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Salute: l’effimero programma di Calenda

26 Lug

Carlo Calenda ha presentato la sua proposta per la Sanità in vista delle elezioni e forse mai s’è vista una tale serie di idee tanto belle quanto impossibili, se non si affrontano i problemi alla base.

Le promesse? Assunzioni, specializzazioni, assistenza territoriale, subentro dello Stato per i LEA, telemedicina, aumenti salariali, tutto pubblico e meno mutue in base ai “bisogni sanitari dei prossimi anni”

Purtroppo, Calenda e i suoi ‘repubblicani’ dimenticano innanzitutto che:
– la “programmazione dei bisogni sanitari dei prossimi anni” verte innanzitutto sulle risorse umane disponibili oggi che quasi la metà delle strutture sanitarie non ha ancora comunicato i propri organigrammi all’Agenzia nazionale e le statistiche Istat risalgono al 2013
– le assunzioni che ‘scalpitano’ non sono delle professioni e delle specialità che servirebbero riprogrammando il tutto, ma quelle dei contratti a termine che si reiterano da anni senza un piano strutturale
– l’assistenza territoriale è inevitabilmente carente se un territorio è cresciuto senza urbanistica, centralità e viabilità, mentre diventa un ghetto dove le case popolari concentrano indigenti, sottoccupati e invalidi
– i livelli assistenziali essenziali per i malati cronici sono solo una parte di quel che manca come assistenza specialistica, per i ‘fragili’ manca addirittura la definizione e saranno un paio di milioni, per i rari che sono 4-5 milioni manca almeno l’80% dei Presidi legiferati 20 anni fa
– la formazione alla telemedicina e alle tecnologie digitali richiede un aggiornamento tecnico-scientifico delle lauree in medicina e in biologia oltre ad una profonda revisione del ruolo delle associazioni 5xmille
– gli aumenti salariali per i sanitari comporterebbero automaticamente quelli di un milione di docenti, ormai alla fame, pur essendo laureati e specializzati anche loro.

Peggio ancora, i ‘repubblicani’ per Calenda dimenticano anche che:

– la riforma della medicina di base – attualmente privatizzata, ebbene sì – è essenziale e prioritaria per ristrutturare il Sistema Sanitario come serve, a partire dalla geriatria per gli over65,
– il diritto all’assistenza domiciliare va preferito al destinare anziani autosufficienti in una RSA con maggiori costi erariali,
– anche i malati ‘orfani’ (quelli senza diagnosi) avrebbero diritto in ogni Regione ad avere un Centro di riferimento nella speranza di una cura almeno palliativa, cosa che oggi esiste solo in una città
– va garantito il diritto ad avere servizi ‘pro soluto’ (scelta) per gli assicurati che sono costretti a riferirsi al sistema pubblico, perchè solo lì sono erogati i farmaci di cui ha bisogno, sperimentali od off label
– il diritto a rivolgersi fuori regione con rimborso integrale delle spese è negato in molte regioni che hanno eliso con disagi e aggravi enormi per le malati di patologie rare e/o orfane, cioè poco conosciute
– la riforma del III Settore a cui esternalizziamo fior di servizi è incompleta, in quanto le associazioni non sono enti pubblici, ancora mancano i controlli come per tutte le entità fiscali e, soprattutto, rappresentano solo l’interesse privato dei loro soci.

Insomma, va bene che si sa già che le elezioni andranno perse, ma i ‘repubblicani’ per Calenda farebbero bene ad informarsi di più, prima di proporre.
Magari, anche dare un’occhiata ai dati Istat, chiedendosi come mai … le proposte di +Europa quasi mai vengono prese in considerazione da tecnici, esperti e mediatori.

Soprattutto, ricordare che i malati cronici tutti sono più o meno parzialmente degli ‘invalidi’, per questo da tempo si parla di settore sociosanitario e non di ‘sanità’, quando ci si riferisce … alla Salute.

A.G.

Elezioni, referendum e l’astensione degli esclusi

12 Ago

E’ difficile immaginare che il 36% dell’elettorato italiano (43% a Roma) uscirà di casa per votare: sono gli over65, infamati e rottamati.

E’ il popolo delle RSA ‘a porte aperte’, degli ambulatori ‘chiusi per Covid’ e dei luoghi per gli ‘anziani’ che non ci sono. Il popolo di quelli che gli lesinano 30 euro sulla pensione, ma poi li regalano alle partite Iva.
E sono quelli che si sentono sicuri con i lockdown locali, anzichè attendere quello nazionale, e che potrebbero uscire e frequentare amici, se i ‘giovani’ evitassero assembramenti e usassero le mascherine e se i Sindaci intervenissero. 

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Del resto, se sono dieci anni che Casaleggio, Di Maio, Salvini, Zingaretti, Renzi pretendono e propagandano la cancellazione del ceto politico nato prima degli Anni ’70, prima o poi doveva accadere che l’elettorato si spaccasse trasversalmente alle generazioni.
E l’Emergenza Covid voluta da Conte nei modi che conosciamo li ha del tutto cancellati dal lavoro e dalla vita sociale: invalidi, malati cronici, anziani, congiunti di malati fragili eccetera.

Dunque, la percezione generale già a partire dai nostri cinquantenni è quella di una scena politica okkupata da una generazione di ‘giovani’ parvenus senz’arte nè parte, affamata solo di poltrone e potere.

Inoltre, ci perdonino i ‘giovani del cambiamento’, ma il repulisti e le riforme promesse non si vedono all’orizzonte. Anzi, si ritorna a ‘soluzioni’ legislative di era fascista, come la ‘tessera’ del pane oggi ‘reddito’ o ‘bonus’, e come la ‘nazionalizzazione’ e la ‘cassa integrazione’ con cui DC+PCI devastarono l’occupazione italiana.

Intanto, la disperazione a cui ci ha portato il malgoverno locale potrebbe indurre tanti a seguire quel candidato/a che si presenti come ‘uomo del destino’, il ‘salvatore’ che inconsciamente attendono, mettendosi … nelle mani di qualche ennesimo ‘giovane’ privo di requisiti, ma desideroso di poltrone.

Le elezioni amministrative si svolgeranno con alcune anomalie: un paio di generazioni ne sono escluse a priori, un’altra vi si sostituisce per mera assenza di contendenti, quella emergente aspetterà in eterno. 

Se davvero i partiti italiani vogliono governare la transizione e l’innovazione, permettendo allo Stato e alle Regioni di uscire dal deficit e dal declino, troveremo in lista tra i candidati di punta dei 60enni esperti, dei 50enni operativi, dei 40enni in carriera, dei 30enni di talento.
Se, come oggi in Parlamento, dovessimo ritrovarci quasi esclusivamente con under50 in carriera, è presto detto: gli anziani sono del tutto esclusi e può starci una riduzione dei parlamentari del 30%.

Il referendum? Beh … con i ‘giovani 40enni’ che non hanno fatto figli, tra 2-4 legislature gli elettori saranno la metà di oggi e gli over60 – ‘dovendo morire’ – sono esclusi già oggi:  a cosa servono tanti parlamentari come ora?
Anzi, perchè non dimezziamo consiglieri regionali e comunali, che sono oltre centomila?

Il tutto senza parlare della convinzione – ormai abbastanza diffusa anche tra i più giovani – che la generazione degli Anni ’70 italiani rimasta priva dei milioni di ‘eccellenze tecniche’ traslocate all’estero sia oggi davvero poco adeguata alla governance, essendolo già stata verso il lavoro e verso l’istruzione.

Demata

Sistemi Sanitari Regionali: diritti civili e sociali negati, spesa e bilanci in rosso. Come ripartire?

15 Apr

Ogni mese di lock out che passa sono milioni le visite specialistiche e gli accertamenti bio-diagnostici che non hanno luogo. 
Considerato che i ricoveri sono limitati alle urgenze e che le aziende ospedaliere continuano a pagare stipendi e fornitori, c’è una fetta di sistema sanitario che al momento è ‘improduttivo’ e che comunque non potrà recuperare milioni di visite e controlli andati ‘sospesi’.

Tra questi i servizi destinati – di routine e sul territorio, in teoria – ad oltre dieci milioni di assistiti cronici, rari, pediatrici, geriatrici.

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Infatti, le norme già da anni disgiungono questi servizi essenziali da quelli collocati presso i centri ospedalieri, specie quelli maggiori ai quali di norma andrebbero i casi gravi o irrisolti.

E, del resto, far ripartire la Sanità non è possibile puntando sui grandi policlinici che – oltre tutto – sono in prima linea per il Covid-19, in attesa che si creino strutture dedicate.

Ma è certamente possibile quanto opportuno che la ‘normalità’ ricominci nei territori (cioè dalle ASL), specie dove il Sistema Sanitario e la Società civile hanno ben tenuto di fronte a questa prima ondata di pandemia.

Una normalità che è fatta di alcune informazioni banali che ancora non conosciamo.

Innanzitutto, quali sono i criteri sintomatici per cui si ha diritto ad un tampone ed eventualmente al ricovero? Se esistono, dovrebbero essere pubblici.

Inoltre, quanti mesi saranno necessari per organizzare:

  1. Ambulatori territoriali per i Livelli Essenziali di Assistenza dei malati cronici
  2. Presidi territoriali per i Percorsi Terapeutici Assistenziali dei malati rari
  3. Ambulatori territoriali di Assistenza Pediatrica per i minori di anni 12
  4. Poliambulatoriali territoriali Geriatrici per gli anziani
  5. Centri diurni per pazienti psichiatrici
  6. Sistemi di prenotazione e pagamento a distanza, senza code e sale d’attesa?

Secondo buon senso e secondo norma, da molto tempo bisognava decentrare tanti servizi che sovraccaricano policlinici e facoltà mediche.

Allo stesso modo, piacerebbe a tutti che la Sanità italiana sia dotata con la massima urgenza di un software nazionale che renda obbligatoria e omogenea … la prenotazione delle prestazioni, la registrazione clinica elettronica, il consulto certificato ma a distanza, la prescrizione farmacologica telematica e pure il tracciamento di oltre 100 miliardi di euro dei contribuenti che servono per la nostra salute.

E bene ricordare che, ai sensi della lett. m) dell’art. 117, comma 2, della Cost., lo Stato ha legislazione esclusiva per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale.

Cartella clinica elettronica, LEA e PDTA sono già legge e sono già stati ampiamente concertati tra Stato e Regioni; almeno con il Covid-19 ed il lock out infinito che ci aspetta, cosa fanno il Governo nazionale e le Giunte regionali per far ripartire l’economia ed il Paese se al primo starnuto siamo senza livelli essenziali, niente diritti civili e sociali, tra cui in primis quello alla salute?

Demata

Malati rari: tutto quello che non facciamo

23 Mar

Dove saremmo  se – invece di politica e diritti – in questi anni, riguardo le malattie rare (> 400.000 carrier nel solo Lazio) – ci fossimo  semplicemente chiesti (funzionari, malati, associazioni e quant’altro):

  • quanti sono i carrier per codici di esenzione, quali invalidi sotto il 45- 66-74%, quanti sono ‘attivi’  ad elevata frequenza (cure mensili o settimanali) e quali a bassa (2-3 volte l’anno)
  • quanti sono diagnosticati da un effettivo centro interregionale (o quello che sarà) e quanti effettivamente in carico con protocollo specifico presso un ospedale generale,
  • quanti hanno profili di urgenza medica, quanti hanno un pronto soccorso di riferimento
    quali sono le patologie secondarie per macrotipologie rispetto la malattia rara e congenita e quali sono invalidanti o disfunzionalizzanti o degenerative eccetera
  • quale % dei fondi SSN viene saldato entro l’anno solare dal ministero e quanti dalla Regione, quanti ad un anno, a due, a tre eccetera
  • quali verifiche vengono fatte affinchè non vengano prescritti in esenzione farmaci afferenti ad altre patologie … che dovrebbero pagare le Regioni
  • dove si collocano statisticamente i carrier attivi per codice di esenzione, ASL di residenza e presidio sanitario di cura

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Quel che avremmo scoperto – indagando sulla Realtà in vece di ipotizzarre ‘diritti’ – non è poco:

  • c’era da creare una infrastruttura sanitaria (regioni) e del welfare (comuni) ovvero che i Sindaci ci devono mettere la faccia per poliambilatori e servizi domiciliari, ma non per i tagli ai reparti, ed i grandi burocrati devono assumersi le loro responsabilità di una azione ‘dall’alto’ (infrastrutture, standard, accesso, trasparenza, telematica, eccetera)
  • senza sapere chi e cosa curare – trattandosi di cronici siamo su archi ultradecennali – non si dovevano neanche fare ristrutturazioni aziendali e concorsi e, sapendo che il futuro è delle malattie rare, da anni dovevano prevedere delle drastiche riduzioni di cardiologi e gastroenterologi dato che ipertensioni e reflussi sono da geriatra e non servono interi reparti e cattedre per questo
  • nessun caso è singolo e nessuna anomalia è fine a se stessa, superata l’emergenza mica è finito tutto: bisogna pianificare e realizzare una normalità imparando dagli errori (ovvero monitorandoli e rammentandoli): è del tutto malsano risolvere casi spot sull’onda di emergenze e scandali non per tre mesi ma per 20 anni, con commissariamenti all’infinito e tavoli tecnici caotici che servono solo a chi non vuol fare o deve ‘deviare’
  • le nuove scoperte biomedicofarma rendevano ben chiaro già 15-20 anni fa che ci sarebbero stati solo policlinici e case di cura /presidi poliambulatoriali, come i medici di base avrrebbero dovuto associarsi con pediatri, geriatri, fisioterapisti eccetera per reggere i costi degli immobili, delle certificazioni e delle manutenzioni, della clinica e della telematica: di sicuro non esisteva nelle premesse un modello in cui il pubblico offre solo ‘grandi ospedali’ e ‘infimi ambulatori’ mentre il resto è esternalizzato a privati o peggio (il welfare, il welfare!) a onlus di bassissimo livello
  • non tutti i medici possono essere assorbiti dal sistema pubblico, anzi. E sarebbe ora che qualcuno glielo spiegasse se … non accadesse che ogni dirigente od ogni politico che chiude o modifica un presidio si ritrova puntualmente sui giornali o, peggio, il numero chiuso e i test di accesso alle facoltà mediche appaiono a tante famiglie dei candidati (respinti) una bizarria italiota … con santa pace di troppi inutili occupati …

    E con quei dati – che tra l’altro Corte dei Conti, MEF e Unione Europea potrebbero anche pretendere – avremmo anche le soluzioni a portata di mano  …

    Dunque, il problema non è solo la politika, ma anche il ‘popolo’ ha il suo ruolo in questo scempio, e la soluzione si chiama ‘teknica’. Siamo disposti a parlare di standard oltre che di diritti? A ben vedere i primi sono cosa certa, i secondi solo enunciazioni di principio …

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Giornata Mondiale per le Malattie Rare e … manco ce ne siamo accorti

2 Mar

Il 28 febbraio di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare e la cappa di ‘assordante silenzio mediatico’ sui misfatti dell’attuale Governo è tale che l’evento sia passato pressochè inosservato.

Parlare di malati rari signifia parlare di Sanità e, a riguardo, il primo pensiero che ci sovviene corre a quel Lazio commissariato da quasi una generazione, oggi nelle mani di Nicola Zingaretti, che nella giunta annovera persino Teresa Petrangolini di Cittadinanza Attiva e che dovrebbe – dunque – rappresentarsi come fulgido esempio di trapsarenza ed efficienza.

Come vanno le cose in Italia?

Secondo un recente report del Comitato Nazionale di Bioetica le malattie rare comportano situazioni molto gravose per il milione di italiani che ne è ufficilamente affetto, a fronte di forse due milioni di persone che ancora attendono una diagnosi.

Il tutto accade non tanto per le patologie in se, per altro spesso gravi e croniche, quanto per l’assoluta fatiscenza del nostro Sistema Sanitario Nazionale e gli sprechi del nostro Sistema Sanitario Regionale, oltre al disinteresse profondo dei politici, della classe medica e dei funzionari preposti.

Secondo il report, infatti, le problematiche individuali e familiari dei malati riguardano principalmente:

  1. la difficoltà, o l’impossibilità, di accedere alla diagnosi corretta – dovuta alla mancata individuazione di un centro clinico di riferimento specializzato nella patologia in questione – con il conseguente aggravio psicologico e peggioramento dello stato di salute del paziente;
  2. il ritardo nella diagnosi che incide negativamente sulla prognosi;
  3. l’isolamento e la mancanza di conoscenze scientifiche e di informazioni sia sulla malattia, sia sulle leggi e i diritti esistenti;
  4. la mancanza di assistenza medica adeguata e di terapie riabilitative e psicologiche necessarie, tenuto conto della natura cronico-invalidante di gran parte delle malattie rare e dello sconvolgimento e destabilizzazione che l’esperienza della patologia comporta per il paziente e la famiglia;
  5. la difficoltà d’accesso al trattamento e alle cure, che riguarda sia la reperibilità-disponibilità di farmaci innovativi, ad alto o altissimo costo, specifici per una data malattia rara e già in commercio in Europa, sia, quando non vi sono terapie eziologiche specifiche, l’accesso ad altri possibili trattamenti;
  6. le forti diseguaglianze esistenti, a livello regionale e locale, nell’accesso alla diagnosi, alle terapie innovative e, più in generale, alle cure sanitarie e ai servizi sociali;
  7. i costi elevati dei trattamenti, complessivamente considerati, e la mancanza di misure di sostegno rispondenti ai bisogni di assistenza quotidiana e continuativa determinati dalla patologia, il cui carico ricade quasi interamente sul nucleo familiare, causandone l’impoverimento e spesso l’allontanamento dal mondo del lavoro;
  8. le condizioni precarie, di frequente percepite come gravi o gravissime, delle persone affette, anche dopo avere ottenuto la diagnosi;
  9. le conseguenze sociali pesanti per il paziente (stigmatizzazione, isolamento nella scuola e nelle attività lavorative, difficoltà di costruirsi una rete di relazioni sociali).

Con tutti i soldi che spendiamo e con tutti gli invalidi che abbiamo, questo ‘bollettino degli orrori’ avrebbe dovuto riguardare, da anni, la Corte dei Conti e l’Ordine dei Medici, oltre che la società civile tutta.
Tra l’altro, esisterebbe anche un ‘colpevole’ di tutta questa iattura: Rosy Bindi, presidente del Partito Democratico ed ex ministro della Salute, che ha emanato le disastrose leggi che abbiamo sulla salute mentale, sul servizio sanitario, sulla disabilità, sulle malattie rare (link).

Ma non finisce qui, è solo la punta dell’iceberg.

Infatti, il rapporto del Comitato Nazionale di Bioetica non racconta che:

  1. le malattie rare inserite nella lista delle patologie invalidanti sono solo cinque, a fronte di oltre 3.000 classificate;
  2. lo Stato Italiano ha accolto solo sulla carte le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Salute, emesse nel 1992, riguardo lavoro e disabilità, che si fondano sulla limitazione funzionale e non sulla classificazione della malattia od il danno biologico irreversibile;
  3. gran parte dei fantomatici Centri regionali per le Malattie Rare non sono mai stati istituiti o sono stati esternalizzati su strutture private in convenzione, solitamente cattoliche;
  4. spesso anche il semplice invio di campioni biologici – dato che nella Regione non si provvede o non si coordina – è a carico del malato. Il Coordinamento è inesistente;
  5. la gestione delle eventuali altre patologie non avviene in funzione della malattia rara che è la patologia primaria;
  6. chi deve sottoporsi a terapie continue percorre ordinariamente decine e decine di chilometri per cure infermieristiche o parainfermieristiche.

Peggio ancora se andiamo a vedere la situazione delle onlus.
Una realtà estremamamente parcellizzata, spesso fidelizzata da un centro medico o di ricerca, che così ottiene donazioni e mezzi a prescindere dal dato qualitativo o di eccelelnza, ma solo in base alla visibilità che l’associazione riesce ad ottenere. Basta avere tra i malati un personaggio famoso od influente per portare alle stelle un centro mediocre e viceversa.

Inoltre, una parte di queste associazioni esistono solo sulla carta, dato che assorbono gran parte delle donazioni per funzionare ed il resto finisce ‘per la ricerca’ o per ‘il centro sanitario’ od ‘il reparto’. Salvo alcune tipologie di malattie, per le quali è previsto l’accompagno e la contribuzione pubblica, non offrono servizi diretti ai malati: si è soli in ospedale, a casa, nei taxi o nelle ambulanze.
Addirittura, alcune diffondono informazioni sanitarie scorrette, anche tra quelle ‘validate’ o pubblicizzate dal ministero e dall’Istituto Superiore di Sanità.

Abbiamo speso milioni di euro per l’informazione tramite medici, associazioni e onlus, ma saranno forse migliaia quelli spesi per, almeno, contare i malati e sapere se e perchè non sono soddisfatti.
Davvero inspiegabile perchè ciò sia accaduto, se non si vuole pensare davvero a male.

Un problema confermato dal ‘Dossier in tema di malattie rare del 2008-2010, a cura di Cittadinanzattiva, Tribunale per i diritti del malato, Coordinamento nazionale associazioni malati cronici, che segnala:

  1. le difficoltà nel godere effettivamente dei benefici previsti dalla legge
  2. le forti differenze che si riscontrano tra regione e regione,
  3. più del 40% dei pazienti non ha spesso accesso ai farmaci indispensabili o ai farmaci per la cura delle complicanze.

Un Dossier, quello di Cittadinanzattiva e del Tribunale per i diritti del Malato, che però dimentica di dirci quanti sono i casi di malasanità od il numero dei contenziosi avviati dai malati e non ci spiega perchè queste potenti associazioni non diano assistenza legale alle vittime di malasanità, nè si lagnino di leggi e tribunali, che impiegano decenni per far giustizia e riparare il danno subito dal malato.
Di Class Actions, ad anni dalla legge che le consente, neanche a sentirne parlare, mentre i casi di malasanità registrati dalle compagnie che assicurano medici e ospedali ammonterebbero a centomila annui, Figuriamoci quanti sono quelli, minimi od eclatanti, per cui v’è rassegnazione e non li si denuncia.

Secondo Il Sole 24 ore “Focus sanità” del 11-17 Novembre 2008, l’inadeguatezza sanitaria e il mancato accesso ai diritti, ovvero ‘costi e disagi, determinerebbero la rinuncia alle cure da parte di 1 paziente su 4 a cui andrebbe aggiunto un 37% che desiste per gli ostacoli burocratici’, che evidentemente vengono posti dai diversi ospedali e ASL.

Altri studi hanno rilevato che:

  1. il 57,9% dei pazienti è costretto a sostenere personalmente le spese della terapia con una spesa annua che va da un minimo di 800 euro a un massimo di 7.000 (studio del 2008 del Tribunale dei diritti del malato);
  2. per molti genitori far fronte ai bisogni assistenziali significa peggiorare la propria condizione lavorativa, se non interromperla (Studio pilota ISFOL13)
  3. tra le famiglie partecipanti allo studio molte versano in condizioni reddituali assai basse e quasi il 20% è stato costretto a ricorrere a prestiti finanziari, per far fronte alla gestione della malattia.

E’, dunque, un eufemismo parlare di Malasanità, quando si ha a che fare con un malato raro italiano. Dovremmo parlare di martiri.

Alle domande ‘di repertorio’ vanno ad aggiungersene altre due, rivolte alla nostra classe medica:

  1. come può l’Ordine dei Medici non pretendere un repulisti e far giustizia per i malati, se 370.000 dei malati rari (il 37% di quelli noti) rinuncia alle cure, per altro dovutegli gratuitamente, o se le norme in materia sono inconcludenti, inadeguate, omissive? E se non i sanitari, come può la Magistratura e l’Istituto Superiore di Sanità non intervenire?
  2. quale è il grado di conoscenza delle malattie rare, delle procedure sanitarie e delle leggi a riguardo, da parte sia dei medici in servizio sia soprattutto di quelli che si sono laureati in questo decennio e sono ‘figli del disastro’?

Quanto al resto, inutile chiedersi quanti soldi abbiamo buttato in questi dieci anni ed in quali tasche siano finiti … i dirigenti son tutti medici o giù di lì.

Leggi anche ‘Sanità: basta sprechi sulla pelle dei malati

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Cinque Stelle: dagli ospedali nel Lazio scappa chi può

14 Feb

Secondo le elaborazioni statistiche della Task Force Sanità del Gruppo Consiliare Movimento Cinque Stelle della Regione Lazio, nella ASL RMB il 44% dei pazienti ricoverabili presso l’Ospedale Sandro Pertini ed il 38% di quelli del Policlinico di Tor Vergata rifiutano il ricovero volontariamente, mentre il primo indirizza ad altra struttura per inapacità ricettiva il 13,5% dei pazienti ed il secondo il 125% …
Inoltre, a fronte di oltre 250.000 malati cronici, solo il 26% della popolazione residente nella ASL RMB fa ricorso ai pronti soccorsi di questa Asl, il resto vanno altrove o … evitano del tutto.

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Va meglio nella ASL RMA, che copre il 10% degli accessi regionali totali, ma – comunque – accade che “circa il 43% della popolazione cronica si rivolga impropriamente al pronto soccorso. Pertanto l’assorbimento da parte dell’assistenza territoriale è migliore rispetto ad altre asl, ma comunque insufficiente per risolvere il completo e corretto programma assistenziale dedicato a queste patologie”. E dire che parliamo anche e soprattutto del Policlinico Umberto I e dell’Università La Sapienza …

Peggio, almeno secondo la vox populi, la ASL di Latina dove “dei circa 50 mila pazienti che necessitano di ricovero ben 15 mila si rifiutano spontaneamente di accedere presso i reparti ospedalieri” o la ASL di Viterbo, se “l’Ospedale di Acquapendente … annovera soltanto il 12% tra codici rossi e gialli” oppure la ASL di Rieti, dove andrebbe tutto bene, se non fosse per l’elevata mobilità passiva, ovvero che … tanti vanno altrove.

Nella Roma C capita, poi, che ognuno dei circa  100.000 malati cronici residenti (il il 50% del totale) si rivolga al Pronto soccorso almeno una volta all’anno di media, escludendo l’ortopedia. Presso l’Ospedale Sant’Eugenio il 38% dei ricoverabili rifiuta volontariamente il ricovero e nella ASL tutta “quasi il 10% dei pazienti che fanno accesso al PS rinuncia volontariamente al ricovero” e “l’11% dei ricoverabili viene mandato in altre strutture per assenza di posti letto”.

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Nella ASL RMD, solo nell’Ospedale Grassi “ben 4300 pazienti su un totale di circa 13 mila ricoverabili decide di ricorrere ad altra struttura. Tra questi circa 2500 vengono mandati via per assenza di posti letto”.

Nella RME, viceversa, “l’80% della popolazione residente ricorre ogni anno ai pronto soccorso” e “la maggior parte degli accedenti ai PS non è residente”. Inoltre, “gli ospedali accreditati quali il Gemelli, il Fatebenefratelli, il Cristo Re e l’Aurelia Hospital … tendono ad accentuare la propensione al ricovero” con “un’anomalia nell’incidenza dei pazienti potenzialmente curabili presso il territorio (valori molto al di sotto della media) e parimenti un incremento del tasso dei ricoverati rispetto alla popolazione media che si presenta al Pronto soccorso. A fronte di una media di ricoverati rispetto agli accessi pari a circa il 15%, in tali ospedali la media si avvicina al 30%, malgrado l’incidenza dei codici rossi e gialli sia comunque spesso inferiore al 10%. In tal caso si presume si debba valutare l’appropriatezza dei ricoveri.” Come anche, sempre riguardo la RME, resta un mistero perchè “gli ospedali con maggiore propensione al ricovero presentano bassissimi tassi sia legati all’incapacità ricettiva e sia legati al rifiuto volontario del ricovero, mentre ospedali come il S. Andrea con una bassa propensione al ricovero è costretto ad inviare i propri ricoverabili presso altre strutture” …

Andando alla ASL RMF, dei circa 120 mila pazienti cronici “sembra che solo una piccola quota si rivolge al pronto soccorso” e anche quanti “si rivolgono impropriamente al pronto soccorso preferiscono comunque farlo presso altre ASL”. A Bracciano il 44% dei ricoverabili rifiuta il ricovero, a Civitavecchia il 30% circa.
Idem per la RMG, dove “soltanto il 29% della popolazione residente si rivolge ai pronto soccorso di questa Asl” e dove “il rapporto dei cronici che si rivolgono impropriamente al pronto soccorso è piuttosto alto (62%)”. L’Ospedale Angelucci vede il 45% dei pazienti che rifiuta il ricovero, il S.S. Gonfalone il 40% e, come per la ASL RME, vediamo “ospedali sottodimensionati in termini di posti letto malgrado abbiano una modesta propensione al ricovero. Paradossalmente le strutture private con alta propensione al ricovero non necessitano di posti letto.”

Fanalino di coda la RMH le cui strutture pubbliche “presentano gli indicatori negativi riferiti ad attrattività e accessibilità peggiori di tutta la regione”.

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Se non fosse per qualche zona d’italia ancor più disastrata, disastrosa e declinante, Roma e il Lazio potrebbero meritarsi la ‘maglia nera’ del management sanitario.

Infatti, i Cinque Stelle – alla stregua di tanti malati cronici che si battono da anni per i propri diritti ‘vitali’ – chiedono che anche la Sanità romana preveda la “obbligatorietà di avvio del percorso terapeutico dell’assistito e della relativa presa in carico appena questo si presenta impropriamente al pronto soccorso per patologie legate alla cronicità”.
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A che serve commissariare una Regione per quasi 15 anni ininterrottamente, se questo significa soltanto estraniare la Sanità pubblica dal dibattito politico per buttarla in cavalleria? .
Intanto, una parte di quei su detti malati, ogni tanto, muore.
originale postato su demata

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Pensioni: tutto quello che Tito Boeri (non) farà

30 Dic

Arriva il ‘compagno’ Boeri al timone dell’Inps e il primo ‘fatto’ è che a partire dal 2016 saranno necessari 4 mesi in più per andare in pensione.
Non che sia ‘colpa’ sua, dipende tutto da automatismi determinati da Elsa Fornero anni fa: secondo le statistiche Istat sono aumentate le probabilità che un uomo e una donna di 65 anni d’età hanno di continuare a vivere.

Una formula ‘geniale’ che verte sulla stramba idea che un sessantenne, sapendo di poter vivere fino a 85 anni anzichè fino a 78, diventi automaticamente longevo e resti efficiente, resistente e ‘innovabile’ sul lavoro come se ne avesse cinquanta.
Il tutto senza considerare un grave errore di metodo, visto che chi ha sottoposto l’atto ai ministri di competenza, non sembra aver segnalato che … almeno un terzo dei lavoratori over55 attuali risulta essere, per la stessa Istat, in condizioni di salute non buone e – specie se protrarranno l’atteso pensionamento – di sicuro hanno una aspettativa in vita inferiore alla media … oltre a costare di più per il nostro sistema sanitario.

Dunque, la prima mission di Tito Boeri dovrebbe essere quella di arrestare un meccanismo così palesemente errato, iniquo e pregiudiziale, oltre che prima causa di recessione, disoccupazione giovanile eccetera eccetera.
Dove trovare le risorse è compito del governo e non dell’Inps, dato che fu un altro governo (e parlamento) a cominare un tale pasticcio.

Se i denari deve metterli in governo, è viceversa di Tito Boeri l’onere e il privilegio di abrogare quanto prima possibile una norma Inps particolarmente iniqua: quella che – dal 2010 – limita gli scivoli pensionistici SOLO a partire dalla data di riconoscimento da parte dell’Inps, che spesso avviene dopo anni ed anni e solo a seguito di lunghi preregrinare e dure battaglie legali – e non a partire dalla effettiva sintomaticità /diagnosi – per i malati rari cui sia riconosciuta la gravità e l’invalifità superiore al 74%, mentre per altre malattie congenite più diffuse resta la opzione automatica per il pieno diritto alla pensione anticipata di cinaue anni.
Una bella carognata a danno di malati rari (che in totale sono però milioni) dei quali le statistiche raccontano sia gli anni di ritardo nel pervenimento a diagnosi sia le difficoltà diffuse – specie a sud della Toscana – nel ottenere l’accesso alle cure.

Dunque, sarà facile capire se Tito Boeri è l’uomo giusto al posto giusto.

La mossa successiva?
Battere cassa al governo per il ‘rientro’ di almeno parte dei 45 miliardi e passa di euro di cui l’ex Inpdap si è esposto a copertura delle pensioni d’oro delle casse delle alte dirigenze (2008), ad ‘anticipazione’ della spesa sanitaria delle Regioni (2009-2011), oltre a quanto carente come contribuzione del datore di lavoro (sic!).
Sbloccare alcuni diritti essenziali dei lavoratori gravemente malati e … almeno collocare le pensioni d’oro in un fondo apposito, gestito dai sindacati e del tutto scorporato dall’Inps … con tanta fortuna per tutti, amen.

Solo così ci saranno le risorse per un reddito di cittadinanza da 900 euro lordi (6-700 netti a seconda dei tributi locali), che è la via giusta per combattere lavoro nero, mafie e declino e per sostenere la microeconomia, la flessibilità occupazionale, la formazione permanente, la crescita e i consumi, le fasce sociali più esposte (famiglie monogenitoriali, anziani, invalidi).
Solo così ci saranno i denari per introdurre norme pensionistiche analoghe a quelle che garantiscono il turn over generazionale, ovvero l’innovazione e la crescita nei consumi, nelle infrastrutture, negli stili di vita e nel benessere.
Damiano aveva ragione, Fornero no: gli esperti e i lobbisti europei potranno dire quel che vogliono, qui da noi tra un po’ lo insegneremo anche alle elementari.

La questione non è se Tito Boeri sia un galantuomo, tutto lascia credere che lo sia, ma se avrà la forza di ottenere dal governo e dal parlamento un centinaio di miliardi di euro per risanare, riformare e sbloccare l’Istituto nazionale di previdenza sociale, che sarebbero comunque spiccioli rispetto ai quattrini che con Mario Monti e Enrico Letta abbiamo profuso per salvare banche, casse e compagnie aeree.

Per ora Matteo Renzi ha posto il veto a tutto questo nel discorso di fine anno, perchè convinto che il suo governo durerà fino al 2018 se riuscirà ad evitare la scissione del Partito Democratico.

Ma per capire da che parte vanno gli italiani, CGIL e UIL o i ‘dissidenti del Pd’ che continuassero ad opporsi a qualunque intervento sul ‘lavoro’ (e sulle pensioni o il welfare), come i Cinque Stelle che continuano dopo due anni a non star nè di qua nè di là, potrebbero prendere atto che gli scioperanti ‘generali’ di due settimane fa erano in totale meno della metà degli elettori di Salvini e Meloni … che messi insieme non sono ormai troppo lontani dai numeri che contano.

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Sanità USA: Obama, che vergogna!

13 Dic

Gli ospedali USA potranno negare l’assistenza agli anziani e malati cronici, per evitare le multe che Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Mr. President, promette.

Incredibile, ma vero, la riforma di Barak Obama prevede che gli ospedali che riammettono i pazienti entro 30 giorni dopo che erano stati dimessi dovranno ora, in forza di una disposizione dell’Obamacare, pagare multe, che potrebbero costringere gli ospedali di tagliare i programmi che aiutano gli anziani, i poveri ed i malati cronici, che spesso ritornano in corsia dopo breve tempo.

Secondo uno studio di settore, “circa i due terzi degli ospedali che servono i pazienti Medicare, circa 2.200 strutture, saranno colpiti con sanzioni medie di circa 125 mila dollari per impianto durante il prossimo anno.”

Inutile spiegare a noi europei che questa disposizione è stata inserita in Obamacare come ‘equa’ misura di riduzione dei costi, ma, di fatto, costringerà gli ospedali per dare a poveri, anziani e malati cronici un’assistenza non adeguata.

I più colpiti saranno i grandi policlinici universitari a causa del fatto che questi ospedali sono spesso in prima linea con gli anziani e poveri, oltre ad essere gli unci che accolgono – anche a fini di ricerca medica – le persone con malattie rare o non diagnosticate che hanno costantemente bisogno di essere riammessi in ospedale per cure urgenti.

Come osserva Examiner, ” la nuova disposizione aggraverà lo stress che queste persone malate, dato che questi pazienti non possono essere certi che il loro trattamento sarà adeguato in caso di necessità di riammissione in ospedale dopo la dimissione. E gli ospedali che stanno subiscono la stretta finanziaria – a causa di tagli ai rimborsi da parte del governo federale – potrebbero essere costretti a limitare il livello di cure fornite durante la riammissione e dismettere pazienti molto prima che siano guariti”.

Inutile ricordare che i malati cronici sono i malati per antonomasia, malati per la vita, e che è davvero vergognoso proclamare l’assistenza sanitaria per tutti, come ha fatto Barak Obama, e poi tagliarla proprio ai cronici ed agli anziani.

Era difficile far di peggio dopo la riforma previdenza di Elsa Fornero che, in nome dell’equità, innalza l’Italia a record mondiale dell’età pensionabile per i lavoratori odierni, mentre i giovani non hanno lavoro e mentre 700.000 pensionati assorbono – senza aver contribuito a sufficienza –  quanto percepiscono altri 20 milioni di loro.
Ecco che arriva un nuovo primato dell’iniquità umana, quello di Barak Obama, che, in nome delle pari opportunità, vessa tutti i malati che abbiano ricorrenti necessità di ricovero o situazioni instabili e critiche, multando gli ospedali che li accolgono troppo spesso.

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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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