decine e decine di milardi per avviare le trance in sospeso degli  F35 per l’Aereonautica Militare e aggiungerne anche una quarantina in più, visto che i costi industriali a Novara sarebbero esplosi senza le commesse nordeuropee.

Fu così che da 22 caccia per la Marina arrivammo ad un programma di aerei da combattimento che trasformava l’Italia nella terza potenza NATO per quanto relativo i caccia d’attacco con copertura Stealth ed il quinto paese del mondo (dopo USA, Gran Bretagna, Russia ed Israele)  per capacità di “first strike”, mentre la Cina Popolare aveva davanti a se almeno altri 15-20 anni dal creare un’aviazione militare temibile.

”Joint Strike Fighter e’ il miglior velivolo areo-tattico in via di sviluppo. Un areo di avanzata tecnologia che e’ nei programmi di ben dieci Paesi. E’ una scelta che permette di ridurre da tre a una le linee aero-tattiche. Consentira’ una straordinaria semplificazione operativa dello strumento militare”. (Ministro della Difesa Amm. Di Paola – fonte Vita.it 28-02-2012)

Una scommessa risicata basata sulla capacità dei progettisti di pervenire ad un aereo affidabile ed efficace, dopo che, non appena realizzato il prototipo industriale nel 2009, ci si era resi conto che qualcosa era andato storto nel concept stesso del velivolo.

f-35-cartoon

Intanto, mentre in Italia la grande stampa eludeva la querelle, ma saggiamente qualcuno iniziava a sospendere le commesse, il Washington Post raccontava di diversi incidenti tra cui quello di una perdita d’olio in volo, fino al grave incidente dei giorni scorsi, con un aereo che ha preso fuoco e perso pezzi  durante il decollo dalla base di Eglin, in Florida, e il Pentagono che mette a terra tutti gli F-35.

 

E siccome al peggio non c’è mai fine vale la pena di chiarire qualcosa sulle commesse che Mario Monti volle a tutti costi con miliardi che ci avrebbero permesso di pensionare e rilanciare l’occupazione.

L’Italia ha in programma di acquistare fino a 60 esemplari del modello A a decollo da terra e 30 del modello B a decollo verticale, per la portaerei Cavour (fonte La Repubblica), visto che il Trattato di Armistizio – quello della II Guerra Mondiale – ancora oggi non ci consente di avere portaerei a catapulta.

Il ‘peggio’ è che la variante F-35B, quella a decollo verticale, fino all’anno scorso non c’era, non funzionavano i prototipi. Il primo test di decollo con successo è stato effettuato solo il 10 maggio del 2013 al NAS Patuxent River, nel Maryland.

Ebbene, quando nel 2011 e 2012 le Leggi finanziarie andarono a prevedere assegnazioni di miliardi per gli F35-B, i prototipi di quei velivoli neanche si alzavano da terra, pardòn dalla tolda.
Soldi spesi o tenuti fermi  mentre, in nome della lotta agli sprechi, un premier non eletto – Mario Monti – negava spietatamente diritti assistenziali e previdenziali a persone anziane e malate.

Sprechi.

F35 sprechi

Si fosse pervenuti ad un investimento teconologico e occupazionale, parleremmo dei danni collaterali della ristrutturazione del capitale – e passi pure – ma non si può transigere su chi ha sprecato denari e angariato i deboli per un aereo che non ci sarà e uno stabilimento di Cameri che rischia di andare in cassa integrazione prima ancora di aver avviato per intero la linea di produzione.

Forse è per questo motivo che i nostri media hanno finora evitato di parlare del flop F35: sarebbero la prova conclusiva di un fallimento generale delle politiche attuate da Mario Monti, oltre che un ulteriore lato oscuro su come si sia pervenuti alla sua nomina a senatore a vita prima e a premier dopo.

Se i soldi impegnati per un aereo che non c’è – frutto della reverenza di Mario Monti verso ‘certa sinistra elettoralmente utile’ e del tutto scollegati sia dal salvataggio delle banche sia dalla questione Finmeccanica – fossero stati destinati al turn over generazionale e alle imprese, avremmo avuto la dura recessione italiana, il crollo del PIL e lo sbilanciamento dell’Eurozona?

originale postato su demata

 

Europa 2020: nel Lazio c’è tanto da fare

20 Feb

1959842_10152168796154034_2121530092_nArriva Europa 2020 (PSR del Lazio 2014 – 2020), la strategia per la crescita economica e sociale dei Paesi dell’UE lanciata dalla Commissione europea nel 2010, che individua 3 priorità – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva – mira a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e competitività.

La Regione Lazio, nel corso del 2013, aveva avviato le attività finalizzate alla predisposizione degli strumenti operativi, in particolare l’analisi di contesto socio-economico dell’agricoltura regionale e la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PSR 2014-2020.
E, proprio in questi giorni, ha aperto un sito apposito (link) dove si legge “fino al 28 febbraio, grazie ad una pagina web dedicata, raccoglieremo le osservazioni di chi vuole contribuire. Quando aumenta la partecipazione e la condivisione, si prendono decisioni migliori“.

Beh, la pagina web dedicata è questa (link) e di spazio per la ‘consultazione on line’ proprio non ce n’è … ma si precisa che “la consultazione online è aperta sia ai componenti del Tavolo di Partenariato che a tutto il pubblico interessato“. A scartabellare un po’, si scopre un file excel destinato a soggetti che abbiano un “ruolo svolto in relazione allo sviluppo rurale” con tanto di Ente di appartenenza o qualifica professionale.

Peccato che l’agroalimentare sia quello che mangiamo e quello che spendiamo. Forse, tra ‘tutto il pubblico interessato’ ci sono anche i cittadini. O no?

Un disguido, una frase fraintendibile, ma, parlando di ‘crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’ dell’agricoltura nel Lazio, c’è ne sarebbe da discutere anche come cittadini /consumatori e non solo come operatori.

Come, ad esempio, per gli unici olii d’oliva DOP del Lazio, il Sabina e il Canino, noti per il loro pregio e coltivati su un’area equivalente almeno alla provincia di Siena. Prodotti eccellenti che trovano poca traccia come commercializzazione su internet, di sicuro non sono venduti nei supermercati laziali e, con tanti ulivi in bella vista, non sembrano contribuire particolarmente alla leva fiscale regionale …

Sempre in termini di ‘anomalie’ sarebbe da ricordare almeno quella dei tanti (troppi?) vini DOC del Lazio, quasi uno per campanile e di blasone diverso, come raccontano i nomi: Aleatico di Gradoli, Aprilia, Atina , Bianco Capena superiore, Castelli Romani , Cerveteri , Cesanese di Affile DOC , Cesanese di Olevano Romano DOC , Circeo , Colli Albani , Colli della Sabina , Colli Etruschi Viterbesi, Colli Lanuvini superiore, Cori , Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Frascati, Genazzano, Marino, Merlot di Aprilia, Montecompatri Colonna , Nettuno, Orvieto , Roma, Sangiovese di Aprilia, Tarquinia , Moscato di Terracina, Trebbiano di Aprilia, Velletri , Vignanello , Zagarolo superiore‏  

Quale possa essere la loro ascesa ed affermazione sui mercati è presto detto, se c’è da competere con intere province, come il Chianti o il Montalcino, od aree regionali, come per i vini californiani e spagnoli.
Intanto, i contributi (soldi pubblici) per questa bella lista di vini li spendiamo …

Il tutto senza tenere conto che esistono anche i costi sanitari non irrilevanti per le patologie da consumo alcolico, mentre il Ministero per le Politiche Agricole e l’Assessorato regionale del Lazio per  Agricoltura e Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca – sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica – non mancano di patrocinare eventi come “La cultura del vino in Italia” nel Complesso del Vittoriano, in un paese che evita di scrutare il fenomeno alcolismo, ma che nel 1965 vedeva oltre 120 litri di vino come consumo pro capite annuale tra i maschi (bambini inclusi) e che nel 1994 presentava percentuali allarmanti tra le donne di alcune regioni ed oggi conta nel Lazio il 22,1% di bevitori maschi ‘a rischio’  (Rapporto Istisan 2012).

E c’è la questione dei costi dei prodotti sui banchi dei supermercati, con una “filiera del commercio che finisce per avere sempre la stessa conseguenza: a rimetterci è il consumatore che va a comprare. «C’è un ricarico del 200% in media, ma con punte anche del 300%», affermano alla Coldiretti sulla base di un loro studio“, mentre ” il Mercato Ortofrutticolo di Fondi è molto più di un mercato. E’ una città, 335 ettari, 120 aziende, 2 mila produttori locali, 800 milioni di fatturato l’anno. E’ il più grande mercato italiano, il secondo in Europa dopo quello di Parigi.” (Flavia Amabile – La Stampa).

Ce ne sarebbero di cosa da ‘consultare’, visto che lo scopo di un governo regionale dovrebbe essere quello di garantire, innazitutto, che la merce che arriva ai cittadini sia di buona qualità ed a prezzi decenti.

Anche in questo caso, come per il frammentato e opaco mercato dell’olio e del vino laziali, Roma e il Lazio dovrebbero badare alla “competitività” che – guarda caso –  è tra le priorità  di Europa 2020.

Frammentato anche in Regione Lazio, dove la ‘Programmazione Comunitaria’ è affidata ad un ufficio (Dirigente Roberto Aleandri), le ‘Politiche di mercato e l’organizzazione delle filiere con progettazione integrata’ ad un altro ufficio (Dirigente Stefano Sbaffi), la ‘Promozione, comunicazione e servizi per lo sviluppo agricolo’ ad un altro ancora (Dirigente Cristiana Storti) …

Non è in discussione la professionalità dell’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Sonia Ricci, che è stata amministratrice e direttore generale di alcune aziende agricole fino alla nomina di Zingaretti, oltre a essere impegnata politicamente sin da giovanissima.

Ma la sfida di Europa 2020 passa una volta sola e troppi interessi localistici e micragnosi hanno pesantemente influenzato – finora – la nascita di un’immagine e la conseguente affermazione di un ‘prodotto laziale’, come viceversa avviene per tutte le regioni limitrofe. Persino nel piccolo Molise.

Cerchiamo, dunque, di scoprire su quali scaffali e quali tavole finisce l’olio sabino, dopo essere stato venduto (si spera). Proviamo a sviluppare due vini due che abbiano abbastanza ‘forza produttiva’ per sviluppare campagne di marketing massive.
Miglioriamo la filiera e facciamo in modo che i prezzi dell’ortofrutta a Roma siano più bassi per i consumatori e i ricavi più alti per i produttori … forse spenderemmo meno in Welfare e aiuti all’agricoltura, mentre la gente sarebbe più ottimista.

originale postato su demata

L’Italia (in)giusta, che Grillo non vuole

5 Mar

L’Italia di oggi, come quella della Prima Repubblica, è piena di uomini e donne, che ancora ricoprono posti di lavoro o cariche pubblici e che, grazie al nostro sistema di giustizia, possono vantarsi di ‘non aver sfasciato il Paese’ e, soprattutto, di ‘aver creduto di essere nel giusto’.

Impossibile redigere una classifica, vuoi per l’efferratezza delle furbate abissali, che solo oggi media e giustizia scoprono, vuoi per il numero enorme dei ‘furbi’, che, puntualmente, cadono dalle nuvole, come se non avessero mai trascorso due giorni in un posto di lavoro normale con delle regole normali.

Qualche caso ‘eccellente’, però, possiamo facilmente individuarlo.

Infatti, un winner c’è e si chiama Consiglio regionale del Lazio, con Governatore Renata Polverini e, soprattutto, come presidente Mario Abbruzzese, un amministratore pubblico che ha speso 18.660 euro per acquistare 67 penne Montblanc da 278 euro ciascuna,  21.408 euro per cento cesti natalizi costati, 76.791 euro spesi in «agende da tavolo», 10.560 euro in biglietti di auguri, per un totale di spese di rappresentanza per ben 1.987.092 euro.

Inutile aggiungere che Mario Abbruzzese è stato rieletto, sempre nelle liste del PdL nel territorio di Cassino, che si trova a metà strada tra Fondi e Isernia e dove sono stati sequestrati beni per numerosi milioni di euro ai Casalesi, i quali avevano implementato nel Lazio Sud le prime teste di ponte già 30 anni fa or sono.

Come c’è la sentenza d’arresto per Nicola Cosentino, accusato per concorso esterno in associazione mafiosa per presunti rapporti con il clan dei Casalesi.
Un uomo del PdL voluto da Silvio Berlusconi nel suo governo come sottosegretario alle finanze e, più o meno contemporaneamente, ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia un “politico in grado di favorire i clan nella gestione di affari in Campania, in particolare la vicenda rifiuti nel periodo dell’emergenza”.

Fatti gravissimi, quelli del PdL, che trovano ampi corrispettivi se si considera che anche il Partito Democratico razzola male, a leggere dei tanti scandali e processi che convolgono suoi amministratori, e, soprattutto, è il principale artefice delle varie leggi che hanno dato il via al saccheggio delle finanze italiane da parte dei partiti, come erano suoi i voti che hanno permesso a governo Berlusconi di ‘affondare il colpo’ nell’ultimo decennio:

  1. 1993 – 1.600 lire per italiano, compresi quelli privi di diritto al voto (governo Amato)
  2. 1997 – 4 per mille a favore dei partiti (governo Prodi)
  3. 1999 – aumento  a 4.000 lire per iscritto alle liste elettorali della Camera (governo D’Alema)

Una breccia, quella dei ‘rimborsi’ per spese elettorali (per altro spesso non effettuate), che viene introdotta, ricordiamolo, dopo che gli italiani avevano votato un referendum che negava il finaziamento pubblico ai partiti.

A seguire, arriverà poi, nel 2002 l’aumento ‘fisiologico’ a 5 euro da parte del governo Berlusconi, che, nel 2006, estenderà al quinquennio i rimborsi elettorali, prescindendo dalla durata della legislatura. Una norma fatta apposta, ad averci una sfera di cristallo, per l’UDEUR e l’PRC che dal 2008 al 2013, caduto il Governo Prodi, continuarono a percepire denaro pubblico, come anche la Margherita, poi disciolta e, sostanzialmente, confluita nel PD.

Non è un caso che Cesare Salvi e Massimo Villone, autori de «Il costo della democrazia» dove denunciavano lo scandalo, non facciano più parte del Partito Democratico. Non lo è neanche il fatto che, pur fuori dal Parlamento, abbiamo potuto creare la Federazione della Sinistra nella quale sono andati a confluire i rimborsi di Rifondazione Comunista, un partito semi-estinto dal pensionamento di Bertinotti.

Un Partito Democratico al quale uno studio di Libero,  su dati Camere di commercio – Agenzia del Territorio, attribuisce un patrimonio immobiliare del valore di circa 1,2 miliardi di euro, di cui “l’80% circa riguarda proprietà immobiliari che risultano ancora in capo alle forze politiche in cui pianta le sue radici il Pd”.
Praticamente più di 3.000 fabbricati e più di 500 appezzamenti, con rendite catastali, agrarie e dominicali per circa 2,8 milioni di euro, con un valore fiscale IMU di circa 500 milioni di euro.

“Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà. Solo nell’area Pci-Pds-Ds-Margherita-Ppi-Pd sono 831 i diversi codici fiscali che risultano intestatari di fabbricati.
Fra questi ci sono sicuramente le sezioni del vecchio PCI, che risulta ancora intestatario al catasto di ben 178 fabbricati e 15 terreni. Ma vedendo numeri di vani e caratteristiche di ciascun immobile, è difficile che proprietà accatastate come abitazioni di 12 o 14 vani o uffici di metrature ancora più ampie possano corrispondere al classico identikit delle vecchie sezioni territoriali.
I democratici di sinistra controllano gran parte del patrimonio immobiliare attraverso le nuove fondazioni che ha costituito con pazienza il tesoriere Ugo Sposetti. Particolarmente ricche quelle umbre e quella di Livorno.”

Quali possano essere i costi manutentivi e di funzionamento di questo enorme patrimonio è difficile quantificarlo – probabilmente centinaia di milioni di Euro – come anche è molto difficile immaginare i costi degli apparati che li usano.
Ancora più difficile capire come sia stato possibile per un partito accumulare un tale enorme patrimonio e come possa mai gestirlo non cadendo in frodi di qualche genere o, peggio, in qualche conflitto di interessi.

In due parole, davvero non si comprende se ci si trovi dinanzi ad una azienda o ad un partito.
Sarà un caso che il Movimento Cinque Stelle abbia chiesto a Bersani una legge sul finanziamento dei partiti ‘subito’ e dal fronte montiano sia già arrivata la richiesta per una legge sulle rappresentanze sindacali.

originale postato su demata

La spallata di Monti

9 Gen

«E’ necessaria una spallata dei cittadini non con la rabbia, la protesta, ma scegliendo chi non avendo legami con le organizzazioni che bloccano il Paese sia disposto a mobilitarsi». (Mario Monti, 8-1-2013)

Ma quali sono le organizzazioni che bloccano il Paese?

Non è facile dirlo, specialmente se si tratta di un paese, come l’Italia o come l’Iran, che si trova a condividere poteri laici e poteri religiosi.

Infatti, al di là di inutili retoriche o sacrosante indignazioni, è innegabile che sia in Iran sia in Italia, la condizione della donna ed il suo accesso al lavoro ed ale carriere siano particolarmente insoddisfacenti e che questo sia, sotto ogni latitudine, un indicatore fondamentale di crescita e progresso.
Ma non solo la condizione femminile è certamente condizionata dalla duplice presenza di poteri in Italia, di cui uno forte, la monarchia assoluta religiosa, ed un altro debole, la repubblica parlamentare. Lo sono anche la diffusione delle conoscenze tecniche, socioeconomiche e scientifiche, come comprovano i dati sulle lauree, e la strutturazione del Welfare e della Sanità, che devono tener conto dell’estesa struttura religiosa e para-religiosa presente nel Paese.

Se la duplice attribuzione di poteri, di interventi/spese e, soprattutto, di opinion making e di fund rising è certamente un fattore limitativo per il nostro Paese, dobbiamo mettere in conto che ne esiste un altro, simile e, seppur nato per offrire un’opzione laica in questo ‘sistema duplato’, oggi complementare a quello religioso.

Parliamo delle scuole pubbliche che, nel corso di una sola generazione, hanno prodotto l’ignoranza e la maleducazione che constatiamo tra troppi giovani diplomati e laureati. Dei sindacati che non hanno mai fatto proposte a nome dei lavoratori ed hanno sempre atteso quelle della controparte, per poi avviare un gioco di veti e delle tre carte, indispensabile per affermare il proprio potere e poco più.
Delle onlus che gestiscono servizi pubblici esternalizzati precarizzando a vita il proprio personale, del tutto incapaci di operare in network o di sviluppare un fund rising che non sia finanziamento pubblico. Delle aziende – cooperative od ex municipalizzate – che rendono floride le regioni ‘rosse’, sfruttando la fame ed il malaffare esistente al Sud, se non addirittura alimentandolo, come di certo accade per i settori manifatturieri e dei rifiuti speciali. I partiti, di cui non si conoscono i meccanismi di selezione del personale politico e dei candidati, fin dalla nascita della Repubblica.

Organizzazioni che, secondo alcuni, bloccerebbero il Paese, dato che è nei loro interessi che nulla cambi, ovvero che non si rinegozi un Concordato, non si delocalizzi la contrattazione dando potere alla base dei lavoratori, non si educhino i giovani alla meritocrazia ed all’essere esemplari, non si pretenda che i servizi esternalizzati vengano assunti da aziende solide e ben monitorate, non si bonifichi il sistema agroalimentare e distributivo, non si ripristini la legalità in quasi metà del Paese che lavora a nero.

Secondo altri, però, ben altre sono le organizzazioni che ‘bloccano il Paese’, come le banche (ormai ridotte alla quasi sola IntesaSan Paolo di sabauda origine) ed i diversi poteri finanziari (i cui discendenti sembrano sempre più interessati ad investimenti più sicuri del sistema Italia).

Per questioni strutturali, dobbiamo annoverare anche altre ‘organizzazioni’ che hanno le potenzialità e le caratteristiche strutturali per bloccare il Paese, le baronie universitarie ed il sistema giudiziario. Una ipotesi che trova anch’essa le sue conferme, visto che abbiamo un sistema sanitario che neanche recepisce le indicazioni dell’Organizzazione della Sanità Mondiale in fatto di disabilità ed un sistema giudiziario che ha impiegato oltre 20 anni per concludere il Lodo Mondadori, anzichè un paio come altrove, consentendo l’ascesa di Silvio Berlusconi, che altrimenti difficilmente si sarebbe realizzata con tale apicalità.

Ovviamente, non sono stati i sindacati, i partiti, i professori, i banchieri, i finanzieri, i magistrati, i baroni medici, le coop,  a rovinare l’Italia.
Non sono loro a ‘bloccare il Paese’ e non è contro di loro che Mario Monti ci chiede di mobilitarci per dare una spallata.

Ed allora contro chi altri mai?

originale postato su demata

SuperMario ed i nomi degli irresponsabili

9 Gen

Secondo Mario Monti, «alcuni irresponsabili avevano portato il Paese a una situazione grave».
Vero, verissimo, ne siamo convinti tutti, anche se non ne conosciamo i nomi, non almeno con la certezza che può avere un economista di tale portata che di ‘professione’ fa il premier e che ha accesso a tutti i documenti della Repubblica, inclusi quelli secretati.

E’ giusto, opportuno, indispensabile che Mario Monti faccia i nomi e che li faccia subito.

I motivi sono diversi e tutti particolarmente importanti.

Innanzitutto, il nostro diritto ad essere informati, specialmente se parliamo dei nostri soldi, delle elezioni che si avvicinano, ma anche del dovere a presentare denuncia che spetterebbe ad ogni pubblico funzionario – non solo in Italia, ma dovunque – al sol dubbio di ‘irresponsabile gestione della cosa pubblica’, specialmente se ciò comporta rischio per l’erario.

Inoltre, l’esigenza sistemica di conoscere le vere cause della crisi attuale, se dovuta a problemi strutturali oppure alle speculazioni della Germania ‘pro domo sua’ o anche qualche grava furbata od ingenuità di qualcuno dei tanti VIP nostrani del tutto indegni od incapaci di ricoprire la funzioni che hanno o stanno ricoprendo.

Infine, il buon nome di Mario Monti, dato che chi lancia accuse senza provarle, de facto si ritrova a millantare. E, cosa non da poco sotto elezioni, il buon nome dell’ex ministro dell’economie e delle finanze, Giulio Tremonti, oggi candidato con una propria lista, che quanto meno avrebbe dovuto vigilare e/o contrastare questi «alcuni irresponsabili». Ma anche il buon nome del compianto Padoa Schioppa, di Romano Prodi e del Partito Democratico che li sostenne, se, ricordiamolo, annunciarono l’esistenza di un ‘tesoretto’, che forse non c’era, o le stabilizzazioni delle pensioni Amato-Maroni, che secondo Fornero furono, invece, perigliosamente carenti.

Ha ragione l’egregio professor Monti: ci sono  (stati) nelle istituzioni “alcuni irresponsabili”. Ce ne siamo, a nostre spese, accorti tutti.
Visto che lo riconosce pubblicamente, però, sarebbe suo preciso dovere rendere pubblici i nomi ed i fatti: la seconda carica dello Stato – come lo è un presidente del Consiglio dei Ministri – se lancia accuse, deve qualificarle e contestualizzarle.

originale postato su demata

Monti il consociativo?

7 Gen

Iniziato il 2013, iniziata la lunga corsa elettorale italiana, che nell’arco di sei mesi sei dovrà nominare la leadership dello Stato e delle principali regioni e comuni italiani, più una bella quantità di province che non dovrebbero esistere più da tempo. Nominare la leadeship, non sceglierla e non cambiarla: a noi italiani non è dato questo diritto, sia chiaro.

E, dunque, mentre ci accingiamo ad assistere, spettatori amaramente paganti, al solito spettacolino politico al suon di polke e walzer, tra roboanti preannunci di vittoria, arriva il buon Mannheimer a confermarci poche essenziali cose:

  1. la compagine montiana non supererà il 20% dei voti, collocandosi inevitabilmente terza, dopo PdL e PD, con l’UDC che si riconferma un lumicino al 4% fisso;
  2. il Partito Democratico è di nuovo ‘maggioritario’, dopo aver cooptato Vendola alle primarie ed aver riassobito il voto di sinistra, raggiungendo, però, un risicato 30% o poco più;
  3. il ‘ritorno di Berlusconi’ ha riportato all’ovile almeno un 5% degli elettori di centrodestra, nonostante scandali e defezioni;
  4. Italia dei Valori e SEL rischiano di scomparire senza un apparentamento che ne salvi le percentuali e ne garantisca i candidati;
  5. Grillo e M5S sono sempre lì, intorno od oltre il 15% dei consensi.

Pertanto, sarà difficile vedere un governo Monti, come risultato delle prossime elezioni, ed, ammesso che possa accadere, dovrà essere una compagine di ‘ampie convergenze’, meglio ancora se una Grosse Koalition, appoggiata da Alfano, Bersani e Casini come oggi, ma ben più determinanti di oggi.

Non è un caso che Mario Monti, ex salvatore della patria oggi su strade e per obiettivi ben più personali, ha già lasciato trapelare quale sarebbe la sua preferenza: “Io al Quirinale?: Vedremo se verrà chiesto”.

Sarà un caso che, quasi in simultanea, forse di rimando, Corrado Passera, uno dei pochi ministri montiani che non sembra cedere alle lusinghe dellapolitica, abbia a precisare: “lista di Monti, occasione persa Serviva un programma più coraggioso. Alla fine hanno vinto vecchie logiche di corrente.”

Secondo il ministro per le Infrastrutture, avremmo dovuto e dovremmo “incidere più in profondità sul costo vivo dell’apparato politico e amministrativo pubblico. Un esempio: un solo livello istituzionale e politico fra i Comuni e lo Stato centrale. Ripensamento totale di tutte le strutture intermedie, non solo le Province. Bilanci consolidati, certificati e confrontabili per ogni entità pubblica. Commissariamento, vero non finto, di ogni ente che non rispetta le regole; riduzione drastica di tutte le assemblee elettive locali e centrali. Si può fare molto, molto di più di quanto non si creda per migliorare il nostro federalismo. Le resistenze incontrate anche dal nostro governo sono state formidabili, veti a tutti i livelli, spesso eravamo circondati da sguardi divertiti e poco indulgenti dei dirigenti pubblici, ma quando si riusciva ad ottenere qualche risultato, l’effetto positivo era perfino contagioso. Nella pubblica amministrazione ci sono tanti talenti e persone fiere di servire lo Stato. Dobbiamo dare loro fiducia con il buon esempio.”

Intanto, come conferma Corrado Passera, con il nuovo governo Monti-Bersani-Berlusconi saremo ancora alle vecchie logiche di corrente, con l’alta dirigenza pubblica – quella scelta con lo spoil system e affatto inamovibile – che oppone ‘resistenze formidabili, veti a tutti i livelli, sguardi divertiti e poco indulgenti.

originale postato su demata

I detrattori stranieri e la libera scelta degli italiani

12 Dic

I detrattori stranieri dell’Italia e della libera scelta degli italiani dovrebbero consultare più spesso l’ISTAT, ma basterebbe anche Wikipedia.

Non sanno che in Italia si spendono più soldi, tanti di più, per i costi della politica di una provincia di 100.000 abitanti, prevalentemente residenti in comuni al limite dei 5.000 abitanti, piuttosto che per una densa municipalità metropolitana con 400.000 abitanti. E non sanno, forse, che in alcune regioni e lungo la fascia appenninica gli abitanti son pochi ma i politici eletti sono, in proporzione, tanti.

Allo stesso modo, i nostri detrattori esteri non sembrano sapere che un sesto degli italiani vive in Lombardia e quasi un quinto ci lavora. Come non sembrano essersi accorti che una parte del PIL che ‘produce’ la Capitale, andrebbe sottratto e non aggiunto al PIL nazionale, visto che è da quello che attinge per servizi che dovrebbe dare (e spesso non da) al resto dell’Italia, che ‘serva di Roma Iddio la creò’. Non a caso Milano e Napoli hanno un basso peso sulle scelte nazionali decise a Roma.

Sempre dai dati, gli stranieri disinnamorati dell’Italia potrebbero accorgersi che il nostro agroalimentare proprio non va, se frutta quasi il 4% del PIL complessivo, specialmente se teniamo conto che le regioni e le province agroproduttive sono anche, spesso, quelle su cui dovrebbe abbattersi la mannaia del taglio dei costi della politica, di cui sopra, e delle ispezioni a contrasto dell’evasione fiscale e del lavoro nero.

Ci spieghino loro come possa funzionare un sistema così e ci spieghino anche perchè Mario Monti non l’abbia immediatamente ristrutturato e rioganizzato, intervenendo su Province, ex-municipalizzate, città metropolitane, leggi elettorali.

Sembrano così spaventati dalla inefficacia italiana, gli investitori esteri, ma, allora,  ci spieghino perchè Mario Monti non abbia messo al sicuro i conti, come aveva promesso, con una patrimoniale ed una riforma fiscale, invece di emettere un’enormità di titoli ad interessi svantaggiosi per l’Italia.

E che dire di Merkel ed Hollande, così afflitti dal ritorno di Berlusconi, ma dovrebbero anche spiegarci anche per quali cause questo accada, se non in conseguenza del flop politico del professor Monti e del flop delle Primarie del PD, che nonostante lo share televisivo RAI e SKY, hanno visto quasi dimezzarsi i partecipanti rispetto alla scorsa tornata.

O della Spagna che vuol convincere i suoi cittadini che la colpa è del ‘maldido Berlusconi’, che ha mandato a casa Mario Monti, ma, anche in questo caso, varrebbe la pena che ci spiegassero sia perchè la loro crisi la dovremmo pagare noi italiani, sia, soprattutto, se si siano mai chiesti se una grande nazione europea come la loro possa vivere di turismo, di movida e poco più, mentre si sorvola sull’invasione narco-camorristica nel sud della penisola iberica.

Qualcuno dice che gli italiani attendono un programma alla Hollande, con quel rigore e quella equità che Mario Monti non ha dimostrato nell’azione del suo governo, del resto formato da persone scelte da lui.
Un programma alla Hollande che il nostro Centrosinistra rifugge dal proporre e che le altre compagini minori non considerano affatto.

E se fosse proprio Silvio Berlusconi a presentarne uno così?

originale postato su demata

Basta populismo, basta sprovveduti

12 Dic

Luca Cordero di Montezemolo, oggi leader di Italia Futura attacca il populismo e l’Italia del ’94 (quella di Berlusconi ma anche quella di Prodi) e dichiara: «Monti l’uomo giusto». Purtroppo, in parte si sbaglia, visto che Mario Monti non ha avuto neanche il tempismo politico di riformare le Province a furor di popolo, quando era un gioco da ragazzi.

Intanto, dalla Sinistra che sembrava avesse già vinto le elezioni dell’anno che verrà arrivano Bersani, con un (poco) rassicurante «Avremo numeri al Senato», e Vendola, che lancià la sua enensima fattwa su Casini, giusto per dimostrare che sinistre e governabilità sono due cose ben distinte e che per i cattolici è ancora tempo di diaspora.

Intanto, Le Figaro titola ‘La dipartita di Mario Monti preoccupa gli europei’ – ma affatto gli italiani, sarebbe da aggiungere – ed ABC lancia l’iperbolico strillo ‘La Spagna paga il caos italiano’, ribadito da El Pais che titola ‘La crisi politica italiana scuote i mercati e castiga la Spagna’. Politica, si noti bene, e non finanziaria come si racconta da noi.
Il ben informato Financial Times informa il mondo che ‘Monti è in trattativa per correre come Primo Ministro’ – cosa che i nostri media si affanano a smentire – ed in Sudafrica il deVolkskrant parla chiaro ed annuncia che ‘Il ritorno di Berlusconi spaventa gli investitori’, come altrettanto fa il Buenos Aires Herald che spiega che è ‘l’Europa (che) spinge per le riforme di Monti”. Non gli italiani.

Dunque, quello che apprendiamo dai media di paesi meglio posizionati del nostro nelle classifiche per la qualità dell’informazione è qualcosa di molto semplice:

  1. la crisi italiana è politica e non finanziaria e questo lo sapevamo anche noi italiani, prima che lo spread a reti unificate obnubilasse le nostre coscienze;
  2. il sovraccarico fiscale propinato da Mario Monti agli italiani ha anche lo scopo di sostenere l’Eurozona e la situazione spagnola
  3. gli investitori (potenziali speculatori e non benemeriti mecenati) temono il ritorno di Silvio Berlusconi
  4. i grandi poteri mondiali tifano per Mario Monti quasi che abbiano scopi diversi da quello di aiutare l’Italia a superare una crisi politica di cui Monti è ormai coprotagonista.

Una dimensione delle cose che trova conferma nell’atteggiamento tedesco.

Infatti, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, ha voluto precisare il governo tedesco non intende interferire negli affari interni italiani, essendo dell’opinione che “Né la Germania, né l’Europa sono la causa delle attuali difficoltà che attraversa l’Italia”.
Il problema, però, è che la cancelliera Angela Merkel interferisce, e come, se si dichiara “convinta che gli elettori italiani voteranno in modo tale da garantire che l’Italia resti sul cammino giusto”.
Se esiste un ‘cammino giusto’ quale è quello sbagliato? Restare, un invito a confermare l’attuale?

Dunque, se un uomo qualunque volesse avanzare dei dubbi, a leggere i titoli stranieri, potrebbe sentirsi legittimato. Potrebbe pensare che “lo spread è un imbroglio” ed esser fermamente convinto che “l’economia con Monti è solo peggiorata” o che le elezioni “sono state anticipate solo per colpa delle dimissioni anticipate di Monti”.

Del resto, è piuttosto astruso – sia per i comuni mortali sia per gli addetti ai lavori – focalizzare una crisi nazionale su un unico indicatore consistuito dal mero rapporto degli interessi sui nostri titoli rispetto a quelli sui bund tedeschi, il cosiddetto ‘spread’.

Specialmente, se si viene a sapere che Berlino aveva “ordinato a tutte le banche di vendere i buoni del Tesoro italiani, con 8-9 miliardi di vendita. Gli altri fondi hanno pensato: ‘Se la Germania vende, qualcosa ci sarà…’. E hanno ritenuto di chiedere un premio per un rischio teorico, a noi del 6%. La Germania ha approfittato di tutto questo e ha abbassato i tassi all’1%, mentre a noi importa che i nostri tassi sono aumentati del 2%, che in un anno sono 5 miliardi in più.”

Ragionando a mente fredda, qualcuno potrebbe anche convincersi che “tutto quello che è stato inventato sullo spread è un imbroglio usato per abbattere un governo e fargli perdere la maggioranza”.
Ragionando a mente fredda, si potrebbe anche mettere a fuoco che quel governo ci aveva portato in quella situazione, dopo aver ereditato una pesante situazione dal governo uscente, e che l’opposizione a quel governo per 3 anni e mezzo non s’è fatta sentire granchè.

Basta populismo: gli italiani non sono degli sprovveduti.

originale postato su demata