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Dalai Lama: compassione per Bin Laden

9 Mag

In un intervento presso la University of Southern California di Los Angeles, Tenzin Gyatso, il Dalai Lama vivente, ha risposto ad alcune domande riguardo il “point of view” buddista, riguardo la morte di Osama Bin Laden.
“Perdonare non vuol dire dimenticare cosa è successo.
Se accade qualcosa di grave che richiede delle contromisure, bisogna prendere quelle contromisure“.

La sua morte, “in una prospettiva buddista, ovvero quella di considerare il nostro nemico cone il nostro più grande maestro, è un fatto triste. Come ogni essere umano, Osama Bin Laden ha diritto alla nostra compassione e comunque perdono.”
“Naturalmente, per coloro che credono che un nemico sia un nemico assoluto, il punto di vista porta ad una prospettiva differente”.

Un concetto accettabile, se non ovvio, per noi europei figli di tante guerre fratricide, che, però, ha destato diversi interrogativi sui media statunitensi, che in questi giorni avevano cavalcato l’onda della “vendetta”, nel raccontate l’attacco di Abbottabad e la morte di Bin Laden.

Questo il comunicato ufficiale del Dalai Lama sul suo sito in risposta.

C’è bisogno di distinguere tra l’azione e l’attore. L’azione di Bin Laden è stata certamente distruttiva e i fatti accaduti (e scaturiti dal) l’11 settembre hanno ucciso migliaia di persone. Questa azione deve essere ricondotta a giustizia.”
“Ma, verso l’attore, dobbiamo avere compassione e discernimento, come anche che le contromisure, a prescindere dalla forma che abbiano, devono essere compassionevoli.”
Il leader spirituale dei buddisti di culto tibetano ha anche sottolineato che “la pratica del perdono non implica che si debba dimenticare cosa è stato fatto“.

A quanto pare, un uomo da solo, Tenzin Gyatso il Dalai Lama vivente, ha avuto il coraggio (o l’onestà intellettuale) di dire agli USA dinanzi a telecamere statunitensi ciò che ONU, Vaticano, Associated Press, governi alleati e non alleati stanno flebilmente bisbigliando da giorni, chiedendo foto o precisazioni da parte di Obama.

Flebilmente perchè tutti temiamo che si venga ad acclarare che Osama Bin Laden si è consegnato e che, successivamente, è stato giustiziato sommariamente e con brutalità.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Sony ed il crash della Playstation

28 Apr

George Hotz (Glen Rock, 2 ottobre 1989) è un giovane programmatore che l’anno scorso aveva sviluppato e pubblicato un software libero e legale che permette di sfruttare le prestazioni degli iPhone al massimo.

Un’operazione che gli hacker chiamano “jailbreak” e che è finalizzata a “liberare” l’hardware dai limiti artificiali creati via-software dalle case costruttrici per motivi commerciali.

E’ un problema diffuso tra le tecnologie, che spesso sfruttano meno della metà del proprio potenziale per i parametri imposti da accordi e cartelli commerciali.
Visto il successo con l’iPhone, il giovanissimo George Hotz aveva iniziato a cimentarsi con la Playstation della Sony e, in gennaio, aveva pubblicato alcuni codici ed alcune procedure per “sbloccare” il giocattolo che ben 70 milioni di persone amano.
Hotz voleva permettere alle Playstation di eseguire anche software libero e sistemi operativi come Linux.

A questo punto la Sony accusava il ragazzo di violare il Digital Millennium Copyright Act per una procedura che, si noti bene, se fatta su un cellulare non è considerata vietata.
A dire di Riley Russell, legale della Sony, il programmatore andava processato “per proteggere la proprietà intellettuale e i consumatori” (sic!).

Adesso, George Hotz rischia una condanna federale per diverse decine di migliaia di dollari, anche se ha ragggiunto un accordo con la Sony pochi giorni fa, e il magistrato gli ha già chiuso gli account Twitter, YouTube e PayPal, oltre ad oscurare la pagina incriminata, che, intanto, era rimbalzata in mirroring su mezza rete.
L’unico commento è stato, tramite una email inviata a Wired.com: “Non mi piace la censura, non mi piace la censura ai miei danni. State tranquilli, sto combattendo la mia battaglia, nel miglior modo che conosco”.

Naturalmente, la comunità hacker mondiale era rimasta alquanto turbata dall’accanimento dimostrato dalla potentissima casa giapponese contro un ragazzo “inerme”, colpevole solo della sua intelligenza.

Il 20 aprile scorso, il sito della Sony che serve 77 milioni di amanti della Playstation iniziaa ad avere seri problemi, fino a pervenire al black out, mandando offline i servizi «Psn» (Playstation Network) e «Qriocity» (video e musica).
Il 25 aprile, un comunicato della casa giapponese informava che si era verificato un attacco da parte di un gruppo di hacker, gli Anonops, che dal 5 aprile scorso avevano condotto un attacco “Denial of service” contro i server nipponici, in sostegno di Geo Hotz.
A questo comunicato, facevano risposta gli hacker, che rigettavano le accuse e accusavano la Sony di incompetenza, la quale correggeva il tiro è parlava di «persona non autorizzata».

Un attacco dall’interno? Un furto di nomi, date di nascita, indirizzi, codici postali, password, e-mail, numeri delle carte di credito, come quelli che vediamo nei film?
Secondo l’esperto informatico di La Stampa, Anna Masera, “è la domanda che sta rimbalzando fra gli esperti informatici, secondo cui è più probabile che si tratti o di un attacco criminale organizzato oppure di un difetto di sistema della Sony, che è criticata perché adopera un sistema proprietario chiuso e quindi non permette a nessuno di sapere come funziona e quali siano le sue vulnerabilità. E’ lo stesso problema dei sistemi proprietari di Microsoft e di Apple, a differenza dei software open source.”

Intanto, il diretto concorrente della Playstation Sony, la Nintendo Wii, ha annunciato la presentazione, il 7 giugno a Los Angeles, della nuova consolle.