Tag Archives: magistrato

L’Aquila: le responsabilità, gli affari

13 Gen

Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32, L’Aquila è colpita da un terremoto di magnitudo 6.3 Mw, equivalente a 5.9 Ml secondo la Scala Richter e tra l’8º e il 9º grado di distruzione della Scala Mercalli.
I parametri Richter indicano “molte fessurazioni sulle mura; crollo parziale o totale di poche case; pericolo per la popolazione”, Mercalli prevedeva “rovina totale di alcuni edifici e gravi lesioni in molti altri; vittime umane sparse ma non numerose”. Diciamo anche che l’entità della scossa è ‘non distruttiva’ in Giappone, se si è costruito con criteri seriamente antisismici.

Le responsabilità

A L’Aquila e dintorni, pur trovanodoci in un territorio dichiarato “zona dove non di rado possono verificarsi forti terremoti”, il bilancio definitivo è di 308 morti. circa 1600 feriti di cui 200 gravissimi, 65.000 gli sfollati su poco più di 90.000 residenti, tra capoluogo e piccoli comuni limitrofi.
E dire che il comune di L’Aquila fu classificato come sismico sin dal 1915 (terremoto  del Fucino), che dal 1927 appartiene alla classe sismica 2, quelle di media intensità, e che fin dal  2006 si attendeva la classificazione di ‘zona 1’ proposta dall’’Ingv.

Poco si è saputo della sorte dei 220 fascicoli inizialmente aperti per la maxi-inchiesta della procura della Repubblica avviata dopo il sisma del 6 aprile 2009.
Tra i pochi pervenuti a sentenza, il processo di primo grado per il crollo della Casa dello studente si è concluso ‘solo’ quattro anni dopo il sisma, con tre condanne a quattro anni per i tecnici che supervisionarono le ristrutturazioni colpevoli di omicidio plurimo e lesioni.
Ben più severa la pena di sei anni di reclusione, viceversa, a cui sono  stati condannati sette eminenti scienziati italiani, facenti parte della Commissione Grandi Rischi e a capo del Dipartimento della protezione civile, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e del Centro nazionale terremoti, accusati di aver fornito, prima del sisma del 6 aprile del 2009 che distrusse L’Aquila, false rassicurazioni ai cittadini, e, secondo Giovanni Cirillo, magistrato presso il Tribunale di Teramo, colpevoli di omicidio colposo, disastro colposo e lesioni personali colpose.

Intanto, il giudice del tribunale dell’Aquila Giuseppe Grieco ha assolto i quattro imputati dall’accusa di disastro colposo per il crollo dell’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila avvenuto con il terremoto. Eppure, La Repubblica riportava di una relazione che il direttore generale della Asl aquilana, Roberto Marzetti, dalla quale emergeva che “l’ospedale – inaugurato nove anni fa – non risulta nemmeno nelle mappe catastali”, che pur essendo una “costruzione travagliata al centro di dibattiti parlamentari, esposti e polemiche”, nel 2000, “l’allora direttore generale Paolo Menduni decise di aprire lo stesso”.
Senza resposnabili il crollo del Palazzo del Governo (Prefettura), Tribunale, Politecnico, nonostante le perizie raccontino di materiali scadenti e di misure tecniche insufficienti.

Utile ricordare che “il dossier Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, redatto nel ’99 dall’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico per volere dell’allora sottosegretario alla Protezione Civile Franco Barberi, nel quale si evidenziano vulnerabilità critiche, rimaste ignorate, in tutti gli edifici pubblici poi crollati nel sisma del 2009, nonché una valutazione eccessivamente al ribasso del grado di pericolo sismico assegnato alla zona aquilana.” (Wikipedia)
Non a caso, a lungo i giornali scrissero della telefonata intercettata a Bertolaso in cui lo stesso capo della Protezione Civile, facendo riferimento alla riunione con gli esperti della Commissione Grandi Rischi, che si tenne all’Aquila il 31 marzo 2009, parlò di “operazione mediatica”, come anche la motivazione della sentenza di condanna degli esperti, riporta che “gravi profili di colpa si ravvisano nell’adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione Civile di fare una operazione mediatica”.

Gli affari

Secondo la Relazione dell’allora ministro Fabrizio Barca al 6 aprile 2012 erano stati effettivamente impiegati dallo Stato o trasferiti agli Enti preposti:

  • 2,9 miliardi di euro (impegno Stato) per gli interventi di emergenza, di cui:
    • 680,1 milioni per la prima emergenza
    • 700 milioni per il Progetto C.A.S.E. (4449 immobili, 12969 persone ospitate) e per i Map (3535 strutture, 7202 ospiti)
    • 493,8 milioni dall’Unione Europea – Fondo di Solidarietà
    • 667 milioni per Emergenze varie e assistenza alla popolazione
    • 82,8 milioni per i Moduli Scolastici ad Uso Provvisorio
    • Altre spese per ripresa attività scolastica, esenzione pedaggi, indennizzi, sospensione pagamenti tasse, attività di soccorso ecc.
  • 1,96 miliardi di euro (trasferimento Enti) per la ricostruzione, di cui:
    • 1,04 miliardi per la ricostruzione di edifici privati sotto forma di mutui
    • 736,7 milioni per la ricostruzione di edifici privati erogati con delibere del CIPE attingendo dai Fondi FAS e dal Fondo Strategico
    • 95,7 milioni per la ricostruzione di edifici pubblici
    • 81,6 milioni per la ricostruzione di edifici scolastici

All’incirca 5 miliardi in tre anni, di cui poco meno di due per la ricostruzione, mentre resta ancora da rimuovere il 62% delle macerie di quello che è classificato come il 5º terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea.

Già pochi mesi dopo il sisma, il 10 febbraio 2010, vengono pubblicati i testi delle intercettazioni degli imprenditori Francesco Maria De Vito Piscicelli e il cognato Gagliardi che affermavano di “ridere ciascuno nel proprio letto” durante il terremoto, immaginando l’inserimento delle loro imprese nei lavori per il post-sisma, grazie ai loro presunti buoni rapporti con il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso.
Un mese fa, Mauro Dolce – ex braccio destro di Guido Bertolaso alla Protezione civile – è stato condannato ad un anno di reclusione con rito abbreviato per il reato di frode nelle pubbliche forniture in relazione alla vicenda degli isolatori sismici difettosi installati negli edifici antisismici del Progetto Case.

In questi giorni, l’operazione “Do ut Des” ha portato alla luce un sistema di tangenti ben radicato, al fine di ottenere delle dazioni di denaro per l’aggiudicazione di alcuni appalti relativi a lavori di messa in sicurezza di edifici danneggiati dal sisma del 2009 e l’appropriazione indebita, previa contraffazione della documentazione contabile, della somma di circa 1.250.000 euro, relativa al pagamento di parte dei lavori. Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, si è dimesso dopo gli arresti di alcuni dipendenti pubblici ed il coinvolgimento del vice sindaco Roberto Riga, dell’ex consigliere comunale delegato per il recupero e la salvaguardia dei beni costituenti il patrimonio artistico, il dirigente ASL Pierluigi Tancredi, dell’ex assessore comunale alla Ricostruzione dei beni culturali, Vladimiro Placidi, oggi direttore del Consorzio dei beni culturali della Provincia dell’Aquila.

Con le dimissioni di Massimo Cialente esce di scena l’ultimo dei protagonisti di questa vicenda. Iscritto fin dal 1970 al PCI, consigliere comunale dell’Aquila dal 1990 al 2001, quando è eletto  alla Camera dei Deputati con i Democratici di Sinistra e rieletto nel 2006. Sindaco dal 2007, dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 non viene toccato dalle indagini, anzi è nominato vice commissario straordinario alla ricostruzione con delega all’assistenza alla popolazione.
Dominus, dunque, della politica aquilana da almeno una dozzina d’anni e -secondo buon senso – non esente dalle scelte di governance locale.

E sono trascorsi tre anni dal convegno organizzato dall’Associazione “309 martiri dell’Aquila” – costituita in rappresentanza dei familiari delle 309 vittime del sisma – che si intitolava «Cahiers de doleances. Primo quaderno» e che denunciava «la scottante e dibattuta tematica inerente la mancata prevenzione e le omissioni che hanno concorso a determinare la strage del 6 aprile 2009».
A proposito, ricordiamo che – ristruttarato od originale – per ogni fabbricato è del Comune  la competenza a rilasciare il Certificato di agibilità, che include anche il Documento di idoneità statica  …

originale postato su demata

Laura Prati: un’italiana decente, mentre il debito ci affonda e i kazaki imperversano

22 Lug

L’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco, è stato condannato a nove anni e sei mesi di reclusione, mentre veniva annunciata la morte cerebrale dell’ennesimo martire italiano, Laura Prati, sindaco di Cardano al Campo (Varese), a causa dei colpi esplosi contro di lei dall’ex capo dei vigili urbani, licenziato per aver truccato gli straordinari.


Più o meno nelle stesse ore, nel Lazio, finiva sotto inchiesta il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per tangenti e sentenze pilotate, convolgendo Franco De Bernardi, magistrato della seconda sezione quater, Giovannino Antonini, ex presidente della Popolare di Spoleto, Franco Clementi e Claudio Salini, rispettivamente amministratore delegato e socio fondatore dell’impresa di costruzioni ICS Grandi Lavori, Marcantonio Trevisani  e Luciano Callini, ammiragli e parte dello stato maggiore della Difesa.

Quanto alle attività delle autorità kazake, riguardo le quali Emma Bonino temporeggia nell’allontanare l’ambasciatore, i media confermano che è almeno dal 28 maggio scorso che l’ambasciatore Yelemessov tempestava di telefonate i massimi decisori istituzionali, ma passa in sordina che Muxtar Qabılulı Äblyazov, oltre ad è stato il Ministro dell’energia, dell’industria e del commercio del suo paese dal 1998 al 2001, quando fondò il partito di opposizione Scelta Democratica e venne prima arrestato e poi scarcerato, nel maggio 2003, a condizione, però, che rinunciasse all’attività politica.
Bene sapere anche che la BTA Bank era sì insolvente per errate esposizioni creditizie, ma anche che Ablyazov volò dal Kazakhstan a Londra solo dopo che, nel settembre 2009, un fondo sovrano kazako, Samruk-Kazyna, aveva immesso ingenti capitali nella BTA Bank a garanzia della solvibilità, diventando così il suo azionista di maggioranza.
Che ‘gatta ci covi’ è reso palese dalla sentenza del novembre 2012, nella quale una corte britannica ha ingiunto a Mukhtar Ablyazov di pagare 1,63 miliardi di dollari, oltre agli interessi maturati, ma ha anche disposto contro Mr. Ablyazov nuovi blocchi post-giudizio di beni per un ammontare illimitato …

Anche perchè EurasiaNet – di base a New York – sta riferendo da tempo un incremento del social gap in Kazakhstan, mentre i profitti derivanti dalle risorse naturali sono concentrati nelle mani di pochi clan vicini al presidente Nursultan Nazarbayev. Nell’aprile scorso, il Council of Entrepreneurs of Kazakhstan ha ufficializzato che nel paese vivono 1,5 milioni di personi con un reddito mensile inferiore ai 76 euro, mentre il 55.6% della popolazione guadagna mediamente 183 euro al mese.
Secondo gli analisti, il costo delle risorse primarie (acqua e benzina) viene gestito in modo da scoraggiare le attività impreditoriali locali, specie in alcune regioni del paese etnicamente diverse dalla maggioranza dominante.

Una situazione scandalosa ed illiberale, che l’Europa vorrebbe ignorare a tutti i costi, come Der Spiegel raccontava, giorni fa, rivelando che, se Silvio Berlusconi è amico personale del presidente kazako di Nazarbayev, altri noti politici ne sono consulenti o dipendenti, come gli ex cancellieri tedesco e austriaco Gerhard Schröder e Alfred Gusenbauer, gli ex primi ministri britannico e italiano Tony Blair e Romano Prodi, così come l’ex presidente polacco Aleksander Kwaniewski e l’ex ministro degli interni tedesco Otto Schily. Tutti costoro sono membri nei loro paesi di partiti socialdemocratici. Gusenbauer, Kwaniewski e Prodi sono ufficialmente membri dell’Intenarnational Advisory Board di Nazarbayev. S’incontrano spesso ogni anno – nella più recente occasione due settimane fa nella capitale kazaka Astana – e ciascuno di loro percepisce onorari annuali che raggiungono le sette cifre.”

Una chiamata in causa per Emma Bonino e Laura Boldrini, se Viola von Cramon, deputata dei Gruenen, deve stigmatizzare come accada che politici come Schröder, Schily, Prodi e Blair si lascino coinvolgere nei giochetti di Nazarbayev, “specialmente perché ora il suo regime è impegnato in un giro di vite. Ma grazie all’influenza dei lobbisti occidentali, poco di quello che succede oltrepassa i confini.”

Un segnale d’allarme, se ricordiamo che Unicredit ha annunciato solo 3 settimane prima (2 maggio 2013) dell’espulsione dall’Italia di Alma e Aula che la controllata Bank Austria aveva competato la vendita del 99,75% della seconda banca kazaka, la JSC ATFBank, alla KazNitrogenGaz, interamente controllata da Galimzhan Yessenov, genero del sindaco di capitale Almaty e magnate sel settore estrattivo dei fosfati.
Un’operazione di cui comprenderemo le ripercussioni a breve, per la quale l’Ufficio Studi del Gruppo SACE precisa un Country Risk Update: “secondo alcuni fonti il prezzo pagato per ATF Bank è pari al patrimonio netto della banca, circa USD 500 milioni. Unicredit aveva acquisito ATF Bank prima della crisi finanziaria internazionale, per un importo di USD 2,1 miliardi.”

Un Kazakistan ed un oligarca, Nazarbayev, che hanno ricevuto – oltre all’ex candidato alla Presidenza della Repubblica Romano Prodi – le visite di Luciano Violante, Giorgio Napolitano, Emma Bonino, Lamberto Dini, Massimo D’Alema, Tiziano Treu, secondo quanto riporta il quotidiano Libero di Maurizio Belpietro.

Visite di Stato, ne vorremmo esser sicuri, come quella, nel 2007, di Emma Bonino, in occasione dell’incontro per la centrale estrattiva di Kazakhstan fra il primo ministro kazako Karim Masimov , il ministro dell’Energia Sauat Mynbayev e l’Amministratore Delegato di Eni Paolo Scaroni, poi indagato per corruzione internazionale, mentre Human Rights Watch accusa da quasi un anno l’Ente nazionale Idrocarburi di violazione dei diritti umani proprio in Kazakhistan, dopo che numerosi operai vennero uccisi dalla polizia durante scioperi contro le multinazionali del petrolio

eni-kasakistan-bonino

Intanto – a Roma, ma non in Italia – anche Papa Francesco vuole vederci chiaro nella finanza pubblica ed ha istituito una commissione, che dovrà raccogliere «puntuali informazioni sulle questioni economiche interessanti le amministrazioni vaticane», preposte «ad evitare dispendi di risorse economiche, a favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi, a perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, ad operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario, ad assicurare una corretta applicazione dei principi contabili ed a garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto».
Eh già, se la spesa pubblica tracima, sono Sanità, Welfare e Infrastrutture a farne le spese.

Un’ora fa, ADN-Kronos annunciava che, “secondo Eurostat, il rapporto debito/Pil ha raggiunto quota 130,3%, contro il 127% dell’ultimo trimestre del 2012 e il 123,8% del primo trimestre dello scorso anno. In termini assoluti, il debito pubblico italiano nei primi tre mesi del 2013 è stato di 2.034.763 miliardi.”
Peggio di noi , in Europa, sta solo la Grecia, con la differenza che ogni greco è esposto per ‘solo’ 24.000 euro di debito pubblico pro capite, mentre noi italiani ce ne ritroviamo poco meno di 40.000.

Debito%PIL ITALIA 2010 2013

E non ci salverà – nella fiducia che ormai pochi, all’estero, si azzardano a riporre sull’Italia – l’uscita di Emma Bonino: ‘Allontanare l’ambasciatore kazako? Devo tutelare i nostri interessi là’. Nostri starebbe per ENI, Impregilo e tante altre aziende italiane andate ad investire all’estero …

Purtroppo, varrebbe la pena di convincersi che l’affaire kazako, come dichiara Gustavo Zagrebelsky intervistato da La Repubblica, “è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”.

E se uno dei paesi ‘membri titolari’ dei G8 deve ritrovarsi, oggi, a subire il ricatto di qualche ‘benzinaio’ e di qualche corrotto lobbista, non è che le cose andranno meglio, domani.
Anzi, il sacrificio di Laura Prati sarà stato del tutto inutile e, forse, è proprio da lei e dal suo esempio che dovremmo ripartire.

originale postato su demata

Arriva un governicchio di larghe intese?

23 Apr

Giorgio Napolitano resterà in carica finché avrà forze e, poi, sferza i partiti: «Voi, sordi e sterili, non autoassolvetevi» ed i partiti, tutti, applaudono in piedi come se i rimproveri fossero per i rivali.

Stamane, su Omnibus di La7, giusto per far finta di nulla, Rosa Maria Di Giorgi (assessore PD a Firenze) continuava a parlare di ‘difficoltà di Bersani’, di ‘svolta del Capranica’, di ‘debacle orrenda’ del M5S nel Nordest, di ‘dirigenti’ che non devono farsi influenzare dalla Rete, di non confrontarsi con la base … che la fiducia è d’obbligo se il partito lo decide.

Intanto, Serracchiani vince per un pelo in Friuli Venezia Giulia, che non è una regione rappresentativa degli equilibri nazionali, Renzi è stracorteggiato, ma fino ad oggi ha amministrato solo una piccola città come Firenze, SEL appare fortemente egemone sull’ala sinistra del PD, ma in Parlamento sono tanti gli eletti che arrivano dalla nostra famigerata Malasanità, alla Camera siedono circa 100 democratici che arrivano dall’apparato di partito, alla faccia delle Primarie.

Inoltre, non sono solo Travaglio & Santoro a sospettare che PD e PdL non siano l’un l’altro opposti, ma semplicemente complementari, con la conseguenza che il Centrodestra liberale è incatenato dalla stagnante componente populista ed il Centrosinistra riformista non ha voce in un’eterna campagna elettorale che privilegia i consensi gauchisti e sindacal-azionisti.

Dunque, in questa situazione, va bene qualsiasi governo, con il rischio di vederlo impallinato al primo incrocio o bivio dal qualche fazione democratica? Oppure serve un governo di larghe intese che accetti la Rete come principale vettore di informazioni e di conformazione della pubblica opinione, ma, soprattutto, tenga in debito conto che l’azionista di maggiornza è il PD, ma anche che il controllante è il PdL?
Oppure vogliamo proporre ai cittadini un Giuliano Amato, sconosciuto a chi abbia meno di 40 anni, tesoriere di ‘quel Partito Socialista Italiano’, massacratore delle nostre pensioni e del Titolo V della nostra Costituzione, nonchè prelevatore patrimonaile dei nostri conti?

Il Patron del futuro governo è il Popolo della Libertà, il padrino è il Partito Democratico: non facciamoci abbagliare dal il fatto che una componente parlamentare sia più numerosa dell’altra, grazie agli artifici del Porcellum.

E smettiamola, a sinistra, di pensare che quanto detto in televisione sia ‘reale’ e che quanto circoli in Rete sia ‘passatempo’. Piuttosto, è il contrario. Inoltre, se il mezzo televisivo permette allo spettatore l’unica possibilità di cambiar canale – cosa del tutto inutile se andiamo avanti da anni con talk show partitici a reti unificate – va considerato che in Rete l’utilizzatore va puntualmente a cercarsi le notizie secondo l’approccio che ritiene più verosimile.
Se i talk show politici diventano intrattenimento partitico, il ‘passatempo’ è in TV, le notizie sono in Rete: è inevitabile che sia così.

Inoltre, l’idea fissa dei democratici ‘a confrontarsi con i sindacati’ appare piuttosto bizzarra -ai nostri giorni – se il persistere della Crisi è causato dall’over taxing che la sinistra pretende da anni, dal suo profondo legame con gli apparati pubblici, dalla diffidenza verso il mondo imprenditoriale e la libera iniziativa, dal basso o bassissimo livello di istruzione e di formazione professionale di tanti attuali inoccupati (manovali, camerieri, banconisti, padroncini, artigiani e operatori di basso livello, eccetera), dal limitato ruolo delle donne nella nostra società, dal famigerato Patto di Stabilità interno di centralistica e statalista memoria.

Difficile credere che la situazione attuale del Partito Democratico possa essere superata senza una chiara e profonda scissione tra la componente social-liberale delle elite metropolitane, quella cattolico-populista dei mille campanili di provincia e quella gauchista ondivaga ed il suo elettorato di lotta e di governo, attualmente ‘in carico’ a SEL ed M5S.

Far finta di nulla o, peggio, paventare ai cittadini un governicchio di ristrette intese servirebbe solo ad accentuare la sfiducia degli elettori e la rabbia dei cittadini.
A sentire i Democratici – in nome dell’emergenza, si badi bene – serve uno ‘scatto di responsabilità’ da parte del PdL e che per loro si tratta solo di ‘un cammino altanelante’, mentre i conti del governo Monti-Bersani iniziano a non tornare, serve una nuova manovra, c’è cenere sotto il tappeto, le politiche di Elsa Fornero sono palesemente un disastro, l’IMU e la TARES sono de facto delle patrimoniali.

Un governo Monti fortemente voluto da Eugenio Scalfari che, come ricorda Verderami del Corsera, si è rappresentato come un’anomalia fin dall’inizio, dal novembre 2011, quando, invece di sciogliere le Camere, Giorgio Napolitano nominò senatore a vita Mario Monti per poi indicarlo come premier di un ‘governo del presidente’ e per poi ritrovarselo come leader di partito.
Un semipresidenzialismo di cui non v’è traccia nella Costituzione, un dirigismo di cui non v’è traccia nella storia nazionale, salvo il primo gabinetto Mussolini indicato direttamente dal Re. Un errore ed un equivoco che persistono e che ‘il popolo bue’ percepisce ampiamente.

Intanto, il Financial Times scrive, oggi, di “Napolitano gigante di Roma tra i nani della farsa italiana”. Purtroppo, i nani non leggono l’inglese e la ‘base’, per loro, sono solo quelli che incontrano in piazzetta o nel salotto buono …

originale postato su demata

Il governo del Presidente, ma anche di Grillo e Berlusconi

22 Apr

Riconfermare Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica era ormai l’unico sistema per evitare l’automatico passaggio all’opposizione del centrodestra e, soprattutto, dei moderati liberali o popolari o democratici che fossero.
Il motivo è semplice: l’aver lasciato al M5S la candidatura di Stefano Rodotà, anzichè avanzarla per primi e giocare in contropiede con ambedue le opposizioni, comportava il ritorno ‘automatico’ di Bersani alla strategia di co-governo con il movimento guidato da Beppe Grillo con un Matteo Renzi probabile premier.

Una contraddizione in termini. Come quella di riciclare nel patto per il bene comune’ con il PdL due noti nomi (Marini e Prodi) pur di evitare il Quirinale a Massimo D’Alema, che era con il PCI dall’inizio, che ha voluto la svolta centrista e che non era sgradito al Centrodestra.
In tutto questo, non c’è due senza tre, aggiungiamo la follia degli Otto Punti inderogabili, sui quali convergevano abbondantemente i programmi di Grillo e di Berlusconi, rimesti precisamente nel cassetto.

Peccato per Stefano Rodotà, che questo blog aveva già segnalato un mese fa. Troppo innovativo per una concezione dell’apparato amministrativo e contabile pubblico, che risale ad oltre 100 anni fa, e per una generazione che è passata con grande facilità dal Fascismo alla DC ed al PCI, tanto INPS, Corporazioni e IRI erano ancora tutti lì.

Dunque, il Parlamento che Napolitano – ed il Premier da lui scelto e si spera votato – dovranno gestire sarà dei più etereogenei possibili, con un centrodestra forte e compatto, quasi determinante al Senato, e con un M5S che potrebbe fare la differenza, nel bene e nel male, se i suoi eletti dimostreranno di avere la metà della capacità politica di cui dovranno aver bisogno.

Infatti, vista la situazione di ‘pericolo di crollo’ del PD, è più che opportuno che il Presidente eviti di scegliere personalità di quel gruppo parlamentare o ad esso collegate, onde non vincolare il governo a polemiche interne al Partito Democratico. Come anche, vista la situazione del sistema partitico e parlamentare, sarebbe opportuno scegliere dei profondi conoscitori di quel mondo con provate capacità di mediazione ed un comprovato senso dello Stato. Ad esempio, Gianni Letta o Emma Bonino.

Una premiership da affidare in fretta e senza incappare in ‘sorprese’, come ci ha abituati Mario Monti, dato che Scilla e Cariddi si profilano all’orizzonte.
Da un lato, l’imminente rischio di spacchettamento del centrosinistra in cristianosociali, cristianoliberali, socialisti, comunisti, post comunisti, verdi, ambientalisti, demoliberali, socialdemocratici, popolari.
Dall’altro, l’evidente necessità che servano sia i voti di Grillo sia quelli di Alfano, se vorremo una legislatura di almeno un annetto e delle buone riforme, nonché un tot di fiducia dall’estero e di ossigeno per il paese. Il rischio che qualcuno pensi di avvantaggiarsi dalle urne è elevato.

Riuscirà il Presidente Reloaded di questa strana Matrix all’amatriciana, l’ancora nostro Giorgio Napolitano, a scegliere la carta fortunata, anzichè l’asso di picche?

Speriamo di si, il lavoro dei dieci saggi si rivela, oggi, un fattore accelerante e migliorativo.
Un altro fattore “accelerante e migliorativo”, probabilmente del tutto inderogabile, è la nomina di senatori a vita di Berlusconi, Prodi, Marini, Pannella e Rodotà (come anche Bonino se non avrà incarichi di governo). I primi tre per evitare che in un modo o nell’altro continuino a condizionare, fosse solo con il oro passato carisma, la vita dei partiti e del parlamento; gli altri tre per iniziare a pacificare il paese, riconoscendo a quel partito radical-liberale di Mario Pannunzio il dono dell’onestà morale e della lungimiranza, come per tutti i minority report alla prova del tempo.

Adesso, serve un governo del Presidente, un governo di larghe intese, di unità nazionale e finalizzato ad un programma, in cui un contesto generale in cui il PdL eviti l’abbraccio fatale con il Partito Democratico, aprendo sui punti di convergenza comune al M5S, che dovrà abbandonare certe formule populiste, visto che ormai il Movimento di Beppe Grillo è determinante per le istituzioni di cui l’Italia ha febbrile bisogno.

continua in -> Partito Democratico, pericolo di crollo

originale postato su demata

Il PD non c’è più, pericolo di crollo

22 Apr

Se Eugenio Scalfari riesce ancora a parlare di ‘motore imballato’ dinanzi a quell’ammasso di ferraglia, gomma e vetro che il Partito Democratico è riuscito ad esibire in un mese di follia, l’esigenza di rottamazione annunciata da Matteo Renzi appare più come una presa d’atto che come una proposta.

Nessuno “prevedeva che il Partito democratico crollasse su se stesso affiancando la propria ingovernabilità a quella addirittura strutturale del nuovo Parlamento”, scrive nel suo domenicale il fondatore di la Repubblica, ma i segnali c’erano tutti a volerli vedere.

A partire dalle esitazioni ad intraprendere scelte difficili quando la Sinistra era nel governo e nel fare vera opposizione quando non lo era. Parliamo di un’enormità di leggi, che il Partito Democratico non ha mai portato avanti, come il conflitto di interessi, la durata dei processi, le leggi sui sindacati, i servizi pubblici esternalizzati o convenzionati, il welfare tutto, le coppie di fatto, le carceri, la depenalizzazione, gli immigrati, gli sgravi e le premialità aziendali, un piano infrastrutturale, la Casta, i super stipendiati e pensionati, i trasporti, le mafie, la legge elettorale.

Tutte esigenze dei cittadini  che a vario titolo il PD ha escluso dalla propria agenda e dalla propria fattività.

Difficile, dunque, parlare di un partito a base popolare, specialmente se lo sanno anche i bambini che alle Primarie c’è sempre un ‘candidato del partito’ e che erano già sicuri di avere la maggioranza alla Camera con il 30%, mentre si tentava di cambiare il Porcellum in extremis.
Eh già, il Porcellum. Cosa dire adesso che è sotto gli occhi di tutti che il suo mantenimento non era vitale per il Centrodestra, che sapeva già di non vincere le elezioni e che il super premio sarebbe andato al Partito Democratico.

Una riforma elettorale che non conveniva al Partito Democratico per troppi e tanti motivi.
Come la concomitante abrogazione dei comuni con meno di 10.000 abitanti e delle province con meno di 3-400.000 abitanti, dove si può contare un’ampia presenza di ‘democratici’.
Come l’istituzione di uno sbarramento serio e del ballottaggio che avrebbe provocato la definitiva frantumazione delle correnti ‘democratiche’.
Come l’eliminazione delle liste bloccate ed il rischio che tanti big e capibastone non ritornassero in Parlamento, oltre a delle Primarie effettive se da Partito unico si diventa variegata Coalizione.

La blindatura a nido d’aquila del Partito Democratico, dei suoi vertici e del suo apparato dovevano e potevano suggerire, a chi la politica la segue da tanti anni, l’esistenza di crepe e fraintendimenti ormai irreversibili.

Un manifesta percepibilità della scollatura ‘democratica’ che il ventre del ‘popolo bue’, a differenza di tanti saggi, aveva già ampiamente percepito. Un problema che, se percepito, avrebbe dovuto far temere una vittoria ‘eccessiva’ che avrebbe comportato il pervenimento alla Camera di circa 200 neoparlamentari democratici, del tutto disorientati tra una Rete che spesso usano davvero male e ancor meno comprendono, un Partito che decide le cose ‘a prescindere’ e secondo imperscrutabili strategie, la propria ambizione e la relativa competenza che mal si conciliano con i sacrifici e le professionalità che l’Italia reale riesce ancora a garantire.

Questi sono solo alcuni dei segnali che potevano lasciar presagire la situazione di incapacità politica che il PD ha mostrato finora.
Adesso, il Partito Democratico non c’è più, il segretario Bersani è dimissionario, il Congresso da convocare a giorni non è stato ancora annunciato, la Presidente Rosy Bindi che lo doveva convocare è dimissionaria dal 10 apirle.

Motore imballato, tutto quì, dottor Scalfari?

continua -> Il governo del Presidente, ma anche di Grillo e Berlusconi

originale postato su demata

Corte Costituzionale inascoltata, il Parlamento legiferi

15 Apr

La legge elettorale vigente, cosiddetta ‘Porcellum’ è in vigore dal 31 dicembre 2005 e, finora, ha regolato le elezioni politiche italiane del 2006, del 2008 e del 2013, condizionando legislature e governi. Nel 2009 si tennero tre referendum abrogativi, ma Nessuno dei tre raggiunse il quorum del 50% più un elettore.

Giorni fa, il presidente della Corte Costituzionale, l’alto magistrato Franco Gallo, ha dichiarato che “il Porcellum e’ un sistema che per alcuni aspetti,come il premio di maggioranza, e’ sospettato di incostituzionalità. La Corte ha invano invitato il legislatore a riconsiderare gli aspetti problematici la legge, con particolare attenzione all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che si sia raggiunta la sogli aminima di voti o di seggi“.
Ha anche aggiunto che “il Parlamento sottovaluta e non ascolta i richiami – tipici delle funzioni della corte costituzionale – che la Consulta rivolge per la modifica di una normativa che ritiene in contrasto con la Costituzione.

Il Parlamento, non il Governo, attenzione.

Inoltre, ha tenuto a precisare che “la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il diritto fondamentale di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni. … Il Parlamento discuta e agisca in fretta. Ci sono proposte di legge già presentate da vari gruppi che possono essere base di partenza per arrivare ad una legge di tipo europeo, che vada dal matrimonio alle unioni civili. Le persone lesbiche, gay e trans vogliono pari dignità e pari diritti”.

Il Parlamento, non il Governo, attenzione.

La stessa Corte Costituzionale che aveva rinviato alle Camere Legge 94 del 15 luglio 2009, riguardante gli immigrati irregolari, perchè “la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela dei diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona“.

Le Camere, non il Governo.

Una Corte per voce dell’ex presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, teneva a precisare, riguardo la riforma del Titolo V della Costituzione che, “come ricorda con la sentenza 370, continua a mancare qualsiasi norma di attuazione dell’art. 119, con gravi conseguenze sull’assetto dei poteri riformato“.
Oppure, che deve ribadire che “sottrarre alla giurisdizione, per riservare esclusivamente alla assemblea degli eletti, della quale fanno parte soggetti portatori di interessi anche individuali coinvolti, il giudizio sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità, significherebbe negare il “diritto al giudice”, e ad un giudice indipendente e imparziale.”
Che aveva già ricordato (ndr. sentenza 300) al Parlamento che “la disciplina delle fondazioni di origine bancaria è ritenuta estranea, a seguito degli sviluppi legislativi, alla materia concorrente “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”, per essere ricondotta invece a quella, statale, dell’ordinamento civile.

Ritornando alla Legge Elettorale, è a dir poco inquietante scoprire che i nostri media si accorgano solo oggi delle giuste iniziative della Corte Costituzionale e, soprattutto, che la legge con cui il popolo italiano vota da tre legislature, a ben vedere, è incostituzionale, come lo sarebbe l’attuale composizione delle Camere.

D’altra parte, in Italia la Corte Costituzionale italiana giudica solo sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato dello Stato e delle Regioni, oltre che sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica e sull’ammissibilità dei referendum.

Una Consulta che, come la Corte suprema degli Stati Uniti, non ha tra i propri compiti il controllo della legittimità costituzionale delle leggi, nonostante già con la Costituzione della Repubblica Napoletana del 1799 si iniziò a prevedere.

Intanto, siccome la Costituzione prevede l’iniziativa parlamentare, prendiamo atto che la Corte Costituzionale si rivolge alle Camere, dove oggi c’è un magistrato, Pietro Grasso, come Presidente del Senato, ed un’alta funzionaria dell’ONU, Laura Boldrini, come Presidente della Camera. Persone queste che non dovrebbero avere alcun ostacolo affinchè il Parlamento legiferi su materie come quelle inerenti i diritti dei cittadini o le regole della politica.

originale postato su demata

ILVA Taranto: l’Italia che proprio non vogliamo

29 Nov

Nella vicenda ILVA di Taranto c’è il condensato dell’Italia che non vogliamo, che non volevamo e che non vorremmo.

Una fabbrica nata male sulle (non dalle) spoglie della gloriosa Italsider di Bagnoli (NA) e dopo aver sprecato miliardi per un polo siderurgico a Gioia Tauro, dove sappiamo com’è andata a finire.

Una fabbrica che era inquinante a Napoli e non si sa perchè non avrebbe dovuto esserlo a Taranto, creata con denaro pubblico (tanto), mai effettivamente produttiva (la colpa fu data alle Tigri Asiatiche) e comprata (non si sa perchè) dalla famiglia Riva, quella dei motoscafi e dello scandalo di Beirut.

Un sito industriale devastante per la salute dei tarantini, come ha dimostrato il magistrato di turno, e fonte di clientele ed oscure convergenze, tra cui la manipolazione delle perizie e dei dati sanitari.

Una fabbrica tecnicamente ‘chiusa’ che continua ad esistere per volontà di Roma, dove, però, l’inquinamento da metalli pesanti non arriva. Una fabbrica che il sindacato difende in nome del salario degli operai, ma non della loro salute.
Un impianto dove, ieri, non doveva esserci nessuno, che invece era occupato dai lavoratori, in barba alle ordinanze, mentre nessun ambientalista protestava nè intervenivano le forze dell’ordine per lo sgombero.

Così accade che – in un complesso industriale privo di un datore di lavoro che attui ed imponga la sicurezza sul lavoro – arrivi una tromba d’aria, vada giù una ciminiera ed una gru, scoppi un incendio con fiamme alte decine di metri, ci siano morti e dispersi tra gli occupanti.

Dunque, visto come è andata per la Thyssen a Torino, ci aspettiamo lo stesso peso e la stessa misura: chi ha organizzato l’occupazione deve andare alla sbarra ed essere severamente processato; i morti sono morti.

Come anche dovremmo aspettarci che si sigilli l’ILVA e la si smantelli. Dovremmo …
Infatti, non il ministro delle Infrastrutture, ma quello dell’Ambiente, Corrado Clini, annuncia incredibilmente: «Chiudere Ilva è favorire i concorrenti», l’Ilva  «prosegua l’attività per 2 anni», «non si può distinguere l’ambiente dalla crescita sostenibile quindi dall’economia».

That’s Italy.

originale postato su demata

Popolo delle Libertà, oltre il capolinea

28 Set

Il Governo Berlusconi ha le ore contate e, se il crollo è iniziato un anno fa con Ruby Rubacuori e Fini che fondava Futuro e Libertà, anche  la sindrome da accerchiamento ha chiuso il suo cerchio, ormai.

Il dato di questi giorni è che nel bastione difensivo costruito nel tempo da Silvio Berlusconi si è aperto un varco nel momento stesso in cui gli anni e la vanagloria lo avvicinarono al sordido mondo del sesso in affitto. Utilizzatore finale certamente,  ma ricattabile ed esposto a pressioni double-face da parte di personaggi infimi e meno infimi.

Una scelta imperdonabile, se la stessa moglie ci tenne a chiarire, riguardo le veline: «L’uso delle donne per le Europee? Ciarpame senza pudore. Voglio che sia chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire» (FareFuturo 27 aprile 2009).

Una situazione ed una storia di partito che ci porta direttamente a chiederci cosa sia oggi il PdL senza Berlusconi premier o candidato tale. Fare una stima, ormai, non è difficile, seppur con una non irrilevante approssimazione.

Se volessimo ragionare in termini di territorio, cioè di regioni e distretti elettorali, Berlusconi vinse le elezioni grazie allo sfondamento in Campania e Lazio, più la Sicilia delle Autonomie. Di sicuro, dopo Alemanno e Polverini, il Lazio e Roma voteranno altrove, alla prossima tornata, qualunque essa sia. Ed altrettanto di sicuro la Campania è in mano al “socialista” Caldoro ed a Napoli c’è De Magistris, per non parlare della Sicilia che è stata illusa per 10 anni con il sogno del Ponte sullo Stretto. Considerato che a Milano e Torino, alle amministrative, non è andata affatto bene, il PdL  di Silvio Berlusconi molto difficilmente supererà la metà dei seggi in Parlamento che detiene nell’attuale.

Se il dato molto negativo su un successo elettorale del PdL può apparire piuttosto scontato, molto più interessante è cercare di capire quali componenti abbiano ceduto maggiormente.

Di sicuro, gli elettori “acquisiti” con la fusione a freddo con Alleanza Nazionale difficilmente seguiranno il destino di La Russa e Matteoli, i due big che preferirono Berlusconi a Gianfranco Fini. Come è probabile che vengano meno, attratti da Casini ad esempio, gli elettori (ed i capibastone) di area cattolica, che, immagino, siano piuttosto stufi di  un Giovanardi che predica, mentre etica, welfare e sicurezza vanno in malora.

Così, ad occhio e croce, parliamo del 10% dell’elettorato e del 30% dei consensi raccolti dal PdL, cui andrebbe ad aggiungersi l’emorraggia padana verso la Lega Nord e l’astensionismo. In pratica, l’estinzione in alcune regioni o, più probabilmente, distretti, specialmente se il Popolo delle Libertà non potesse (causa scandali) o non volesse (per opportunità) contare sulla forza d’immagine e sui potenti mezzi che Silvio Berlusconi ha messo a disposizione del partito in campagna elettorale.

Attualmente, il Popolo delle Libertà è fermo, come solo può esserlo un aggregato di peones con pochi alfieri e qualche regina decotta, che assiste inerme alla fine del suo Macbeth. Un futuro potrebbe essere possibile se Berlusconi abdicasse e se il leader (Alfano, Tremonti, eccetera) venisse scelto da un congresso.

Non è la prima volta che un partito scompaia nell’oblio della Storia, dopo aver dominato la scena per 10 o vent’anni. 

Non sarà questo il caso del PdL ma ci si stanno impegnando fino in fondo …

Alassio, bar vietato ai marocchini. Perchè?

5 Set

Alassio è la città che Ghalfi El Mohammed, immigrato marocchino trentenne, aveva scelto per il suo soggiorno in Italia.
Non aveva scelto il duro, ma onesto lavoro in fabbrica o nei campi, come tanti altri immigrati. Aveva preferito vivere alla giornata grazie a piccoli business illegali.

Ghalfi El Mohammed aveva già avuto a che fare con le forze dell’ordine per vendita di prodotti con marchio contraffatto, spaccio di stupefacenti, ricettazione. Ma non solo: era stato denunciato anche per porto abusivo d’armi e stalking.

Nessuno di questi processi è ancora pervenuto a sentenza definitiva e, pertanto, Ghalfi El Mohammed circolava liberamente per Alassio, spesso abbrutito dalla sua dipendenza, e,comunque, continuando nella sua vita borderline.
Certo, qualcuno avrebbe potuto notare un declino morale ed una escalation criminale, ma questo accade solo nei film e nei paesi diversi dal nostro.

Fatto sta che per l’italiano medio Ghalfi è “un po’ una testa calda”, “tutt’al più un po’ fuori”, ma questo non implica che il costosissmo ed inefficiente welfare si sia occupato del caso. Diamo una marea di soldi alle Onlus, ma non c’è un assistente sociale od un consultorio se si tratta di “una vita da bere”, figurarsi se straniero.
Nè è accaduto, seguendo la strada opposta, che sia stato espulso per “reati contro il soggiorno sul territorio”, anch’essi, sembra, in attesa di giudizio.

Intanto Ghalfi sta sempre peggio e viene denunciato, poche settimane fa, per resistenza durante un controllo contro l’abusivismo commerciale: aveva infatti spintonato e morso due vigili, che gli sequestravano 63 paia di occhiali contraffatti.
Era esasperato, era la quarta volta in una settimana che accadeva, ma non c’era verso di fargli capire che i “tempi d’oro” dei “vu cumprà” erano finiti e che la contraffazione di merci era duramente perseguita, visto che impoverisce il nostro paese.
Neanche si era reso conto della grande clemenza del giudice che gli sospendeva la pena dopo aver patteggiato 6 mesi di reclusione, con la condizionale, come se le altre denunce non esistessero e come se fosse un cittadino italiano od europeo.

Cosa fare? Ritornare in Marocco, evitando guai peggiori, o restare in Italia, in attesa di una dura condanna?
Ghalfi El Mohammed sceglieva la seconda e, nel fine settimana, tornava ad Alassio per vendere merce contraffatta.

Sabato notte, era completamente ubriaco e, mancava solo questa, molesta una ragazza di 21 anni che rientrava a casa dal lavoro presso il bar dei genitori.
Al suo rifiuto, l’aveva afferrata per palpeggiarla, forse stuprarla, e, quando la giovane si era divincolata, l’aveva ferita con un fondo di bottiglia ad un braccio e al collo.
Dopo di che fuggiva via, mentre la gente accorreva e, fortunatemente per lui, veniva rapidamente intercettato da una pattuglia dei carabinieri, quando parenti della vittima e cittadini qualunque stavano per scatenare una caccia all’uomo.

Ghalfi El Mohammed non doveva essere lì. Uno Stato civile non avrebbe permesso che restasse sul proprio territorio, che restasse in libertà, che restasse privo di cure.

Nel bar dove lavorava la vittima, quello di proprietà dei genitori, da oggi, c’è un cartello: “Vietato l’ingresso ai marocchini”. Sarà razzismo, ma cosa dire all’accorata madre che campeggia dal bancone, a caldo, dopo quello che è accaduto alla figlia?

E poi, perchè solo i marocchini? Al posto loro, vista la storia di Ghalfi El Mohammed, io ce l’avrei con gli italiani tutti.

Lodo Mondadori, la resa dei conti

9 Lug

La vicenda del Lodo Mondadori è fa parte della cosiddetta Guerra di Segrate, uno  scontro giudiziario-finanziario tra due imprenditori italiani, Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti, per il possesso della Arnoldo Mondadori Editore, e la successiva vicenda giudiziaria riguardante il pagamento di tangenti per ottenere un lodo favorevole alla parte di Berlusconi, che ha visto tra gli imputati lo stesso Berlusconi e i suoi più stretti collaboratori, tra cui Cesare Previti.

Nel 1987  muore Mario Formenton, genero di Arnoldo Mondadori e presidente della omonima casa editrice. Silvio Berlusconi, che era un socio di minoranza, acquista le azioni di Leonardo Mondadori con la conseguenza che la Arnoldo Mondadori Editore si trova ad essere contesa tra la Fininvest di Silvio Berlusconi, la CIR di Carlo De Benedetti e gli eredi Formenton, che avrebbero dovuto vendere le proprie quote alla CIR entro il 30 gennaio 1991.

Nel novembre 1989 la famiglia Formenton si schiera dalla parte di Fininvest, consentendo a Berlusconi di arrivare alla presidenza del CdA aziendale e provocando la reazione di De Benedetti.

Un collegio di tre arbitri, Pietro Rescigno (CIR), Natalino Irti (Formenton Mondadori) e Carlo Maria Pratis, (Corte di Cassazione) emette dopo pochi mesi il primo verdetto: l’accordo tra De Benedetti e i Formenton è valido a tutti gli effetti, le azioni devono tornare alla CIR, con il risultato che De Benedetti perviene al controllo del 50,3% del capitale ordinario e del 79% delle azioni privilegiate.

Berlusconi ricorre in giudizio e dopo altri sei mesi, il 24 gennaio 1991, la I sezione civile della Corte d’Appello di Roma, su relazione del giudice Vittorio Metta, sentenzia che gli accordi Formenton-De Benedetti sono in parte in contrasto con la disciplina delle società per azioni, che sono da considerarsi nulli l’intero accordo e il lodo arbitrale e, di fatto, consegna nuovamente le azioni della Mondadori in mano alla Fininvest .
Alla fine, grazie alla mediazione di Carlo Caracciolo, Giulio Andreotti e di Giuseppe Ciarrapico,  la Repubblica, L’Espresso e alcuni quotidiani e periodici locali tornano alla CIR, mentre Panorama, Epoca e tutto il resto della Mondadori restano alla Fininvest, che riceve 365 miliardi di lire come conguaglio per la cessione delle testate all’azienda di Carlo De Benedetti.

Nel 1995, mentre imperversava Tangentopoli, emergono indizi di una storia di di tangenti tra Previti e alcuni giudici romani: inizia lo scandalo All Iberian.

Tra i vari movimenti di danaro, salta fuori un bonifico di 220.000 euro, che da Fininvest va a Cesare Previti e da lui arriva nelle disponibilità del giudice Metta, che poco dopo si dimette per entrare a far parte dello studio legale Previti.

A questo punto, mentre Berlusconi “scende in campo” ed inizia il Berlusconismo, coi i fasti nefasti che conosciamo, si iniziano i processi, che trovano conclusione solo nel 2007.

Questi gli esiti:

  • 2003 Silvio Berlusconi – non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato dopo le attenuanti generiche
  • 2007 Previti, Pacifico e Acampora (avvocati Fininvest) – 1 anno e 6 mesi, Metta (ex magistrato) – 2 anni e 9 mesi

Alla sentenza penale definitiva, segue il processo civile per  il danno economico derivante dal fatto che il lodo è stato viziato.  La sentenza di primo grado, nel 2009, obbligava la Fininvest di Berlusconi a risarcire 749,9 milioni di euro alla CIR di De Benedetti per danno patrimoniale da «perdita di possibilità».

La sentenza dell’appello, del luglio 2011, conferma la condanna con un risarcimento che ammonta a 540 milioni di euro cache, più gli interessi scaturiti dal 2009 per un ammontare di 560 milioni di euro.

Viste le prove e le sentenze, non so quanti possano compiangere il Premier Berlusconi,  che sul sagrato della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, al termine dei funerali del senatore Romano Comincioli, il 15 giugno scorso, esternava un “Dove trovo i soldi se i giudici mi condanneranno?”

Il rammarico è altro.

Chissà come sarebbe l’Italia di oggi se il giudice Vittorio Metta non avesse accettato i suoi 30 denari.

Di chi sarebbero le televisioni e l’editoria, le banche e le poste, , i supermercati e le sale gioco? Quali partiti avremmo e, soprattutto, quali politici avremmo?

Quali risorse, quale fiscalità, quale corruzione, quali infrastrutture?

Quale sarebbe oggi la qualità italiana, senza una cospiracy finanziaria che solo dopo 25 anni inizia a trovare una conclusione, per ora, solo giudiziaria.