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Disastro Italia: -14% sulla media UE dei giovani laureati. I dati. Quali responsabilità per la scuola italiana?

13 Mag

UNIVERSITÀIn Italia, solo il 22,4% dei giovani è laureato e nella classifica delle 28 nazioni europee il nostro paese si colloca inderogabilmente ultimo su una media generale al 37%.

In Gran Bretagna, la percentuale di 30/34enni in possesso della laurea è al 47%, in Francia al 44%, in Germania è del 33% (ndr. ma il livello dei titoli tecnici superiori è elevato).  Intorno al 25% – in vantaggio, cioè, sull’Italia – troviamo Romania, Malta, Repubblica Ceca, Slovacchia e Portogallo.

Un disastro ‘non annunciato’, stando ai prorompenti ed entusiastici dati che il MIUR ed il sistema universitario forniscono da due decenni, con apertura di nuove sedi ed incremento delle cattedre, accompagnata da tanti blablabla su turismo, cultura e tradizione italiana … quasi che l’Università fosse un percorso enogastronomico …

Quali le cause?

Di sicuro, al primo posto, annoveriamo l’atavica disaffezione culturale italiana per ciò che è scientifico (matematica, chimica, fisica) e per ciò che è tecnico, ovvero riguarda la ‘società di massa’ (economia, informatica, ingegneria, logistica, finanza, management, governance), con una particolare disattenzione generale verso agricoltura e navigazione, che dovrebbero essere, viceversa, parte del ‘genoma nazionale’.

Una carenza tecnico-scientifica del sistema di istruzione-formazione italiani che si manifesta a partire dagli Anni ’60, quando si videro i primi effetti di un sistema di istruzione finalizzato all’acculturamento generale e non all’avviamento al lavoro e agli studi universitari.
Due scopi diversi, due risultati ben differenti …

Con gli Anni ’70, la distorsione delle finalità della scuola pubblica iniziarono a ricadere sulle università, con l’enorme superfetazione delle lauree umanistiche – specie lettere, medicina e giurisprudenza, psicologia, sociologia – e con l’enorme crescita delle facoltà universitarie nelle due città dove la tradizione tecnico-scientifica, Bologna e Roma, aveva dimostrato nei secoli scarso radicamento.
Fu allora che Milano, Napoli, Ferrara, Pisa, Genova iniziarono ad essere ‘troppo selettive’, come iniziarono a collocarsi sedi universitarie in località diverse dai capoluoghi regionali – dove la concentrazione dei cervelli assicurava osmosi, competizione e meritocrazia – finendo per ‘delocalizzarsi’, ai giorni nostri, anche in sparuti/sperduti paesini di montagna con poche decine di allievi …

GrafDomOffLaureati2009

Dati 2009 – datagiovani.it

Al disastro strutturale si aggiunse la piaga del ‘sei politico’ seguita dai famigerati ‘corsi abilitanti’ e/o concorsi ‘riservati’, per non parlare delle poco legittime graduatorie ad esaurimento (ndr. ce ne sono ancora in giro …), tramite la quale venne ‘ampliata’ l’attuale schiatta di docenti e dirigenti italici.
Eh già, senza di loro forse saremmo al 15% di laureati in Italia, qualche ottuagenario ancora in politica ci racconterà che “l’Italia doveva upgradarsi” … ma i risultati (ndr. disastri) si vedono.

Dulcis in fundo, i percorsi formativi delle scuole superiori (che sempre meno sono finalizzati alle competenze necessarie a proseguire gli studi), la difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro se si è giovani laureati (ma ciò non dovrebbe essere per i titoli di studio tecnici postdiploma, che avremmo dovuto/potuto finanziare con fondi europei da 20 anni), la sempre maggiore disaffezione scolastica verso l’impegno ed il merito dei nostri alunni, a partire dai compiti a casa e dall’oggettività ed omogeneità nazionale dei test di valutazione.
Persino l’Esame di Stato si ridusse ad una mera formalità da disbrigarsi con i docenti della stessa classe … mentre prima – con i commissari provenienti da altre regioni – si garantiva, a piccolo costo, molto di più.
E, ancora oggi, continuiamo da dare il posto fisso a docenti che non hanno svolto 2-300 ore di formazione psico-pedagogica certificata da una Università e dirigenti che non possiedono gli analoghi requisiti (universitari o parauniversitari) per quanto riguarda management, gestione finanziaria e norme giuridiche. Lo stesso dicasi per i medici.

Ma il peggio non ha mai fine … e dovremmo parlare dei libri di testo scolastici ed universitari, che ormai dimostrano un serio e imbarazzante distacco dalle conoscenze ccomunemente recepite a livello internazionale.
Ad esempio, il paradosso di far studiare a 15 anni una ‘Storia della Filosofia’ europea (l’Italia non ha prodotto filosofi di rilievo mondiale) nel III Millennio senza alcun riferimento al pensiero del resto dell’Umanità, come se Lao Tze, Confucio, Budda non fossero stati antecedenti e ‘limitrofi’ ai Sofisti ed a Socrate, come a Platone o Aristotele.
Per non parlare della Biologia, di cui insegnamo ancora la versione ‘pre Cavalli Sforza’, mentre troppi giovani (non trovando risposte a scuola) si affidano alla disinformazione in rete. O della Matematica, mai utilizzata per statistiche, tabelle, prospetti, eccetera. Peggio ancora la Fisica, che si occupa della realtà delle cose, presentata a dei 13enni con un groviglio di formule anche se si tratta di una biglia che rotola su un piano.
Lasciamo perdere la lingua italiana (se volessimo insegnarla come in Germania /Francia / Gran Bretagna), che siamo un paese dove notoriamente ognuno compila/trascrive ‘a modo suo’ anche il più semplice dei modelli.

Peggio ancora i così detti ‘compiti a casa’ e le ‘esercitazioni in classe’ che non sono un dovere ‘generalmente riconosciuto da tutti’ se per gli alunni e per gli insegnanti abbiamo dovuto normare un Patto Formativo ad hoc per ogni scuola, per tentare che siano assegnati e svolti in modo omogeneo.
Fino all’abisso delle competenze per i laboratori delle scuole, specie quelle tecniche, per le quali non è chiaro chi debba provvedere da ben 15 anni, cioè da quando la Conferenza Stato-Regioni avrebbe dovuto/potuto occuparsene.

Così accade che, in fatto di lauree, tra dieci anni saremo alla stregua di un paese postcoloniale, visto che le iscrizioni scemano e le lauree anche, tra  crisi finanziaria e quel pizzico di selettività in più, che non inducono a ‘sogni di gloria’ chi non abbia basi solide per proseguire gli studi.
E di sicuro non possiamo abbassare il livello degli studi postdiploma, che tra l’altro dovrebbero corrispondere a standard internazionali.

situazione-laureati-italiani

C’è chi chiede di eliminare il numero chiuso per le lauree sanitarie e mediche, ma dimentica che l’Italia non ha certo bisogno di aumentare il numero degli addetti … visti i tagli che corrono, mentre la nostra medicina avrebbe di sicuro l’esigenza di internazionalizzare gli insegnamenti di queste facoltà e mentre la nostra Sanità dovvrebbe iniziare a parlare di costi standard …

Quello che serve all’Italia sono tanti laureati e postdiplomati in ambiti tecnici con compensi decenti. A partire dall’ingegneria e dalla cultura ingegneristica, visto lo stato di demanutenzione e deinfrastturizzazione del Belpaese. Passando da tutto ciò riguardi l’economia, in primis la gestione dei beni (logistica) e dei dati (analisi e progettazione informatica), le tecnologie Green (dov’è finita la grande tradizione elettronica italiana?), l’agroalimentare (che di diplomati periti agrari in Italia ce ne sono davvero troppi senza però studi corrispettivi).
E il turismo, per il quale qualcuno dovrebbe peritarsi di aprire scuole e di contrastare il lavoro nero, se vogliamo che i nostri giovani vadano a lavorare in grandi e solide aziende internazionali, piuttosto che tentare la sorte, prima come cameriere/commessa con la III media e poi … come ex gestore di pizzetteria/bar con procedimento fallimentare a carico …

Questa è l’Italia, ma a differenza degli altri casi,  quasi tutte le compenze del caso sono in capo al Ministero dell’istruzione, dell’università, della ricerca, che vennero accorpate proprio per ovviare a quanto raccontato, mentre quello che riguarda la formazione professionale ricade sulle singole territorialità e, dunque, sull’effimera Conferenza Stato-Regioni, una sorta di malfunzionante ‘terza camera parlamentare’ di cui ci siamo dotati, ma non si sa perchè …

Laureati Italia - Mondo

Altrove il ministero che si occupa di istruzione bada innazitutto che le scuole forniscano diplomati adeguatamente formati per il mondo del lavoro o per gli studi universitari e, spesso, le scuole tecniche sono gestite direttamente dai ministeri specifici (agricoltura, industria, infrastrutture e ricerca, eccetera).
Ed il reclutamento dei docenti è fortemente selettivo – dentro o fuori prima dei 30 anni: altro che graduatorie ad esaurimento e precari a vita – come lo sono le prove che gli alunni devono superare e che sono predisposte a livello statale ogni anno.

Riforme a costo zero, forse una manciata di miliardi per anticipare i pensionamenti.
Eppure, non c’è verso di farle: Luigi Berlinguer e Letizia Moratti ne sanno qualcosa …

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Scuola italiana al crash?

27 Gen

Mentre Parlamento e Media si accapigliano per una riforma elettorale che cambierà tutto per non cambiare nulla, l’Italia va avanti. O, meglio, tenta.

Una marea di italiani ‘travolti da un insolito destino agostano’, quando – era il 2011 – il Governo Monti intervenne sulla spesa pubblica in base a conti rivelatisi poco affidabili, e rimasti in balia dei flutti – siamo ormai al 2014 – a causa dello stallo politico in cui viviamo.

Uno dei settori più vessati ‘ma invisibile’ è quello della scuola. Anzi, ad essere esatti, dell’istruzione e della formazione professionale, del diritto allo studio, delle tutele sociali verso le categorie svantaggiate. Una scuola che si arrangia senza che nessuno le dia il benchè minimo raggio di luce o filo di speranza, dato che – da Cinque Stelle a La Destra, passando per SEL o la Lega ed arrivando a PD, Scelta Civica, NCD e Forza Italia – non c’è programma o istanza ne faccia menzione.

scuola precariaA partire dagli stipendi e dallo status del personale, che vede una sequel di perequazioni a dir poco mostruose:

  1. le docenti di scuola elementare e materna (ndr. maestre) retribuite praticamente quanto un’ausiliaria, nonostante molte di loro abbiano una laurea;
  2. i docenti delle scuole medie e superiori (ndr. professori) , anch’essi con stipendi da fame, ma con un sistema di prestazioni talmente obsoleto e rabberciato che nessuno è finora riuscito a confrontarlo – nei tempi e nei compensi – con quelli stranieri;
  3. il personale amministrativo che dovrebbe essere diretto da laureati in economia (o legge), che dovrebbe rispondere a requisiti di qualità ed efficienza nazionali e che percepisce uno stipendio base in linea con quello del settore bancario;
  4. i dirigenti scolastici che sono equiparati alla dirigenza pubblica solo per le responsabilità connesse, ma senza benefit, progressioni di carriera, mobilità, tutele e, soprattutto, stipendi adeguati, dato che percepiscono 2/3 del compenso di un medico di base, pur essendo gli unici dirigenti pubblici a gestire direttamente un centinaio di lavoratori e servizi alla persona quotidiani;
  5. i tecnici (insegnanti e assistenti) nel limbo funzionale, tra contratti che non si aggiornano e, soprattutto, con finanziamenti per laboratori e innovazione che non arrivano;
  6. gli ausiliari ai quali, ridotti a mezza dozzina con il subentro delle ditte di pulizia, toccherebbe di vigilare su chilometri di corridoi o piazzali e decine di bagni, oltre a garantire aperture pomeridiane e domenicali;
  7. i precari che attendono anni prima di essere stabilizzati, dato che – con le norme pensionistiche introdotte nel corso del ventennio – a tutto si è pensato, fuorchè a gestire il turn over dei docenti nel settore scolastico e universitario, che è una nota e prevedibilissima esigenza del sistema;
  8. la formazione in servizio non esiste da almeno 15 anni e sarà un decennio che non si vedono ispettori. Nessuno verifica se si sia in grado di insegnare con lauree conseguite 40 anni fa e mai aggiornate, nessuna statistica ci racconta delle prevedibili anomalie amministrative (e finanziarie) delle scuole;
  9. gli anziani e gli invalidi che – da un tot d’anni – vedono sempre più allontanarsi la prospettiva di andare a riposo, rinviata con leggine e lacciuoli, mentre si erano ‘arruolati’ con la prospettiva di andar via dopo soli 20 anni, accettando una pensione da fame, che ancora oggi preferirebbero negoziare in vece di un ‘lauto’ TFR;
  10. sul fronte sindacale, non c’è che prendere atto che per gli statali c’è l’attestamento su benefit vecchi, datati, oblsoleti e probabilmente inutili o controproducenti, mentre il personale didattico delle scuole private, dei centri professionali e dei servizi esternalizzati è gestito con contratti di lavoro nazionali indecenti nell’indifferenza generale;
  11. i dati PISA-OCSE raccontano di un’inefficienza ed un’inefficacia del sistema di instruzione epocali (in certe aree), i dati di Confindustria e di Unioncamere sui neoassunti confermano, mentre nessuno interviene per migliorare meritocrazia e selezione in un Paese che vede ancora il 65% dei maschi adulti privo di un diploma ed ancora la metà delle donne (diplomate o laureate) a casa senza lavoro. Intanto, crescono i diplomati con il massimo dei voti (ndr. licei) e diminuiscono gli studenti non ammessi agli esami di maturità 2013 così come i bocciati;
  12. dopo la sentenza TAR del Lazio – che ha annullato la riforma dei programmi e delle cattedre degli istituti tecnici e professionali – si ritornerà a svolgere 36 ore settimanali anzichè 32 come oggi oppure arriverà in extremis la ‘soluzione’? Bello a sapersi. Intanto, le iscrizioni sono aperte e tra un po’ anche gli organici;
  13. l’ediliza scolastica la conosciamo tutti e rappresenta bene un popolo che non si preoccupa di offrire sicurezza, dignità e futuro ai propri figli, mentre le scuole pubbliche le finanziano de facto le famiglie e mentre le devastazioni di tante scuole denotano una certa illegalità diffusa e – nonostante l’esposizione di tanti ragazzi/e a modo – non hanno, finora, trovato particolare sanzione o prevenzione;
  14. scuole_precarie_bassasul fronte del ‘sociale’, basti dire che per mandare in gita un alunno indigente si va ancora avanti con le collette a scuola. Mica provvede il Comune di residenza …
  15. di status istituzionale per le scuole siamo al non sense, con la Costituzione (e qualche sentenza) che le definisce gestionalmente ‘autonome’ e il MEF che le considera meri ‘punti di erogazione del servizio’, mentre il MIUR ha risolto tutto con un decreto e gestisce tutto da un paio di uffici e poco più;
  16. per non parlare della spesa pubblica che registra almeno 100 miliardi annui (6-7% del PIL) per ‘istruzione’, ‘formazione professionale’ e ‘diritto allo studio’, di cui una quarantina vanno via in stipendi dei docenti statali, mentre il resto non si sa bene dove vada … e soprattutto a cosa serva.

In questi giorni, sta facendo scalpore la vicenda di 4.000 docenti che, pur avendo diritto alla pensione in base alla Legge Damiano, si vedono negare l’accesso per un cavillo burocratico e … per i soliti motivi di ‘cassa’. Persone che, comunque, hanno versato 35 anni di contribuzione assicurativa.
Niente paura, è solo un’avvisaglia. Dal 2015, chiunque volesse pensionarsi dovrà aver lavorato almeno 42 anni e tre mesi, ovvero non potrà avere meno di 61 anni, con buona pace degli invalidi e di quanti – vedendosi scippare l’agognata pensione a uno o due anni dalla meta – non potranno sentirsi particolarmente motivati. Per non parlare degli invalidi di una certa entità  che saranno forse 100.000, forse meno. Nessuno lo sa.

Gelmini Tremonti

Per risolvere questi problemi l’Italia non ha molto tempo, considerato che nel 2015 ci saranno le ‘annunciate’ elezioni anticipate, ma non servono chissà quanti soldi. Anzi, forse ne verrebbero anche delle economie.

Il problema è nella ‘concertazione’, ovvero portare ad un accordo ragionevole alcuni soggetti:

  1. la Conferenza Stato-Regioni ed i rapporti con l’ANCI, se si vuole razionalizzare il tesoretto di 100 mld che ‘andrebbe’ all’istruzione, formazione e diritto allo studio, trovando le risorse per l’edilizia ed il ‘welfare scolastico’ tenuto conto dei servizi ‘esternalizzati’, del ricalcolo dell’ISEE e/o il ‘così detto’ salario minimo;
  2. il tavolo di Governo che dovrebbe garantire i dovuti equilibri (ndr. ed il problema non è nè Carrozza nè fu Gelmini)  nei poteri dei diversi ministeri, visto lo strapotere del MEF – di tremontiana memoria –  come dimostrano i tanti casi di contenzioso, spesso a causa di semplici circolari che, ormai, superano l’effetto di decreti e bloccano norme e accordi, in nome di una competenza costituzionale che il Fiscal Compact, però, attribuisce al Governo e non ad un solo Ministero;
  3. i vertici sindacali (che non di rado hanno un’esperienza di lavoro effettivo di pochi anni, svolto nella scuola degli Anni ’70 /80) e la dirigenza del MIUR (tra cui non ve ne è uno che provenga dal comparto scuola), che da almeno un decennio non riescono a trovare parametri contrattuali moderni e univoci per un personale che ormai opera in un settore fortemente diversificato;
  4. il sistema assicurativo (pensionistico della scuola) – prima ENPAS, ENAM e KIRNER, ovvero semi-privatistico ed oggi meramente INPS – e l’esigenza che il Sistema di Istruzione Nazionale  che tenga conto dell’esigenza (per il tessuto produttivo, culturale e sociale) di ‘turn over’, ovvero di fornire personale con un’età media di 45 anni ed assunto subito dopo la laurea. Il contrario di un precariato decennale – da cui i migliori spesso fuggono andando all’estero – mentre si abroga la ‘Quota 96’, imponendo a tutti il pensionamento dopo 43 anni contributivi (ndr. ma non a chi ha ormai 65 anni e passa), lasciando i parametri e le pensioni da fame che abbiamo sulle invalidità e lesinando mobilità, part time o telelavoro, ma, soprattutto, impedendo ogni forma di negozialità per chi voglia optare per una pensione decurtata, ma anticipata.

laoro pensioniMissione impossibile? Di sicuro, ma iniziamo a renderci onto che è impossibile anche il contrario.

La Scuola è esausta, il suo personale non vede prospettive di riconoscimento del proprio lavoro o di completamento di una ‘eterna riforma’, i nostri alunni non sempre frequentano strutture sicure, i nostri diplomi spesso non valgono granchè e vengono conseguiti con un anno di ritardo (18 anni anzichè 17) rispetto all’estero, la questione ‘Quota 96’ e del suo blocco sta arrivando al capolinea del 2015.
Di edilizia, trasporti, formazione professionale e permanente, accessibilità per disabili e stranieri, contratti di lavoro, monitoraggio e valutazione, finanziamenti pubblici e politica locale, come dicevamo, meglio non parlarne.

scuola famigliaE sembrerebbe che tutti abbiano dimenticato che l’istruzione pubblica non fu solo istituita per ragioni di equità e solidarietà umana, ma anche e soprattutto per garantire pace e ricambio sociale, come competitività, meritocrazia e produttività, diffondendo conoscenze, competenze e regole di convivenza. Utile sapere anche che i dati comprovano come la dispersione scolastica si accompagni al bullismo e alla violenza negli stadi, alla microcriminalità e alla dipendenza da sostanze o da gioco, di disturbi comportamentali come depressione e anoressia, eccetera …

In Italia, anche quest’anno, si diplomerà circa mezzo milione di studenti, di cui circa il 20% ha ripetuto un anno (dati 2006) e quasi il 40% supererà l’esame con voti inferiori a 80/100 (dati 2011), mentre un altro 20% a scuola proprio non ci va.
Chissà perchè le agenzie di rating – che guardano al futuro oltre che al contingente – sono così restie da dar fiducia all’Italia …

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Tagli alla scuola: si potevano evitare?

12 Set

Riaprono le scuole ed iniziano a sentirsi i tagli voluti da Tremonti ed eseguiti dalla Gelmini.

Secondo la Stampa, le attuali 10.500 istituzioni scolastiche verranno ridotte a circa 9.500 perchè hanno pochi alunni, ovvero meno di 500 che è il parametro di legge. L’intervento, che decurta del 11% l’organico dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi, comporterà, secondo i calcoli di «Tutto Scuola», anche una incomprensibile perdita di ulteriori posti (1.100) di assistente amministrativo.

Sempre in questo anno scolastico che inizia, le ore di lezione degli istituti tecnici e professionali vengono generalmente abbassate  a 32 settimanali, con un corrispettivo taglio del 10% dei docenti, che va ad aggiungersi al corposo taglio di maestre di scuola elementare (circa 50.000) determinatosi con l’abolizione dei moduli senza il subentro, specie al Sud per problemi logistici, del tempo pieno.

A questo va ad aggiungersi il taglio dei servizi per i disabili, quelli per il funzionamento delle scuole e quelli specifici per il recupero, per poi dover ancora scoprire quali saranno i tagli attuati dagli Enti Locali, se a carico dei clientes o delle scuole.

Il tutto in uno Stato che destina(va) all’istruzione, ovvero al diritto allo studio, più o meno quello che spendono gli altri paesi europei, se teniamo conto sia di quello che va al Ministero dell’istruzione, università e ricerca sia quello che va a gli Enti Locali.

Inoltre, se lo Stato investe di meno nella scuola, anche i costi per le famiglie s’incrementano (ad esempio: +2% sul prezzo degli zainetti) e le misure di contenimento del “caro libri”, che grava specialmente sugli alunni dei Trienni delle Superiori, sono inficiate dalla scarsa informatizzazione dei docenti. la scarsa diffusione degli Ebooks, la drammatica situazione dell’edilizia scolastica e dei laboratori, i tagli pesantissimi per gli assistenti tecnici, per non parlare della l’innovazione e manutenzione tecnologica, che, da quando è stata trasferita agli Enti Locali, è del tutto scomparsa in non pochi territori.

Se la scuola pubblica non fosse stata statale non avremmo subito questi tagli.

Con il sistema dei voucher e con le scuole in carico al territorio, come recita la Costituzione, il cittadino vedrebbe direttamente decurtate le risorse destinate all’istruzione dei propri figli e protesterebbe. Inoltre, i cittadini potrebbero scegliere e le scuole sarebbero costrette a diventare più efficienti o ridursi a dei diplomifici, facilmente individuabili da un qualunque sistema informativo di monitoraggio decente.

Sempre con i voucher, però, i docenti passerebbero dal posto fisso a contratti quinquennali o triennali. E nei voucher, cioè nelle mani dei cittadini, finirebbe anche buona parte di quello che gli enti locali spendono in diritto allo studio e che, non di rado, diventa festa patronale o etnica, scuolabus ed esenzione, progetto esternalizzato fine a se stesso. Infine, avendo “finalmente” gli amministratori locali la responsabilità di un servizio che “entra nelle case della gente”, assisteremmo ad una maggiore e più soddisfacente selezione del personale politico che ci viene proposto per il voto.

E’ una questione nota, esiste dai tempi della tentata Riforma di Luigi Berlinguer, l’On. Aprea (una donna che viene dalla scuola) porta avanti questa battaglia da anni, esistono progetti di legge in Parlamento che attendono da legislature e nessuno ne parla.

Ai media, evidentemente, interessano solo i tagli da sbattere in prima pagina, non le soluzioni che potevano evitarli.