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Covid e contagiati: addio ospedali Covid-Free?

15 Gen

Le Regioni vorrebbero che i pazienti positivi ai test ma asintomatici, qualora assegnati in isolamento al reparto di afferenza della patologia, vengano conteggiati come “caso” Covid nel bollettino ma non tra i ricoveri dell’area medica, se ricoverati in ospedale per cause diverse dal Covid.
Le Regioni assicurano che salvaguarderanno il principio di separazione dei percorsi e di sicurezza degli altri pazienti, ma non si sa bene come e – comunque – sarebbe la fine degli ospedali Covid-free.

Intanto, i sanitari si sentono presi in giro, le statistiche e la valutazione della situazione ne risentirebbe, mentre il Ministero della Salute per ora resiste.

Secondo Anaao-Assomed e l’Ordine dei medici si tratta di ‘un “un “mero espediente di equilibrismo contabile”, un “gioco delle tre carte con i cittadini italiani nel ruolo del passante sprovveduto””, cioè di una “operazione di maquillage” che “occulta la gravità della pandemia” e serve solo a “risolvere il problema di non assumere altre misure restrittive”.

“Non si esce dalla crisi sulla pelle dei medici ospedalieri né rimanendo uguali a come si è entrati. Il gioco dei vasi comunicanti, prodotto dalla riconversione di interi reparti e dalla chiusura di attività ambulatoriali e chirurgiche non urgenti, porta acqua alla pandemia parallela delle prestazioni rinviate, negazione di un diritto costituzionale e causa di future malattie”.

Già, il ‘gioco dei vasi comunicanti‘ che i malati rari conoscono purtroppo molto bene, dato che ha affossato le norme nazionali del settore, lasciando intatti i reparti ospedalieri preesistenti e abortendo la crescita dei Centri e dei servizi territoriali per milioni di persone.
O quello dei malati cronici che si ritengono ben felici di un farmaco di classe A da ritirare in un ambulatorio, perchè è già tanto con una terza media (o anche meno) ed una vita di contribuzione al minimo (se non sussidiata).

Ma la legge, il buon senso, il diritto, l’istruzione e anche le Regioni nelle loro pretese al Governo garantiscono “il principio di separazione dei percorsi“.
Quali percorsi?

Quelli che già ora non esistono per malattie croniche e rare, cioè praticamente tutte?
E con quali organigrammi? Quelli che da anni i vari istituti e aziende sanitarie non inviano ad Anac?

Ma soprattutto – dalla parte dei malati cronici e rari – la questione di fondo è un’altra, se passasse la richiesta delle Regioni: addio ospedali e ambulatorio Covid-Free?

Infatti, tutti questi malati ritengono il proprio ospedale o ambulatorio un luogo sicuro, perchè richiedono a tutti una dichiarazione se “negli ultimi 14 giorni hanno avuto contatti con qualcuno affetto da sintomi respiratori o in isolamento fiduciario o popolazione a rischio”.

Ma cosa succede se i pazienti ricoverati in ospedale per cause diverse dal Covid positivi ai test e asintomatici vengono conteggiati solo nel bollettino, ma non tra i ricoveri dell’area medica?

Se i percorsi di cura non esistevano già prima della pandemia grazie al “gioco dei vasi comunicanti” e se il caso di Covid non è registrato tra i ricoveri dell’area medica, come si garantisce a questi tanti malati fragili che il medico o l’infermiere con cui vengono a strettissimo contatto non abbia avuto poco prima contatti anche con un paziente portatore di Covid?

Viene quasi il dubbio che cancellare gli ospedali Covid-Free è un elegante modo per rinviare ‘spontaneamente’ tutti a giugno.

Demata

L’asso di Renzi è la spesa sanitaria

20 Set

Il ‘buon’ risultato del primo Governo di Giuseppe Conte è che l’inesperienza dei protagonisti ha messo in luce alcuni degli atavici problemi di spesa del bilancio italiano: scarsa manutenzione delle infrastrutture, scolarizzazione insufficiente, settore assistenziale poco vigilato, un sistema previdenziale che da a chi troppo ed a chi troppo poco, fragilità decisionale.

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Se leggiamo le cronache del Regno d’Italia alla fine dell’Ottocento, troviamo la stessa situazione: opere incomplete, docenti reclutati di fretta e furia, nepotismo e corruzione se parliamo di assistenza e sussidi, trasformismo politico. Anzi, l’onorevole radicale Giuseppe Mosca nel 1901 si trovò a spiegare ai parlamentari che tutte queste ‘belle’ cose avevano creato la Mafia siciliana.

Dunque, gran parte del ‘lavoro sporco’ di portare in luce i nostri guai è fatto, ma manca ancora un settore alla cronaca del disastro annunciato del Bilancio italiano e dal punto di ripristino da cui ripartire: la Sanità.

Sono circa 60 miliardi annui quelli che noi contribuenti versiamo alle Politiche ‘assistenziali’ regionali ed a quegli enti territoriali denominati Facoltà di Medicina, confidando che si convertano in prestazioni economiche ed efficienti per gli assistiti.

Giusto per fare i conti della serva, calcolando una mera emorragia di 30 miliardi annui (o valore equivalente) a partire dal fu Governo Prodi e del sorgere della ‘sanità , staremmo parlando di 600 miliardi … di Debito Pubblico consolidato.

Ovviamente le cose non stanno esattamente così – sono i conti della serva – ma l’esempio è bastante a quantificare quale sia il baratro che viene a crearsi mescolando la sanità “universale” per gli indigenti (art. 32 Cost) con quella ‘assicurata’ ai lavoratori (art. 38 Cost.) e con quell’altra ‘di eccellenza’ per cui (art. 33 Cost.) per cui sorgono le Università.

Mission impossible.
Il Lazio ha da campare con un bilancio dimezzato dai mutui ventennali sottoscritti per coprire le disastrose spese sanitarie degli ultimi vent’anni, la Lombardia – provare per consultare il sito regionale – non ha neanche più una specifica direzione generale per la Salute.

I Livelli Essenziali Assistenziali per le malattie croniche sono spesso la mera esenzione normata dallo Stato, ma a livello regionale nulla, anche se servirebbe eccellenza; peggio che andar di notte per i milioni di malati ‘rari’ che aumentano, mentre i centri oncologici vanno avanti ormai con fondi appositi e spesso privati.

Dove finiscono i finanziamenti? A cosa vengono finalizzati dalle Facoltà Mediche, se non alla didattica e all’eccellenza? Le Regioni intendono offrire solo servizi per indigenti?

E cosa faranno gli attuali quarantenni quando, a breve, toccherà a loro scoprire che … tutti i farmaci sperimentali o avanzati sono riservati alle strutture pubbliche, spesso disagevoli e non di rado insoddisfacenti?

Confidamo nel Governo Conte bis e – dopo quello disastroso con Salvini – nell’abbraccio fatale tra Di Maio e Zingaretti.

A proposito, sarà per questo che Renzi – antipatico perchè lungimirante – guarda a Macron ed ai Liberali europei, in attesa che scoppi il bubbone dei servizi essenziali assenti in alcune regioni che ‘bloccano’ l’autonomia differenziata di altre regioni?

Demata

La triste situazione delle malattie rare nel Lazio spiegata alle associazioni dei malati

20 Giu

Nella regione del Lazio ci sono il Ministero della Salute, la Commissione Sanità del Parlamento, fior di Facoltà Mediche, sedi nazionali delle principali istituzioni sanitarie e associazioni dei malati e dei consumatori.

Nel Lazio ci sono circa sei milioni di abitanti e, così, se anche una malattia fosse talmente rara da vedere un caso ogni 50.000 individui, staremmo parlando di 120 pazienti, cioè abbastanza per riempire un ospedale, se si ricoverassero tutti insieme, o far funzionare u ambulatorio a ciclo continuo, se parliamo di patologie che richiedono controlli e/o consulenze e/o aggiustamenti farmacologici ‘almeno una volta al mese di media’, cioè frequenti.

Le malattie rare sono tutte croniche: alcune stabili nel tempo o degenerative, come le ‘normali’ malattie croniche, alcune altre con esacerbazioni e remissioni nel tempo, perchè di origine metabolica, come, ad esempio, per il diabete (malattia cronica) e l’emocromatosi o la porfiria acuta (rare).
La differenza sta tutto nella loro rarità, cioè nel fatto che sono meno note ai medici, pochi ospedali e unità sono motivate ad occuparsene, c’è poco interesse a sviluppare i farmaci, i ‘pochi’ malati scompaiono nella folla di quelli con patologie più diffuse, anche se dovesse capitare che una patologia rara comporta rischio per la vita ed una più diffusa crea – magari – solo problemi cutanei, e … c’è scarsa attenzione della politica interessata al consenso e dei media alla ricerca di scalpore.

Così, nel Lazio (e forse non solo nel Lazio) è accaduto e sta accadendo qualcosa di incredibile, se consideriamo che siamo nella Capitale di uno degli Stati più avanzati del mondo, antica patria di medici e scienziati.

Nel Lazio non si sono accorti – politici, burocrati, associazioni – che le patologie rare non si possono gestire come fossero delle ‘normali’ patologie croniche e che, preso in carico il paziente per la diagnosi e per prescrivere le cure, si sia risolto il problema, come nel caso delle patologie croniche ‘normali’, per le quali ci sono ospedali e specialisti e bizeffe.

E finisce che, in Regione o alla Camera, si convincano che … serva solo un po’ di assistenza sociosanitaria, magari per erogare un farmaco o per un accompagno, cosa facile a farsi – anche con la coperta corta – se i malati sono migliaia, impossibile se si è l’ultimo della fila, perchè raro, cioè solo.

Ovviamente, essendo spesso rare e pure metaboliche, ai pazienti come ai medici di base o agli specialisti servirebbe sapere dove rivolgersi per le cure, cioè la gestione clinica, che … potrebbe non esserci, se anche a Roma e nel Lazio non vengono istituiti i Centri e/o i Presidi come previsti nei termini dati dal Decreto Bindi sulle Malattie Rare.
Anzi, addirittura nel decreto relativo agli Istituti presso i quali vengono dislocati i vari malati rari neanche si distingue quali siano centri di cura o quali meramente diagnostici, come non si sa quali operino in rete e per omogeneità clinica o dove sono allocate le sedi per i piani individualizzati di assistenza sociosanitaria.

In due parole, sembra che nessuno – nonostante i malati in difficoltà non scarseggino – si sia accorto che la ‘presa in carico’ presso un’unità diagnostica è cosa molto diversa dal sapere chi sia preposto alle ‘cure appropriate’ o dove recarsi per l’assistenza necessaria. Per questo i malati non sanno dove andare e non si trova un buco per collocarli …

Infatti, media ed associazioni, come politici e strutture mediche, continuano a gestire oltre 100mila malati rari come fossero casi singoli e come se bastasse un gettone o un progetto e non un riferimento stabile.
E, non a caso, la riforma per le malattie rare in fase di approvazione alla Commissione della Camera dei Deputati non contiene parole come ‘cure’ o ‘terapie’ …

Già … stiamo parlando di potere, poltrone e soldi, cioè di centinaia di posizioni apicali su indirizzo politico e di oltre 60 miliardi di euro che l’Erario spende per finanziare ospedali regionali, policlinici universitari e Terzo Settore, con buona pace di chiunque non rappresenti almeno qualche migliaio di voti potenziali.

Demata

Regione Lazio commissariata, malati rari costretti al pronto soccorso

17 Giu

Le porfirie acute sono un disordine del metabolismo noto fin dall’antichità, che comporta un difetto nella biosintesi di un componente del sangue (eme), con conseguente accumulo di sostenze neurotossiche che causano sia dolore e stasi addominale, sia sintomi cardio-neurologici. “Possono essere coinvolti tutti i componenti del sistema nervoso periferico e centrale. Nelle crisi gravi e prolungate, è frequente la neuropatia motoria, che può condurre a una vera e propria tetraplegia. L’interessamento bulbare può causare un’insufficienza respiratoria. L’eccesso di catecolamine generalmente causa irrequietezza e tachicardia. Un’ipertensione labile, con valori di pressione arteriosa transitoriamente elevate, può causare modificazioni vascolari progressive che, se non trattate, portano a un’ipertensione irreversibile. Raramente le aritmie indotte dalle catecolammine causano morte improvvisa. L’insufficienza renale nella Porfiria acuta è un processo multifattoriale; l’ipertensione acuta (che può sfociare nell’ipertensione cronica) è probabilmente uno dei principali fattori precipitanti” (Manuale Merck for Professionals – 2017)

La legge italiana, a riguardo è chiara (D.M. Sanità – 18 maggio 2001, n. 279): servono Centri interregionali, che “assicurano il coordinamento dei presidi della Rete, al fine di garantire la tempestiva diagnosi e l’appropriata terapia, qualora esistente, anche mediante l’adozione di specifici protocolli concordati” ed i Presidi della Rete “sono individuati tra quelli in possesso di documentata esperienza in attività diagnostica o terapeutica specifica per le malattie o per i gruppi di malattie rare, nonché di idonea dotazione di strutture di supporto e di servizi complementari, ivi inclusi, per le malattie che lo richiedono, servizi per l’emergenza e per la diagnostica biochimica e genetico – molecolare”.

Centri interregionali sia per concentrare il riferimento dei malati rari presso specialisti appropriati e di provata esperienza sia per abbattere i costi di staff. Presidi adeguatamente dotati perchè v’è rischio per le funzioni vitali e perchè stiamo parlando di metabolismo e neurointossicazione endogena.

Nel caso delle porfirie acute non c’è dubbio: serve un internista (gastroenterologo, epatologo, ematologo), serve un ambulatorio per evitare che le esacerbazioni confluiscano in un attacco acuto, serve un pronto soccorso, servono consulenze per eventuali copatologie, un ricovero protetto in caso di necessità ed un tot di medicina del lavoro, visti la disfunzionalità intermittente e lo stress lavoro correlato.

Invece, Roma – cioè la Regione Lazio – ha optato fin da principio per individuare dei meri Centri di riferimento ‘per la diagnosi e la presa in carico’, senza specificare se trattasi di unità diagnostiche o ‘finalizzate alle cure’ e – non di rado – riconfermando realtà antecedenti al 1994.

Al di là delle spontanee riflessioni su quanto una tale rete potesse essere obsoleta (se non ancora esistente/efficiente) o di quali costi aggiuntivi derivino dall’operare con parametri diversi da quelli nazionali, nel caso delle porfirie acute si è continuato a seguire il desueto criterio di eziopatogenicità con le porfirie cutanee, cioè destinando pazienti affetti da gravi sindromi del metabolismo con neurointossicazione endogena e seri rischi per la salute presso … un ospedale specialistico (dermatologico – oncologico) privo di servizi per l’emergenza, cioè il Pronto Soccorso.

Dal 2010, con il pervenimento di un paziente con frequenti attacchi ricorrenti, diagnosticato dopo ben 30 anni dai primi sintomi, è emersa in tutte le sue carenze l’esigenza di “idonea dotazione di strutture di supporto e di servizi complementari, ivi inclusi servizi per l’emergenza”.

Cosa sia accaduto a seguire è presto detto,almeno per gli aspetti più eclatanti:

  • per un anno quel malato ha ricevuto infusioni di emoderivati nello stessa Unità dove venivano praticate salassoterapie per i pazienti di porfiria cutanea tarda, nonostante il Documento di Unità Operativa non prevedesse profilassi ambulatoriale per le Porfirie Acute;
  • ha dovuto attendere dal 2009 al 2012 – allorchè recatosi in un Centro interregionale fuori del Lazio – per ottenere la certificazione utile a tutelare lo stato di salute (grave invalidità > 74% e gravità, riconosciute per sentenza) e la situazione lavorativa (sorveglianza sanitaria della CMV), perdendo praticamente tutti i benefits garantiti fino al 2011 per effetto della Riforma Fornero;
  • dal 2014 ha ‘subito’ quasi 300 infusioni di emina, a fronte di prescrizioni – per tre anni consecutivi da 2014 al 2016 – del Centro interregionale cui fa capo, che ne indicava la riduzione da tre ad una sola prestazione quindicinale, nonostante un sempre maggiore accumulo marziale per emoinfusione, tre cateteri impiantati, ‘consumati’ e rimossi, un’infezione batterica perdurata per lungo tempo ed gestita solo dopo febbri continue e antibiogrammi privati.

Finalmente, nel 2015, una speranza: il Commissario ad Acta e Governatore della Regione Lazio emette il Decreto DCA 387-2015, ) allo scopo di attuare il “criterio di omegenità clinica, anzichè eziopatogenica”, per adempiere al “Piano Nazionale per le Malattie Rare” approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 16 ottobre 2014.

Finalmente, essendo ormai nota questa situazione, emergerà la carenza e si perverrà a soluzione?
No. Incredibilmente, il decreto mantiene la presa in carico di persone affette da una seria sindrome del metabolismo con rischio cardiologico e neurologico … presso un ospedale dermatologico-oncologico privo di pronto soccorso, solo perchè ivi esiste una comprovata esperienza diagnostica e terapeutica riguardo le porfirie … cutanee … a ribadire il criterio di eziopatogenesi e con buona pace della clinica …

valori iper PBG

Peggio ancora, sia nel 2015 sia nel 2017, in coincidenza della richiesta di chiarire chi fosse lo specialista di riferimento e che si adottassero le indicazioni del Centro interregionale a ridurre l’apporto infusionale in funzione della sintomaticità con corrispettiva gestione ambulatoriale, due note e qualificate strutture ospedaliere romane gli cessano le cure ambulatoriali con ridottissimo preavviso, indirizzandolo al Centro regionale di riferimento, che non era strutturato per la funzione di presidio già nel 2009 e – comunque – non rispondeva al ‘criterio di omogenità clinica’, cioè per l’appropriatezza delle terapie.

Da marzo e nell’attuale, questo paziente non ha altro che recarsi settimanalmente al Pronto soccorso per ricevere le infusioni di profilassi, privo persino di accesso venoso ed ormai con vistosi danni alle braccia e alle mani, dato che i farmaci sono aggressivi, senza possibilità di aggiornare il piano con riferimento locale al Centro interregionale cui fa capo, anche se  esposto a serio rischio per la salute visti i tre accessi in emergenza, di cui uno in codice rosso.

Eppure, il Centro – già da molti anni – avrebbe potuto/dovuto essere autorizzato ad operare in rete con una struttura dotata di riferimento internistico e di pronto soccorso. Come anche … la Regione Lazio avrebbe potuto chiedersi quali fossero gli standard minimi /essenziali per una malattia di tale portata e – soprattutto – il Commissario ad Acta, per i poteri esecutivi di cui è dotato, poteva/doveva intervenire almeno da marzo scorso.

Non resta che chiedersi – visto che a Roma ci sono tanti sanitari competenti e di Buona Volontà – se la Regione Lazio deciderà di attuare la norma nazionale anche per le porfirie acute. Anzi, che si deciderà a garantire i servizi essenziali e d’emergenza, visto che da ieri il Centro di riferimento è rimasto senza reagenti ed ha comunicato la sospensione della diagnostica, come anche – da un momento all’altro, se non già in fieri – si potrebbe concretizzare un serio danno alla salute del malato.

esaurimento kit diagnostici porfirie acute

Questi sono i risultati del mostruoso conflitto di interessi dato dal conferire alla Politica, alle Regioni, il ruolo di amministratore delle assicurazioni di malattia previste dall’articolo 38 della Costituzione, specie se – poi – si nomina lo stesso Governatore anche Commissario ad acta e senza istituire un assessorato per le ‘Politiche sanitarie’, così inficiando l’accesso, il dibattito, la trasparenza.

Demata

Malattie rare: una nuova cattiva legge?

13 Feb

flyer4ggp-reco-3-2Dal 18 gennaio 2017, è in discussione alla XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati una proposta di legge (Atto Camera: 136) recante “disposizioni in favore della ricerca sulle malattie rare e della loro cura”.
E’ anche previsto il parere delle Commissioni: Affari Costituzionali, III Affari Esteri, V Bilancio, VI Finanze (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII Cultura, X Attività Produttive, XI Lavoro, XIV Politiche dell’Unione Europea e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

La proposta di legge è d’iniziativa del deputato RUSSO Paolo; Laurea in medicina e chirurgia, Specializzazione in oculistica, Oculista; Eletto nella circoscrizione Campania 1; Lista di elezione IL POPOLO DELLA LIBERTA’.

Si auspica che il Parlamento, le associazioni dei cittadini e/o dei malati, i media vorranno meglio e con maggior cautela approfondire la questione, onde dare efficienza e riferimenti chiari nella gestione dalla patologia rara, ergo primaria.

Ricordiamo che il ‘Dossier in tema di malattie rare del 2008-2010 (a cura di Cittadinanzattiva, Tribunale per i diritti del malato, Coordinamento nazionale associazioni malati cronici), segnala:

  1. le difficoltà nel godere effettivamente dei benefici previsti dalla legge
  2. le forti differenze che si riscontrano tra regione e regione
  3. più del 40% dei pazienti non ha spesso accesso ai farmaci indispensabili o ai farmaci per la cura delle complicanze.

Secondo Il Sole 24 ore “Focus sanità” del 11-17 Novembre 2008, l’inadeguatezza sanitaria e il mancato accesso ai diritti, ovvero ‘costi e disagi, determinerebbero la rinuncia alle cure da parte di 1 paziente su 4 a cui andrebbe aggiunto un 37% che desiste per gli ostacoli burocratici’, che evidentemente vengono posti dai diversi ospedali e ASL.

La su descritta dimensione altamente dispersiva degli accessi alle terapie ed alle cure, a fronte di esigenze spesso sistemiche e non singolarmente specialistiche, derivanti dall’eziologia stessa delle malattie rare, nonché l’esiguo numero di malati (specie nelle regioni più piccole) suggerirebbero l’utilità di una rete che – come già fa la norma già vigente spesso disapplicata – individui dei Centri Nazionali (interregionali) con funzioni di studio, certificazione e coordinamento e dei Presidi locali presso strutture con dotazione adeguata per le esigenze terapeutiche e di monitoraggio, demandando i Servizi Socio-sanitari, ergo assistenziali, alle Regioni ed ai Comuni, come da mandato costituzionale.

(A seguire in corsivo il testo della proposta di legge)

La proposta di legge in corso di discussione alla XII Commissione Affari Sociali determina che:

  1. le Regioni (art. 6 c. 1 della proposta di legge) definiscono nei propri piani sanitari o socio-sanitari o in altri atti di programmazione l’organizzazione della rete di assistenza per le malattie rare”, mentre nell’attuale la tutela dei malati rari è ben maggiore, se “le Regioni, sulla base del fabbisogno della propria popolazione, provvedono all’individuazione dei presidi” ( D.M. 18 maggio 2001, n. 279 art. 2 c. 1) e predispongono modalità di acquisizione e di distribuzione agli interessati dei farmaci specifici” ( D.M. 18 maggio 2001, n. 279 art. 6 c. 3)
  2. gli attuali Centri interregionali di riferimento ( D.M. 18 maggio 2001, n. 279 art. 2 c. 3) NON dovranno più assicurare “il coordinamento dei presidi della Rete, al fine di garantire la tempestiva diagnosi e l’appropriata terapia, qualora esistente, anche mediante l’adozione di specifici protocolli concordati”, bensì – per quanto relativo a pazienti di altre regioni – vanno solo a “ partecipare alla stesura di protocolli e di linee guida sulle specifiche malattie rare trattate, in collaborazione con gli altri centri di riferimento delle reti regionali o interregionali e con i centri di coordinamento regionali o interregionali”, come enunciato al art. 8 c 1 punto h) della proposta di legge
  3. saranno i nuovi centri di riferimento, individuati e accreditati dalle regioni (art. 8 c 1 punto c) a “predisporre il piano assistenziale personalizzato (nota bene non il piano terapeutico), a partire dal profilo dei bisogni assistenziali e il suo aggiornamento nel tempo, che costituisce la base per la presa in carico della persona affetta da una malattia rara”
  4. saranno cancellati “i presidi della Rete individuati tra quelli in possesso di documentata esperienza in attività diagnostica o terapeutica specifica per le malattie o per i gruppi di malattie rare, nonché di idonea dotazione di strutture di supporto e di servizi complementari, ivi inclusi, per le malattie che lo richiedono, servizi per l’emergenza e per la diagnostica biochimica e genetico – molecolare” ( D.M. 18 maggio 2001, n. 279 art. 2 c. 2);
  5. la presa in carico della persona affetta da una malattia rara “in base a quanto predisposto dal centro di riferimento nel piano assistenziale personalizzato, che verte sui bisogni assistenziali sarà affidata alle “reti orizzontali ((art. 9 c 1 punto c), “composte dagli ospedali locali e dalle reti territoriali di cure primarie dei distretti sanitari, comprendenti i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, specialisti, professionisti sanitari e sociali nonché educatori”, che è proprio l’apparato burocratico-sanitario che nell’attuale – in non poche Regioni – non offre servizi accessibili – accettabili a gran parte dei malati rari. Nessuna menzione dei piani terapeutici;
  6. sarà riservato ai nuovi Centri di riferimento regionali il compito di “attuare direttamente cure e interventi di particolare complessità, qualora essi si rendano necessari” (art. 8 c 1 punto e). Allo stato attuale l’assistito (D.M. 18 maggio 2001, n. 279 Art. 6 c 1) ha diritto alle prestazioni di assistenza sanitaria … efficaci ed appropriate per il trattamento ed il monitoraggio della malattia dalla quale è affetto e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti”;
  7. alle reti orizzontali (art. 9 c 1 punto e) è anche assegnato il compito di “fornire assistenza legale alla persona affetta da una malattia rara per facilitare l’ottenimento di quanto previsto dai diritti ad essa riconosciuti”, da parte della … Regione (sic!);
  8. l’art. 13. (Riadattamento, mantenimento, potenziamento e supplementazione di funzioni e di attività delle persone affette da malattie rare), l’art. 15. (Inserimento comunitario delle persone affette da malattie rare) ed altri articoli a seguire contengono norme che – oltre a determinare una spesa tutta da quantificarsi e soprattutto da attribuirsi o ripartirsi tra Stato e Regioni – andranno a sovrapporsi con il Titolo V della Costituzione, la legge 5 febbraio 1992, n. 104, il d.lgs. n. 81 del 2008, il D.P.R. n. 1092 del 1973, d.P.R. n. 3 del 1957, d.lgs n. 297 del 1994, il D.M. n. 171 del 2011 e non solo, da cui l’esigenza di approfondimento ed armonizzazione, onde evitare una vacatio legis con decadimento di diritti / interessi legittimi finora tutelati, seppur non sempre garantiti;
  9. per quanto relativo l’accesso agli stanziamenti al Fondo nazionale per la ricerca, lo sviluppo e l’accesso ai medicinali orfani, l’art. 16. della proposta di legge antepone “prioritariamente” gli “a) studi preclinici e clinici … b) studi osservazionali e registri di usi compassionevoli di farmaci non ancora commercializzati in Italia”, ai “c) programmi di somministrazione controllata di farmaci non ancora compresi nelle fasce A e H dei prontuari terapeutici”;
  10. il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con proprio decreto, riconoscerà (art. 23 c. 2) “la Federazione italiana malattie rare – UNIAMO, in quanto membro del Consiglio delle alleanze nazionali dell’Organizzazione europea per le malattie rare (EURORDIS) come interlocutore primario per esprimere pareri nel corso dei processi decisionali strategici, di monitoraggio e di valutazione delle attività svolte nel settore delle malattie rare, sia a livello regionale che a livello nazionale;
  11. la proposta di legge (art. 23 c. 2) determina anche ope legis che la onlus autodenominatasi Federazione italiana malattie rare – UNIAMO avrà il compito istituzionale di “a) rappresentare le persone affette da malattie rare e le associazioni d’utenza presso la Commissione europea; b) partecipare con tre propri delegati al Comitato nazionale per le malattie rare; c) incentivare l’aggregazione delle associazioni d’utenza attive nel settore delle malattie rare in Italia”.

Avete capito tutto … no?

Demata

Non c’è Pasqua per i malati rari

23 Mar

Dove saremmo  se – invece di politica e diritti – in questi anni, riguardo le malattie rare (> 400.000 carrier nel solo Lazio) – ci fossimo  semplicemente chiesti (funzionari, malati, associazioni e quant’altro):

  • quanti sono i carrier per codici di esenzione, quali invalidi sotto il 45- 66-74%, quanti sono ‘attivi’  ad elevata frequenza (cure mensili o settimanali) e quali a bassa (2-3 volte l’anno)
  • quanti sono diagnosticati da un effettivo centro interregionale (o quello che sarà) e quanti effettivamente in carico con protocollo specifico presso un ospedale generale,
  • quanti hanno profili di urgenza medica, quanti hanno un pronto soccorso di riferimento
  • quali sono le patologie secondarie per macrotipologie rispetto la malattia rara e congenita e quali sono invalidanti o disfunzionalizzanti o degenerative eccetera
  • quale % dei fondi SSN viene saldato entro l’anno solare dal ministero e quanti dalla Regione, quanti ad un anno, a due, a tre eccetera
  • quali verifiche vengono fatte affinchè non vengano prescritti in esenzione farmaci afferenti ad altre patologie … che dovrebbero pagare le Regioni
  • dove si collocano statisticamente i carrier attivi per codice di esenzione, ASL di residenza e presidio sanitario di cura

medico_della_mutua_alberto_sordi_luigi_zampa_007_jpg_vgcdQuel che avremmo scoperto – indagando sulla Realtà in vece di ipotizzarre ‘diritti’ – non è poco:

  • c’era da creare una infrastruttura sanitaria (regioni) e del welfare (comuni) ovvero che i Sindaci ci devono mettere la faccia per poliambilatori e servizi domiciliari
  • senza sapere chi e cosa curare – trattandosi di cronici siamo su archi ultradecennali – non si dovevano neanche fare ristrutturazioni aziendali e concorsi
  • superata l’emergenza è del tutto malsano risolvere casi spot sull’onda di emergenze e scandali, con commissariamenti all’infinito e tavoli tecnici caotici che servono solo a chi non vuol fare o deve ‘deviare’
  • le nuove scoperte biomedicofarma rendevano ben chiaro già 15-20 anni fa che ci sarebbero stati solo policlinici e case di cura /presidi poliambulatoriali, come i medici di base avrrebbero dovuto associarsi con pediatri, geriatri, fisioterapisti eccetera per reggere i costi degli immobili, delle certificazioni e delle manutenzioni, della clinica e della telematica: di sicuro non esisteva nelle premesse un modello in cui il pubblico offre solo ‘grandi ospedali’ e ‘infimi ambulatori’

Siamo disposti a parlare di standard oltre che di diritti? A ben vedere i primi sono cosa certa, i secondi solo enunciazioni di principio …

originale postato su demata

Pensioni possibili se … Cinque Stelle le vota

6 Feb

Cinque Stelle sta dimostrando di essere un movimento ‘dal basso’ e non solo ‘telematico’ e se sceglierà candidati sindaci di alto profilo e un gruppo di tecnici che li assista come assessori, il movimento fondato da Grillo e Casaleggio potrebbe affermarsi non solo nella provincia, ma anche nelle realtà urbane complesse.

Allo stesso modo, tra pochi mesi – o per la crisi in cui annaspiamo o perchè Renzi dovrà agire pressato dal de-rating e dal dissenso –  i Cinque Stelle dovranno iniziare a spiegarci anche loro a menadito cosa intendono fare per pensioni, diritto allo studio e alla salute più la giustizia, ergo se vogliamo stare in Europa per davvero oppure ritornare ad essere ‘appendice geografica’.

Infatti, l’Italia continua ad aumentare il proprio debito, nonostante i tagli e le tasse di Tremonti, Prodi, Monti e Renzi. Dunque, anche con tutti gli sprechi del mondo, il problema non è solo nelle falle del sistema, ma soprattutto nella stessa struttura di bilancio dello Stato, che è regolata da norme risalenti alla seconda metà dell’Ottocento.

Riguardo le pensioni, in questi anni i Cinque Stelle non hanno mai affrontato la questione, limitandosi agli esodati (della scuola), ai lavoratori precoci (di Ntv e Trenitalia), al ripristino del Fondo per i lavori usuranti. Stop.

Dunque,  i Cinque Stelle hanno operato finora come se la riforma Fornero avesse danneggiato poche decine di migliaia di anziani e non, come è nei fatti, milioni di malati invalidi e lavoratori senior con almeno trent’anni di contribuzione, più le loro famiglie …

E’ come se i Cinque Stelle dimenticassero che all’ordine del giorno (in Parlamento come sui posti di lavoro) abbiamo:

  1. (dal 1992) la ‘flessibilità’ in uscita e il superamento del sistema ‘a ripartizione’ che scarica sul futuro gli errori del passato , tra cui il dibattito sindacale sullo ‘scalone’ (2009)
  2. (dal 1994) le normative e tutele inappropriate  per quanto riguarda gli ‘invalidi’, cioè quel 30% di lavoratori over55 con almeno due malattie croniche e salute ‘non buona’, secondo Istat e persino l’Inps,
  3. (1999) i referendum radicali di Marco Pannella per l’abolizione del prelievo forzoso del 9,9% del reddito per l’assicurazione sanitaria
  4. (dal 2001) la libera concorrenza nel comparto assicurativo e superamento del “monopolio di Stato” rappresentato da Inps e SSN
  5. (dal 2004) l’esclusione di migliaia di malattie rare dall’elenco dei punteggi invalidanti, con la conseguenza che molti pervengono al requisito di invalidità solo a seguito di effetti lesionali causati da queste patologie
  6. (dal 2011) l’esclusione dei periodi salatamente riscttati dal computo della precocità lavorativa e l’esclusione del riconoscimento previdenziale ‘a partire dalla nascita’ per le malattie congenite (escluse sordità e cecità) .

Soprattutto, come il PD di Renzi, i Cinque Stelle non vedono che proprio le pensioni costituiscono il ‘buco’ nei conti pubblici e la ‘palla al piede’ dei vincoli  di cui il furbo Matteo incolpa l’Europa:

  1. le pensioni dei lavoratori rappresentano più di un terzo della spesa in bilancio dello Stato, praticamente metà del PIL annuo,
  2. in qualunque nazione, contributi e rendite dei lavoratori non hanno niente a che vedere con i bilanci pubblici
  3. secondo leggi italiane e sentenze europee, queste somme (oltre 200 miliardi di euro) sono versate ed erogate dall’Inps che non è lo Stato bensì un ente assicurativo come Generali o Lloyds.

Se delle pensioni se ne occupasse per davvero e solamente il sistema previdenziale in libera concorrenza, il nostro debito scenderebbe dal 132% in incremento a circa il 95% in decremento, i nostri Titoli di Stato andrebbero a ruba, tutte le banche ritornerebbero in salute, la Giustizia troverebbe il metodo per rendere i processi brevi e la legge certa e prevedibile, ci sarebbero i soldi per creare lavoro e consumi finanziando istruzione, sicurezza, difesa, ambiente e welfare, giovani, donne, malati …

In Parlamento c’è una legge onesta proposta da un uomo onesto, Cesare Damiano, l’hanno firmata fior di parlamentari e attende di essere votata dal lontano 2013. Non è il toccasana, ma almeno avvierebbe la transizione e, soprattutto, l’attendono tutti i lavoratori over50 e le loro famiglie.

Va bene che Damiano è del PD, ma è anche antirenziano e sono vent’anni che batte questo tasto.
Cosa aspettano i Cinque Stelle ad appoggiarla?

leggi anche Pensioni flessibili: perchè il PD non vuole?      Cosa si aspetta davvero da noi l’Europa?

Demata

Il Decreto Lorenzin e lo scandalo delle associazioni dei malati

29 Gen
E’ un dato di fatto che tanti tagli sulla Sanità siano passati senza che le ‘associazioni dei malati’ abbiano battuto ciglio.
E già prima un bel tot di Associazioni dei malati accreditate dal Ministero aveva lasciato passare
una legge sull’invalidità che non includeva oltre 4.000 malattie rare ed una legge sulle malattie rare che delega tutto al buon cuore (od al latrocinio) delle politiche regionali.
Arrivando ad oggi, ci ritroviamo con il Decreto Lorenzin sull’appropriatezza terapeutica dove addirittura mancano nella lista un bel tot di patologie genetiche e … tutto tace.

Di tutto questo, molto lentamente, stanno iniziando ad occuparsene le associazioni dei consumatori, ma – dico io – a voi sta bene che i ‘malati’  prima son diventati ‘pazienti’ poi ‘portatori’ ed infine ‘consumatori’?

 
Tutto inizia nel 2004, quando Rosy Bindi elaborò i pessimi decreti sulla disfunzionalità  e sulle malattie rare, con l’accredito e la consultazione delle associazioni dei malati, senza verificarne statuti, rappresentatività, bilanci d’esercizio, composizione dei direttivi, effettiva vita associativa.

Difficile immaginare a cosa si sia approdati:

 
  1. la grande carenza ultradecennale di iniziative presso il Ministero per migliorare l’ accesso dei malati rari ai diritti (disfunzionalità, centralizzazione del malato, appropriatezza terapeutica, eccetera) da parte delle Associazioni accreditate presso il Ministero e presso i network europei (Rare connect eccetera).
  2. la disparità ultradecennale di status invalidante /disfunzionalizzante a parità di quanto meno di aggravio (es: l’Emocromatosi ereditaria eterozigote ottiene da un minimo di 21 punti ad un massimo di 30 punti se con necessità di salassi periodici e/o terapia chelante, che diventano da 31 a 100 nel caso di complicanze (epatiche, metaboliche, neurologiche, cardiache, etc), ma lo stesso non è previsto per le altre patologie con medesime esigenze di cure ospedaliere ricorrenti o frequenti.
  3. l’assenza di rilievi (denunce?) riguardo la carente introduzione delle cartelle elettroniche, la posizione dell’Inps che è controllante, controllato ed erogatore allo stesso tempo, la variegata e discorde messe di leggi regionali e regolamenti ospedalieri eccetera.
  4. i protocolli sanitari e le linee guida che – a 20 anni di distanza ormai – raramente affrontano in modo aggiornato la gestione quotidiana del paziente, l’effetto disfunzionale o lesionale a lungo termine della potologia e l’eventuale esigenza di consulenze, coordinamento, centralizzazione del malato.
  5. l’assenza di rilievi addirittura se – in base al Decreto Lorenzin del Governo Renzi – tra le patologie diagnosticabili con prestazioni di Genetica Medica su prescrizione dello specialista” è indicata solo una forma della patologia e non tutte le altre.
  6. la difficoltà a sperimentare farmaci- ormai siamo a questo – con volontari su tutto il territorio nazionale e che necessitano del reference di un’associazione di malati accreditata, la quale però opera solo a livello locale per il centro medico che l’ha aggregata.
 
Se qualcuna di queste associazioni, salvo la raccolta del 5xmille ed eventuali altre donazioni per la ricerca locale, non fosse oggi attiva anche nella tutela dei diritti dei malati come nell’affiancamento dei Centri sul territorio nazionale sarebbe opportuno chiarirlo una volta per tutte e presto.
 
Non sarebbe una cattiva idea – potrebbe rivelarsi un ‘dovere’ della P.A. accreditante – se il Ministero come le Regioni, prima di accreditare o nel riaccreditare le ‘associazioni dei malati’, adottassero qualche controllo sull’effettiva rappresentatività e/o sulla reale vita associativa o almeno sulla puntuale correttezza dei bilanci.
Oppure anche in questo caso la Capitale e il PD preferiscono attendere l’intervento della Magistratura o delle Fiamme Gialle con tanto strazio e scandalo in prima agina mondiale?
Signor Presidente, on. Mattarella, intervenga lei: separiamo la segale dal grano e diamo spazio ai tanti malati e volontari ‘per bene’: chiedono quel che serve davvero e … costano anche di meno.
Demata

Malati rari: tutto quello che non facciamo

23 Mar

Dove saremmo  se – invece di politica e diritti – in questi anni, riguardo le malattie rare (> 400.000 carrier nel solo Lazio) – ci fossimo  semplicemente chiesti (funzionari, malati, associazioni e quant’altro):

  • quanti sono i carrier per codici di esenzione, quali invalidi sotto il 45- 66-74%, quanti sono ‘attivi’  ad elevata frequenza (cure mensili o settimanali) e quali a bassa (2-3 volte l’anno)
  • quanti sono diagnosticati da un effettivo centro interregionale (o quello che sarà) e quanti effettivamente in carico con protocollo specifico presso un ospedale generale,
  • quanti hanno profili di urgenza medica, quanti hanno un pronto soccorso di riferimento
    quali sono le patologie secondarie per macrotipologie rispetto la malattia rara e congenita e quali sono invalidanti o disfunzionalizzanti o degenerative eccetera
  • quale % dei fondi SSN viene saldato entro l’anno solare dal ministero e quanti dalla Regione, quanti ad un anno, a due, a tre eccetera
  • quali verifiche vengono fatte affinchè non vengano prescritti in esenzione farmaci afferenti ad altre patologie … che dovrebbero pagare le Regioni
  • dove si collocano statisticamente i carrier attivi per codice di esenzione, ASL di residenza e presidio sanitario di cura

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Quel che avremmo scoperto – indagando sulla Realtà in vece di ipotizzarre ‘diritti’ – non è poco:

  • c’era da creare una infrastruttura sanitaria (regioni) e del welfare (comuni) ovvero che i Sindaci ci devono mettere la faccia per poliambilatori e servizi domiciliari, ma non per i tagli ai reparti, ed i grandi burocrati devono assumersi le loro responsabilità di una azione ‘dall’alto’ (infrastrutture, standard, accesso, trasparenza, telematica, eccetera)
  • senza sapere chi e cosa curare – trattandosi di cronici siamo su archi ultradecennali – non si dovevano neanche fare ristrutturazioni aziendali e concorsi e, sapendo che il futuro è delle malattie rare, da anni dovevano prevedere delle drastiche riduzioni di cardiologi e gastroenterologi dato che ipertensioni e reflussi sono da geriatra e non servono interi reparti e cattedre per questo
  • nessun caso è singolo e nessuna anomalia è fine a se stessa, superata l’emergenza mica è finito tutto: bisogna pianificare e realizzare una normalità imparando dagli errori (ovvero monitorandoli e rammentandoli): è del tutto malsano risolvere casi spot sull’onda di emergenze e scandali non per tre mesi ma per 20 anni, con commissariamenti all’infinito e tavoli tecnici caotici che servono solo a chi non vuol fare o deve ‘deviare’
  • le nuove scoperte biomedicofarma rendevano ben chiaro già 15-20 anni fa che ci sarebbero stati solo policlinici e case di cura /presidi poliambulatoriali, come i medici di base avrrebbero dovuto associarsi con pediatri, geriatri, fisioterapisti eccetera per reggere i costi degli immobili, delle certificazioni e delle manutenzioni, della clinica e della telematica: di sicuro non esisteva nelle premesse un modello in cui il pubblico offre solo ‘grandi ospedali’ e ‘infimi ambulatori’ mentre il resto è esternalizzato a privati o peggio (il welfare, il welfare!) a onlus di bassissimo livello
  • non tutti i medici possono essere assorbiti dal sistema pubblico, anzi. E sarebbe ora che qualcuno glielo spiegasse se … non accadesse che ogni dirigente od ogni politico che chiude o modifica un presidio si ritrova puntualmente sui giornali o, peggio, il numero chiuso e i test di accesso alle facoltà mediche appaiono a tante famiglie dei candidati (respinti) una bizarria italiota … con santa pace di troppi inutili occupati …

    E con quei dati – che tra l’altro Corte dei Conti, MEF e Unione Europea potrebbero anche pretendere – avremmo anche le soluzioni a portata di mano  …

    Dunque, il problema non è solo la politika, ma anche il ‘popolo’ ha il suo ruolo in questo scempio, e la soluzione si chiama ‘teknica’. Siamo disposti a parlare di standard oltre che di diritti? A ben vedere i primi sono cosa certa, i secondi solo enunciazioni di principio …

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Giornata Mondiale per le Malattie Rare e … manco ce ne siamo accorti

2 Mar

Il 28 febbraio di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare e la cappa di ‘assordante silenzio mediatico’ sui misfatti dell’attuale Governo è tale che l’evento sia passato pressochè inosservato.

Parlare di malati rari signifia parlare di Sanità e, a riguardo, il primo pensiero che ci sovviene corre a quel Lazio commissariato da quasi una generazione, oggi nelle mani di Nicola Zingaretti, che nella giunta annovera persino Teresa Petrangolini di Cittadinanza Attiva e che dovrebbe – dunque – rappresentarsi come fulgido esempio di trapsarenza ed efficienza.

Come vanno le cose in Italia?

Secondo un recente report del Comitato Nazionale di Bioetica le malattie rare comportano situazioni molto gravose per il milione di italiani che ne è ufficilamente affetto, a fronte di forse due milioni di persone che ancora attendono una diagnosi.

Il tutto accade non tanto per le patologie in se, per altro spesso gravi e croniche, quanto per l’assoluta fatiscenza del nostro Sistema Sanitario Nazionale e gli sprechi del nostro Sistema Sanitario Regionale, oltre al disinteresse profondo dei politici, della classe medica e dei funzionari preposti.

Secondo il report, infatti, le problematiche individuali e familiari dei malati riguardano principalmente:

  1. la difficoltà, o l’impossibilità, di accedere alla diagnosi corretta – dovuta alla mancata individuazione di un centro clinico di riferimento specializzato nella patologia in questione – con il conseguente aggravio psicologico e peggioramento dello stato di salute del paziente;
  2. il ritardo nella diagnosi che incide negativamente sulla prognosi;
  3. l’isolamento e la mancanza di conoscenze scientifiche e di informazioni sia sulla malattia, sia sulle leggi e i diritti esistenti;
  4. la mancanza di assistenza medica adeguata e di terapie riabilitative e psicologiche necessarie, tenuto conto della natura cronico-invalidante di gran parte delle malattie rare e dello sconvolgimento e destabilizzazione che l’esperienza della patologia comporta per il paziente e la famiglia;
  5. la difficoltà d’accesso al trattamento e alle cure, che riguarda sia la reperibilità-disponibilità di farmaci innovativi, ad alto o altissimo costo, specifici per una data malattia rara e già in commercio in Europa, sia, quando non vi sono terapie eziologiche specifiche, l’accesso ad altri possibili trattamenti;
  6. le forti diseguaglianze esistenti, a livello regionale e locale, nell’accesso alla diagnosi, alle terapie innovative e, più in generale, alle cure sanitarie e ai servizi sociali;
  7. i costi elevati dei trattamenti, complessivamente considerati, e la mancanza di misure di sostegno rispondenti ai bisogni di assistenza quotidiana e continuativa determinati dalla patologia, il cui carico ricade quasi interamente sul nucleo familiare, causandone l’impoverimento e spesso l’allontanamento dal mondo del lavoro;
  8. le condizioni precarie, di frequente percepite come gravi o gravissime, delle persone affette, anche dopo avere ottenuto la diagnosi;
  9. le conseguenze sociali pesanti per il paziente (stigmatizzazione, isolamento nella scuola e nelle attività lavorative, difficoltà di costruirsi una rete di relazioni sociali).

Con tutti i soldi che spendiamo e con tutti gli invalidi che abbiamo, questo ‘bollettino degli orrori’ avrebbe dovuto riguardare, da anni, la Corte dei Conti e l’Ordine dei Medici, oltre che la società civile tutta.
Tra l’altro, esisterebbe anche un ‘colpevole’ di tutta questa iattura: Rosy Bindi, presidente del Partito Democratico ed ex ministro della Salute, che ha emanato le disastrose leggi che abbiamo sulla salute mentale, sul servizio sanitario, sulla disabilità, sulle malattie rare (link).

Ma non finisce qui, è solo la punta dell’iceberg.

Infatti, il rapporto del Comitato Nazionale di Bioetica non racconta che:

  1. le malattie rare inserite nella lista delle patologie invalidanti sono solo cinque, a fronte di oltre 3.000 classificate;
  2. lo Stato Italiano ha accolto solo sulla carte le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Salute, emesse nel 1992, riguardo lavoro e disabilità, che si fondano sulla limitazione funzionale e non sulla classificazione della malattia od il danno biologico irreversibile;
  3. gran parte dei fantomatici Centri regionali per le Malattie Rare non sono mai stati istituiti o sono stati esternalizzati su strutture private in convenzione, solitamente cattoliche;
  4. spesso anche il semplice invio di campioni biologici – dato che nella Regione non si provvede o non si coordina – è a carico del malato. Il Coordinamento è inesistente;
  5. la gestione delle eventuali altre patologie non avviene in funzione della malattia rara che è la patologia primaria;
  6. chi deve sottoporsi a terapie continue percorre ordinariamente decine e decine di chilometri per cure infermieristiche o parainfermieristiche.

Peggio ancora se andiamo a vedere la situazione delle onlus.
Una realtà estremamamente parcellizzata, spesso fidelizzata da un centro medico o di ricerca, che così ottiene donazioni e mezzi a prescindere dal dato qualitativo o di eccelelnza, ma solo in base alla visibilità che l’associazione riesce ad ottenere. Basta avere tra i malati un personaggio famoso od influente per portare alle stelle un centro mediocre e viceversa.

Inoltre, una parte di queste associazioni esistono solo sulla carta, dato che assorbono gran parte delle donazioni per funzionare ed il resto finisce ‘per la ricerca’ o per ‘il centro sanitario’ od ‘il reparto’. Salvo alcune tipologie di malattie, per le quali è previsto l’accompagno e la contribuzione pubblica, non offrono servizi diretti ai malati: si è soli in ospedale, a casa, nei taxi o nelle ambulanze.
Addirittura, alcune diffondono informazioni sanitarie scorrette, anche tra quelle ‘validate’ o pubblicizzate dal ministero e dall’Istituto Superiore di Sanità.

Abbiamo speso milioni di euro per l’informazione tramite medici, associazioni e onlus, ma saranno forse migliaia quelli spesi per, almeno, contare i malati e sapere se e perchè non sono soddisfatti.
Davvero inspiegabile perchè ciò sia accaduto, se non si vuole pensare davvero a male.

Un problema confermato dal ‘Dossier in tema di malattie rare del 2008-2010, a cura di Cittadinanzattiva, Tribunale per i diritti del malato, Coordinamento nazionale associazioni malati cronici, che segnala:

  1. le difficoltà nel godere effettivamente dei benefici previsti dalla legge
  2. le forti differenze che si riscontrano tra regione e regione,
  3. più del 40% dei pazienti non ha spesso accesso ai farmaci indispensabili o ai farmaci per la cura delle complicanze.

Un Dossier, quello di Cittadinanzattiva e del Tribunale per i diritti del Malato, che però dimentica di dirci quanti sono i casi di malasanità od il numero dei contenziosi avviati dai malati e non ci spiega perchè queste potenti associazioni non diano assistenza legale alle vittime di malasanità, nè si lagnino di leggi e tribunali, che impiegano decenni per far giustizia e riparare il danno subito dal malato.
Di Class Actions, ad anni dalla legge che le consente, neanche a sentirne parlare, mentre i casi di malasanità registrati dalle compagnie che assicurano medici e ospedali ammonterebbero a centomila annui, Figuriamoci quanti sono quelli, minimi od eclatanti, per cui v’è rassegnazione e non li si denuncia.

Secondo Il Sole 24 ore “Focus sanità” del 11-17 Novembre 2008, l’inadeguatezza sanitaria e il mancato accesso ai diritti, ovvero ‘costi e disagi, determinerebbero la rinuncia alle cure da parte di 1 paziente su 4 a cui andrebbe aggiunto un 37% che desiste per gli ostacoli burocratici’, che evidentemente vengono posti dai diversi ospedali e ASL.

Altri studi hanno rilevato che:

  1. il 57,9% dei pazienti è costretto a sostenere personalmente le spese della terapia con una spesa annua che va da un minimo di 800 euro a un massimo di 7.000 (studio del 2008 del Tribunale dei diritti del malato);
  2. per molti genitori far fronte ai bisogni assistenziali significa peggiorare la propria condizione lavorativa, se non interromperla (Studio pilota ISFOL13)
  3. tra le famiglie partecipanti allo studio molte versano in condizioni reddituali assai basse e quasi il 20% è stato costretto a ricorrere a prestiti finanziari, per far fronte alla gestione della malattia.

E’, dunque, un eufemismo parlare di Malasanità, quando si ha a che fare con un malato raro italiano. Dovremmo parlare di martiri.

Alle domande ‘di repertorio’ vanno ad aggiungersene altre due, rivolte alla nostra classe medica:

  1. come può l’Ordine dei Medici non pretendere un repulisti e far giustizia per i malati, se 370.000 dei malati rari (il 37% di quelli noti) rinuncia alle cure, per altro dovutegli gratuitamente, o se le norme in materia sono inconcludenti, inadeguate, omissive? E se non i sanitari, come può la Magistratura e l’Istituto Superiore di Sanità non intervenire?
  2. quale è il grado di conoscenza delle malattie rare, delle procedure sanitarie e delle leggi a riguardo, da parte sia dei medici in servizio sia soprattutto di quelli che si sono laureati in questo decennio e sono ‘figli del disastro’?

Quanto al resto, inutile chiedersi quanti soldi abbiamo buttato in questi dieci anni ed in quali tasche siano finiti … i dirigenti son tutti medici o giù di lì.

Leggi anche ‘Sanità: basta sprechi sulla pelle dei malati

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