Tag Archives: lombardia

Covid-19 e contenimento: cosa ne pensano i Liberali?

30 Apr

Non solo Trump, ma anche i Liberali europei puntano il dito verso la Cina per la coercizione dei propri cittadini e la manipolazione delle informazioni all’estero.

Imaqwege2

Hans van Baalen – presidente dell’Alleanza Liberaldemocratica, a cui aderiscono anche i Radicali e +Europa –  ha condannato il ‘misuse’ cinese del contenimento Covid-19 allo scopo di rafforzare il potere comunista.

E’ un fatto noto, ormai, che “l’European Union External Action Service (EEAS) ha prima ritardato e poi riscritto un rapporto sulla disinformazione e sui metodi che hanno alleggerito l’attenzione sulla Cina.

Altre organizzazioni mediatiche affidabili e apprezzate come Politico Europe e BBC News hanno riportato fatti simili“: la pressione diplomatica e la coercizione interna da parte della Cina avrebbero portato a sottovalutazioni che hanno ammorbidito la posizione dell’UE nei confronti delle campagne di disinformazione cinese nei paesi europei durante l’epidemia di COVID-19.

Il parlamentare europeo Bart Groothuis (Renew Europe) – anche lui olandese – ha lanciato un chiaro monito.

L’Unione Europea deve essere vigile e rispondere a queste ostilità.
La relazione del Servizio europeo per l’azione esterna si resoconti e la disinformazione di COVID-19 è un passo avanti. Tuttavia, le recenti accuse relative all’ammorbidimento dei contenuti su richiesta del governo cinese destano profonda preoccupazione. L’UE non può consentire a un paese esterno di influenzare le informazioni condivise.

L’UE deve trovare la sua posizione in questa nuova fase globale e ha tutto ciò che serve per combattere e dare l’esempio, ma sono necessarie unità e cooperazione di tutti gli Stati membri e poteri istituzionali liberali più forti.
L’UE può essere un leader sulla scena globale, ma deve ritrarsi come una vera Unione di stati democratici liberali che affrontano la crisi in modo collettivo, efficiente e trasparente.

Qualsiasi manipolazione o coercizione da parte di paesi terzi causerebbe un danno al processo democratico nell’UE. La nostra sovranità politica è in gioco se lo permettiamo.”

In altre parole dallo scoppio della pandemia di COVID-19, Cina e Russia stanno implementando una campagna di disinformazione globale volta a posizionarsi come leader globali e minare la fiducia nelle democrazie liberali e nelle loro istituzioni.

Imawqage4

La lotta contro COVID-19 è una lotta comune.
I regimi che nascondono e mascherano le informazioni non possono essere l’esempio principale, a differenza delle democrazie liberali che salvaguardano le libertà civili e condividono informazioni trasparenti ed efficienti.

Adesso, la parola passa ai vari partiti liberali d’Europa, tra cui i nostri Radicali, +Europa e PLI, anche se non è parte dell’alleanza europea dei liberali. 

La forza degli Europei sono le libertà civili e la condivisione di informazioni trasparenti ed efficienti.

Perderemo la guerra con il Covid-19 e non solo quella se anche in uno stato o una regione europei fossero ritardate e poi riscritte delle informazioni essenziali contro la pandemia.
Peggio ancora se in un qualche stato o regione europei si adottassero forme di coercizione della popolazione eccessive per nascondere le falle del sistema e cooptare il consenso.

Demata

Autonomia legislativa e fiscale in arrivo. E Roma?

6 Feb

Mentre la Quota 100, il Reddito di Cittadinanza e le liti con l’Unione Europea attiravano l’attenzione della pubblica opinione, il 21 Dicembre 2018 è arrivata in Consiglio dei Ministri la legge sull’autonomia legislativa e fiscale regionale ed a breve sarà pronta, come annunciava il Premier Conte  che “vogliamo trovarci, verso il 15 febbraio, a incontrare i presidenti delle regioni interessate e sottoscrivere con loro un’intesa“.

Le regioni interessate sono Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, mentre l’autonomia da Roma che otterranno riguarda di tutto: rapporti internazionali e con l’Unione europea; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; finanza pubblica e sistema tributario; beni culturali e ambientali; casse di risparmio e rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Naturalmente, parliamo di soldi. Non soltanto le tasse raccolte sul territorio, ma anche la gestione dei fondi per le imprese, gli incentivi per lo sviluppo economico, per l’occupazione, le garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari, gli aiuti all’agricoltura. Centinaia di miliardi di euro che vorrebbero sottratti ai ministeri e alla Cassa Depositi e Prestiti, cioè a Roma e … il suo PIL. 

DdymALPUQAAg36X

Scrive Il Messaggero: “il Veneto ha chiesto che una quota dei 6 miliardi di euro del Fondo rotativo a sostegno delle imprese gestito dalla Cdp, passi sotto il controllo regionale. Siccome le imprese in Veneto sono quasi il 10% di quelle italiane, significherebbe che circa 600 milioni dovrebbero uscire dalla gestione della Cassa per trasferirsi in quella di qualche finanziaria pubblica veneta. Se la stessa idea fosse sposata da Lombardia ed Emilia Romagna, lascerebbero Roma oltre 2 miliardi di euro di risorse“.

O quella dell’istruzione – a dirlo è  Enrico Panini, assessore al Bilancio, al Lavoro e alle Attività Produttive del Comune di Napoli e segretario ‘storico’ della CGIL Scuola intervistato da Orizzonte Scuola – con la previsione che “programmi scolastici, organizzazione, assunzioni e trasferimenti saranno solo locali”, cioè con stipendi diversi e insegnanti regionali per quasi 200mila cattedre, un quarto del totale del Paese. 

Il “criterio è sempre lo stesso: il numero delle imprese presenti sul territorio. Solo nel Veneto, come detto, è circa il 9 per cento del totale di quelle italiane, che sale al 36 per cento se si aggiungono le altre due Regioni.
Ad esempio, ci sono  le decine di miliardi di euro dei Fondi di garanzia per le opere pubbliche e  per le piccole e medie imprese, quelli dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura o dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare. E poi ci sono porti e aeroporti civili, produzione e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa, sistema tributario, cioè molti più soldi e posti di lavoro delle scuole e dell’agricoltura.

Ricorda Il Messaggero che “se ad una struttura ministeriale viene sottratto oltre un terzo del suo lavoro, è evidente che quella stessa struttura è destinata a disarticolarsi. Diventa inefficiente, ridondante. Con tutte le conseguenze del caso su occupazione e indotto“.

Grandi nubi all’orizzonte per la Capitale, che dovrà inventarsi attività diverse dal gestire denari e servizi altrui, come fa da 150 anni, se persino i romanissimi Gianni Alemanno e Francesco Storace del Movimento per la sovranità devono riconoscere che «il vero rischio per l’unità nazionale, e anche per il suo sviluppo economico, è continuare a disconoscere l’enorme residuo fiscale che viene versato da queste regioni allo Stato centrale».

Selezione_007

Dunque, l’autonomia differenziata NON si qualifica come un razzismo territoriale nell’accesso a servizi di cui tutti gli italiani hanno diritto allo stesso modo.
Accadrà ‘solo’ che il gap di servizi (asili, scuole, sanità, ambiente, commercio, produttività, trasporti) diventerà “legittimo”, cioè ‘quantificabile’ e ‘rivendicabile’ dai cittadini come da parte delle regioni più povere.

E cosa  sarà di Roma nel trovarsi a fronteggiare l’inefficienza e il degrado che ha costruito ostinatamente, senza meritocrazia e innovazione per rendersi attrattiva, privata del potere sui flussi finanziari creati dall’enorme residuo fiscale del Settentrione e costretta a garantire la perequazione tributaria destinata alle regioni meridionali ?

Demata

La Catalogna e l’eterno dilemma europeo

3 Ott

Il New York Times aveva previsto che “il 2 ottobre il president Puigdemont potrebbe dichiarare l’indipendenza della Catalogna e la Spagna interverrà manu militari e i catalani resisteranno… Mariano Rajoy passerà alla storia come uno sciocco che a forza di scalare una piccola collina l’ha fatta diventare l’Everest.”

Infatti, se Josep Maria Jové, ministro degli esteri catalano, ben aveva spiegato che “non è un problema di economia, cultura, lingua, ma democratico” e che vogliono essere “meno legati ai pregiudizi ereditati e più basati sullo sblocco delle potenzialità che ci offre il presente e il futuro”JP Morgan  sta consigliando ai propri clienti di “vendere i titoli del debito spagnolo per spostarsi con titoli in Portogallo e Germania”. “Fatelo il prima possibile, perché il movimento indipendentista catalano comincerà a fare pressione nel breve periodo e si cominceranno a vedere le perdite.” 

La chiave dell’enigma spagnolo, dell’irritazione statunitense che minaccia il trasferimento delle sue aziende e del silente attendismo europeo è presto detta: vada come vada, la ‘revuelta catalunya’ è un incipit che potrebbe contagiare tutto il Mediterraneo e l’Eurozona.

Infatti, l’agenzia Fitch ben spiega a chi vuole intendere che “la Catalogna è una regione che dipende fondamentalmente dal Fondo di Liquidità Autonomo e dagli anticipi di denaro per attendere spese immediate”, pur rappresentando il 19% del PIL spagnolo, ergo è tenuta in condizioni di assoluta sussidiareità da Madrid.

2017-10-03

Una regione che i nostri media associano alla movida, all’intrattenimento ed all’effimero, che è riuscita a riemergere nonostante la sussidiareità imposta dal Potere nazionale centrale ed è oggi un polo industriale, oltre che finanziario, con una zona franca, amministrata da un consorzio pubblico-privato costituito da circa 300 imprese di spessore ed una esemplare digitalizzazione della pubblica amministrazione, con la quale già oggi il 45% della popolazione interagisce via internet.
A proposito delle banche, quelle catalane: è vero che sono indebitate, ma una bella parte dell’esposizione è verso la Spagna e l’amministrazione spagnola … ed a portagli via le fabbriche ci sarà da capire dove trovare la manodopera, salvo deportare i catalani …

Una regione storicamente a parte – come Napoli, Istanbul, Beirut, Venezia o Bengasi, con le quali condivide una solida tradizione industriale e commerciale – che, a quasi 10 anni dal massivo arrivo dei cinesi al Pireo, inizia ad riaccedere ai flussi mercantili dall’Oriente. Se l’Italia sta ripristinando di fretta e furia i porti di Ortona e Pescara ci sarà un motivo …

Dunque, quel che accade ed accadrà a Barcellona avrà un peso anche in Campania, nel Nordest italiano, come in Turchia, Medioriente o Libia, ed è facile intuire il timore che sta serpeggiando tra i sostenitori della Stabilità a tutti i costi, cioè tra i Difensori degli equilibri costituitisi cento e passa anni fa nel Mediterraneo, grazie a veri e propri atti di rapina messi in atto da “stati-canaglia”, come li definiremmo oggi.

Ritorna in auge, insomma, la primaria questione se viviamo in un’Europa degli Stati (e delle Banche) o dei Popoli e dei Cittadini.
A seguire quella di quanto si possa andare avanti con Costituzioni, Codici di giustizia, Sistemi sanitari e previdenziali divergenti, se non l’un l’altro incompatibili. 

Intanto, in Italia, ‘grazie a Barcellona’, potremmo scoprire che “i porti italiani sono sempre più stretti tra competitori agguerriti e la loro governance in grave ritardo. 23 autorità portuali separate senza autonomia di spesa li governano con modalità barocche. Le dogane si allineano: un container proveniente dalla Cina subisce 17 controlli da 3 ministri coinvolti e deve esibire 70 documenti. Tempo necessario da noi una settimana, a Rotterdam 48 ore al massimo.”
Cioè accade come a Barcellona, dove una governance centrale farragginosa e corrotta soffoca la crescita di una città e di una regione che trainano la crescita e lo sviluppo generali.

Come andrà a finire in Spagna?
Dipende dall’Europa: in caso di ‘autonomia’ valgono le stesse regole di Brexit e tutti i trattati restano vigenti fino ad esplicita disdetta o variazione?
Oppure, l’Europa intende considerare i Catalani come fossero degli ammutinati contro la Reale Corona di Spagna?

Demata

..

 

Sanità: come iniziò il «Sistema»

17 Feb

A Milano, per lo scandalo degli appalti sanitari, si parla oggi di «Sistema». Ma quando e come è iniziato il  «Sistema»? Ed in cosa consiste il «Sistema»?

Iniziamo col dire che un «Sistema» è tale perchè esiste sia ‘dal basso’ (ad esempio, le false invalidità, la ‘raccomandazione’ per il ricovero, la cartella clinica vuota di contenuti) sia ‘dall’alto’ (ad esempio, appalti e forniture, finanziamento delle campagne elettorali, controllo di enti pubblici).

E, detto, questo andiamo a vedere come nacquero questa mentalità e queste abitudini, che fin dagli Anni ’80 – quando le Corti dei Conti regionali bocciavano i bilanci ed aprivano processi – sono acclaratamente una ‘realtà diffusa’ e non locale od occasionale.

Michele Navarra era un medico, nipote di Angelo Gagliano, un mafioso corleonese assassinato nel 1930, e cugino del mafioso Angelo Di Carlo, emigrato negli Stati Uniti nel 1926 per sfuggire alla repressione del prefetto Cesare Mori e rientrato dopo aver combattuto nei marines.
Con l’avvento della democrazia, Michele Navarra ottenne l’incarico prima di medico condotto di Corleone e poi di medico fiduciario dell’INAM, che era il predecessore dell’attuale Sistema Sanitario Nazionale.

Nel 1946, dopo l’omicidio del direttore dell’ospedale Carmelo Nicolosi per ‘mano ignota’, Navarra divenne caporeparto di medicina interna dell’ospedale di Corleone. In quegli anni, Michele Navarra costituì insieme al fratello una società di autolinee ottenendo appalti dal governo militare alleato per poi cederla a caro prezzo, nel 1947, alla Regione Siciliana per creare l’Azienda Siciliana Trasporti. Navarra in quel tempo controllava anche il settore politico-economico tramite i voti: inizialmente li fece confluire al Movimento Indipendentista Siciliano, poi verso la Democrazia Cristiana.

Michele Navarra, dal 1945, era diventato anche il boss indiscusso della cosca mafiosa di Corleone (quella poi di Riina e Provenzano) e, tra i tanti delitti di cui si rese colpevole, va ricordato quello di particolarmente ignobile del pastorello tredicenne Giuseppe Letizia, che aveva assistito all’eliminazione del sindacalista Placido Rizzotto e che – portato da Navarra con la febbre alta, morì in ospedale per un’iniezione letale praticata da un altro medico, il dottor Ignazio Aira che poco dopo la morte del giovane partì senza alcun motivo per l’Australia, come riportarono le cronache dell’epoca, sempre che non sia stato fatto ‘sparire’.

Dicevamo … falsi invalidi, carriera medica per nomina politica, appalti, campagne elettorali, mafia.

Andando ancora più indietro nel tempo, troviamo Melchiorre Allegra che era un ufficiale medico, in forza all’ospedale militare San Giacomo di Palermo, dove per sua ammissione aveva facilitato il riconoscimento di esonero o pensione per soldati che, viceversa, si erano feriti appositamente e con entità ben inferiori, tra questi non pochi mafiosi tra cui un congiunto del boss Giulio D’Agate di Villabate.

Nel 1924, Allegra si candidò alle elezioni politiche per conto di Salvatore Maranzano, capo della mafia di Trapani e boss di massima pericolosità negli Stati Uniti), in una lista apparentata con il Listone Mussolini.

Nel corso degli anni fu imputato di favoreggiamento personale verso mafiosi, per procurato aborto, per omissione di cure mediche verso un criminale di un’altra cosca, favoreggiamento per la fuga di un soggetto fino al suo arresto nel 1937 per il suo coinvolgimento nell’eliminazione di un mafioso, un certo Ponzio. Interrogato dapprima dai Carabinieri della stazione di Castelvetrano, poi dagli agenti dell’ufficio del Settore di P.S. di Alcamo, fu il primo a raccontare dei riti di iniziazione mafiosi e dei rapporti mafia-politica.

Fra le protezioni che la mafia offriva ai propri associati, Allegra elenca una serie di indebiti come «raccomandazioni, allora efficaci presso le autorità giudiziarie di P.S., finanziarie, amministrative, ecc. da cui derivavano molti benefici come: concessione di porto d’armi a pregiudicati, revoche di ammonizioni e di altri provvedimenti, proscioglimenti giudiziari, concessioni di libertà provvisorie in pendenza di processi, revoche di mandati di cattura, agevolazioni in pratiche amministrative, finanziarie e di ogni genere, concessione di passaporti ed altro».

Di nuovo,  … falsi invalidi, appalti, distorsione dei processi, campagne elettorali, mafia.

L’infiltrazione mafiosa negli ambienti sanitari è di vecchia data, dati gli interessi in ballo: potremmo ricordare anche i medici Antonino Cinà e Giuseppe Guattadauro, Vincenzo Ferro, figlio del mafioso Giuseppe, o più recentemente di Ignazio Melodia e Vincenzo Pandolfo, medico personale di Matteo Messina Denaro. O di alcune ASL calabresi, dove gli organici sono stati stravolti, qualche anno fa, per arresti di mafia.

I medici – ovviamente – non hanno alcuna ‘propensione’ alla Mafia, ma è storia che da molte generazioni  i mafiosi in vista puntano a far laureare i propri giovani ‘migliori’ in medicina, legge ed economia allo scopo di infiltrarsi nel sistema sanitario, legale, bancario, politico.

Un fenomeno non meramente siciliano, se Navarra prima di Corleone fu medico per 20 anni a Trieste e se i rapporti tra mafia e politica hanno un’origine ed una ‘sede’ ancora più antica.

1889, 25 febbraio. A Castelbuono (Palermo) si suicida il delegato di Pubblica sicurezza Stanislao Rampolla Del Tindaro. Aveva denunciato le compromissioni del sindaco di Marineo (Palermo) con la mafia per via delle concessioni sui pascoli e dei tributi da versare al Dazio comunale in mano a mafiosi da lui assunti. Il sindaco era rimasto al suo posto e il funzionario era stato trasferito. La vedova Giovannina Cirillo , nel 1889, si appellò al ministro dell’Interno Francesco Crispi, siciliano anche lui, ma nulla accadde: a Marineo la mafia non esisteva.

Dicevamo del «Sistema» … come se corruzione, tangenti, finanziamenti elettorali, servizi esternalizzati come vacche da mungere, disservizi pubblici ‘strutturali’, personale libero di essere arrogante e inefficiente, degrado diffuso, sprechi e decrescita … nei dialetti meridionali non si chiamino «Mafia» da sempre.

Oggi, Milano e Maroni con Salvini scoprono che ‘mafia e camorra sono arrivate al Nord’.
Ben venga per l’essersene finalmente accorti, anche se il boss Angelo Epaminonda imperò su Milano e la Romagna per quasi vent’anni.

Speriamo solo che i nostri politici – quando fanno discorsi roboanti pieni di indignazione e promesse – si ricordino che la ‘corruzione politica’ (il “sistema”) è il termine italiano che traduce ‘mafia’ dal siciliano o ‘camorra’  dal napoletano … sono oltre 150 anni che glielo diciamo …

Demata

L’Italia perde tempo

2 Apr

Si perde tempo, l’ha detto Angelino Alfano, in un dichiarazione che suona come una presa d’atto a nome di tutti gli italiani, piuttosto che un’opinione personale.

Si perde tempo e se ne perde tanto, tantissimo, se, ad esempio, la giunta PD-SEL-M5S della Regione Sicilia blocca i lavori nella base militare di contrada Ulmo, pilastro del nascente Mobile User Objective System, il sistema di difesa satellitare USA – proprio mentre Obama porta a casa un accordo tra Israele e Turchia, sostanziale per l’assetto del Mediterraneo.

Come ne stiamo perdendo davvero tanto, in Europa, se l’India pretende di processare soldati italiani e tedeschi, proprio mentre assolve largamente un contingente di propri militari, resosi colpevole di stupri, violenze ed omicidi in missione di peacekeeping in Africa.

Si perde tempo se, rifiutandosi di formare un governo (il Pd con il PdL ed il M5S con il PD), i nostri destini sono procastinati a luglio prossimo, con un governo dubbiamente prorogabile – quello di Mario Monti – che è limitato all’ordinaria amministrazione, ma dovrà far fronte ad una situazione eccezionale.

E nel Governo Monti sta la chiave di volta della strategia del Partito Democratico, obnubilato dai 200 parlamentari ‘che non sarebbero lì’ se non esistesse un premio di maggioranza spropositato, mentre tra gli altri almeno cento sono parte dell’apparato.

Andare al governo con il Popolo della Libertà comporterebbe diverse conseguenze ‘sgradite’, che sarebbe meglio lasciar fare ad un governo transitorio ed un presidente che accondiscenda a qualche strappo alle regole, visto che non si tratta di amministrazione ordinaria:

  1. una legge elettorale che recepisca sia il ballottaggio, sia il senato federale, sia il presidenzialismo, sancendo la fine del bipolarismo e del parlamentarismo;
  2. una riforma della Autonomie Locali, sopprimendo province e comuni sotto i 10.000 abitanti, azzerando un’infrastruttura partitica (ed una tradizione di polemisti da bar dello sport) che ci portiamo dietro dal Dopoguerra;
  3. la riforma della pubblica amministrazione, alla quale, per ovvi motivi, dovrebbe conicidere una serie di leggi sui sindacati, sulla separazione delle carriere, sull’introduzione di un sistema di bilancio ‘europeo’, sui servizi che il Servizo Sanitario Nazionale va a garantire ‘comunque’;
  4. una riduzione della leva fiscale e l’introduzione dei diritti di cittadinanza.

Tutte leggi che il Partito Democratico preferirebbe facesse qualcun altro, ma ponendo i suoi veti,  che il  Movimento Cinque Stelle sosterrebbe anche volentieri, ma che il protagonismo di Grillo impedisce, che il Popolo della Libertà voterebbe, se non fosse per i guai giudiziari di Silvio Berlusconi.

Nessuno che prenda nota del detto anglosassone per il quale se non si è un vincitore, allora non resta che prendere atto di essere un perdente.

Intanto, i dati congiunturali sconfessano la manovra elettorale del Partito Democratico, iniziata da mesi sotto la spinta di SEL e della CGIL, in nome dell’emergenza sociale: la disoccupazione registra, sddirittura, un lieve calo. Sono i giovani a preoccupare con un congruo numero di senza lavoro (37,8%), principalmente donne.

E, se parliamo di giovani e di occupazione, la soluzione non è certo prolungare l’età pensionabile, mantenere una pubblica amministrazione elefantiaca, senza investire in infrastrutture, formazione e produttività. Come il ‘modello’ non può essere di certo quello di Romano Prodi, additato -in Italia come all’estero – come uno dei padri del disastro Eurozona ed eternamente in batteria per un posto al Quirinale.

Siamo sicuri che i circa 200 deputati del Partito Democratico, che sono lì grazie al Porcellum, vogliano davvero tornare a casa con un flop del genere per sperare in una riconferma delle urne?
E cosa staranno pensando quelli del Movimento Cinque Stelle, che potrebbero non contare, alle prossime elezioni politiche, di quei 5-6 milioni di voti arrivati per protesta?
O, parlando di stabilità ed Europa, che qualcuno si sia accorto che, se PdL+Lega+Scelta Civica avessero corso coalizzati, non staremmo neanche a discutere di governi e governicchi?

originale postato su demata

Basta liti, iniziamo a dialogare

30 Mar

Il Corsera di oggi scrive che “rigido si è rivelato il centrosinistra, con un Sel fermo a insistere su un mandato pieno a Bersani, per una sfida in Senato su una incertissima fiducia. Ma sulla stessa linea era anche il gran corpaccione del Partito democratico, con eccezioni ancora piuttosto timide”.

“Con tutti i partiti ostaggio di interdizioni reciproche, provocazioni, bluff, rimpalli di responsabilità e, insomma, prigionieri di quelle pregiudiziali e quei «troppi no»”, … se Napolitano “dovesse decidere di lasciare, fino a quando non sarà eletto e insediato il dodicesimo capo dello Stato”, i suoi poteri passeranno nelle mani del «supplente», il presidente del Senato Pietro Grasso.”

Ci presentiamo alla riapertura delle Borse con Pietro Grasso, presidente facente funzioni, e Mario Monti premier in proroga per l’ordinaria amministrazione? Con l’intenzione di restarci per mesi, mentre si litiga prima per chi sarà il futuro presidente della Repubblica e dopo per chi governerà, eventualmente, per un annetto e basta, in modo da riformare la politica ed andare a votare di nuovo?

Tra l’altro, le eventuali dimissioni di Giorgio Napolitano – dopo le sue esitazioni a sciogliere le Camere quando i Finiani tolsero la fiducia al Governo Berlusconi e lo smaccato errore nell’individuare Mario Monti come premier ‘salva Italia’ – rappresentano esattamente il ‘segnale che non va dato’ all’estero come in homeland: l’inizio di una crisi politica di lungo termine per una delle prime economie mondiali.

E per quale motivo i 7 miliardi e rotti di cittadini ‘esteri – con le loro banche, aziende, pubbliche amministrazioni, eccetera – dovrebbero star lì, gentimente, a guardare, aspettando che qualche nuovo trasformismo o qualche conduttore ripristinino le funzioni essenziali del sistema Italia, momentanemente affidate ad un ex magistrato ed un ‘banchiere’?

E’ finita l’epoca dei ‘ma anche’: è l’ora degli uomini di ‘buona volontà’. Questa la Via Crucis di Giorgio Napolitano.
C’è un Paese da rifondare, basta liti, iniziamo a dialogare.

originale postato su demata

Bersani – PdL, un accordo (im)possibile?

28 Mar

In questo scorcio di XVII Legislatura – chi diceva che il numero 17 porta male? – sono tanti e troppi i dati, accertati o stimati, che ci raccontano un’Italia molto diversa da quello che ci era stato descritto da sondaggi, statistiche, slogan di partito, giornali e televisioni, chiacchiere da forum o da bar.

Ad esempio, il dato – sorprendente per gli elettori di sinistra – di un Partito Democratico, che vede tra gli eletti molti ex-democristiani e (molto) pochi ex comunisti, socialisti, verdi, radicali e tutto quanto abbia anche marginalmente aderito al modello socialdemocratico.
E’ ovvio che l’elettorato di sinistra, sempre più marginalizzato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Altra singolarità del PD è che almeno un terzo, forse la metà, dei sui eletti sono professionisti della politica.
Che essi debbano esistere è sano e fisologico, dato che ‘strateghi e logisti’ specializzati in regolamenti, bilanci e leggi son sempre necessari. E’ abnorme che siano così tanti – un centinaio almeno solo in Parlamento con tutto il codazzo di sub-professionisti della politica, ovvero sherpa, consulenti, portavoce eccetera.
E’ assurdo che un partito ‘popolare’ che fa le primarie, addirittura, si ritrovi con un apparato così invasivo ed onnipresente.

Dal lato opposto – o meglio, semplicemente complementare – c’è il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, che al turn over è sempre stato attento.
Purtroppo, il permanere di Silvio Berlusconi ha bloccato il ricambio, anche a causa degli interessi divergenti ‘di certi fedelissimi’, ormai fuori dai gioci per problemi giudiziari o migrati altrove nell’attuale parlamento.

Un Centrodestra che – ad averci un leader vero ed un programma verosimile – avrebbe dalla sua almeno il 35-40% dei consensi, se consideriamo anche i voti raccolti dai Montiani e da FARE.
Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato di destra o moderato, sempre più disorientato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Ed ‘in mezzo’ c’è la Conferenza Episcopale Italiana, un alto clero che non sta mostrando nè sufficiente distacco dal potere e dalla finanza (Mammona) nè capacità di esistere nel sociale, al di là di un (proficuo) ruolo di sussidiarietà allo Stato. Vediamo troppi vescovi al fianco di pessimi politici nelle foto ufficiali, parliamo di una mafiosità e di una corruttela sulle quali non si sono sentiti i tonanti anatemi né gli appelli sociali.

Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato cattolico sia sempre più disorientato –  mentre si reclama il diritto alla vita ma non altrettanto quello alla giustizia, se non anche il dovere all’onestà ed all’equità – e vada cercando ondivago soluzioni che non trova.

Dunque, il problema è che la maggioranza del Paese non trova voce nell’attuale Parlamento, dato che il Movimento Cinque Stelle di proposte fattibili ed alternative a quella di Bersani premier non ne ha fatte.

Una situazione che difficilmente potrà essere risolta con una nuova legge elettorale e con la discesa in campo di Matteo Renzi, ma che neanche i cittadini del movimento di Beppe Grillo avranno grandi chances di gestire o risolvere.

Un governo di tecnici veri ed indipendenti – invece che sui forum, iniziamo a leggere i blog o la stampa estera – ed una maggioranza ‘giovane’ che in un anno e mezzo riformi per bene non solo i quattro spiccioli che Bersani ha messo sul tavolo, ma anche quello che è possibile per giustizia, sindacati, pensioni, sanità ed enti locali.

Beppe Grillo avrebbe dovuto riflettere di più su questa chance: ‘perdere’ qualcosa per vincere tutto e divenire una sorta di De Gaulle italiano. Infatti, molti, moltissimi voti sono arrivati al Movimento Cinque Stelle per il solo motivo che non c’era altro da votare e c’era una chance da dare a qualcuno che voleva ‘cambiare’.

E’ anche e soprattutto dal Movimento Cinque Stelle che gli italiani si attendono le ‘prove’ di una capacità di governo, di proposta e di concertazione, che finora non si è vista.
In attesa di un cambiamento che, per gli italiani, significa anche – forse soprattutto – che non se ne può più della Politica che litiga, mentre il Palazzo crolla.

Come anche, ci si aspetta(va) da un vero partito alternativo che guardasse sia a sinistra ma anche a destra con un occhio al centro: le buone idee e la brava gente non sono mai di un colore solo.

Finita la missione suicida di Pierluigi Bersani, al Partito Democratico non resta che cogovernare con il PdL – che, però, chiede prima la sua testa – oppure è arrivata l’ora che Il Movimento Cinque Stelle dica a chiare lettere quali siano gli elementi di programma vincolanti e quali i nomi o le poltrone. Oppure tutte e due …

Intanto, l’unica proposta sensata di queste due settimane, arriva dal Popolo della Libertà: Gianni Letta presidente della Repubblica, Pierluigi Bersani a Palazzo Chigi.
Il tutto con l’appoggio della Lega, dato che Maroni ha voluto sottolineare che “è verosimile che il Pdl e la Lega non si oppongono alla nascita del governo Bersani? E’ possibile, non so quanto probabile, ma è possibile. Lo abbiamo detto ieri, è possibile a determinate condizioni”.

Il paese deve uscire da questo stallo, che rischia di prolungarsi fino ad estate inoltrata: Bersani ed il Partito Democratico – avendo la maggioranza alla Camera – facciano quello che va fatto per dare un governo decente all’Italia.

originale postato su demata

Bersani al Piano B

27 Mar

Il giorno dopo le elezioni, Pierluigi Bersani sapeva di avere il 22% dei consensi, il 33% dei voti, il 55% dei seggi alla Camera, il 33% di quelli del Senato.
Sapeva anche di non avere tempo, a causa della situazione economica, del forte malcontento popolare e del Presidente della Repubblica con il mandato agli sgoccioli.
Un paio di settimane dall’insediamento dei Presidenti delle due assemblee parlamentari, Camera e Senato, ed, eventualmente, la settimana di Pasqua a seguire, in cui le Borse sono assopite.

E Pierluigi Bersani sapeva molto bene – come ne erano ben consapevoli i suoi colleghi di partito – che si potesse andare al voto di nuovo solo e comunque con il Porcellum, ma, soprattutto, non prima del 25 giugno, a causa della necessità di eleggere il Presidente della Repubblica e del semestre bianco, mettendo i tempi necessari a scioglere le Camere e quelli dovuti alla campagna elettorale,
Chiaro a tutti che il mondo e l’Eurozona non possono attendere l’Italia che prova e riprova a formare un nuovo governo.
Meno evidente l’idea che, senza un governo, Mario Monti continuerà ad oltranza con la sua azione ‘recessiva’ e la Cassa Depositi e Prestiti arrivi al baratro, con l’Italia che segue Cipro, dopo la Grecia, nel downgrade dell’area mediterranea.

Dunque, non c’era davvero un motivo valido per giustificare la prova di forza imperniata da Bersani e la leadership del suo partito.
Se ci si arrocca, non si apre un dialogo in quattro e quattr’otto, ma soprattutto, se il tempo è poco, ci si mette da soli in una condizione di svantaggio.

Un arrocco che si poteva evitare, ad esempio, votando la presidenza della Camera (dove il PD ha maggioranza assoluta) dopo il voto al Senato e, garantitisi la presidenza di Pietro Grasso, lasciare il posto di Laura Boldrini alla candidata del M5S.
Od evitando di portare le bandiere dell’antiberlusconismo anche in Parlamento, a campagna elettorale finita, sbattendo la porta in faccia non solo a lui, Silvio Berlusconi, ma a tutto il PdL.
Un’opportunità che il PdL aveva calcolato, non presentando un proprio candidato e sperando che il PD imboccasse – come avvenuto – la via della forza e non quella del confronto.
Un arrocco, ma anche un doppio errore, visto che stiamo assistendo ad una regina (Bersani) isolata in mezzo alla scacchiera, mentre tutta la squadra sta intabarrata in difesa.

Una situazione disastrosa in cui si è ficcata l’intellighentzia del Partito Democratico (D’alema, Bindi, Marino, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera) non concedendo a  Pierluigi Bersani deleghe concrete e complete a trattare alcuni ‘temi caldi’: il finanziamento dei partiti, la legge elettorale, il conflitto di interessi negli enti locali, il taglio delle province e dei piccoli comuni, i costi della politica, la legge sui sindacati.
Urgenze alle quali andrebbero affiancate norme urgentissime per la finanza pubblica, su cui qualcuno doveva già iniziafe a tessere accordi, come quelle necessaria al rilancio di Cassa Depositi e Prestiti, la depenalizzazione per le sostanze stupefacenti e lo svuotamento delle carceri, i servizi pubblici esternalizzati ed il Terzo Settore, le pensioni d’annata ed i sussidi per chi non lavora, la Sanità e le responsabilità erariali connesse.

Purtroppo, Bersani, D’alema, Bindi, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera sono riusciti anche a perdere l’ultimo treno prima del calar delle tenebre.

The last train – Evaldas

E così, da qualche giorno, in casa PD si sente parlare di «governo a bassa intensità politica» con un programma molto limitato: riforma elettorale, riforma del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu per determinate fasce di cittadini e approvazione della legge di stabilità.

Il tutto per evitare che il M5S di Grillo e Casaleggio vinca smaccatamente delle elezioni attuate con il sistema del Porcellum e per consentire a Matteo Renzi di candidarsi alle primarie nel tardo autunno, quando un po’ di ripresa e qualche pannicello caldo potrebbero aver rabbonito gli italiani, oltre a tante attese sentenze che riguardano Silvio Berlusconi e che metterebbero fuori gioco il temuto Giaguaro.

Ovviamente, il tutto funzionerà se gli avversari politici dovessero stare lì tutti ben fermi e/o prevedibili …
Intanto, mentre si svlgono le utime trattative febbrili e dopo un’arroventata riunione degli eletti, Roberta Lombardi, capogruppo M5S alla Camera, annuncia «Neanche se si butta ai miei piedi e mi implora di dargli un lavoro… Il gruppo è compatto e lo è anche al Senato».
Compatto lo vedremo … spaccare il Movimento Cinque Stelle era – ed è ancora – il Piano A di Bersani e del Partito Democratico.

Ovviamente chi divide impera, ma seminando vento raccoglie tempesta.

originale postato su demata

Camera dei Deputati, quali prospettive?

25 Mar

Arrivano dal sistema sanitario ben cinque degli otto senatori che dal PdL si sono ‘resi disponibili’ fondando il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà.
Una coincidenza che, a vedere i pochi dati forniti da Camera e Senato, meriterebbe maggiori approfondimenti.
Fosse solo perchè è la Sanità uno dei luoghi critici del debito italiano, del malaffare pubblico, della riduzione in sudditi dei liberi cittadini, dove saranno da attuare dei tagli, del riordino e delle tutele che la Casta proprio non vuole, se non a patto di privatizzare.

Da quel poco che si evince dai dati della Camera, però, qualche riflessione è possibile.

Innanzitutto, più di un terzo dei deputati ha superato i cinquanta anni d’età (239), altri 159 sono tra i 40 ed i 49 anni, 184 va dai 30 ai 39,  solo 48 hanno meno di 30 anni.
Tutto normale con la curva che l’Italia si ritrova?
Mica tanto. Dei 398 deputati (2/3 del totale) ultra quarantenni, nessuno è del M5S, mentre lo sono ben 109 dei 232 under quarantenni, praticamente la metà.

Più scontro generazionale di così … con i cinquantenni – i ragazzi degli Anni ’80, estromessi ab origine dalle scelte decisionali – più attenti al futuro dei propri figli che ai benifit da incassare dilazionando il cambiamento, a differenza da chi li ha preceduti.

Riguardo le professioni, i dati, che la Camera dei Depuati fornisce, sono al momento incompleti, ma almeno 40 deputati rieletti nel Partito Democratico sono dirigenti, funzionari o impiegati di partito. Uno addirittura si dichiara amministratore locale ‘di professione’.
Quaranta e passa voti che tenderanno, prevedibilmente, a condizionare il voto sui tagli ai partiti ed alla Casta.

Inoltre, sempre riguardo le professioni rappresentate in Parlamento, sembra scarseggino gli ingegneri e gli economisti, che si contano sulla punta delle dita: un atto di gravissima irresponsabilità da parte dei partiti, che avrebbero dovuto e potuto inserire in lista persone capaci di comprendere a fondo e di gestire la crisi infrastrutturale e finanziaria del Paese.

Un altro dato interessante è quello dei rieletti che abbiano superato 50 anni. Ovvero, quanti eletti debbano attendere (e restare occupati) per un tot di anni ancora, prima dell’avito vitalizio.
Il Partito Democratico annovera ben 47 over50 e 13 over60, cioè ben 60 deputati che se dovessero votare ‘secondo coscienza’ certe norme urgenti su Pubblica Amministrazione e Sistema Pensionistico si ritroverebbero con un personalissimo ‘conflitto di interessi’. Per non parlare del finanziamento ai partiti …
Il PdL ne conta quaranta in tutto e tra i pochi montiani sono ben quattro gli ultrasessantenni rieletti.

Poi, ci sono i neo eletti. E tra questi sappiamo già che non è irrilevante il numero di amministratori di enti locali ‘promossi’ prima della cancellazione di comuni e province, che, in vista di una breve legislatura, difficilmente voterebbero tagli a prebende locali e di campanile.

Questi alcuni dei fattori, tra quelli resi noti dai dati, che condizioneranno la legislatura ‘old school’ che Pierluigi Bersani – con un Giorgio Napolitano palesemente scontento – si accinge a ‘tentare’. Considerati alcuni fattori (anagrafici e professionali) non è improbabile che anche al Senato esistano aggregabilità simili.

Probabilmente, un PD guidato da Matteo Renzi poteva dare la scossa a questo Parlamento. Possibilissimo che se Mario Monti non si fosse intestardito contro il PdL, staremmo discutendo di una Grosse Koalition con M5S e SEL, ben vigili – come di dovere – all’opposizione, pronti a sostenere leggi ‘difficili da digerire’.

E se Silvio Berlusconi non avesse dato seguito a Tremonti e Bossi, ma avesse seguito Brunetta e Cicchitto, forse sarebbe arrivato anche il turn over. Come era meglio un incarico di Napolitano, anzichè a Bersani, ad una figura non iperpolemica e più carismatica – interna alla politica (es. Anna Finocchiaro) o parallela ad essa (es. Massimo Rodotà, Gianni Letta).

Non è andata così.

Oggi, circolano i nomi di coloro che, secondo Pierluigi Bersani, dovrebbero affascinare Grillini, Liberali e Leghisti e, soprattutto, guidare il cambiamento: Franco Marini (ex CISL, ex DC, 80 anni), Sergio Mattarella (ex DC e giudice costituzionale, 72 anni) e Pierluigi Castagnetti (ex DC, 68 anni), Guglielmo Epifani (ex CGIL, 63 anni), Giampaolo Galli (ex Confindustria, 61 anni), Giuseppe De Rita (ex CENSIS, 80 anni).
Ed, intanto, a guardare due numeri, l’impressione è che, in questi ultimi 20 anni, il numero di ex democristiani candidati ed eletti nelle fila del Partito Democratico è enorme, praticamente maggioritario, mentre, guarda caso, il suo elettorato chiede – giusto appunto da 20 anni – ‘qualcosa di sinistra’.
Tenuto conto che nel PdL le cose non vanno molto meglio, ecco spiegato sia perchè l’Italia è allo stallo – da un ventennio – sia perchè i mali che la Seconda Repubblica doveva curare si sono, viceversa, incrementati.

originale postato su demata

Il governo che non c’è

23 Mar

A quanto si legge, i senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi (Gruppo Misto) e Giulio Andreotti (Autonomie) sono in condizioni fisiche tali da non consentire loro di essere presenti al voto di fiducia, ammesso che si arriverà a questo. Allo stesso modo, non potrà votare la fiducia al nuovo governo il presidente Pietro Grasso, per prassi consolidata al Senato.

Iniziamo, così, col dire che Pierluigi Bersani inizia la sua ‘conta dei consensi’ con tre voti in meno rispetto a quanti si potesse prevedere, fermo restante che l’asticella resta a 160.

Senato seggi fiducia

Dunque, ammesso e non concesso che i Montiani aderiscano in toto ad un governo multipartizan con le urne in vista, a Pierluigi Bersani servono ancora quattro voti, oggi, e, prevedibilmente, altri sei dopodomani, visto che SEL in questa Grosse Koalition proprio non si capisce cosa starebbe a fare.

Da dove possono arrivare questi voti?
Dal PdL alla spicciolata, innanzitutto, visto che bastano forse solo quattro voti e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Dalla Lega, in toto o parte, vista l’eloquente allusione di Bersani (beato chi ci crede) ad ambiziose ‘riforme costituzionali’ e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Da qualche costola del M5S, entusiastica e buonista, che, forse, non aspetta altro che esser fagocitata dalla Casta o, comunque, si sta solo ora rendendo conto che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Da nessuna parte, visto che più che una mission impossible per Bersani, la formazione di un governo su tali basi appare come una ‘missione suicida’, tanti e tali saranno i balzelli e gli inciuci che una maggioranza così eterocomposita dovrebbe praticare: le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Oppure, mentre si mostrano i muscoli in televisione, dato che per Bersani “non c’è altra strada” all’infuori del suo tentativo, il PD lavora sotto traccia, seguendo le chiarissime indicazioni del Presidente Giorgio Napolitano: «le difficoltà a procedere verso la grande coalizione sono apparse rilevanti a causa di profonde divisioni riesplose con la rottura di fine 2012. Insisto sulla necessità di larghe intese a complemento della formazione del governo, il quale potrebbe concludersi anche in ambiti più ristretti».

Un concetto, quello delle ‘larghe intese’, che viene chiarito da Silvio Berlusconi – ‘senza Pdl non c’è maggioranza’ – cui fa eco Maroni della Lega – riguardo gli ‘ambiti più ristretti’ – con “siamo in coalizione con il Pdl, ma serve un governo. Non faremo nulla che sia contro la coalizione, concorderemo tutto”.

Intanto, mentre dal centrodestra arrivano ampie disponibilità ad intese, la road map bersaniana  riparte da Beppe Grillo, forse nella speranza di incassare in un colpo solo i 30-40 senatori che mancano al PD+SEL per governare.

E così siamo al “governo civico”, con nomi tutti da scoprire, tra cui i più accreditati, secondo Repubblica, sarebbero Oscar Farinetti (Eataly), Milena Gabanelli (RAI),  Giampaolo Galli (Confindustria), Fabrizio Saccomani (Bankitalia).

Un ‘governo civico’ del tutto ‘scollato’ dai partiti e dai gruppi parlamentari, ovvero in balia di essi …

originale postato su demata