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M5S a convegno per governare?

4 Mar

Non era difficile non dare per scontato che centonove deputati e cinquantaquattro senatori avessero bisogno di un «conclave» del neonato Movimento Cinque Stelle, per decidere insieme le strategie ed i margini di accordo che vogliono attuare in Parlamento e, innanzitutto, la governabilità.

Altrettanto facile immaginare che la Premiata Ditta Grillo & Casaleggio si faccia scippare ‘al mercato delle vacche’ quelle due dozzine circa di senatori che mancano al Partito Democratico per governare.

Nel ‘conclave’ dei parlamentari del M5S, verranno chiarite anche alcune questioni essenziali, sulle quali non loro, ma gli italiani tutti stanno facendo una gran confusione.

La richiesta da parte di Grillo di un governo di minoranza senza una fiducia preventiva che contratta, di volta in volta, l’appoggio su singole leggi porrebbe inevitabilmente l’Italia in balia del Parlamento e delle Lobbies.

Anche se Bersani intima a Grillo: «Decida cosa fare o tutti a casa», il caso del capo dello Stato in scadenza – “semestre bianco” – impedisce che egli sciolga subito le Camere.

Come probabilmente sperano i sostenitori di Mario Monti, una prosecuzione “a tempo” del mandato presidenziale al Quirinale non rientra nei ‘parametri’ previsti dalla Costituzione.

Malgrado quanto sostenuto da una parte della Sinistra, nonostante il Procellum, spetta solo al Presidente della Repubblica, e solo a lui, scegliere in piena autonomia, al termine delle consultazioni, a chi affidare l’incarico per formare il governo.

Dunque, esistono solo due strade.

La prima via – quella che comunemente è chiamato ‘governo tecnico per le riforme’ – è quella che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quelli ‘tecnici’ guidati da Dini e Amato per traghettare il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con le autonomie locali riformate.
Nella sostanza è quello che sta chiedendo – con poca chiarezza – Beppe Grillo e che, ragionevolmente, chiederà il Movimento Cinque Stelle di Casaleggio.

Il secondo percorso – quello che comunemente è chiamato ‘governissimo’ -è quello che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quello guidato da un ‘tecnico’ come Mario Monti per salvare il sistema finanziario italiano, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con il Welfare riformato.
Nella sostanza è quello che serve alla Seconda Repubblica per guadagnare qualche anno di vita ed avere il tempo, secondo loro, di lavorarsi ai fianchi il movimento dei Grillini.

In tutto ciò, c’è da insediare il Parlamento ed eleggere, anche con una certa rapidità, sia i Presidenti della Camera e del Senato, si individuare i candidati alla presidenza della Repubblica e darsene uno.

Dunque, che Bersani la smetta di portar fretta, che non ce ne è se non per lui, che, a breve, dovrà rendere ragione ai suoi sodali di partito in ordine all’ennesima cantonata presa e conseguente bastosta incassata, illudendosi di governare con il 33% ed un voto.

Tanto, finchè non si eleggerà ed insedierà il nuovo Presidente della Repubblica, c’è il Governo Monti per ‘l’ordinaria amministrazione’ e per la buona pace di banche, governi esteri e mercati vari.

Il Movimento Cinque Stelle è a convegno ed è la loro prima prova del nove. Avranno idee, condivisione e lungimiranza per resistere al canto delle sirene democratiche-democristiane? Riusciranno a stendere un decalogo delle priorità e delle negoziabilità, con cui sostenere un governo di programma per le riforme?
Probabilmente si, ma lo sapremo tra due giorni soltanto.

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Governabilità, ma come?

27 Feb

I dati elettorali e lo stallo parlamentare sono sotto gli occhi di tutti, il mondo della politica è sgomento, i cittadini un po’ meno, M5S ha annunciato che voteranno le leggi che ritengono giuste, all’estero pazientano. Allo stesso tempo, la Lega è egemone nelle tre regioni che contano (Piemonte, Lomnbardia E Veneto), mentre la Puglia e la Campania hanno abbandonato Vendola e De Magistris.

Già questo dato dovrebbe darci una chiave di lettura della exit strategy in cui dovrebbero dedicarsi il Quirinale ed il sistema partitico, salvo apporti ed interferenze da parte del sistema giudiziario e dai media, cui siamo notoriamente avezzi.

Il PD con SEL ha alla Camera più o meno gli stessi voti del PdL-Lega e del M5S, grazie ad una legge iniqua a dire di tutti, il Porcellum, ha, però, la maggioranza assoluta. Rivendicare una primazia o, addirittura, una sorta di diritto a governare è un atto classificabile – agli occhi di un elettore che badi alle regole ed non solo alla fazione – come un enorme atto di arroganza.
Per giunta, proponendo al M5S un abbraccio suicida per non pochi motivi, visto che tra ‘ruggine storica’ e ‘pastoie governative’ Beppe Grillo rischierebbe di perdere un’enorme massa di consensi nel giro di pochi mesi da un elettorato che aborrisce il consociativismo, i capibastone, le scuderie eccetera eccetera.

Inoltre, c’è la disponibilità già dichiarata dei Grillini ad operare nel pieno, vero mandato cui ogni parlamentare dovrebbe adempiere: votare le leggi secondo coscienza.
Questo significa che esiste ampio spazio per un governo di minoranza.

Certo, in politica mai dire mai, ma la via del governo di minoranza è la prima balzata gli occhi, dato che l’abbraccio di Bersani con il Giaguaro Berlusconi è improponibile agli elettori di sinistra, come è impensabile un Mario Monti premier con un Scelta per l’Italia che è ‘quasi’ l’UDC ma ‘non è l’UDC’ e con la carenza di carisma e di opportunità politica dimostrate in quest’anno.
E’ però improponibile anche che il PdL sostenga un governo di minoranza guidato da Bersani: una comprensibilissima questione di principio.

Ed, allora, non resta che Casini, che a guardarlo bene, ha tutte le caratteristiche per assolvere alle funzioni di un Premier di minoranza o di un governo a termine, che abbia i poteri di programma e non solo tecnici, onde intervenire su alcuni aspetti costituzionali.
Le caratteristiche così ‘rare’ sono quelle di non essere sgradito all’elettorato di sinistra, non incassa troppa ostilità dal PdL, fa parte della compagine montiana, così rassicurante per i ‘mercati’, ha interesse a riformare la legge elettorale, conosce a menadito i regolamenti parlamentari, conosce molto bene vezzi e difetti di tanti suoi colleghi.
I limiti sono quelli noti: non aver mai dimostrato un carisma ‘non solo fotogenico’, non avere un gruppo di ‘cavalli di razza’ nel partito, essere indirettamente legato ad una certa ‘romanità’ di cui il cinema ha raccontato fatti e misfatti ed in tanti si è imparato a diffidare, essere additato dai Montiani come la causa del loro flop.

Ad ogni modo, Casini o non Casini ed acclarato che M5S non farà bieco ostruzionismo parlamentare, di alternative ad un governo di minoranza non sembra che se ne vedano all’orizzonte, salvo quella del Partito Democratico che forma un governo con SEL e Cinque Stelle. Ma, in tal caso, di quanto e per quanto saremo sballottolati, piallati, compressi, svalutati, massacrati, disfatti dai mercati e dalle diplomazie di mezzo mondo?
E chi si prende una responsabilità storica del genere? Pierluigi Bersani a cui, forse, il partito dovrebbe chiedere le dimissioni?

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Elezioni: gli errori dei sondaggisti

27 Feb

Quando Fini decurtò la maggioranza berlusconiana al Parlamento, era il caso di votare subito, come lo era votare l’estate scorsa, quando ‘i conti erano in sicurezza’ ed era ben chiara la memoria delle politiche tremontiane e non solo montiane, oltre ad un inquietante ricordo dei tesoretti mai esistiti e della fiscalità creativa dei governi prodiani.
Che andasse a finire così c’era da aspettarselo, chi si è illuso di governare con il 30% ha, adesso, la riprova di quanto fosse sbilenca la sua idea. Non solo per l’expolit di Beppe Grillo che si è potuto avvantaggiare una campagnia elettorale di Bersani. Anche la ripresa di Silvio Berlusconi era prevedibilissima.

Secondo Eugenio Scalfari, riferendosi a Silvio Berlusconi, certi elettori sono, purtroppo, ‘gonzi o furbi’, che corrono dietro ‘all’asino che vola’ o chiedono di entrare nella ‘clientela berlusconiana’.

In realtà, non è proprio così. Chi occupi seriamente di politica sa che la questione ‘meno tasse’ è essenziale per la propaganda. Persino Obama si è ben guardato in campagna elettorale di spiegare che all’incremento di tasse per i ricchi, sarebbe corrisposto un decremento degli sgravi per i ceti medi.
Berlusconi ha promesso meno tasse, Bersani è rimasto nel vago ed ha lasciato intendere a nuovi sacrifici.

Altra questione essenziale è quella della ‘spesa pubblica’, che si traduce commesse alle aziende e servizi ai cittadini, più lavoro e maggiore crescita, per la quale chi la attende vuole promesse chiare, magari poche, ma chiare. Berlusconi ha promesso il taglio dell’IRAP per le aziende, Bersani ha parlato di un piano di sostegno ed investimento industriale ed infrastrutturale, a carico delle (eventuali) risorse derivanti dalla lotta all’evasione.

Infine, la libertà nella propria proprietà, ovvero il diritto di modificare un proprio immobile senza troppi intoppi e con regole chiare, se lo si desidera o se si rende necessario.
Berlusconi ha promesso il ‘condono, che è una soluzione, indecente, ma soluzione, Bersani ha urlato ‘no al condono’, ma senza promettere semplificazioni e regolamenti comunali omogenei.

Era prevedibile che un bel tot di persone comuni decidesse di votare seguendo le questioni di maggiore appeal come accade in ogni luogo del mondo: tasse, lavoro, casa, investimenti. Viceversa, chi semima vento, raccoglie tempesta. Più che di un furbesco avvantaggiarsi di Berlusconi, sarebbe il caso di parlare, soprattutto, di grandi autogol di Bersani.

Ma il dato finale dei consensi era prevedibile anche per un altro, semplice motivo.
Il PdL era dato al 19% nella scorsa primavera, con la Lega sotto il 10%, mentre scoppiavano scandali e cadevano teste. La coalizione veltroniana, le scorse elezioni, non andò molto lontana dal 40% e senza Di Pietro è monca, guarda caso, di un’entità paragonabile.

Ovviamente, la storia dei consensi è trasmigratoria per eccellenza, ma quella dei grandi numeri no. Era prevedibilissimo un PdL+Lega al 29% ed un PD+SEL al 33%, come lo era supporre che larghissima parte degli ‘probabili’ astenuti si sarebbe rivolta al Movimento Cinque Stelle e non ai partiti ‘storici’.

Ilvo Diamanti spiegava, l’altra sera in televisione, che gli analisti avevano tenuto conto del dato che più si approssima il voto più gli indecisi si collocano su scelte che potremmo dire ‘moderate’, ‘affidabili’, ‘sagge’. Il punto è che più che un dato questa è una (mera) ipotesi, mentre i dati raccontavano ben altro.

Con una buona lettura della realtà, il Partito Democratico avrebbe perduto per strada Casini e/o Di Pietro, avrebbe investito su Mario Monti e sull’austerity ad oltranza, avrebbe temporeggiato sulla legge elettorale ‘che si vince anche col 30%’, avrebbe strutturato le liste superando le vecchie logiche di apparato democomunista? Avrebbe candidato Renzi?

Sempre a proposito di dati e di letture, come far emergere nei numeri la fotografia di un partito che è ‘da sempre’ al 30%, qualunque cosa accada, e che è ormai senz’anima perche troppe sono le anime che lo paralizzano.
Un partito che nasce da ‘l’importante è esserci’ – noto slogan degli Anni che furono – per cui oggi esiste, ai vertici come tra la base e tra gli elettori, un’anima demoliberale ed una postcomunista, una populista ed una socialdemocratica, una ambientalista ed una infrastrutturale, eccetera.

Dunque, l’ipotesi che si vorrebbe far passare, danneggiandoci pesantemente all’estero, è che l’Italia non è quella ‘giusta’, come campeggiava nei manifesti di Bersani, ci sono ‘gonzi e furbi’, come afferma Scalfari, dove gli abitanti sono bizarramente imprevedibili, come i flop di tante previsioni vorrebbero dimostrare a propria discolpa.
Oppure no. Non era l’Italia giusta.

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Tre, due, uno … eleggiamoli!

21 Feb

La Stampa - Shopping Elezioni 1

Siamo a tre giorni dalle elezioni ed il rancore popolare o la diffidenza della gente si sta trasformando da astensione a voto di protesta.

Giannino, stella mai nata del panorama parlamentare italiano, è knock out grazie ad un siluro lanciato da un italiano all’estero come Zingales, che di professione fa il professore come quelli che il buon Oscar, vero e colto self made man, ha beffato per anni con una piccola bugia, oggi diventata marachella imperdonabile.
Cose ordinarie in un paese che mette in carcere i ragazzini con lo spinello e prescrive noti ladri pubblici.

Come andranno a finire le elezioni, tra l’altro, lo sappiamo tutti e non ci vuole la Maga Circe o la Sibilla Cumana per fare ‘profezie’.

Il tutto inizierà con Bersani che annuncia ‘abbiamo vinto’. Probabilmente, avrà Rosy Bindi o Franceschini al fianco, forse Vendola o Renzi, il discorso è già scritto in 11 versioni differenti. Sarà colpa del Porcellum che nessuno ha riformato, ma già sappiamo che gli elettori ‘democratici’ sono avvisati che in prima fila troveremo (altro che primarie) i salvatori di province e piccoli comuni, di ospedali e aziende municipalizzate, di sistemi consortili e finto-volontaristici.

Dal PdL arriverà il fido Cicchitto, il Tallyerand della Seconda Repubblica, a spiegare che si ‘hanno vinto’, ma che senza il Berlusconi Partito non si governa neanche per un giorno senza finire in pasto ai ‘comunisti’, temuti – forse, anzi di sicuro – da Angela Merkel e Barak Obama. Intanto, sotto banco, ferveranno trattative e negozi, con colpi di mano e spostamenti di parlamentari, specie al Senato, dove Casini ha già annunciato la necessità della sua vigile ‘presenza’.

I Grillini per un bel tot staranno zitti su quello che conta, che cimentarsi con i regolamenti parlamentari comporta studio notturno, tanto tempo e grande fatica, salvo sbraitare all’inciucio su ogni tentativo di governabilità che dovesse verificarsi.
La Lega starà lì a guardare, pronta ad accettare soluzioni che le permettano definitivamente di liberarsi dall’immagine dei Bossi e dei Borghezio. Fratelli d’Italia è già pronto a far parte di una maggioranza di governa: è nato apposta con la Meloni, novella Le Pen, in testa.

Di Ingroia, poco o nulla si profila all’orizzonte, visto che – con De Magistris, Orlando e Di Pietro – non aveva altro da fare che lanciare il partito meridionalista, conquistando Campania, Sicilia e Puglia: gli errori di percorso si pagano molto cari. Se c’è una Destra che fa la destra, arriviamo a Storace, che potrebbe rivelarsi una piccola sorpresa.

Mario Monti, molto inopportunamente, non resisterà alla tentazione di ricordarci che ‘lui’ è senatore a vita e che senza di ‘lui’ l’Europa ci guarda di sbieco.

Come farà Giorgio Napoliano a conferirgli il mandato esplorativo per formare un governo senza un passo indietro di Bersani, resta un mistero. E altro mistero è come farà Monti a governare l’Italia, da premier politico e non tecnico, senza far imbestialire tutti qui da noi e deprimere tutti nell’Eurozona.

Governi possibili? Uno ed uno solo, lo si scrive da tempo: una Grosse Koalition senza Vendola, SEL ed il non-partito CGIL e senza Berlusconi e gli indagati del Centrodestra. Praticamente, la Democrazia Cristiana rediviva, con il PCI del 1966 alle porte, senza, però, nessuno dei talentuosi politici del Dopoguerra.

Facile a dirsi? Fantasie confermate o sconfessate nei prossimi giorni?
I soliti Italianer?

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Ad una settimana dal voto

18 Feb

Ad una settimana dal voto, il quadro politico italiano non manca di promettere (cattive) sorprese.

La Stampa - Shopping Elezioni 2occhiello tratto da una homepage di La Stampa

A partire da Barak Obama che si consulta sul futuro dell’Italia con l’unico di noi che futuro non ha: l’ottuagenario Giorgio Napolitano, di cui a breve si voterà l’avvicendamento. Misteri del sistema mediatico estero, che tira la volata gli antiberlusconiani? Forse. Intanto il Presidente della Repubblica, bontà sua, precisa “nessuna ingerenza sul voto, comportamento sempre impeccabile.”

Passando ad Oscar Giannino, che potrebbe superare il quorum tra le amiche mura lombarde, e portare, finalmente, un po’ di buon senso e cosmopolitismo tra le asfittiche mura delle nostre Camere, con una messe di parlamentari sufficiente a costruire un fare ed un futuro per l’Italia, quando ‘lorsignori’ ci lasceranno, finalmente, con le nostre macerie da ricostruire.

Od il Movimento Cinque Stelle che, ormai, sembra completamente fuori dal controllo del vate Beppe Grillo e che – molto prevedibilmente e con grande onta per i suoi elettori – si frammenterà e/o confluirà altrove, come tutti gli altri partiti ‘autoconvocati’ della Storia, alla prima bozza di programma di governo. Ipotesi alternativa: trovarsi con un sostanzioso aggregato di estrema sinistra (superiore al 20%) al Parlamento, con una ‘balena’ centrista al 40%. Praticamente, come ai tempi della Guerra Fredda, che, però, è finita da tempo, mentre nè Castro e nè Chavez godono di buona salute.

Del PdL c’è poco da dire, trascinato non si sa dove da un Silvio Berlusconi, che cura troppi interessi suoi per garantire anche quelli nostri. E dell’Alleanza Nazionale dei tempi che furono c’è ancor meno da dire, con Storace solitario a destra, La Russa, Gasparri e Meloni affratellati, mentre Gianfranco Fini è quasi all’estinzione. Quanto alla Lega, vedremo Maroni cosa riuscirà a portare a casa, non tanto per lo scandalo di Bossi, quanto per la concorrenza di Tremonti a Sondrio e di Gelmini a Bergamo.

Dicevamo di Oscar Giannino e del suo piacere nelle metropoli e tra i ceti acculturati post-sessantottini, finamo a parlare di Mario Monti, dei bei tempi che furono con i Beatles e la Humanae Gentium e del modesto contributo che darà ad una Scelta Civica per l’Italia che si presenta come montiana, ma in realtà sarà l’UDC e solo l’UDC, più un tot di volenterosi parrocci e qualche Club, con l’aggiunta di Fini, Baldassarri, Buongiorno e Della Vedova.

Se al Centro piove, andando a Sinistra grandina e nevica. Infatti, il quadro osservabile mostra una propaganda elettorale di sinistra, una proposta politica centro-populista, un effettivo apporto di voti ‘per Bersani’ dall’estrema sinistra, un consistente numero di eletti blindati (alla Camera) che arriveranno dalla fascia appenninica, demitiana e postcomunista. Si aggiunge un’inquietante visibilità per Rosy Bindi ed Ignazio Marino, proprio quando c’è da smontare e rimontare un sistema sanitario assurdo. Il tutto mentre D’Alema non si candida ma esiste, Renzi c’è ma è sparito dai media, Fassina con Monti sarà baruffa quotidiana e la CGIL che incombe sul futuro con il peso di un partito-ombra.

In due parole: stabilità e governabilità a rischio, mentre la Cleptocrazia guadagna mesi ed anni di linfa e vita e gli investimenti stranieri vengono – come da tradizione – gioco forza dirottati altrove.

Da un lato la vecchia Democrazia Cristiana, dall’altro il nuovo PCI, ormai ‘gruppettaro’ ad oltranza, in un Paese dove la Pubblica Amministrazione è ripiombata nel trasformismo e nell’opportunismo, grazie alla lentenzza dei processi, alla derubricazione dei falsi in bilancio e dei conflitti d’interessi, al monopolio politico-sindacale sulla previdenza sociale, allo strapotere della lobby dei ‘baroni’ universitari?

Sembra proprio di si.
Fini, Monti, Meloni, Chicchitto e Tabacci avrebbero potuto fare di meglio, riunendo in un solo ‘polo’ le anime liberali del Paese. Tanto, l’essere in minoranza era comunque assicurato e, comunque, era questo quello che chiedevano ‘i mercati’: essere l’ago della bilancia.

Se Obama cerca conferme da Giorgio Napolitano – ben sapendo che potrà solo nominare il futuro governo e poi pensionarsi – vuol dire che siamo messi male: non è solo il ritorno di Berlusconi, ma anche (e soprattutto?) il mantenimento di un centosinistra di ‘soliti noti con i soliti intenti effimeri e spreconi’ e l’affermarsi delle estreme fazioni come in Grecia, che solleva una densa (e cupa?) nebbia sul Paese del Sole.

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Silvio alla riscossa

8 Feb

Che Silvio Berlusconi sappia come si fa una campagna elettorale è un dato che i suoi antagonisti hanno imparato a temere da tempo, ma che riuscisse ancora oggi a ribaltare il tavolo ed attrarre il consenso dei diseredati, di sicuro non se lo aspettava nessuno.

Promettere la restituzione dell’IMU, non era cosa difficile, sapendo in anticipo che il trend delle riforme, nel breve periodo, sarà quello di rimodulare le competenze Stato-Regioni-Comuni.

Annunciare 4 milioni di posti di lavoro su un quinquennio, è un rischio calcolato, se intende riconvertire in posti di lavoro ‘solidali’ i soldi attualmente spesi in cassa integrazione e sussidi ai disoccupati.
Quanto ai milioni di italiani che vivono in povertà, la ricetta è ridurre le tasse per rilanciare la produzione e l’occupazione.

In realtà, la ricetta che propone Berlusconi è l’unica misura che potrebbe arrestare la spirale recessiva e che può dare ossigeno alle nostre imprese. Praticamente, una ricetta molto simile a quella che Obama sta cercando di imporre al Congresso negli Stati Uniti.

E, attenzione, da stamane Silvio Berlusconi, al Coffee Break di La7, ha chiarito che il suo avversario è Bersani ma non Monti ed ha iniziato a ricordare agli italiani che lui le sue riforme liberiste non le potè portare a termine proprio a causa di Fini e Casini, alleati degli ‘infidi’ comunisti.
Ha anche ricordato le riforme parlamentari che aveva in programma 5 o 10 anni fa, di cui avremmo oggettivamente avuto bisogno, per le quali non ha trovato l’appoggio di tutta la sua maggioranza. Riforme che riducevano il numero dei parlamentari e snellivano i vetusti regolamenti, che, approvate, con i 2/3 del Parlamento, belle o brutte che fossero, furono cassate da un referendum convocato dalle sinistre.

Impeccabile, poi, nel tirare fuori l’asso di picche della ‘magistratura corrotta, cancro dell’Italia’, a fronte dei migliaia di procedimenti dubiti da lui e dalle sue aziende, mentre nessuno si accorgeva di quello che stiamo scoprendo nelle banche, nelle troppe agenzie o aziende locali e nei corrispettivi consigli regionali, provinciali e comunali.

Vero, verosimile o veritiero che sia, it sounds good.

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Le certezze nei sondaggi

8 Feb

Arrivati all’ultimo sondaggio, scopriamo ‘solo ora’ due rischi piuttosto gravi che si profilano all’orizzonte: il pareggio al Senato e l’espansione del M5S. Infatti, secondo i dati pubblicati dal Corriere delal Sera elaborati da Mannheimer, il Centrosinistra sarebbe al 37%, il Centrodestra al 30%, i Montiani al 13%, M5S al 14%, Ingroia e Di Pietro al 4%, Oscar Giannino oltre il 4% in alcune regioni. Numeri simili, con una maggiore rimonta di Berlusconi, li leggiamo altrove.

Purtroppo, al Senato l’unica maggioranza ‘sicura’ con il Porcellum sia nella combinazione Centro più Centrodestra, lo sapevamo da anni. E, purtroppo, è esclusiva responsabilità del Partito Democratico che si stia andando a votare con questa legge, dato che qualunque altra avrebbe drasticamente ridotto il peso elettorale (ed il numero di onorevoli) di certe zone appenniniche e sub appenniniche.
Domani, con quello che raccontano i sondaggi, non ci resta che attendere accordi di ‘bassa macelleria’ tra PD e M5S od RC.

L’altro rischio è che, di questo passo, il Partito Democratico più Rivoluzione Civile più M5S arrivino al 55% dei consensi – od almeno al 45% – e che, con Monti non coalizzato con il PdL, è già certo che più di un terzo degli eletti saranno di estrema sinistra.

Dunque, aspettiamoci un Parlamento ed un Governo ben più controversi e traballanti dei due passaggi di Romano Prodi come primo ministro di maggioranze eterocomposite.

Inutile, persino, commentare – nel caso al Senato saranno necessarie alleanze con M5S e Rivoluzione Civile – quale potrà essere il ruolo di Monti, Fini e Casini in una maggioranza così composta: saranno presi nella morsa del Senato trasformato in una trincea e della Camera ‘okkupata’ da almeno un centinaio di attivisti, regolarmente eletti.

Dunque, se il ritorno di Silvio Berlusconi al governo turba i mercati ed il bon ton internazionale – oltre a rappresentarsi un anacronismo fattuale – la vittoria di Bersani rischia di trasformarsi nel peggiore incubo per i signori che tirano i cordoni della finanza e della politica che conta.

E non c’è bisogno dei sondaggi per sapere che, questa volta, proprio se vincessero le elezioni, gli ex ‘compagni delle Botteghe Oscure’ giocheranno la loro ultima partita agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, che non ha dimenticato i drammatici flop dei due Governi Prodi, la ‘sommossa elettorale’ – alle amministrative, dei cittadini esasperati dalle tasse e dagli sprechi – che costrinse D’Alema a dimettersi, la ‘del tutto errata’ riforma delle pensioni o la riforma del Titolo V della Costituzione del ‘patrimonialista’ Giuliano Amato, la malasanità colabrodo istituzionalizzata da Rosy Bindi.

E, all’epoca, c’erano ‘solo’ Ferrero, Visco, Bertinotti e Damiano a volere che i ‘ricchi piangano’. Figuriamoci domani. E figuriamoci cosa sarebbero le future elezioni e che ira popolare si dovrà affrontare, se accadesse – come si prefigura – una volatilizzazione del M5S, con i suoi eletti cooptati dai grandi apparati partitici nazionali.

Non serve attendere l’apertura delle urne, per prevedere che in un alleanza Monti-Bersani ‘la barca tirerà pesantemente a sinistra’. Leggiamoli bene i sondaggi, dando attenzione al quadro generale e non solo ai filacci degli inciuci possibili. Tra un mese avremo un parlamento composto per oltre la metà da eletti vogliono ridurre le tasse e non attuare politiche liberiste come Lega, PD, SEL, M5S, Rivoluzione Civile, Autonomie Meridionali, parte del PdL.

Ma questo, a meno che Mario Monti non si fosse messo in disparte o schierato con il Centrodestra, lo sapevamo già dall’anno scorso. Come sappiamo già che l’unica governabilità possibile è in una Grosse Ammucchiata simil-germanica, ma Mario Monti non sembra affatto avere nè la tempra nè il talento per realizzare questo goal. Quanti indecisi sarebbero attratti da un asse PdL-Montiani?

Mala tempora currunt.

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Monti il consociativo?

7 Gen

Iniziato il 2013, iniziata la lunga corsa elettorale italiana, che nell’arco di sei mesi sei dovrà nominare la leadership dello Stato e delle principali regioni e comuni italiani, più una bella quantità di province che non dovrebbero esistere più da tempo. Nominare la leadeship, non sceglierla e non cambiarla: a noi italiani non è dato questo diritto, sia chiaro.

E, dunque, mentre ci accingiamo ad assistere, spettatori amaramente paganti, al solito spettacolino politico al suon di polke e walzer, tra roboanti preannunci di vittoria, arriva il buon Mannheimer a confermarci poche essenziali cose:

  1. la compagine montiana non supererà il 20% dei voti, collocandosi inevitabilmente terza, dopo PdL e PD, con l’UDC che si riconferma un lumicino al 4% fisso;
  2. il Partito Democratico è di nuovo ‘maggioritario’, dopo aver cooptato Vendola alle primarie ed aver riassobito il voto di sinistra, raggiungendo, però, un risicato 30% o poco più;
  3. il ‘ritorno di Berlusconi’ ha riportato all’ovile almeno un 5% degli elettori di centrodestra, nonostante scandali e defezioni;
  4. Italia dei Valori e SEL rischiano di scomparire senza un apparentamento che ne salvi le percentuali e ne garantisca i candidati;
  5. Grillo e M5S sono sempre lì, intorno od oltre il 15% dei consensi.

Pertanto, sarà difficile vedere un governo Monti, come risultato delle prossime elezioni, ed, ammesso che possa accadere, dovrà essere una compagine di ‘ampie convergenze’, meglio ancora se una Grosse Koalition, appoggiata da Alfano, Bersani e Casini come oggi, ma ben più determinanti di oggi.

Non è un caso che Mario Monti, ex salvatore della patria oggi su strade e per obiettivi ben più personali, ha già lasciato trapelare quale sarebbe la sua preferenza: “Io al Quirinale?: Vedremo se verrà chiesto”.

Sarà un caso che, quasi in simultanea, forse di rimando, Corrado Passera, uno dei pochi ministri montiani che non sembra cedere alle lusinghe dellapolitica, abbia a precisare: “lista di Monti, occasione persa Serviva un programma più coraggioso. Alla fine hanno vinto vecchie logiche di corrente.”

Secondo il ministro per le Infrastrutture, avremmo dovuto e dovremmo “incidere più in profondità sul costo vivo dell’apparato politico e amministrativo pubblico. Un esempio: un solo livello istituzionale e politico fra i Comuni e lo Stato centrale. Ripensamento totale di tutte le strutture intermedie, non solo le Province. Bilanci consolidati, certificati e confrontabili per ogni entità pubblica. Commissariamento, vero non finto, di ogni ente che non rispetta le regole; riduzione drastica di tutte le assemblee elettive locali e centrali. Si può fare molto, molto di più di quanto non si creda per migliorare il nostro federalismo. Le resistenze incontrate anche dal nostro governo sono state formidabili, veti a tutti i livelli, spesso eravamo circondati da sguardi divertiti e poco indulgenti dei dirigenti pubblici, ma quando si riusciva ad ottenere qualche risultato, l’effetto positivo era perfino contagioso. Nella pubblica amministrazione ci sono tanti talenti e persone fiere di servire lo Stato. Dobbiamo dare loro fiducia con il buon esempio.”

Intanto, come conferma Corrado Passera, con il nuovo governo Monti-Bersani-Berlusconi saremo ancora alle vecchie logiche di corrente, con l’alta dirigenza pubblica – quella scelta con lo spoil system e affatto inamovibile – che oppone ‘resistenze formidabili, veti a tutti i livelli, sguardi divertiti e poco indulgenti.

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L’Italia frana, i sondaggi confermano

8 Ott

Un sondaggio politico-elettorale, relativo alle intenzioni di voto per la Camera dei Deputati, pubblicato il 19/6/2012 da EMG per Telecom Italia Media – La7 TV, rileva che una coalizione ‘per Monti’ PD-PdL-PSI e Terzo Polo raccoglierebbe il 46%, con la Sinistra IDV-SEL al 20% e Cinque Stelle al 21% e la Lega al 5%.
Gli astenuti sono stimati al 35%, ma potrebbero essere di più, se il 79% delle persone contattate ha rifiutato l’intervista.
Risultato? Nessuna maggioranza al Senato, la Camera assediata dagli emendamenti, almeno metà della popolazione fortemente scontenta.

Se l’obiettivo di Mario Monti era la ‘stabilità del sistema Italia’, ad un anno di distanza, possiamo solo prendere atto che il quadro politico s’è vistosamente deteriorato e che il debito pubblico sembrerebbe essersi incrementato.

Il sondaggio Politico-Elettorale dell’Osservatorio DIGIS per SKY TG24, pubblicato il 19/6/2012, ci racconta che:

  1. il 62% degli italiani sarebbe favorevole alla vendita di immobili pubblici, ma solo il 18% cederebbe le spiaggie, che sono il piatto forte per la ripresa degli investimenti stranieri e dell’occupazione, oltre che indispensabili per la crescita turistica del Meridione;
  2. quasi la metà ritiene che Elsa Fornero dovrebbe dimettersi e che i dati INPS sugli esodati erano corretti e siano stati erroneamente elaborati, ma la maggior parte ritiene giusto aiutarli solo se non hanno goduto di benefit, che in non pochi casi erano dovuti per legge;
  3. anche per quanto riguarda gli aiuti agli altri paesi UE da parte dell’Italia, una buona metà degli italiani (47%) ritiene che l’Italia ‘ha già dato’.

Gli italiani sembrano, dunque, essersi ‘barricati’ dietro un concetto apparentemente giusto e socialmente deleterio, associando la Casta ad i suoi Palazzi, reagendo all’iniquità con altrettanta disequità, diffidando dell’Europa e, probabilmente, della Germania in primis.

E, caso mai qualcuno volesse ancora ostinarsi ad essere ottimista, arriva Renato Mannheimer, con il sondaggio ISPO / 3G Deal & Research srl per il Corriere della Sera, dove emerge che ‘Due italiani su tre non credono più alle Regioni’.

Anzi, scopriamo che in tanti hanno ‘poca o pochissima fiducia’ verso la propria Regione (64%) e Porvincia (60%) ed il Comune in cui vive (53%).
Inoltre, il 46% ritiene che vanno abolite almeno le regioni più piccole, di cui il 18% le cancellerebbe tutte e basta, mentre il dato passa al 63% per le Provincie.

Solo il 32% degli italiani, secondo questo sondaggio, voterà gli stessi partiti delle scorse elezioni, il 40% dichiara che non voterebbe, il 14% ‘non sa’.

Come venirne fuori in tre mesi o poco meno? Prolungando di un anno la fine del Governo tecnico, vincolandolo ad un programma da portare a termine. A far due conti, non c’è alternativa: s’è già perso troppo tempo per salvare banche ed Eurozona.

Che programma? Quello che la Casta non vuole e cosa mai … è evidente che siamo arrivati al raschio del barile e che, ormai, ‘nessuno è esente’.

Innanzitutto, dando un segno di cambiamento e responsabilità diretta: dimissioni di Elsa Fornero e Mario Monti ad interim al Welfare. A seguire, interventi sulle pensioni d’annata o privilegiate e salario minimo almeno per le famiglie. Riportando la Sanità nelle meno insicure mani dello Stato …

In secondo luogo, attuando interventi strutturali con concessioni 99ennali per porti turistici, residence balneari, musei privati eccetera. Una patrimoniale sui redditi superiori agli 80.000 Euro annui, per fare cassa e cosa mai. Una riforma delle procedure civili e penali, che garantisca un excursus processuale non superiore ai cinque anni.

Infine, riducendo le regioni a 12-14 e le Provincie a 24-30. Riordino del Titolo Quinto della Costituzione e riforma dei Regolamenti Contabili. Camera con 300 deputati e basta, Senato federale con 150 eletti, stop.

Impossibile? Probabile, anzi, cosa certa, se il PdL sarà ancora ostaggio del suo fondatore, Silvio Berlusconi, e se il Partito Democratico continuerà a gongolare per quel ‘circa 30%’, di cui si sente sicuro, che gli permetterà di vincere le elezioni ma non di governare.

Del resto, se fossero stati lungimiranti, se avessero creduto nella statistica, ad esempio, invece che nei congressi di partito, mica ci avrebbero messo in questa situazione.

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