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Il ruolo dei giornalisti e dei blogger nei new media

1 Lug

Sembra che, ormai, il sistema dell’informazione – a seconda della libertà e/o qualità dell’informazione del singolo stato – si sia stratificato in due o tre livelli.

Infatti, ai giornalisti tocca, come noto, di informare la gente e più cheap diventa il popolo, più cheap va ad essere l’informazione che ‘consumano’, ovvero che ‘deve essere a loro servita’, anche se a scrivere fosse Eco o Montalcini.
Cheap sta per ‘a buon mercato’, non solo per quanto riguarda la cronaca (politica, rosa, nera eccetera), ma soprattutto per quanto relativo ai riferimenti culturali posseduti dai lettori, che – se poveri o pregiudizievoli – vengono assecondati, piuttosto che aggiornati.

D’altro canto, come riconobbe lo stesso Mario Monti nel 2011, è dalla blogosfera che i ‘potenti’ traggono suggerimenti e annotazioni di cui, altrimenti, sarebbero sprovvisti: ai blogger ‘veri’ va oggi il ruolo di commentare e prospettare scenari, come gli editorialisti e i pezzi di fondo di una volta, a chi  decide per il popolo.

Queste due dimensioni informative erano ricomprese nei giornali – in modo diverso, a seconda del livello –   fino a una ventina d anni fa: la crisi delle Tigri Asiatiche, la fine della Guerra Fredda e la globalizzazione (di cui internet è il motore) hanno mutato questo scenario, portandoci alla situazione odierna.

A partire dagli Anni ’90 divenne progressivamente impossibile raccontare in termini cheap – e negativi, tra  l’altro – la complessità di quanto stesse iniziando a prefigurarsi.
Impossibile che gli over50 di oggi – acculturati e non – potessero riadattarsi con facilità ad una cultura priva dei riferimenti ‘ideologici’  in cui erano stati cullati per generazioni, difficile spiegare alla generazione del Boom che la bolla s’era sgonfiata …

Intanto, con il dilatarsi del lag tra diritti e obblighi recepiti per trattato internazionale e norme locali, divenne sempre più impossibile trattare seriamente un qualunque argomento di cronaca senza imbattersi in qualche mostruosità del sistema, per la quale fino a 30 anni fa qualunque giornale avrebbe sollevato una campagna stampa per accaparrarsi vendite reali di copie stampate e potere.

Era arrivata la pubblicità (massiva) sulla carta stampata d’informazione e cronaca (un tabù violato in Italia da Eugenio Scalfari e base del suo successo).  Una scelta, fatta in nome del ‘contrasto all’informazione cheap televisiva dilagante’, che ha determinato la trasformazione delle grandi testate giornalistiche italiane in una sorta di book office della grande distribuzione e del carousel partitocratico.

La riprova è non solo nel numero di pagine destinate alla pubblicità, che si fa ancora più stringente se si va on line, ma anche nelle notizie, visto che sulla stampa ‘locale’ – che di publi non ne raccoglie così tanta e conta molto sulle copie vendute – leggiamo un po’ ovunque, da mesi o da anni a seconda dei casi, di continui misfatti mafiosi e di eterni scandali politici di cui v’è rara menzione sulla stampa nazionale.
Ancora. Il fenomeno del Movimento Cinque Stelle che si regge su una presunte Edemocracy veicolata tramite un portale con tanto di pubblicità.

Altra riprova sono i fatti raccontati da Gomorra che leggemmo in bella vista sulla grande stampa solo dopo che la storia arrivò fino alla commissione per gli Oscar ad Hollywood. Fatti rapidamente dimenticati, come la storia delle griffe italiane che sfruttavano i lavoratori campani tramite piccoli imprenditori/intermediari anche coinvolti con la Camorra.
Per non parlare della Terra dei Fuochi o dei diritti dei bambini esposti a violenza e miseria.
O, ancora peggio, dell’enorme quantità di abusi, corruttele, sprechi e bugie transitati anche ‘sotto il naso’ delle grandi testate giornalstiche per vent’anni e passa …

Difficile spiegare al popolo di una dorata democrazia anglo-sassone che se la Costarica raddoppiasse il prezzo delle sue banae (visto che è quasi l’unica risorsa locale) il mondo sarebbe sull’orlo della III Guerra Mondiale.
Ancor peggio raccontare sulla prima pagina di un giornale pieno zeppo di pubblicità e letto in tutto il mondo che in Italia i ‘rapporti’ tra Centronord e Meridione somigliano molto a quelli che a volte vediamo nei film americani, con il gringo pieno di dollari, i crudeli narcos impuniti, tot padroni della hacienda a banchettare con famigli o clientes e tanti peones a fatigar, se son fortunati.

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Arrivano le elezioni. E i temi concreti?

14 Gen

Si va alle elezioni e, finora, nessuno dei nostri partiti ha finora chiarito cosa intenderà fare riguardo i ‘temi concreti’ della politica e dell’economia italiana.

Ad esempio, dove prendere i soldi con i quali far ripartire la crescita e rilanciare il paese dopo dieci anni di stagnazione economica causata dall’inadempienza dei governi e dei parlamenti alla necessità di riforme strutturali ed innovazione.

E la patrimoniale “secca”, va fatta sui redditi privati, come propone Bersani, o sugli immobili pubblici, come chiede Oscar Giannino, leader di Fare per Fermare il Declino? Come anche cosa sarà della riforma delle concessioni demaniali e cessione di aree demaniali per edilizia turistica, in agenda entro la fine della prossima legislatura?

Oppure, manteniamo il deprimente ed iniquo caos sulle pensioni oppure andremo al riordino, visto che oggi 700.000 italiani percepiscono, senza aver adeguatamente contribuito, quanto altri 20 milioni di pensionati ben più poveri, incrementando il debito pubblico di almeno 10 miliardi di euro all’anno? E per quanto tempo ancora potremo assistere all’antropofago spettacolo di pensioni ben superiori al corrente stipendio d’ingresso per la stessa qualifica/posizione?

Porremo limiti all’espansione della grande distribuzione che sta svuotando i centri abitati dagli esercizi commerciali ed imporremo un sistema di packaging che eviti ai cittadini di dover costosamente smaltire enormi quantità di plastica e plastificati? Reintrodurremo la mezzadria e riformeremo dei sistemi consortili e cooperativi nell’agricoltura, una via per abbattere costi vivi e prezzi al consumo?

Arriveremo al contingentamento delle dirigenze pubbliche e dei redditi derivanti da incarichi plurimi, come nel caso dei primari dei policlinici universitari? Privatizzeremo il sistema assicurativo dei lavoratori del settore privato? Defiscalizzeremo i premi ai lavoratori e dei contributi previdenziali od assicurativi? Attueremo una riforma del sistema delle contrattazioni sindacali con maggiore apporto per gli accordi locali?

Introdurremo nuove leggi sul conflitto di interessi e sulla Par Condicio? Arriveremo all’immissione sul mercato (ed allo smantellamento) della televisione commerciale di Stato? Attuaremo la riforma delle norme sull’editoria, sia per quanto relativo ai finanziamenti pubblici sia per quanto relativo i rapporti tra editore e comitati di redazione?

E cosa ne sarà delle inutili Province e degli inutili comuni al di sotto dei diecimila abitanti? O delle tante aziende a capitale o partecipazione pubblici, che costano diversi miliardi per stipendi e rimborsi del personale?

Troveremo una via per prepensionare il pubblico impiego, che arranca da anni e decenni dietro un’innovazione tecnologica sempre più esigente, e così poter procedere alla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione?

Fosse solo in nome dell’ambiente, avvieremo politiche fiscali che incentivino il trasporto su rotaia o via mare? Visto che almeno il 60% dei maschi adulti non è diplomato, avvieremo una campagna di formazione permanente per gli adulti e una qualche razionalizzazione della rete formativa post-diploma ed universitaria? Introdurremo l’obbligo per tutti i detenuti di attività di studio e lavorativa, in carcere per quelli pericolosi, eventualmente all’esterno per i recuperandi?

Attueremo una vera riforma della giustizia con totale separazione delle carriere tra inquirenti, giudici ed avvocati? Ci sarà la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, come organismo “interno” al sistema giudiziario e con forti poteri disciplinari? avremo una definizione degli standard di qualità e di best pactices nel sistema giudiziario? Otterremo delle sentenze “in base alle prove presentate” e non “in base a giusto convincimento”? E che dire della semplificazione dei codici di procedura giudiziaria e del sistema di notifica degli atti?

Quanto alla malasanità a macchie di leopardo, ci sarà l’istituzione di un qualche servizio ispettivo nazionale per il sistema ospedaliero e di medicina di base, visto che il monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità è palesemente poco descrittivo del disastro in corso e, soprattutto, non ha poteri di intervento?
Visto il caos burocratico e gestionale di tanti siti sanitari, a partire da certe astanterie chiamate sale d’attesa, ci sarà l’obbligo per i medici dirigenti di superare una prova giuridico-amministrativa?

Visto che in molti ospedali non si vede un volontario uno, cosa farne delle Onlus operanti nel settore sociale e salutistico? Le obbligheremo ad utilizzare almeno il 30% del fund rising in interventi diretti per i malati, come accompagno, assistenza e supporto, eccetera? Ed il mercato nero degli alloggi, vogliamo sanarlo obbligando i grandi ospedali di dotarsi, anche con convenzioni ad hoc, di strutture ricettive (bed & breakfast) per pazienti e familiari? Ed i 2-6 milioni di malati cronici e/o rari dovranno ancora macinare ore e chilometri per una fiala, oppure avranno il diritto di essere curati presso ospedali generali o poliambulatori di propria scelta, con abbattimento dei rischi terapeutici e dei costi per accertamenti e cure?

La smetteremo di inseguire il miraggio di 100-200 miliardi da recuperare dall’evasione fiscale e, piuttosto, prenderemo atto che qualche calcolo è, evidentemente, troppo ottimistico e che, probabilmente, è il sistema che utilizziamo che non funziona, visto che la pressione fiscale è esosa e sfilacciata? E come non considerare quanto stamane Oscar Giannino spiegava ai telespettatori durante la trasmissione Omnibus, ovvero che siamo in un paese dove la pressione fiscale è almeno al 43% a fronte di stipendi molto bassi e che per questo è necessario attenuare il carico sui redditi, sulla produzione e sul lavoro?

E che dire di uno Stato ‘guardone’ che pretende di analizzare persino i consumi di sapone nelle nostre case, ma non onora i propri impegni ed i propri debiti?

Alcune delle tante domande per le quali vorremmo leggere le soluzioni nei programmi elettorali e delle quali vorremmo sentir parlare nei talk show televisivi.

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Servizio pubblico televisivo: più informazione e meno fazione?

14 Gen

Il confronto tra Silvio Berlusconi e Michele Santoro, su Servizio Pubblico giorni fa, verrà forse descritto, dagli storici dei media, come il canto del cigno di un certo modo di fare televisione, che – prima sulla RAI e poi su alcune reti private – ha preso piede in Italia da oltre un decennio.

berlusconi santoro

Parliamo delle trasmissioni politiche dove è sempre necessario confortarsi con i lazzi di qualche comico (anche un vignettista va bene), dove vengono sciorinate accuse madornali senza un accettabile diritto di replica, dove il conduttore assurge a catalizzatore del basso ventre popolare.

Non è un caso che gran parte dei critici ed analisti mediatici, che si sono espressi in questi giorni, hanno puntato il dito sull’acrimonia di Santoro verso Berlusconi, sulla scaletta rigida del programma che ha permesso a Berlusconi di vincere praticamente tutti i round, sul giustizialismo ‘facile’ che si è ritorto contro, sul sarcasmo truculento che ha trovato ‘pan per i propri denti’ nell’umorismo dell’ospite/accusato.

Il tutto con uno share abissale, ovvero sotto il naso degli italiani, che hanno toccato con mano come andrebbero certe ‘trasmissioni di informazione’, se il diretto interessato può giocare ad armi pari, come ha potuto pretendere Silvio Berlusconi.

Eppure, Santoro – come tanti altri – avrebbe potuto evitare la solita saga dei processi, delle frequentazioni e delle escort, che toccano diffusamente il mondo della politica e della finanza, come raccontano le vicende dell’ex-cancelliere socialista tedesco Gerhard Schröder, nel consorzio Nord Stream AG della Gazprom russa, o quelle di Dominique Gaston André Strauss-Kahn, ex ministro socialista francese, con non poche donne a New York come altrove, per non parlare dei sospetti di rapporti tra mafia e politica addirittura nell’assassino del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy. Una realtà alla quale le popolazioni dei paesi democratici sembrano essersi rassegnate, visti i livelli di astensionismo.

dati della London School of Economics and Political Science

Ben altro avrebbe interessato i cittadini telespettatori e consumatori dal confronto Santoro-Berlusconi.

Ad esempio, le critiche a Mario Monti che ambedue hanno palesato nel corso di questi 12 mesi. Meglio ancora che l’ex premier esponesse la sua versione di come l’Italia sia finita in una tale congiuntura, prima che ‘eventuali cospirazioni’ determinassero la sua caduta/defenestrazione.
Contraddittori che avrebbero potuto toccare le cause della diffusa e costosissima malpractice che vessa Sanità e Welfare, ormai in balia di una sottocasta politica e professionale, sgradita per motivi diversi ad ambedue.

Ancora, avremmo potuto apprendere, stante il populismo di ambedue i protagonisti, se e come potrà essere raddrizzata la sbilenca barca della produttività e del lavoro italiani, su cui tutte le parti politiche non sembrano andare oltre le manifestazioni di intento nelle loro promesse.
Addirittura, si sarebbe potuto parlare di sistema televisivo e pubblicitario, che ha un bel costo anche lui e che, da come stiamo messi, ci spinge verso consumi e stili di vita che forse non possiamo permetterci.
Argomenti che avrebbero permesso di capire, a tutti noi, cosa ci aspetta dietro l’angolo delle prossime elezioni.

Dunque, quello di cui ha preso atto il pubblico dei telespettatori, futuri elettori, è che di tutto questo non se ne è parlato e che è stata di Michele Santoro la decisione di non farlo, nell’evidente tentativo di gestire una trasmissione-processo, mentre a noi tutti, inclusi gli antiberlusconiani duri e puri, interessava l’informazione-dibattito. Un discorso che vale anche per la RAI, dove andrebbe considerato il dato che una somma di fazioni non fa di certo nè libertà d’informazione nè servizio pubblico.

Preso atto che abbiamo assistito ad un programma talmente a senso unico che è stato un gioco da ragazzi ribaltare il tavolo e prevalere mediaticamente, resta solo da rimpiangere le Tribune Elettorali di  Zatterin e Iacobelli e chiedersi se Santoro abbia, involontariamente, ‘prodotto consenso’ per Silvio Berlusconi ed il PdL con meno del 5% o anche di più.

N.B. La vignetta non era dedicata dall’autore al contesto italiano, bensì alla malasanità statunitense, e ne sono state cancellate le scritte.

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Spesa pubblica: due conti in croce

29 Giu

I dati forniti da SIOPE e diffusi mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) descrivono la distribuzione della Spesa Pubblica italiana e forniscono – nell’estremo tentativo di salvare gli enti politici provinciali – un quadro alquanto desolante, per quanto relativo alla situazione generale, e fin troppo deludente per quanto inerente l’azione di governo esercitata da Mario Monti ed i suoi prescelti.

Infatti, mettendo in tabella i dati SIOPE-UPI sul 2011 insieme ai dati forniti dal Ministero dell’Interno e dal MIUR – riguardo le proprie spese (2010) – e dalle Regioni e Province – relativamente al numero dei consiglieri – ecco cosa ne viene fuori.

Dati che vanno letti considerando che un consigliere comunale del Comune di Sassari ci costa solo 13.338 Euro all’anno, trasferte e rimborsi inclusi. (leggi anche sui CdA, Lo scandalo degli Enti Strumentali)

Se questo è il costo dei cosiddetti ‘apparati’, ovvero dei consiglieri-parlamentari e dei rispettivi gruppi consiliari, non è che con la sommatoria – incompleta- della spesa pubblica si vada meglio.

Fatti salvi circa 11 miliardi di Euro spesi per il Ministero dell’Interno e palesemente insufficienti, non è chiaro per quali motivi l’Italia abbia una spesa per l’Amministrazione Centrale di quasi 200 miliardi a fronte di una spesa complessiva delle Amministrazioni locali di ‘soli’ 135 miliardi, in cui rientrano strade, porti, reti locali, ambiente eccetera.

Quanto ai due soli servizi (istruzione e sanità) dove Stato e Regioni hanno competenze condivise, i dati raccontano che per la scuola si spende troppo poco, mentre per la salute si spenda troppo e male.

Male non solo per i servizi scarsi o inutili che arrivano ai cittadini, ma soprattutto perchè, se le Regioni spendono tre volte tanto per ASL e ospedali di quanto spendano per tutto il resto, è presto spiegato il disastro italiano.

Infatti, con una sproporzione tale – in termini di volume finanziario e di bisogni dei cittadini da soddisfare – non è improbabile che non pochi consigli regionali siano ‘dominati’ da lobbies afferenti al settore sanitario, come non pochi scandali dimostrano, dalla Regione Puglia agli ospedali cattolici romani o milanesi.

D’altra parte, 116 miliardi di spesa sanitaria annui sono una cifra enorme che richiederebbe ben altro che una spending review, in questi tempi di crisi. Infatti, non saranno i 246.691 infermieri (10 mld di spesa annua?), i 46.510 medici di base ed 7.649 pediatri (altri 5-6 miliardi) coloro che inabissano la spesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Dei restanti 100 miliardi va cercata e chiesta ragione ai medici ospedalieri ed ai consigli di amministrazione delle ASL, non ad altri.

Sarebbe interessante sapere anche perchè quei 300 miliardi di previdenza siano congelati nelle casse dello Stato, anzichè diventare denaro circolante, con un sistema di previdenza privata sotto controllo pubblico come in Germania.

Come anche, ritornando alle ‘spese dell’Amministrazione Centrale’ per 182 sonanti miliardi di euro, sarebbe bello sapere in cosa consistano, visto che i beni monumentali languono e le infrastrutture attendono.

Sarebbe importante sapere, anche e soprattutto nell’interesse di Roma Capitale, quanta parte di questi miliardi siano andati a costituire lo strabiliante PIL che per anni fu vanto di Walter Veltroni e delle sue giunte e di cui, da che c’è crisi, non sembra esserci più l’ombra. Ma questa è un’altra storia.

Leggi anche Tutti i numeri delle Province

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Sondaggi: ancora piccole bugie. Legge Elettorale subito!

28 Mar

Mario Monti racconta ai giornalisti stranieri che “la maggioranza degli italiani percepisce questa riforma del lavoro come un passo necessario nell’interesse dei lavoratori” e, nelle foto, è possibile notare che … gli è cresciuto leggermente il naso, come accadeva a Pinocchio nel dire le bugie.

Un sondaggio “fresco fresco”, effettuato da Digis Srl per SKY24, mostra come solo il 22% degli italiani è d’accordo con la Riforma Fornero del lavoro. Viceversa, il 36% vorrebbe una “conciliazione”, come grosso modo come chiedono i sindacati e come prevede il “vero” modello tedesco, il 26% è fermamente contrario, il 16% ritiene che non sia una cosa così urgente, il 9% non risponde proprio.

A riprova della profonda sfiducia degl iitaliani ben il 56% è contrario all’abolizione degli stage gratuiti in azienda, perchè sono “una opportunità per i giovani al primo impiego”.

Se non bastasse questo a dimostrare che “l’ottimismo” di Mario Monti e delle redazioni giornalistiche italiane è del tutto inattendibile, c’è anche il sondaggio EMG per Telecom-LA7, su una base di affluenza alle urne del 67% degli elettori, con riferimento alle future elezioni per la sola Camera dei Deputati, dato che il Senato intendono votarselo da soli:

  • Partito Democratico: 26.6% (26.0%)
  • Popolo della Libertà: 23.8% (23.6%)
  • Sinistra, Ecologia e Libertà: 8.8% (8.7%)
  • Italia dei Valori: 7.8% (7.7%)
  • Lega Nord: 7.9% (8.4%)
  • UDC: 7.2% (7.0%)
  • Cinque Stelle: 3.9% (4.4%)
  • Futuro e Libertà: 3.0% (3.2%)
  • Federazione della Sinistra: 2.0% (2.2%)
  • Verdi: 1.6% (1.6%)
  • La Destra: 1.6% (1.3%)
  • Partito Socialista: 1.2% (1.2%)
  • Alleanza per l’Italia: 0.8% (0.6%)
  • Grande Sud: 0.8% (0.9%)
  • Mpa: 0.7% (0.9%)
  • SVP: 0.5% (0.5%)
  • Radicali: 0.5% (0.6%)
  • Pli: 0.5% (0.5%)
  • Altri: 0.8% (0.7%)

Andando per aggregati elettorali, qualcosa balza all’occhio con prepotenza:

  • Patto di Vasto: 46,8% (PD, SEL, IDV, Sinistra, Verdi)
  • Centrodestra + Lega: 34,5% (PdL, Destra, PSI, Lega)
  • Terzo Polo: 11% (UDC, FLI, Alleanza)
  • Autonomie senza Lega: 2% (MPA, Sud, SVP)
  • Altri: 5,7% (5 Stelle, Radicali, Liberali, altri)

Alcuni fatti sono, dunque, evidenti se confrontati con i dati di qualche tempo fa, ad esempio mentre mezza Italia era sommersa dalla neve:

  • l’iniquità delle misure sulle pensioni e sul lavoro e dei pesanti tagli lineari in corso spinge l’elettorato “verso sinistra” e lo sta facendo in modo indistinto quasi fosse semplicemente un “porto sicuro”;
  • un futuro governo di centrodestra non sembra avere i numeri e, comunque, avrebbe una vita difficile e probabilmente breve. Ciò anche considerando la cooptazione di una parte del Partito Democratico (Veltroni, Fioroni, Letta) in una Grosse Ammucchiata con il Terzo Polo e senza la Lega;
  • le spinte autonomistiche appaioni irrilevanti su scala nazionale;
  • la necessità di accordi locali tra partiti maggiori ed UDC o Lega, per le amministrative, non dovrebbe più condizionare così pesantemenre le alleanze nazionali, se parliamo di una Camera con 3-400 deputati: i numeri della Lega e del Terzo Polo sono sostanzialmente statici.

L’abbraccio “fatale” tra Partito Democratico e Mario Monti non ha gambe lunghe, visto che la migliore “Grosse Ammucchiata” è rappresentata da un governo di “Unità Nazionale” (cosa un po’ diversa …) con PD, Terzo Polo, IDV ed Autonomie (41% circa), all’opposizione  il Centrodestra + Lega a circa il 35% e SEL a circa il 9%, un congruo 33% dell’elettorato che, messo dinanzi ad una proposta seria, potrebbe decidere di andare a votare … ed un premio di maggioranza che è ancora tutto da decidere.

Ovviamente, se il Parlamento dovesse ostinarsi a lavorare sulla cosiddetta “bozza Violante”, che non consente agli elettori di votare per il Senato, la necessità di votare prima per le Politiche è impellente se vogliamo evitare, come accaduto da 20 anni, che piccoli partiti o gli “outsider delle Primarie” od i “capibastone locali” stravolgano il quadro nazionale, facendo leva sugli esiti delle Amministrative.

La priorità, dunque, non è chiedersi se esiste un’alternativa a Mario Monti, domanda alla quale non c’è risposta se non si è a conoscenza di quale sia la legge elettorale con cui si andrebbe a cercare tale “alternativa”.

La priorità è votare una legge elettorale. Subito.

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Programma di governo: una montagna di chiacchiere?

14 Mar

Il programma di governo, annunciato da Mario Monti mesi fa e sostenuto da PdL, PD, FLi e UDC, si propone di “riconciliare cittadini ed istituzioni“, non considera i “vincoli europei come imposizioni“,  vuole “rendere meno ingessata l’economia“, riconosce “l’esistenza di una questione meridionale“, “garantirà la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri” e “conterrà i costi di funzionamento degli organi elettivi“, che annuncia un “piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico“, auspica “merito individuale” per i giovani e “piena inclusione” per le donne, “riduzione del peso delle imposte e dei contributi“, “aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture“.

Secondo il discorso pronunciato al Senato, a novembre scorso, Il mercato del lavoro è da riformarsi “con il consenso delle parti sociali” e l’età di pensionamento, già a novembre scorso, “superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi“, con un “sistema pensionistico caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio“.

Avete visto voi?

Quelli che seguono sono degli stralci dal discorso di insediamento di Mario Monti al Senato (link testo integrale). Parole pronunciate solo qualche mese fa, promesse che costituirebbero il corrente programma di governo.

“Spero che il mio Governo ed io potremo, nel periodo che ci è messo a disposizione, contribuire in modo rispettoso e con umiltà a riconciliare maggiormente i cittadini e le istituzioni, i cittadini alla politica.
Il Parlamento è il cuore pulsante di ogni politica di Governo, lo snodo decisivo per il rilancio e il riscatto della vita democratica. Al Parlamento vanno riconosciute e rafforzate attraverso l’azione quotidiana di ciascuno di noi dignità, credibilità e autorevolezza.

Non vediamo i vincoli europei come imposizioni.
Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL. Ma non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere.
… provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l’economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l’efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro Paese.

Maggiore sarà l’equità, più accettabili saranno quei provvedimenti e più ampia sarà la maggioranza che in Parlamento riterrà di poterli sostenere. Equità significa chiedersi quale sia l’effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società.

Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità. I problemi nel Mezzogiorno vanno affrontati non nella logica del chiedere di più, ma di una razionale modulazione delle risorse.
Ciascun Ministro esporrà alle Commissioni parlamentari competenti le politiche attraverso le quali, nei singoli settori, queste azioni verranno avviate.

Nell’immediato daremo piena attuazione alle manovre varate nel corso dell’estate, completandole attraverso interventi in linea con la lettera di intenti inviata alle autorità europee.
Verrà definito un calendario puntuale per i successivi passi del piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico.

Assicurare la piena inclusione delle donne in ogni ambito della vita lavorativa ma anche sociale e civile del Paese è una questione indifferibile.
Dobbiamo porci l’obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che oggi impediscono ai giovani di strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza.
L’Italia ha bisogno di investire sui suoi talenti. Per questo la mobilità è la nostra migliore alleata, mobilità sociale ma anche geografica, non solo all’interno del nostro Paese ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.

Per garantire la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri, decisa con la legge di stabilità, andrà definito rapidamente il programma per la riorganizzazione della spesa, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Di fronte ai sacrifici che sono stati e che dovranno essere richiesti ai cittadini sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi. I soggetti che ricoprono cariche elettive, i dirigenti designati politicamente nelle società di diritto privato, finanziate con risorse pubbliche, più in generale quanti rappresentano le istituzioni ad ogni livello politico ed amministrativo, dovranno agire con sobrietà ed attenzione al contenimento dei costi, dando un segnale concreto ed immediato. Per quanto di mia diretta competenza, avvierò immediatamente una spending review del Fondo unico della Presidenza del Consiglio.

Coerentemente con il disegno della delega fiscale e della clausola di salvaguardia che la accompagna, una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico. Dal lato della spesa, un impulso all’attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture.

Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro, per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione.

Già adesso l’età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi. Il nostro sistema pensionistico rimane però caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio.”

Nota bene, il programma che non fa menzione di RAI e giustizia.

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Trattativa Lavoro spiegata con semplicità

13 Mar

A quanto pare, il ministro Fornero avrebbe precisato che i soldi per gli ammortizzatori, due miliardi, “potrebbero essere dai risparmi sulle pensioni, o meglio che “non saranno presi dal fondo sociale”.

Risparmi sulle pensioni? Ma non erano indispensabili ed inderogabili per salvare l’Eurozona?

Ed infatti, Elsa Fornero avrebbe precisato che “non sono in grado di dirvi dove saranno trovate le risorse, il governo è impegnato a ricercarle, ma non saranno sottratte “ai capitoli del welfare: il governo si impegna a trovare le risorse al di fuori dei capitoli di spesa sociale”.

Ammortizzatori sociali che non vertono sulla spesa sociale e sul welfare? Ed a cosa andrebbe destinato, allora, il Fondo Sociale Europeo se non, innanzitutto, ai disoccupati ed ai poveri?

“Indennità di disoccupazione a 1.119 euro”, questo l’ultimo annuncio attribuito al ministro del Welfare, che avrebbe anche promesso che “la cassa integrazione straordinaria resterà e non scompare. Sarà eliminata solo la causale per cessazione attività.” (La Repubblica)

Tutto ed il contrario di tutto, con l’aggiunta dell’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ed il proseguimento dell’esclusione dai sussidi di giovani e casalinghe.

Non è un caso che si parli “passo indietro” (Camusso) , “ecatombe sociale” (Bonanni), “il ministro non abbia fretta” (Marcegaglia), l’articolo 18 è “una norma antidiscriminazione” (Bersani).

E, mentre LA7 con il suo TG “tira la volata al ministro”, annunciando un’accelerazione che esiste solo nelle intenzioni di Elsa Fornero, accade che solo il Corriere della Sera (link) dia una spiegazione abbastanza chiara di quante e di quali riforme si stia parlando.

Riordino dei contratti: meno tipologie, incremento d’aliquota per i contratti a termine (+1,4%), stabilizzazione dell’apprendistato ( se entro il 25 aprile le Regioni  vareranno le leggi di loro competenza).

Ammortizzatori sociali su due livelli: cassa integrazione ordinaria pagata dalle aziende e dai lavoratori secondo gli schemi attuali, assegno di disoccupazione solo per chiusure o ristrutturazioni aziendali, condizionato da verifiche come in Gran Bretagna.

Assicurazione sociale: consiste nella creazione di un istituto (simile all’ Inail) per la disoccupazione universale per tutti i lavoratori dipendenti privati e ai lavoratori pubblici con contratto a tempo determinato a partire dal 2015.  L’importo massimo del sussidio sarà circa di 1.119 euro mensili iniziali per un massimo di 18 mesi.

Licenziamenti: Elsa Fornero, dopo l’innalzamento dell’età pensionabile, chiede che i lavoratori rinuncino all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per tutti i licenziamenti non discriminatori. In tutti gli altri casi, il governo offfre un indennizzo economico non superiore a 18 mesi di retribuzione, ovvero meno di 20.000 Euro se parliamo di un lavoratore non specializzato, La Cisl propone, invece, di escludere dall’articolo 18 solo i licenziamenti per motivi economici (come per i licenziamenti collettivi). La CGIL di Camusso (c’è anche quella di Landini ormai) si oppone all’abrogazione, ma è favorevole alla semplificazione dei giudizi ed all’introduzione e rafforzamento dell’istituto dell’arbitrato.

Ovviamente, nessuno sa quanto costerà tutto questo, visto che la disoccupazione è in aumento e che le riforme potrebbero far emergerne molta altra, tra contratti a termine e lavoro nero.

Preso atto che Bersani si appella all’ONU od alla Croce Rossa, con il suo “una norma antidiscriminazione”, mentre arriva Gasparri alla carica ricordandoci arcani debiti ed astrusi impegni europei, non possiamo non notare che Mario Monti insiste con Alfano per “parlare di RAI” …  e, visto che la “vicenda lavoro” è  – più o meno come avete letto – “semplice semplice”, ditemi voi se non sarebbe primo dovere della televisione pubblica informarci sulle diverse proposte e sul significato dei diversi interventi.

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Un PD senza uscita

8 Mar

Il Partito Democratico da molto tempo mostra di non essersi emancipato dal proprio passato “primo repubblicano”, anzi, di averne fatto la propria quintessenza.

Non è un mistero per nessuno la pregressa militanza democristiana, socialista, comunista che annovera la maggior parte dei suoi quadri politici in Parlamento, nelle Regioni, nelle Provincie e nei grandi Comuni.

Un partito nato vecchio, che, finora, ha potuto andare al governo – nazionale ma lo stesso vale per quelli locali – per ben due volte solo grazie all’alleanza, se non all’abbinamento, con l’estrema sinistra, che in Italia è sia rigidamente poststalinista sia libertariamente postmoderna.
Un intellighentzia partitica che – basta andare ad un convegno per saperlo – è convinta d risolvere “tutto” con tecnologie e servizi, che hanno un costo e non generano un granchè di PIL.
Una base elettorale molto “retrò”, che “ragiona con la pancia”, come per 20 anni di antiberlusconismo fine a se stesso o come per “l’opposizione dei comici RAI”, da Guzzanti e Crozza, oppure come per la “mano libera” di cui gode qualunque manifestante sventoli una bandiera rossa.

Di questo passo, il futuro è già scritto ed, a quanto pare, il più realistico sembra essere Walter Veltroni che agogna un’ammucchiata (tradotta Grosse Koalition in tedesco) con i “centristi in sella”.

Molto lontano dalla realtà delle cose, viceversa, appare Pierluigi Bersani, che da un lato s’affida ad un Patto di Vasto, che cancella i suoi candidati alle Primarie ed inficia future alleanze “centriste”, dall’altra scalpita a sostegno di Monti e del salvataggio delle lobby finanziarie del Centroitalia.

Il risutato è, tra l’altro, l’inoperatività del governo Monti, impedito a riformare, ovvero liberalizzare, il sistema contributivo, assicurativo e cooperativo, che rappresentano alcuni dei principali ed “eterni” fattori di “stallo” dell’economia italiana, assieme alla superfetazione delle autonomi locali ed alla lentezza ed imprevedibilità della giustizia.

Allo stesso modo, non stiamo rilanciando il sistema di trasporto su rotaia e quello aereoportuale, riducendo progressivamente quello su gomma, mentre la benzina vola verso i 2 euro al litro, vuoi per la “priorità metalmeccanica” (leggi occupazione industriale al nord), vuoi per gli enormi interessi del Gruppo Marcegaglia (leggi guardrail), vuoi per mantenere la “centralità logistica” bolognese.
Per non parlare della patrimoniale, necessaria per fare cassa e, soprattutto, immettere sul mercato meno titoli e ad interessi più bassi, ovvero rassicurando l’Eurozona e rafforzando il sistema-Italia, ma anche “non impellente”, mentre Unicredit, in cui confluì Unipol, andava a salvarsi acquistando titoli con rendite elevate.

Un Partito Democratico abbinato a troppi processi ed inchieste, partendo dallo scandalo rifiuti che coinvolse Bassolino, al caso Lusi, che coinvolge anche il PD, od al caso Penati, tutto da giudicare, fino ai troppi indagati per mafia o corruzione al Sud o, peggio, al “disastro agroalimentare” italiano, che vede trusts al centronord e mafia, desviluppo e sfruttamento al sud.
Per non parlare, più in generale, del sistema consortile o dello spoil system o delle esternalizzazioni, come denuncia indirettamente anche Saviano, chiedendo una legge anticorruzione anche “tra privati”.

Cosa fare?

Dividere le strade di chi s’abbarbica al vecchio e chi ricerca il nuovo sembra essere una scelta inevitabile, anche se dovesse provocare un’implosione: la sommatoria dei voti raccolti dalle varie componenti derivanti (partiti tra loro alleati e non) sarebbe comunque maggiore di quanti raccoglierebbe il partito oggi e, peggio, tra un anno, andando di questo passo.
Una scelta che, prevedibilmente, andrebbe a scompaginare anche la saldezza del PdL, specie se parliamo di giunte locali, e permetterebbe di evitare l’abbraccio “fatale” con SEL o spezzoni dell’IDV (che non sembra essere in grande armonia interna).

Una scelta che potrebbe comportare buoni risultati, forse sul medio periodo, se il PD “finalmente” si decidesse ad aprire le proprie liste a molti, tanti, troppi potenziali candidati e “seconde file” che la “società civile”, le imprese e le professioni hanno già apprezzato per il saper fare governance e welfare.
Un “popolo” di sinistra o comunque affine, fatto di persone con elevate professionalità e ligie a leggi e regolamenti, che, però, “esistono” solo per il giorno delle elezioni.

Probabilmente, il problema non è (mai) stato il “dover dire qualcosa di sinistra”, bensì il “dover dire” sia qualcosa di rapidamente realizzabile, ovvero “non troppo ambizioso”, sia qualcos’altro (leggasi “riforme”) che abbia lungimiranza ed una chiara visione dello Stato che si va ad innovare.

Ad ogni modo, con Monti al governo, il PD sta vedendo crollare il proprio consenso e, per una parte dell’elettorato, la cosa potrebbe essere irreversibile, visto cosa è passato per le pensioni od il montante dissenso del comparto “università e scuola”.

Altrettanto sicuramente, nessun Partito Demcoratico – nè presente nè futuro – può permettersi il rischio di andare al voto tra un anno, per “giocarsi” in pochi mesi politiche, amministrative, europee e presidenziali: non sono tempi di “big slam”, di “asso pigliatutto”, come profetizzavano “certi” sondaggisti pochi mesi  or sono.

E, magari, si potrebbe incominciare accantonando la “bozza Violante” e puntare su una legge elettorale “più lungimirante”, ovvero che consenta di individuare un partito “di governo” ed una maggioranza che aderisca sul programma, con il premier indicato dal Presidente della Repubblica, qualche percentuale di sbarramento ed un paio di commi “anti inciucio”.

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Monti verso il capolinea?

8 Mar

Tra le diverse cose che questo blog afferma fin dai primi giorni di governo di Mario Monti c’è anche quella che, passata la buriana dei titoli di Stato e “sistemata” Unicredit, sarebbe venuto meno il “collante” che tiene insieme l’ammucchiata PdL-PD-UDC-FLi.

Ed, infatti, nel giro di pochi giorni, come entrati nel mese di marzo, accade che il PdL rifiuti di inserire nel “programma di governo” RAI e giustizia, mentre 46 sui senatori – praticamente un terzo con Nitto Palma come primo firmatario, insieme a Bruno Alicata e Luigi Compagna – chiedono formalmente la revoca dell’incarico al ministro della cooperazione Ricciardi, per una frase fortemente offensiva verso i politici “di mestiere”.

Intanto,  il Partito Democratico, dopo il disastro delle primarie di Genova, conferma la propria recessività a Palermo, dove “la sinistra” sceglie il candidato Fabrizio Ferrandelli, un ex del Partito Umanista molto sostenuto dall’emergente Partito del Sud (link)

Ciliegina sulla torta, tutti i sondaggi ci confermano che un Mario Monti a capo di una Grosse Koalition (si traduce letteralmente “ammucchiata”) incontrerebbe, nonostante il supporto di tutti i “grandi” partiti, una forte resistenza popolare, forse ben oltre il 50% dei consensi.

Come anche, molti ministri dell’attuale governo – a partire da Corrado Passera che annunciava poche settimane fa “un decreto la mese” – si stanno rendendo conto che il loro è un “governo tecnico” e che già è un miracolo che nessuno stia ancora raccogliendo le firme referendarie per abrogare l’allungamento dell’età pensionabile preteso da Elsa Fornero.

Per non parlare dei nomi eccellenti ed eccellentissimi che gli scandali Penati, Finmeccanica, Lusi e Boni porteranno in luce a breve, si spera prima di andare a votare. O, pejus, dell’elettorato leghista che, sull’onda degli scandali, potrebbe imboccare qualunque deriva alla stessa stregua di quanto avviene in Val di Susa.

Una situazione, dunque, dove l’unica variabile è il giorno in cui tanti illustri personaggi vorranno “ritirarsi in buon ordine” sia per limiti geriatrici sia, soprattutto, per i limiti strutturali del paese che “non ce la fa più” e che ha bisogno di chiudere una volta e per tutte l’esperienza della Prima Repubblica, ancora ben rappresentata e dominante come dimostra l’aggregato politico (DC-PSI-PCI-AN) che sostiene Mario Monti.

All’Italia serviva un governo tecnico che avesse l’umiltà di traghettare e che non pretendesse l’esautorazione della Politica. Questo non è accaduto e difficilmente Mario Monti riuscirà ad andare oltre l’aver evitato una patrimoniale grazie al massacro delle pensioni, indecorosamente avallato dai leader sindacali, la “persecuzione dei tassisti” o l’acquisto di tot cacciabombardieri F-35 e qualche prebenda per i “settori amici”. Basti vedere in che stato di follia sono i conti del MIUR, se da diversi giorni si promettono 10.000 assunzioni e poi si va ritrattare.

Giorni fa, scrivevo che è di nuovo “l’ora del Presidente”, Giorgio Napolitano: questo governo non sta dimostrando nè una caratura politica adeguata alla situazione corrente nè un’assenza di conflitti di interessi che gli permetta di “avere le mani libere” nè un Parlamento che possa dire di essere rappresentativo dell’elettorato, visto che da anni ed anni è sostanzialmente chiamato va votare “si o no”.

Un governo che “non ha bisogno di chiedersi” che idea si sta facendo della situazione quel  20% di elettori, che sente elogi sperticati al governo, ma continua a non arrivare a fine mese: un politico, anche di infimo livello, un problema così lo terrebbe bene in chiaro, vuoi per opportunismo vuoi per senso di umanità vuoi perchè è la sua mission.

Sarebbe il caso che Mario Monti ed i suoi ministri iniziassero a prendere atto – fosse solo per “deontologia magistrale” e per amore del numero e della oggettività scientifica – che da novembre ad oggi son passati 4 mesi … e l’acqua è davvero poca.

Facciamo presto, signor Presidente, che l’ultima iattura che ci meritiamo, noi italiani, è di andare a votare in autunno, con milioni di disoccupati, il Sud rovente, le valli alpine stradeluse e due riforme due, tanto “british” ma sostanzialmente di facciata se non “pro domo di qualcuno”.

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IPR Marketing: la Prima Repubblica è con Monti?

6 Mar

Il sondaggio IPR Marketing per La7 (link) è molto lusinghiero verso Mario Monti: presentandosi come Premier di una Grande Coalizione avrebbe il 50% degli italiani dalla sua parte e, se fondasse un proprio partito, il 32% degli elettori andrebbe con lui.

Un consenso che include pressochè per intero il PdL, l’UDC ed il PD (salvo qualche “frangia”), ovvero i tre partiti ancora composti in larga parte dai politici della Prima Repubblica.

Veltroni, D’Alema, Alfano, Casini, Cicchitto, La Russa, Franceschini, Marini, Violante e chi più ne ha più ne metta.

Popolo bue? Probabilmente, ma … a legger bene il sondaggio fino in fondo scopriamo che dichiara su 1000 contatti addirittura 982 risposte, mentre di solito ne sono 250 ogni mille …

Un record planetario: improvvisamente tutti i primi 1000 “sondati erano lì pronti a rispondere alla telefonata senza aver alcuna incombenza da compiere e tutto il desiderio di partecipare.

Due righe sotto, IPR marketing precisa che “i dati sono stati ponderati rispetto ai parametri di costruzione del campione stesso” … Inutile aggiungere altro, no?

Scopriamo, dunque, che è scomparsa la grande quota di astenuti/indecisi (oltre il 40%) di pochi giorni fa e, soprattutto, che Mario Monti è il candidato ideale per i salotti ed il popolino di un certa Italia, una volta detta “democristiana”, “socialista”, “cattocomunista”.

La cosa non stupisce. Specialmente dopo il floppante governicchio attuale, non è affatto soprendente. Cambiar tutto purchè nulla cambi.

In tutto ciò, con il 50% dei sondaggi non si vincono le elezioni, specialmente se la legge non è ancora scritta, la campagna elettorale non si è avviata, e soprattutto se, arrivando le elezioni tra un anno con il Sud esausto, dovesse accadere che il Partito del Sud, dimostrando una capacità propositiva su questioni di interesse nazionale, riuscisse nello sfondamento del Quorum.

Infatti, di questo passo, con Monti “Premier uber Alles”, Berlino come Roma, continuerà a non arrivare niente di nuovo dal Sud,  … come “non arrivò niente di nuovo dal Fronte Orientale” un secolo fa all’incirca … speriamo solo che il “niente di nuovo” arrivi dal lato “onesto” e non da quello “mafioso” … ci manca solo di fare la fine del Messico.

Tanto basta continuare a farsi del male, o no?

A propostito, Groesse Koaition non significa “grande” coalizione, bensì “coalizione di massa”, e la CDU, il partito di Ang(h)ela Merkel, è l’ultimo, solido baluardo dell’apparato democristiano andatosi a creare con la Guerra Fredda, come i Socialisti ed il PD sono le ultime “ridotte” della Socialdemocrazia.

I dati, dunque, tornano, ma al negativo, dato che non può esser certamente questa la compagine – qualcuno direbbe neoguelfa – ad avere le capacità morali e personali necessarie per difendere e rilanciare un’Europa ed un’Italia sempre più esposte, come le vicende dei fucilieri di marina in India dimostrano.

E resta sempre da capire come si orienteranno, forse e comunque all’ultimo momento, gli astenuti/indecisi che nessuno, come “ovvio”, osa lontanamente sondare …

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