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Stefano Cucchi, le colpe di tutti

7 Giu

Stefano Cucchi – in data giovedì 15 ottobre 2009, verso le ore 23.30 – viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti, a Roma, e trovato in possesso di un modesto quantitativo di droga, una ventina di grammi di cocaina e hashish in tutto.

Incredibile a dirsi, ma Stefano Cucchi – tossicodipendente ed epilettico con qualche spicciolo di droga in tasca – viene sottoposto a “custodia cautelare in carcere”, che è la forma più intensa di privazione della libertà personale in tema di misure cautelari.
Una misura, prevista dall’art. 275 del Codice di Procedure Penale, da applicare solamente quando ogni altra misura risulti inadeguata, ovvero solo in tre casi, cioè pericolo di fuga e conseguente sottrazione al processo ed alla eventuale pena, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di turbamento delle indagini.

Al momento dell’arresto, il giovane non aveva alcun trauma fisico e pesava 43 chilogrammi per 176 cm di altezz, ma, il giorno dopo,16 ottobre, quando viene processato per direttissima, aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava inoltre evidenti ematomi agli occhi.
Nonostante la modesta quantità di stupefacenti in suo possesso, la lunga storia di tossicodipendenza, l’epilessia, la denutrizione, il giudice stabilisce una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che Stefano Cucchi rimanesse per tutto questo tempo in custodia cautelare nel carcere romano di Regina Coeli.
C’era il sospetto che fosse uno spacciatore, come poi confermatosi grazie alla collaborazione dei genitori, che – dopo la morte del figlio – scoprono e consegnano 925 grammi di hashish e 133 grammi di cocaina, nascosti da Stefano Cucchi in una proprietà di famiglia.

Una scelta, quella della privazione della libertà, decisamente infausta, visto che già dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente e viene visitato presso l’ambulatorio del palazzo di Giustizia, dove gli vengono riscontrate “lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente” e dove Stefano dichiara “lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori”. Anche all’arrivo in carcere viene sottoposto a visita medica che evidenzia “ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione”.
Trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per effettuare ulteriori controlli, viene refertato per lesioni ed ecchimosi alle gambe, all’addome, al torace e al viso, una frattura della mascella,  un’emorragia alla vescica ed  due fratture alla colonna vertebrale.

Un quadro clinico gravissimo ed eloquente per il quale i sanitari chiedono il ricovero che però viene rifiutato dal giovane stesso, che nega di essere stato picchiato.
Stranamente, con una tale prognosi e l’evidenza biomedica di un brutale pestaggio nessuno dei sanitari intervenuti (in tribunale, nel carcere di Regina Coeli, nell’ospedale Fatebenefratelli) sente il dovere di segnalare al drappello ospedaliero ed a un magistrato la cosa, come accadrebbe, viceversa, se a presentarsi al Pronto Soccorso fosse – massacrato e reticente – un qualunque cittadino.

Stefano Cucchi, con un’emorragia alla vescica e due vertebre fratturate, ritorna in carcere. Il giorno dopo, 17 ottobre,  viene nuovamente visitato da due medici di Regina Coeli, trasferito al Fatebenefratelli e poi, all’ospedale Sandro Pertini, nel padiglione destinato ai detenuti.
Lì trascorre altri tre giorni in agonia, arrivando a pesare 37 chili, ai familiari vengono negate visite e notizie, muore ‘per cause naturali’ il 22 ottobre 2009.

Durante le indagini circa le cause della morte, ottenute con grande fatica dalla famiglia anche grazie ad un forte coinvogimento popolare, diversi testimoni confermarono il pestaggio da parte di agenti della polizia penitenziaria. Un testimone ghanese e la detenuta Annamaria Costanzo dichiararono che Stefano Cucchi gli aveva detto d’essere stato picchiato, il detenuto Marco Fabrizi ebbe conferma delle percosse da un agente,  Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti picchiare Cucchi con violenza (fonte Il Messaggero).

“Pestato nei sotterranei del tribunale. Nel corridoio delle celle di sicurezza, prima dell’udienza. Stefano Cucchi è stato scaraventato a terra e, quando era senza difese, colpito con calci e pugni”. L’omicidio preterintenzionale viene contestato a Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, sospettati dell’aggressione.  (fonte La Repubblica)

Traumi conseguenti alle percosse, che da soli non avrebbero, però, potuto provocare la morte di Stefano Cucchi. Per i quali non si aprono indagini immediate, nè in tribunale quando Cucchi si presenta in quelle condizioni, nè dopo quando rimbalza tra Fatebenefratelli e carcere, informando un magistrato.
Ed infatti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato adeguatamente il giovane.

Stefano Cucchi muore per il digiuno, la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche). Determinante fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato e tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante la semplice assunzione di zuccheri.

Un pestaggio in carcere non dovrebbe, ma può accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto. Che si infierisca con brutalità su un tossicodipendente, epilettico e denutrito è un abominio, non a caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.

Ma è davvero mostruoso che un malato trascorra la propria agonia in una corsia, dove dovrebbe essere monitorato, nutrito, curato, tutelato senza che nulla di tutto questo accada.
Una colpa gravissima che ricade tutta sui medici preposti e giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo.
Gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti – in primo grado – dall’accusa di lesioni personali e abuso di autorità con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

“Nonostante siano passati 25 anni da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e altre pene e trattamenti… inumani e degradanti, ancora nell’ordinamento italiano non è stato introdotto un reato specifico, come richiesto dalla Convenzione, che la sanzioni”. (Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Detenuto Ignoto).

Un vuoto legislativo che ci «colloca agli ultimi posti in Europa» denuncia Mauro Palma, presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. Un buco nero tornato alla ribalta dopo che i pm che indagano sui fatti di Bolzaneto legati al G8 di Genova sono stati costretti a contestare agli indagati solo l’abuso di ufficio. (fonte Corsera)
Una ‘problematica’ che si ripresenta, tra i tanti,  per Stefano Cucchi e per Federico Aldrovandi, per Giuseppe Uva (Varese), per Aldo Bianzino (Perugia), per Marcello Lonzi (Livorno), per Stefano Guidotti (Rebibbia), per Mauro Fedele (Cuneo), per Marco De Simone (Rebibbia), per Marcello Lonzi (Livorno), Habteab Eyasu (Civitavecchia), Manuel Eliantonio (Genova),  Gianluca Frani (Bari), Sotaj Satoj (Lecce), Maria Laurence Savy (Modena), Francesca Caponetto (Messina), Emanuela Fozzi (Rebibbia) e Katiuscia Favero (Castiglione Stiviere).

In effetti, nel 1987 Roma ratificò la convenzione Onu che vieta la tortura, ma in Italia non è mai stata fatta la legge in materia, nonostante già nel dicembre 2006 la bozza di legge era stata approvata alla Camera  e  nel luglio 2007 era stata licenziata dalla Commissione Giustizia del Senato. Intanto, nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno: un terzo per suicidio, un terzo per “cause naturali” e la restante parte per “cause da accertare”.

«Avrebbe dovuto approdare in aula nei giorni della crisi ma è stata lasciata morire. È necessario che il prossimo Parlamento metta tra le sue priorità l’approvazione del provvedimento che introduce il reato di tortura in Italia» auspica”. (Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone per i diritti nelle carceri)

Il ‘prossimo parlamento’ c’è e nel Padiglione detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini sembra siano rimasti solo tre medici, visto che i loro colleghi degli altri reparti hanno il diritto di rifiutare il trasferimento, , come accade per tanti altri servizi necessari ai cittadini.

Intanto, prendiamo atto che per Stefano Cucchi un intero ospedale non è riuscito a fornire un cucchiaio di zucchero (meglio una flebo di glucosio), che le lesioni gravi e l’abuso di potere ci sono state, ma non si sa chi le abbia perpetrate e, soprattutto, che nessuno dei medici le ha denunciate.

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Ecco a cosa NON servono le Province -3

1 Giu

L’art. 23 del Decreto ‘SalvaItalia’ prevede che “in caso di mancato trasferimento delle funzioni (n.d.r. delle Province) da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

Il 30 aprile è passato e nelle due Commissioni parlamentari apposite si discute di come ritagliare la nuova mappa delle province e come farne nominare i consiglieri dai Comuni. A cosa dovrebbero servire si sa davvero poco, tutto si racchiude in una definizione: ‘organismi politici di secondo livello”.

Quello che saranno le nuove Province non è dato saperlo, ma è facile notare cosa protrebbero facilmente essere: l’isola dei Trombati.
Una sorta di zattera per circa 600 politici che, non eletti al Comune, alla Regione o al Parlamento, devono pur continuare ad ‘esistere’ … con – si spera – quattro spiccioli di dotazione ed attribuzioni minime.

Infatti, di motivi per cassare le Provincie ce ne erano e ce ne sono. Ad esempio, quelli che seguono.

Provincia di Napoli: “Luigi Cesaro  (PdL), presidente della Provincia di Napoli, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli con l’accusa di aver avuto rapporti con il gruppo dei Casalesi capeggiato da Francesco Bidognetti per mettere le mani su un affare immobiliare da 50 milioni di euro”. (fonte L’Espresso 13 luglio 2011)

Provincia di Padova: Stagisti pagati 400 Euro lordi al mese, mentre una sentenza del 2010 del tribunale di Torino ribadisce che un compenso inferiore ai 5 euro l’ora è da ritenersi incostituzionale nonché lesivo della dignità umana. (fonte Il Mattino di Padova 20 gennaio 2012)

Provincia di Salerno: “Hanno intascato indebitamente un milione di euro. Erano dipendenti dell’amministrazione provinciale, alcuni anche in pensione, ma anche un dipendente delle Poste, quasi tutti legati da vincoli di parentela. E il meccanismo che avevano messo in atto era quello di dirottare fondi della Provincia di Salerno sui loro conti correnti. La motivazione è che erano rappresentanti di associazioni onlus che, però, in alcuni casi non disponevano neanche della partita Iva.” (fonte La Prima Pagina 3 marzo 2012)

Leggi anche Ecco a cosa NON servono le Province -1

Leggi anche  Ecco a cosa NON servono le Province -2

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Ecco a cosa NON servono le Province -2

28 Mag

L’art. 23 del Decreto ‘SalvaItalia’ prevede che “in caso di mancato trasferimento delle funzioni (n.d.r. delle Province) da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

Il 30 aprile è passato ed un paio di cose sono certe: le Regioni non hanno legiferato granchè e, già nel febbraio scorso,  il presidente della Repubblica Napolitano aveva intimato: “occorre fare un punto e scegliere una strada e risolvere il problema con razionalità”.

Le Province propongono di (auto)ridursi nel numero totale, da 108 a 60, e  degli attuali consiglieri, da 18 a dieci, e … demandando ad ‘una futura legge dello Stato’  il trasferimento dei circa 60 mila dipendenti.

Eppure, di motivi per cassare le Provincie ce ne erano e ce ne sono. Ad esempio, quelli che seguono.

Provincia di Caserta: “Dalle indagini è emerso che la Provincia di Caserta, socio maggioritario dell’ACMS S.p.A., tra il 2007 e 2009, ha erogato alla stessa azienda contributi non spettanti per oltre 12 milioni di euro senza giustificazione economica in dispregio a ogni procedura contabile.
Sequestri amministrativi di beni mobili e immobili sono stati eseguiti dalla Guardia di finanza di Caserta nei confronti di 32 amministratori e dirigenti della Provincia di Caserta, alcuni dei quali, nel periodo tra il 2007 e il 2009, erano assessori e consiglieri.” (fonte ilsassolinopuntoit  19 febbraio 2012)

Provincia di Massa: “Il parlamentare del Pdl Lucio Barani, il consigliere provinciale Ezio Ronchieri, ex An, vicinissimo all’ex ministro Altero Matteoli. Il presidente del consiglio comunale di Massa Marco Andreani e l’ex assessore regionale Marco Betti (SEL). E poi tecnici e amministratori pubblici, componenti dei precedenti consigli di amministrazione di Cermec ed ErreErre, imprenditori. Sono i 19 indagati nell’indagine sulle gestioni di ErreErre e Cermec e del sistema del trattamento rifiuti nella provincia di Massa Carrara.” (fonte Il Tirreno 15 dicembre 2011)

Provincia di Como: “Lettere che viaggiano con l’auto blu, spostamenti per migliaia di chilometri, straordinari per gli autisti e registri che non si trovano. Uno scandalo chilometrico che vede il presidente leghista Leonardo Carioni nell’occhio del ciclone”. (fonte Il Fatto Quotidiano 7 febbraio 2012)

Leggi anche Ecco a cosa NON servono le Province -1

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Ecco a cosa NON servono le Province -1

24 Mag

L’art. 23 del Decreto ‘SalvaItalia’ prevede che “lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 30 aprile 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

Il 30 aprile è passato ed un paio di cose sono certe: le Regioni non hanno legiferato granchè, nè s’è sentito un qualche dibattito politico a riguardo, e l’ultimo conto economico pubblicato dall’Istat dimostra come, dal 1990 al 2010, la spesa pubblica per le Province è passata da 4,6 a 12,5 miliardi.

Intanto, Montecitorio esita e, già nel febbraio scorso,  il presidente della Repubblica Napolitano aveva intimato: “occorre fare un punto e scegliere una strada e risolvere il problema con razionalità”.

Le Province, dal canto loro, resistono per ridurrne il numero da 108 a 60 e le spese per 5 miliardi, solo dimezzando gli attuali consigli, facendoli nominare dai Comuni e giustificandoli con “funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni” e demandando ad ‘una futura legge dello Stato’  il trasferimento dei circa 60 mila dipendenti.

Nonostante sulla norma e sulla scadenza sia apposta la sua firma, Monti tace, nicchia, è da tutt’altro preso, come se sprechi e corruzione non vadano combattuti, se si tratta di toccare una qualunque casta.

Vale così la pena di ricordare, tutti insieme, qualche “nefandezza eccellente” delle nostre Provincie, per renderci conto di cosa stiano omettendo l’attuale governo ed il nostro sistema dei partiti, certamente più motivato a garantirsi i rimborsi elettorali.

Eppure, di motivi per cassare le Provincie ce ne erano e ce ne sono. Ad esempio, quelli che seguono.

Provincia di Bari: “La Procura di Bari, su ordine del gip del Tribunale, ha arrestato e posto ai domiciliari gli imprenditori e fratelli Alviero ed Erasmo Antro (quest’ultimo è presidente regionale della Confapi Puglia, vice presidente della Camera di commercio di Bari e componente del consiglio d’amministrazione della Fondazione Petruzzelli) in qualità di amministratori del consorzio Sigi che si occupava (oggi in liquidazione) di manutenzione stradale per conto della Provincia.” (fonte Il Corriere del Mezzogiorno 27 marzo 2012)

Provincia di Imperia: Scandalo Porto, “Questa mattina gli  agenti della postale e i militari della Guardia di Finaza hanno concentrato la loro attenzione all’interno del palazzo della Provincia, guidata da Luigi Sappa, sindaco di Imperia all’epoca dell’insediamento ufficiale di Francesco Bellavista Caltagirone, puntando la lente, si presume, nell’ufficio di Paolo Calzia, ex direttore della Porto di Imperia Spa”. (fonte Primo canale 6 marzo 2012)

Provincia di Savona: Congiu (Uilcem Ferrania), “Uno scandalo, troppi ritardi che pesano sui lavoratori. La Provincia non ha coordinato i cantieri scuola-lavoro. Se a ciò aggiungiamo il fatto che l’Inps dovrà erogare il pagamento in 15 giorni ci ritroveremo a marzo inoltrato e i lavoratori dovranno percepire ancora le retribuzioni di quattro mesi arretrati”.  (fonte IVG.it 12 febrbaio 2012)

Provincia di Napoli: “Attraverso una delibera di Giunta che, per più aspetti può essere considerata illegittima, i dirigenti della Provincia di Napoli percepiranno un’indennità superiore a quella di molti funzionari ministeriali italiani, nonché di tutte le altre province della penisola”. (fonte Italia dei Valori 8 marzo 2012)

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