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I sogni di Benitez, i soldi di DeLa, lo stadio di De Magistris e … gli acquisti di Bigon

22 Set

Era maggio, poco prima del Mondiale brasiliano, che Benitez, Bigon e De Laurentiis precisavano che bastavano pochi ritocchi per portare al ‘next level’ la Società Sportiva Calcio Napoli: un difensore di esperienza internazionale, un leader per il centrocampo, un paio di ricambi per l’attacco.

In realtà, la situazione era ben altra.

Innanzitutto, la questione dello stadio, degli impianti sportivi e dell’inerzia del Comune di Napoli, per altro provvido di idee esose quanto irrealizzabili, visto che esclude qualsiasi forma di concessione ultraventennale. Chi mai spenderebbe 100 milioni ‘a perdere’?

Poi, la questione dello spogliatoio, con ben tre ‘ribelli’ (Behrami, Dzemaili e Pandev), un potenziale quarto (Insigne) e un ‘desaparecido’ (Zuniga). Pochi ritocchi, con un centrocampo da rifare a nuovo?

Infine, l’urgenza di dismettere la ventina di esuberi (e di milioni di euro in ingaggi) che il ‘buon’ Bigon aveva accumulato in due o tre anni. Con una campagna acquisti a ‘costo zero’, perchè straparlare di scudetto?

I risultati (sul campo) si sono visti.

ssc napoli flag
Un’esclusione di coppa contro un avversario che aveva come unica dote il coltello tra i denti. Due sconfitte in campionato, dopo aver dominato la partita. I nuovi acquisti che (eccetto Koulibaly) non sembrano essere dei top player.

Fino a ieri, contro l’Udinese, con Don Rafele che per sessanta minuti ha accontentato tutti, schierando un 4-4-2 con Insigne e Zuniga esterni, Miguel  e Gargano interni di centrocampo ed Higuain e Michu punte centrali.
Una provocazione? Forse.
Fatto sta che Insigne è scomparso dalle telecronache dopo una decina di minuti, Zuniga si è disperso in leziosismi senza dare penetrazione sulla ‘sua’ fascia, Michu dovrebbe seguire un corso intensivo di kung fu o rugby, Gargano lo conoscevamo già ed ha i noti limiti, Miguel e De Guzman inguardabili per ora.
Ci credo che Higuain fosse arrabbiatissimo, avendo rifiutato il Barcellona, o che Callejon sia allibito, dopo che l’hanno bloccato con l’Atletico Madrid che lo cercava …

Così andando le cose, in qualunque città già sarebbe un problema, figuriamoci poi cosa possa essere 0′ Napule, in una capitale millenaria che non ha avuto il suo riscatto, il cui popolo oggi non comprende le cause di una tale crisi societaria.

planimetria stadio san paolo napoli anello superiore

Per capire i ‘parametri’ dell’operazione finanziaria alla quale De Laurentiis sta lavorando, bisogna partire da un articolo del Corriere del Mezzogiorno che spiegava, in aprile scorso, che la SSC Napoli ha pagato – ad aprile scorso – ben 6,2 milioni per otto anni di fitti arretrati per l’uso del San Paolo,  che viceversa è il Comune ad essere debitore per 4 milioni di euro verso la società, che il valore della ristrutturazione è di circa 80 milioni,  che – per ora – si è arrivati già a 4,24 milioni di euro spesi dalla società calcistica per i progetti cui dovrà seguire una procedura urbanistica. “I lavori di ristrutturazione potranno essere finanziati anche da un soggetto privato diverso da De Laurentiis. La settimana prossima un delegato di un fondo di investimento internazionale sarà in città. Secondo voci, potrebbe essere interessato anche a finanziare l’operazione-San Paolo.”
Aggiugiamo che Benitez richiede (giustamente) un centro sportivo e residenziale per lo staff e la squadra, che diventa un altro problema se il Comune di Napoli non intende (con)cedere almeno una parte dell’ex base Nato, già dotata di campi sportivi ed aree residenziali o funzionali.
Ecco perchè serve liquidità, ecco perchè gli esuberi sono stati ricollocati alla meno peggio, ecco la campagna acquisti a costo zero. Ecco perchè -forse – arriveranno dei soci.

Benitez De Laurentiis De Magistris Bigon

Se questa è la situazione finanziaria della SSC Napoli (altro che De Laurentiis ‘tirchio’), qualcuno potrebbe opporre che l’Inter o la Roma o il Milan non sono in una situazione particolarmente diversa, fatta eccezione per le strutture sportive e societarie di cui si sono dotate da anni ed anni.
Ed, infatti, la statistica dimostra che qualche ‘limite’ c’è e ormai è impossibile non vedere.

Domizzi, De Sanctis, Lavezzi, Hamsik, Gargano, Paolo Cannavaro, Maggio, Zuniga arrivarono grazie a Marino. Cavani fu un accordo diretto tra De Laurentiis e Zamparini. Higuain, Callejon, Maertens, Goulham, Henrique, Koulibaly, Reina e Luis Miguel fanno capo a Benitez.
La gestione diretta dei transfer da parte di Bigon annovera, viceversa, alcuni noti flop come Fernandez, Donadel, Britos, Edu Vargas, Armero, Fidelef e gli strapagati Behrami, Dzemaili, Pandev, per non parlare del folle rinnovo di Zuniga o della possibilità di acquistare Verratti comunque, fino alla incapacità di mercato di quest’anno.
E sempre al direttore sportivo, non all’allenatore, tocca di far da tramite con il presidente per esporre opportunità e indirizzare al meglio le spese.

Juventus - NapoliDunque, i destini della SSC Napoli sono legati a due variabili: il costoso progetto per il San Paolo, di cui arriverà il benestare solo in primavera prossima –  in attesa dei finanziamenti Coni-Fgic di cui si vocifera – e un  direttore sportivo che non sembra essere stato capace di ‘concludere’, specialmente se tiene conto che a vendere a prezzi stracciati (vedi i casi estivi di Armero, Behrami, Dzemaili, Pandev) son bravi tutti.

Intanto, se non si risolverà la questione del centro sportivo-residenziale, è ovvio che Benitez e i top player voleranno altrove e, almeno in questo, il Comune di Napoli  potrebbe darsi una mossa concedendo e autorizzando (mica gratis) quanto serve per riportare gli impianti nella zona flegrea, come era da sempre.

Dunque, non prendiamocela con De Laurentiis e Benitez, che alla fin fine inseguono il nostro stesso sogno mettendoci il proprio: c’è anche la giunta De Magistris che ha portato alle lunghe la questione stadio just in time per le elezioni comunali – ed è Bigon che non porta a casa gli acquisti che dovrebbe e che non tiene ‘a bada’ media, staff e spogliatoio.

Il calcio moderno non è fatto solo dai presidenti e dagli allenatori: dipende anche dalla caratura internazionale dello staff e da quanto la città intenda investire (o liberalizzare) per infrastrutture e turismo …

Originally posted on Demata

Ritornare a Sanremo

15 Feb

Lo scorso anno, l’audience massima del Festival della Canzone Italiana di Sanremo si  era registrata durante la serata finale,  alle ore 22:13, mentre una Lorella Cuccarini “desnuda” attraeva ben 15.195.000 telespettatori, secondo Auditel. Mediamente, la serata si era mantenuta su un tetto di 14 milioni di telespettatori.

Un anno fortunato per Sanremo, il 2010, che aveva conquistato uno share elevato, ovvero vicino o superiore al 50% dei telespettatori nei momenti di punta, relegando le altre reti a quote infime, fatta eccezione per qualche singolo programma come Santoro od il Milan in Champions oppure il Kubrick di “Eyes wide shout” o, ancora, la prima visione Premium Crime.

Auditel, però, non ci dice che età abbiano e dove vivano i telespettatori di Sanremo.

Un dato di cui Auditel è in possesso certamente e che andrebbe reso pubblico, come andrebbe reso pubblico il bilancio finanziario, a consuntivo, del Festival di Sanremo e che invece viene fagocitato nel rendiconto generale della RAI.

Tre o quattro informazioni, da cui farci un’idea di possa essere “il popolo di Sanremo”, però, le abbiamo ed arrivano proprio da Auditel per Sanremo 2010.

  • Prima serata: la partita del Milan in Champions tiene un 15% dello share, Canale5 va sotto il 10% con Notting Hill, Ballarò mantiene comunque un modesto share
  • Terza serata: RaiDue con Michele Santoro si avvicina al 20% di share, mentre il Festival raggiunge una punta di 28 milioni di contatti durante la serata “revival” dedicata ai festeggiamenti della 60° edizione.
  • Quarta serata: Premium “Crime” si attesta tra i 2 ed i 4 milioni di telespettatori.
  • Finale: RaiUno si attesta sui 3 milioni con il Kubrick di “Eyes wide shout”

L’impressione che si riceve da questo questo quadro è che questi telespettatori – che evitano il festival – siano relativamente giovani, preferibilmente maschi, probabilmente acculturati, “più europei e meno italiani”. Altra impressione è quella di ritrovarsi dinanzi ad una sorta di rito da teledipendenza che si perpetua di generazione in generazione.

Tenuto conto che sul palco ci sono Morandi (1944) e Celentano (1938) e che sempre e solo di “canzone melodica” parliamo, il “quadro d’insieme” coincide con i pochi dati di confronto.

Potremmo, addirittura, approssimare l’ipotesi – viste le percentuali “bulgare” di share pro Sanremo – che una buona parte dei telespettatori del Festival siano coloro che comunque vedono la televisione in quella fascia serale, ovvero che la costosa iniziativa della RAI non comporta un incremento “importante” del pubblico televisivo, bensì sottrae semplicemente attenzione a quant’altro accade in televisione in quei giorni.

In termini di “democrazia” non è una gran bella notizia, quella di sapere che c’è una settimana in cui gli italiani vedranno “solo” Sanremo e TG RAI, ma non è questo il problema, anche se dovremmo sempre ricordare che la televisione pubblica dipende direttamente dal governo e non dal parlamento, tramite un consiglio d’amministrazione ed un ministero affidatario.

Il problema è che il Festival di Sanremo si è già ampiamanete dimostrato un costoso carrozzone, afflito da scandali ed indagini, che non ripaga l’investimento fatto – a carico delle tasse degli italiani e delle aziende che sponsorizzano – nè in termini di notorietà della musica italiana all’estero, nè in termini di maggiore opportunità di intrattenimento, nè, visto a cosa assistiamo, di qualità – minima e dovuta – di un servizio pubblico e di una televisione di Stato.

Infatti, il solo cachet per “una serata con” Adriano Celentano è costato alla Rai quello che costano “le sedi giornalistiche Rai nel Sud del mondo (in Africa, in Asia, in Sud America) e farle funzionare per un anno intero”.

In un’Italia che si dibatte tra la neve e gli arrangiatevi, mentre l’Euro affanna, con Monti ed i partiti che perdono consenso interno, non resta che chiederci quanti telespettatori seguirebbero il Festival di Sanremo – per cosa è diventato – se non spendessimo i soldi dei contribuenti per ospiti e star “fine a se stessi”.

L’epoca dei festival si conclude nel lontano 1976, quando venne abbandonata la sede del Casinò di Sanremo, che originariamente – e più propriamente – gestiva l’evento, per trasferire il tutto presso il Teatro Ariston di Sanremo. Uno “snaturamento” che segnò il passaggio dalla manifestazione canora al format televisivo, per un’iniziativa che, originariamente, nasceva dall’esigenza, in febbraio, di offrire un evento di rilievo – tra Natale e Pasqua – per i VIP che americani ed europei che venivano a “svernare” sulle rive del Tirreno.

Riportiamo il Festival agli splendori di una manifestazione canora italiana: neanche uno share del 50% in 4 giorni può giustificare un evento televisivo, sprecone e fine a se stesso, visto che i cachet più alti vanno agli ospiti e che le vendite discografiche raramente, ngli ultimi decenni senremesi, riflettono l’andamento effettivo di royalties e vendite nel corso dell’anno, nè abbiamo visto proseguire nella carriere molti, probabilmente troppi, dei tantissimi partecipanti a Sanremo.

Chiudiamo con “questa” “Sanremo – RAI” e ritorniamo al  Festival della Canzone Italiana di Sanremo.

originale postato su demata